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Dalla Corte d’appello di Torino nuova conferma alla stepchild adoption per le famiglie arcobaleno

imagePubblichiamo la sentenza, depositata il 27 maggio 2016, con la quale la Corte di Appello di Torino ha disposto l’adozione ai sensi dell’art. 44, lett. d) della legge n. 184/1983, a favore della compagna convivente della madre biologica. La decisione, resa peraltro su parere favorevole del pubblico ministero, riforma la decisione con la quale il Tribunale di Torino aveva invece respinto la domanda della madre sociale, sostenendo la natura “eversiva” dell’interpretazione oggi accolta dell’art. 44, lett. d).
Si tratta di una pronuncia importante, perché recepisce l’orientamento aperto, a partire dal luglio del 2014, dal Tribunale per i minorenni e dalla Corte d’Appello di Roma, secondo cui l’impossibilità di affidamento preadottivo – ritenuto dall’art. 44, lett. d) presupposto per l’adozione speciale – va intesa non soltanto in senso materiale, o comunque connessa allo stato di abbandono, ma anche come impossibilità giuridica data, nel caso di specie, dalla presenza di un genitore biologico esercente la responsabilità genitoriale. La lettura evolutiva della disposizione in esame – prefigurata secondo la Corte d’Appello di Torino dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 383/99 – è ritenuta conforme, inoltre, al quadro sovranazionale, e alla particolare considerazione da esso accordata alle relazioni familiari di fatto, al momento di statuire sull’interesse del minore all’adozione. Il concetto di vita familiare, come enunciato in numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, è insomma “ancorato ai fatti”, perché sono “i rapporti, i legami, la convivenza a meritare tutela”, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica. Particolarmente significativo, in questo senso, che la Corte torinese richiami il proprio precedente in tema di trascrizione dell’atto di nascita spagnolo recante l’indicazione delle due madri: in tale decisione, la Corte aveva infatti affermato di dover “garantire copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da anni nell’esclusivo interesse di un bambino”. Ed è proprio su questo profilo che la decisione in commento insiste con forza, laddove afferma che “nell’ipotesi qui in esame non si tratta di affermare un diritto ad essere genitori, o un diritto ad adottare […] ma si tratta di riconoscere e tutelare, nella misura massima consentita, il diritto del minore alla propria vita familiare”.
Come noto, su questione analoga è attesa a giorni la pronuncia della Prima sezione civile della Corte di cassazione, relativa al ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 23 dicembre 2015 che, sulla base del medesimo orientamento interpretativo dell’art. 44 lett. d) oggi seguito dalla Corte torinese, aveva disposto – confermando la sentenza di primo grado – l’adozione speciale in una coppia di due mamme. Nell’udienza del 26 maggio scorso, la Procura generale, nella relazione in Aula, ha contestato l’interpretazione evolutiva della disposizione in esame, affermando tra l’altro che la legge n. 184/1983 sarebbe rivolta esclusivamente a tutelare i minori in stato di abbandono e l’infanzia disagiata.
La decisione della Corte torinese fornisce una risposta solida a simili obiezioni, nella misura in cui – inserendo l’interpretazione della legge n. 184 nella costellazione ermeneutica rappresentata dal dato normativo sopranazionale – correttamente conclude che ciò che deve essere tutelato, specie in sede di adozione speciale, è anche il diritto del minore a veder consolidate, sul piano giuridico, le relazioni familiari di fatto di cui sia protagonista, e che possano utilmente contribuire allo sviluppo armonico della sua personalità. (A.S.)