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La vittoria delle due Alessandre: le due donne restano sposate sino all’entrata in vigore di una legge sulle unioni civili

2005-09-15 11.49.44Con sentenza depositata in data odierna, la Corte di Cassazione statuisce la permanenza del matrimonio fra due persone divenute dello stesso sesso, sino a quando il Legislatore non introdurrà una legge sulle unioni civili. Dunque una indubbia vittoria delle due donne che, prime nella storia della Repubblica, sono e restano coniugate – sino a che il Legislatore lo vorrà – nonostante l’attuale identità di sesso. Abbiamo da oggi una precisa indicazione per la classe politica: chi si oppone, per ragioni ideologiche, ad una legge sulle Unioni civili riservate alle coppie dello stesso sesso, sa adesso che negare una (buona) legge sulle Unioni Civili non rappresenta un serio ostacolo all’introduzione ed alla permanenza in Italia di matrimoni tra persone dello stesso sesso anagrafico, ma anzi, paradossalmente, la carenza di una normativa alternativa assicura la permanenza di tali matrimoni. Ma la sentenza esprime un altro principio di assoluto rilievo: la legge sulle Unioni civili dovrà riconoscere necessariamente «uno statuto sostanzialmente equiparabile a quello derivante dal vincolo matrimoniale».

 di Marco Gattuso

Con sentenza pubblicata in data odierna (n. 8097 del 21 aprile 2015) la Corte di cassazione mette la parola fine alla vicenda del cd. “divorzio imposto”.

Com’è noto, la vicenda trae origine dalla richiesta della coppia di restare sposata anche in seguito alla rettificazione anagrafica di sesso del marito. Nonostante la ferma volontà delle coniugi, divenute entrambe donne, di mantenere in vita il loro matrimonio, l’ufficiale di stato civile di Finale Emilia aveva provveduto ad annotare lo scioglimento del vincolo coniugale quale conseguenza “automatica” della rettificazione di sesso. Avverso tale provvedimento amministrativo ricorrevano le due interessate, ottenendo in un primo tempo una decisione favorevole da parte del Tribunale di Modena, sul semplice assunto che lo scioglimento di un matrimonio deve essere disposto da un giudice e non da un mero ufficiale di Stato civile e, in secondo tempo ed a seguito di ricorso del PM, un provvedimento negativo della Corte d’appello di Bologna, la quale riteneva che il matrimonio potesse essere legittimamente dichiarato sciolto senza un espresso provvedimento dell’Autorità giudiziaria, in quanto conseguenza meramente automatica del cambiamento anagrafico di sesso[1].

Giunta la causa davanti alla Corte di cassazione, questa riconosceva (con ordinanza del 6 giugno 2013 n. 14329) che la norma di cui all’art 4 della legge n. 164/1982 (per cui la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso «provoca» lo scioglimento del matrimonio) doveva essere interpretata come ipotesi di scioglimento automatico del matrimonio, ravvisando tuttavia nel “divorzio imposto” contro la volontà dei coniugi una lesione degli artt. 2, 3, 24, 29 e 117 Cost.[2].

Com’è noto, la Corte costituzionale con sentenza n. 170 del 2014 ha accolto la tesi della Cassazione ed ha dichiarato l’incostituzionalità della norma, ritenendo che sia illegittima la carenza di qualsiasi specifica tutela per una coppia che abbia contratto matrimonio e che voglia restare sposata.

La sentenza della Corte costituzionale ha suscitato tuttavia una vivace discussione, e molte critiche, sotto un duplice profilo.

Per un verso la Corte costituzionale ha colto l’occasione per affermare che l’art. 29 Cost. riconosce e garantisce, a suo avviso, solo il matrimonio celebrato e continuato fra persone di diverso sesso anagrafico. Tali affermazioni hanno suscitato critiche (e consensi), ma non è questo il momento per approfondire come mai secondo i giudici della Consulta italiana la nostra Costituzione, che come noto non menziona – a differenza ad esempio della Costituzione spagnola e della stessa Cedu – “l’uomo e la donna”, né fa alcun riferimento letterale al paradigma eterosessuale, debba essere interpretata in tale peculiare senso.

Altro tema assai discusso con riguardo alla sentenza n. 170 del 2014 attiene, invece, ai suoi effetti immediati sul caso di specie. La Corte costituzionale, infatti, ha dichiarato la illegittimità della norma che prevede il “divorzio imposto”, rilevando come spetti al Legislatore introdurre «con la massima sollecitudine» nell’ordinamento giuridico un istituto alternativo al matrimonio che consenta ai due coniugi di mantenere il proprio legame giuridico pubblicamente riconosciuto. All’indomani della pubblicazione della sentenza, la dottrina si è chiesta, tuttavia, quale sarebbe stato il destino delle due Alessandre nel tempo intercorrente fra la dichiarazione di incostituzionalità e l’auspicata approvazione delle unioni civili. Le due Alessandre dovevano considerarsi sposate sino all’emanazione della nuova legge, o il matrimonio doveva considerarsi sciolto in attesa della stessa?

La decisione della Corte costituzionale è da ascrivere nel novero delle sentenze additive di principio, i cui effetti sono tuttora oggetto di accesa discussione.

Il nostro portale ARTICOLO29 ha ospitato già nel giugno 2014 il primo contributo di un’autorevole giurista, la prof. Barbara Pezzini, A prima lettura (la sent. 170/2014 sul divorzio imposto) che espressamente indicava alla Cassazione una via percorribile, segnalando che il giudice a quo «dovrà limitarsi a constatare che gli artt. 2 e 4 l. 164/1982 non possono, allo stato, produrre gli effetti propri dello scioglimento, che si potranno verificare solo nel momento in cui il legislatore renderà possibile la conversione del matrimonio in una convivenza registrata»; d’altra parte, «non è che il matrimonio semplicemente prosegua come se la rettificazione non fosse in grado di incidere su di esso: il matrimonio, in realtà, viene sottoposto ad una condizione risolutiva e la condizione delle coniugi viene profondamente trasformata, proiettandosi verso una condizione di diversa e minore tutela giuridica ed entrando sin da subito in una dimensione di precarietà» (Pezzini, A prima lettura (la sent. 170/2014 sul divorzio imposto)).

La Corte di Cassazione ci dice adesso che proprio quella era la strada da percorrere.

Rammentando che la sentenza n. 170/2014 della Corte costituzionale è stata «unanimemente definita dalla dottrina costituzionalistica come una pronuncia additiva di principio», la Suprema di Corte rammenta come sia stato «ampio e variegato il dibattito relativo all’efficacia di tali sentenze». Si è difatti sostenuto, anche da parte del Procuratore Generale nel procedimento de quo, che la Corte costituzionale si sarebbe limitata ad indicare un principio costituzionalmente corretto, senza tuttavia incidere direttamente sulla norma de qua, con la conseguenza che il giudice avrebbe dovuto prendere atto della mancanza di una legge sulle Unioni civili senza poter porre alcun rimedio all’assenza di tale disciplina normativa.

La Corte di cassazione, tuttavia, ha osservato come una delle conseguenze del cd. divorzio automatico che la Consulta mira ad eliminare sia proprio il passaggio da una «condizione di massima protezione giuridica ad una condizione di massima indeterminatezza», rammentando altresì come «la qualificazione di “additiva di principio” non elide la specificità degli effetti delle pronunce di accoglimento così come indicati nell’art. 136, primo comma della Costituzione» (per cui «quando la Corte dichiara la illegittimità costituzionale di una norma di legge .. la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione»). Per la Corte di cassazione, dunque, deve escludersi che la Consulta abbia voluto limitarsi ad una mera affermazione di principio, poiché «se l’intento della Corte fosse stato limitato a questo profilo sarebbe stata sufficiente una sentenza monito, conforme alla pronuncia n. 138 del 20010, con un dispositivo di rigetto», rilevando come «al contrario la Corte ha ritenuto che il meccanismo di caducazione automatica del vincolo matrimoniale nel sistema di vuoto normativo attuale fosse produttivo di effetti costituzionalmente incompatibili con la protezione che l’unione conseguente alla rettificazione di sesso di uno dei componenti deve, per obbligo costituzionale, conservare ex art. 2 Cost.», concludendo che la pronuncia della Corte costituzionale deve ritenersi «autoapplicativa e non meramente dichiarativa».

Afferma, dunque, la Corte di cassazione che «non è seriamente contestabile che il principio della necessità immediata e senza soluzione di continuità di uno statuto sostanzialmente equiparabile, sul tema di diritti e doveri di assistenza economico patrimoniale e morale reciproci, a quello derivante dal vincolo matrimoniale per le coppie già coniugate che si vengono a trovare nella peculiare condizione delle ricorrenti abbia natura imperativa e debba essere applicato con l’efficacia stabilita dall’art. 136 Cost.».

Si impone pertanto «la rimozione degli effetti della caducazione automatica del vincolo matrimoniale (…) sino a che il legislatore non intervenga a riempire il vuoto normativo, ritenuto costituzionalmente intollerabile, costituito dalla mancanza di un modello di relazione tra persone dello stesso sesso all’interno del quale far confluire le unioni matrimoniali contratte originariamente da persone di sesso diverso e divenute, mediante la rettificazione sesso di uno dei componenti, del medesimo sesso.

La Suprema Corte indica dunque espressamente che è «costituzionalmente intollerabile» la mancanza di una legge che regolamenti le unioni tra persone dello stesso sesso ed appare certamente di rilievo la precisa indicazione della Suprema Corte che la legge sulle Unioni civili debba prevedere «uno statuto sostanzialmente equiparabile, sul tema di diritti e doveri di assistenza economico patrimoniale e morale reciproci, a quello derivante dal vincolo matrimoniale».

Chi si oppone, per ragioni ideologiche, ad una legge sulle Unioni civili riservate alle coppie gay e lesbiche, da oggi sa che negare una (buona) legge sulle Unioni Civili non rappresenta un ostacolo all’introduzione ed alla permanenza in Italia di matrimoni tra persone dello stesso sesso anagrafico.  E dovrà essere una buona legge, poiché è indispensabile che il nuovo istituto assicuri uno statuto sostanzialmente equiparabile a quello derivante dal vincolo matrimoniale poiché in caso contrario si porrebbe, anche davanti alle corti europee, il problema della legittimità di una “trasformazione automatica” da matrimonio a unione civile.

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[1] sulla vicenda v. M. Gattuso Matrimonio, identità e dignità personale: il caso del mutamento di sesso di uno dei coniugi    in Il diritto di famiglia e delle persone, 2012, 3, 1076

[2] Corte di Cassazione, prima sezione civile ordinanza del 6 giugno 2013 n. 14329; all’ordinanza della Cassazione la Rivista GenIUS ha dedicato integralmente il proprio primo numero 2014/01

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