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La pronuncia della Corte di Cassazione sui matrimoni e le famiglie gay

La Corte di Cassazione n. 4184/2012 rigetta la richiesta di trascrizione del matrimonio celebrato in Olanda da una coppia formata da due italiani dello stesso sesso.

Nonostante il rigetto, la sentenza segna tuttavia una svolta su diverse questioni di rilievo (e per tale ragione ha avuto ampia eco sulla stampa). Con la decisione depositata ieri si afferma infatti che le coppie omosessuali sono tutelate dalle norme in materia di “vita familiare” e che le stesse hanno il diritto di adire da subito l’Autorità Giudiziaria per ottenere, ove necessario, un trattamento omogeneo a quello previsto per la coppia “coniugata”; la Corte di Cassazione chiarisce inoltre che il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è inesistente, ma che più semplicemente non può essere trascritto perché non è previsto dalla legge italiana.
Dopo una lettura a caldo della pronuncia, si possono segnalare alcuni, fondamentali, profili:
1) viene affermata la rilevanza e l’incidenza diretta per il nostro ordinamento del revirement espresso dalla Corte di Strasburgo con riguardo alla nozione di “matrimonio”, che ha adesso un «nuovo contenuto» non riferendosi più solo all’unione tra persone di diverso sesso ma anche al «matrimonio contratto da due persone dello stesso sesso» (era un passaggio della sentenza Schalk and Kopf che, inspiegabilmente, era sfuggita a diversi commentatori). Dopo aver ripercorso la giurisprudenza precedente, la Corte di Cassazione sulla base di questa riflessione prende atto di dovere cambiare indirizzo. Una prima anticipazione di questa svolta si era avuta già nel recente decreto del tribunale di Reggio Emilia del 13/2/2012 in materia di diritto di soggiorno, che, a differenza di questa, era una decisione di accoglimento non trattandosi di diritto interno ma europeo (diverse affermazioni della S.C. sull’ambito di applicazione della nozione europea di matrimonio, v. punto 3.3.2, danno qualche indicazione anche su tale questione).
2) dal «riconoscimento» del matrimonio anche tra persone dello stesso sesso alla sua «garanzia» (una distinzione su cui si dovrà riflettere..): viene affermato esplicitamente che il Parlamento è libero di introdurre il matrimonio gay («il suo riconoscimento e la sua garanzia … sono rimessi alla libera scelta del Parlamento»), smentendo l’interpretazione della sentenza n. 138/2010 per cui sarebbe preclusa una riforma con legge ordinaria, alla quale insieme ad altra parte dei commentatori ci eravamo, strenuamente, opposti in questi due anni.  Quella dottrina che aveva parlato di interpretazioni imprudenti o addirittura sleali pare smentita oggi dalla S.C. (la quale esponendo le proprie valutazione sottolinea di avere compiuto «attenta analisi» della 138/2010). La Corte aderisce invece alla lettura della 138/2010 operata anche alla luce della sentenza Cedu (le due sentenze sono lette “insieme”).
3) di conseguenza viene rinnegata la categoria dell’inesistenza e viene precluso ogni futuro utilizzo della nozione di ordine pubblico internazionale.
4) non si tratta di una questione solo teorica. E’ vero che in Italia la prospettiva di una legge sul matrimonio sembra estremamente improbabile a breve (vedremo tuttavia come cambieranno gli umori tra qualche tempo, quando Gran Bretagna e Francia, se vincerà Hollande, avranno compiuto la svolta); ma l’abbandono di ogni riferimento a divieti costituzionali (la «libera scelta del Parlamento»), alla tradizione (la Corte dà atto della recente «radicale evoluzione» rispetto ad una tradizione millenaria) e a questioni ontologiche e “di natura” («essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire “naturalistico”, della stessa esistenza del matrimonio») rappresenta il crollo di un muro, la rimozione di un macigno, dalle conseguenze immediate e forse dirompenti. A questo punto, infatti, l’unico ostacolo è rappresentato dalla mancanza di una legge ordinaria. Vedremo a breve cosa accadrà, allora, nel caso (su cui la Cassazione deciderà tra qualche mese) del “divorzio imposto” in ipotesi di mutamento di genere anagrafico: qui la legge ordinaria che riconosce la prosecuzione tra due persone (divenute) dello stesso sesso, infatti, c’è già (art. 3 L. 1/12/1970 n. 898), bisogna solo leggerla.
5) viene richiamata la rilevanza diretta nell’ordinamento italiano dell’ulteriore overruling contenuto nella sentenza di Strasburgo che afferma che le unioni gay sono protette dalla garanzia assicurata dall’art. 8 della Convenzione sui diritti dell’uomo alla “vita familiare”, sono dunque “famiglia”. Quella dottrina (Ruggeri) che parlava ancora dopo Schalk and Kopf di «unioni “parafamiliari”» è stata definitivamente smentita dalla Suprema Corte.
6) viene sottolineato dalla Cassazione il diritto di adire da subito l’Autorità Giudiziaria per ottenere, ove necessario, un trattamento omogeneo a quello previsto per la coppia “coniugata” (mi permetto di richiamare la mia insistenza sul punto nel primo commento alla 138/2010 su Famiglia e diritto). E’ smentita la tesi che la Corte Costituzionale intendesse riferirsi a propri controlli su una futura normativa.
7) tale diritto ad agire in giudizio viene rilevato sia per i singoli componenti che per “entrambi”; mi pare un ulteriore argomento per contrastare quelle interpretazioni del riconoscimento costituzionale dell’unione omosessuale ristrette ai diritti “dei singoli”.
8) avranno un impatto sulla giurisprudenza di merito (anche penale) le parole della Corte per cui l’art. 2 della Costituzione «vieta qualsiasi atteggiamento o comportamento omofobo» e «qualsiasi discriminazione fondata sull’identità o sull’orientamento omosessuale».
9) Questa è una sentenza scritta bene, con pochi proclami e molta tecnica giuridica (d’altra parte chi aveva letto la bella relazione dell’Ufficio Massimario della Corte di Cassazione, autore Cirillo, nutriva buone speranze). Sono passati solo tre anni dal precedente del 2009 (sentenza 6441/2009) sul ricongiungimento familiare (il caso neozelandese), ma grazie alla produzione di una quantità veramente smisurata di atti, documenti, e, soprattutto, articoli di dottrina e studi anche molto approfonditi, la giurisprudenza italiana sembra avere metabolizzato le nuove nozioni che vengono dall’Europa. Si tratta di obiter dicta, ma anche della stessa ragione della decisione. A questo punto sarà molto difficile per la Corte di Cassazione tornare sui propri passi: dopo avere compiuto un approfondito riassunto (ottanta pagine!) del quadro normativo e del percorso compiuto dalla giurisprudenza, anche sovranazionali, la S.C. rileva infatti che la “svolta” è imposta dall’adesione italiana alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo (non mancherà chi sottolineerà l’importanza della decisione anche sotto il profilo del sistema multilivello). Chi contrasta ancora la nuova nozione di “matrimonio” e di “famiglia” dovrebbe sollecitare un nuovo revirement di Strasburgo (ripercorrendo l’impervia strada voluta dal governo italiano per il caso Lautsi, sul crocifisso), ma fare cambiare idea all’Europa, in questo caso, mi pare pressoché impraticabile.
Molti buoni motivi, a mio avviso, per definire questa sentenza di rilevanza addirittura eccezionale e per trovare una forte conferma della scelta della cd. “via giudiziaria”, non certo come unica strada ma come parte di un percorso di crescita complessiva del Paese sulle tematiche lgbt (v. le brillanti considerazioni di Bilotta nella relazione bergamasca pubblicata di recente). Era proprio vero che la 138/2010, lungi dal rappresentare una sconfitta per i ricorrenti (ed i giudici rimettenti) “ha aperto nuove prospettive di tutela”.

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