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La sentenza colombiana che riconosce il diritto al matrimonio

2015-02-12 23.23.25di Roberto De Felice*

Pubblichiamo la traduzione a cura di Roberto De Felice dell’importante sentenza della Corte costituzionale colombiana del 28 aprile 2016, depositata il 30 giugno 2016 (qui la sentenza con la massima in italiano a cura di De Felice) che riconosce il diritto al matrimonio per le coppie same sex. Poiché si tratta di una decisione assai corposa (sono circa 250 pagine) ed assai dotta, di estremo interesse per l’approfondimento degli argomenti, per agevolarne la lettura l’Autore ne ha tradotto i punti essenziali, premettendo e talora intercalando il sunto di altre parti (gli ampi stralci della decisione oggetto di traduzione sono facilmente identificabili in quanto trascritti in corsivo).

 

 

1.La occasio litis: la azione di tutela dei diritti fondamentali

Con la storica decisione del 28 aprile 2016 numero 214 depositata il 30 giugno successivo, la Corte Costituzionale della Colombia, interpretando e superando una propria precedente decisione, la numero 577 del 2011, ha stabilito che, ai sensi della Costituzione (Carta Polìtica) di quella Nazione le coppie dello stesso sesso hanno diritto a celebrare i propri matrimoni, che per il locale ordinamento sono dei contratti, tanto per atto di notaio, quanto avanti i giudici della Repubblica, e gli ufficiali dello stato civile, a loro volta, sono obbligati a provvedere a tale incombente su richiesta degli interessati.

La sentenza rivede sei decisioni su azioni di tutela rese da giudici della nazione. L’azione di tutela, prevista dall’articolo 86 della Costituzione della Colombia, consente a ogni interessato di richiedere al giudice ordinario la tutela dei propri diritti fondamentali lesi da un atto della pubblica autorità. La Procura Generale della Nazione è considerata tra i soggetti legittimati a proporre l’azione di tutela. La procedura è estremamente spedita: il Tribunale, all’esito di una sommaria istruttoria, si pronuncia con sentenza, soggetta al rimedio dell’appello. Il giudice di primo o secondo grado che concluda il procedimento, negando o accordando la tutela dei diritti fondamentali richiesta dai ricorrenti, trasmette, al termine del processo, gli atti alla Corte Costituzionale, la quale può discrezionalmente pronunciarsi in merito all’azione stessa. In questo caso la Corte ha rivisto sei decisioni prese da vari giudici della Colombia in ordine alla pretesa di sei coppie omosessuali di celebrare o far registrare il proprio matrimonio da parte di uno dei pubblici ufficiali competenti. La Corte ha reso in Adunanza Plenaria[1] una sentencia di unificaciòn, con funzioni nomofilattiche stante la natura e l’importanza della questione e le relative incertezze interpretative.

Sezione 1. Il precedente della condanna del Parlamento a legiferare sulle coppie omosessuali: C. Cost 577/11. Le sei azioni di tutela riviste in questa decisione

 (a)      Celebrazione del matrimonio. Competenze dei giudici e del notaio, e dell’ufficiale di Stato Civile

 Si ricorda che la sentenza 577 del 2011 della Corte Costituzionale aveva rilevato una profonda disparità di trattamento tra le coppie eterosessuali e le coppie omosessuali, alle quali ultime era precluso il matrimonio e aveva, con singolare dispositivo, condannato il potere legislativo a legiferare entro il 20 giugno del 2013. In difetto di ogni decisione in materia, come in effetti si è verificato, la Corte, nella medesima sentenza 577, precisava che dal giorno della scadenza di tale termine tali coppie potessero celebrare il proprio vincolo davanti ai pubblici ufficiali sopra menzionati. Il matrimonio è un contratto (art 113 cc) che richiede lo scambio dei consensi avanti a tali pubblici ufficiali (art 115 cc); in particolare è competente il Giudice[2] (art 126 cc) cui si propone richiesta che indichi tale proposito e le generalità proprie e dei genitori, che è soggetta a pubblicazione mediante editto (artt. 126 e 130 cc) per quindici giorni; il Giudice decide immediatamente sulle opposizioni alle nozze e in caso che nulla osti le celebra (art 135 cc). L’atto è quindi iscritto da un notaio nel registro dello stato civile, o, fuori da una sede notarile, da un funzionario dell’Ufficio Nazionale del Registro di Stato Civile.

(b)     Il diniego di un notaio a procedere alla celebrazione.

Nel primo caso le parti si erano opposte al diniego del quarto ufficio notarile del circuito di Cali di celebrare il proprio matrimonio, allegando che la menzionata sentenza 577 aveva loro riconosciuto tale diritto, leso, quindi, da quel pubblico ufficiale. Il Tribunale competente accoglieva il ricorso, sottolineando che la sentenza 577 intendeva espressamente che la famiglia tutelata dalla Costituzione non era esclusivamente la famiglia monogamica eterosessuale, e, anche se tale tipo di famiglia era ivi menzionata, ciò non costituiva una proibizione di riconoscere o tutelare altre forme familiari come quella sperimentata dai ricorrenti. In appello le parti impugnavano la sentenza per avere qualificato il vincolo che il Notaio doveva stipulare non come matrimonio civile ma semplicemente, come contratto innominato. Interveniva la Procura Generale della Nazione che riteneva precluso interpretare per analogia, sia pure sotto la suggestione della sentenza 577, le disposizioni in materia di celebrazione solenne del vincolo familiare, quantunque non qualificato matrimonio. In appello la decisione era riformata secondo le conclusioni della Procura, poiché la sentenza 577 non aveva dichiarato incostituzionale l’articolo 113 del codice civile nella parte in cui definiva il matrimonio come vincolo tra un uomo e una donna. L’inadempimento del Parlamento non aveva alcun effetto al fine di consentire ai notai pubblici di celebrare matrimoni in assenza di specifiche disposizioni normative.

(c)      La impugnativa della Procura Generale – sotto le spoglie di un’azione di tutela – di un matrimonio celebrato.

Nel secondo caso la Procura Generale della Nazione, allegando una lesione del diritto fondamentale al giusto processo, aveva chiesto la nullità del celebrazione di un matrimonio operato da un giudice di Bogotà. In primo grado il ricorso era accolto dal competente Tribunale che ordinava al giudice procedente di annullare il celebrato il matrimonio. Motivava in modo simile alla Corte d’appello del caso di cui al punto precedente. La decisione era appellata con esito positivo: la Corte d’appello, in particolare, riteneva che l’azione di tutela potesse essere esercitata esclusivamente per ottenere la tutela immediata dei diritti fondamentali e che non potesse essere piegata alle esigenze del pubblico ministero di far dichiarare la nullità di un matrimonio regolarmente celebrato, che avrebbe dovuto essere proposta in via ordinaria. La sentenza di appello resisteva anche a una impugnazione per nullità e una richiesta di una dichiarazione di una sentenza interpretativa, entrambi proposte da una fondazione di ispirazione cattolica.

(d)     Il rifiuto di registrare un matrimonio celebrato dal giudice.

Nel terzo caso le parti, sposate davanti al giudice municipale di Bogotà, si erano sentite rifiutare tanto dal notaio quanto dall’ufficiale di stato civile la registrazione dell’atto di matrimonio e pertanto proponevano azione di tutela al giudice civile per violazione dei diritti loro riconosciuti dalla sentenza 577 e del diritto fondamentale all’eguaglianza. Il Tribunale, giudicando in un’unica istanza di merito, trattandosi di azione disciplinare contro un notaio pubblico, concedeva ai ricorrenti la tutela richiesta dei diritti fondamentali allegati. Il celebrato matrimonio era un autentico ordine giudiziario che doveva essere pedissequamente eseguito tanto dall’ufficio di stato civile quanto dall’ufficio notarile.

(e)      Il rifiuto di celebrare opposto da altro notaio, ritenutosi incompetente

Nel quarto caso le parti avevano impugnato anche questa volta il rifiuto di celebrare il matrimonio opposto loro da un ufficio notarile, lamentando la violazione del disposto della sentenza 577. Il Tribunale respingeva il ricorso allegando l’incompetenza del notaio pubblico a celebrare questa specie di matrimoni; in appello la decisione era confermata con maggiori argomentazioni, ritenendosi, anche qui, che il precedente della Corte costituzionale non autorizzasse giudici o notai a celebrare matrimoni di coppie dello stesso sesso.

(f)       Il ricorso della Procura generale avverso altro matrimonio celebrato. Declaratoria di inammissibilità.

Nel quinto caso la Procura Generale della Nazione chiedeva la nullità per violazione del diritto al giusto processo della celebrazione del matrimonio operata da un giudice municipale di Bogotà. Otteneva ragione in primo grado, ritenendo il Tribunale che l’ordinamento giuridico in natura non autorizzasse il giudice, in mancanza di una norma specifica, a celebrare solennemente le unioni di persone dello stesso sesso al fine di costituire una famiglia. In appello la sentenza era riformata ritenendo la Corte la carenza di legittimazione attiva della Procura su un semplice atto di celebrazione di un matrimonio di un giudice, da esercitare semmai come ordinaria azione nullità in via ordinaria.

(g)      Autoannullamento giudiziario di atto di matrimonio.

Nel sesto caso, una coppia formata da un uomo transgender FtM con due figli minori a carico e da una donna a sua volta madre di due altri figli minori, costituenti una famiglia di fatto, avevano celebrato il proprio matrimonio avanti il Tribunale di La Dorada, Tuttavia lo stesso giudice procedente aveva cinque giorni dopo dichiarato la nullità assoluta del matrimonio civile così celebrato in forza di errore dovuto all’apparenza esterna dei contraenti, quella di una coppia eterosessuale e non lesbica. Il Tribunale sottolineava la malafede e la frode compiuta dalle parti. Esse spiccavano azione di tutela chiedendo la dichiarazione di nullità della decisione a loro sfavorevole, per incompetenza del giudice municipale a dichiarare la nullità del matrimonio civile, in quanto giudice promiscuo con competenza in materia di famiglia esclusivamente per i processi in un’unica istanza. Il Tribunale dichiarava improcedibile il ricorso, perché le parti non avevano appellato la decisione che annullava il loro matrimonio, ma proposto un’azione di tutela. In appello la sentenza era riformata. Tuttavia il Tribunale di seconde cure, pur ritenendo l’incompetenza del giudice di primo grado, che aveva dichiarato l’annullamento del matrimonio da lui stesso celebrato e così facendo rivivere il matrimonio originariamente celebrato, disponeva trasmettersi gli atti al PG per quanto di sua competenza anche in sede penale.

Sezione 2. Fase preliminare del processo in Corte Costituzionale

I sei fascicoli erano trasmessi alla Corte Costituzionale. Intervenivano numerose Università del paese, la Commissione Colombiana di giuristi, l’associazione nazionale di tutela dei diritti LGBTI Colombia diversa, il Ministero dell’Interno e quello della Giustizia e numerose altre associazioni. Dopo un’udienza interlocutoria celebrata il 21 maggio del 2015 in cui la Corte poneva alle parti alcune questioni riassuntive di quelle agitate nei processi a quibus e cioè se le coppie del medesimo sesso avessero il diritto di contrarre matrimonio civile, quale fosse la portata e le caratteristiche del vincolo contrattuale delle coppie omosessuali menzionato nel numero quinto del dispositivo della sentenza 577 e se la Corte avesse il potere, in mancanza di una decisione del Parlamento, di decidere se le coppie dello stesso sesso potessero  sposarsi intervenivano numerose altre parti come Human Rights Watch e il ministero della salute nonché l’ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani in Colombia a sostegno delle tesi delle coppie, sottolineando che il Parlamento aveva archiviato 18 progetti di legge sul matrimonio egualitario tra il 1992 il 2015 e che i contratti “innominati” celebrati tra coppie a dello stesso sesso non superavano il deficit di protezione costituzionale che motivava la sentenza 577. Di contro, altri intervenienti sostenevano che tale sentenza non aveva previsto la figura del matrimonio egualitario e che la Corte costituzionale non potesse supplire alle omissioni del Congresso della Repubblica. Al limite si doveva consultare direttamente il popolo mediante referendum in ordine all’accettazione del medesima matrimonio egualitario stante la definizione eterosessuale di matrimonio dell’articolo 42 della Costituzione[3]. Il 6 aprile 2016 la Corte ha respinto la proposta di decisione del Relatore Pretelt Chaljub e, previa designazione di un nuovo Relatore, decideva il 28 aprile successivo nei termini che seguono.

2.La Sentenza. Principi fondamentali

Sezione 1. La protezione delle minoranze. La dittatura della maggioranza. Il giudice costituzionale

Ivi leggiamo quanto segue.

Capitolo terzo. Considerazioni

La protezione delle minoranze come presupposto della democrazia e fondamento della funzione di garanzia della Corte Costituzionale

La democrazia politica, come sistema di governo basato sulla volontà delle maggioranze fu il modello concepito dalla cultura greca. Così si intese la definizione e la prevalenza dell’interesse generale. Oggi, al contrario, la democrazia costituzionale si fonda sulla protezione di tutti i cittadini, mediante la garanzia effettiva dei loro diritti fondamentali, anche contro la volontà delle maggioranze. Altrimenti il sistema giuridico si ridurrebbe a quello che Sartori denomina la tirannia delle maggioranze:

“Per i padri costituenti statunitensi, per Tocqueville e per John Stuart Mill il problema della democrazia non era dei pochi ma dei molti: era il problema della tirannia della maggioranza. La nozione sembra intuitiva ma non lo è. La problematica della tirannia della maggioranza varia da contesto a contesto e pertanto deve essere localizzata.

Nel contesto costituzionale tirannia della maggioranza significa violare legiferando o governando i diritti delle minoranze, in sostanza l’applicazione assoluta del principio maggioritario”.

Un sistema democratico, secondo Dworkin, vuol dire “un governo soggetto a condizioni di eguaglianza di status per tutti i cittadini”. Se le istituzioni maggioritarie le prevedono, le decisioni assunte dovrebbero essere accettate da tutti, ma quando non lo fanno “allora non ci si può opporre in nome della democrazia ad altri procedimenti che tutelino meglio queste condizioni”.

In uno Stato sociale di diritto esiste un insieme di diritti fondamentali i cui contenuti essenziali configurano un ambito vietato per le maggioranze, cioè un insieme di conquiste non negoziabili, tra cui quella che ha ogni essere umano, in condizioni di uguaglianza, di unirsi liberamente con un altro e di costituire una famiglia al fine di realizzare un piano di vita comune.

I poteri pubblici trovano in quei diritti fondamentali la fonte della loro legittimità, e a sua volta il limite materiale dei loro provvedimenti. Un sistema democratico vuol dire un governo soggetto a condizioni di uguaglianza di status per tutti cittadini. Se le istituzioni maggioritarie le prevedono, le decisioni assunte dovrebbero essere accettate da tutti, ma quando non lo fanno “allora non ci si può opporre in nome della democrazia ad altri procedimenti che tutelino meglio queste condizioni”.

(a)      I limiti del legislatore

La discrezionalità del legislatore è confinata all’interno dei principi e diritti costituzionali. E’ una realtà innegabile che le maggioranze politiche tradizionalmente si sono mostrate restie al riconoscimento di diritti dei diritti di coloro che decidono di vivere in coppia con altra persona dello stesso sesso.

L’interpretazione giuridica è evolutiva e come tale si adatta ai contesti che la realtà presenta. Un’interpretazione sistematica basata sul diritto vivente e rispettosa dei diritti delle minoranze non ammette l’esistenza di due classi di matrimonio inviando ad alcune persone un messaggio di inferiorità poiché ciò comporta un trattamento differenziato e sproporzionato fondato sull’orientamento sessuale che infrange i diritti alla libertà e alla dignità umana e all’uguaglianza.

Dalla sentenza di 605/1992 questo Istituto si è pronunciato a riguardo della funzione del giudice di diritti umani e del suo dovere di attenersi alla realtà:

“La sensibilità del giudice verso i problemi costituzionali è una virtù imprescindibile nel compito di rendere giustizia. Le decisioni giuridiche devono rispettare il principio di legalità e offrire a sua volta una soluzione reale ai conflitti sociali. In questo compito il senso di giustizia e di equità permette di trovare la norma. La legge è in se stessa sempre insufficiente a fronte della realtà cangiante che è chiamata a regolamentare. Spetta all’interprete rendere attuale il suo contenuto secondo le circostanze storiche e sociali in cambiamento e dare un’applicazione corretta delle norme con la chiara consapevolezza che ciò che gli spetta è risolvere problemi e non eluderli”.

È una contraddizione evidente affermare che le coppie dello stesso sesso costituiscano una famiglia, ma che per contrarre un vincolo coniugale e solenne debbano farlo ricorrendo a una figura giuridica non solo diversa da quella applicabile per le coppie eteroaffettive ma con effetti giuridici ridotti e in certi (contratto civile innominato). Uomini e donne fanno parte della specie umana e l’eguaglianza comporta dare un trattamento uguale a coloro che sono uguali

(b)      Non esistono due categorie di persone discriminabili rispetto al diritto al matrimonio

Un sistema costituzionale democratico non ammette l’esistenza di due categorie di cittadini: maggioranze che godano del diritto a contrarre matrimonio civile e minoranze che siano ingiustamente private di questo. In materia di diritti delle coppie dello stesso sesso in Colombia la sentenza 577 del 2011 si inscrive in una costante evoluzione giurisprudenziale avviata a garantire loro un trattamento degno ed egualitario. La Corte riconobbe che

la volontà responsabile per costituire una famiglia deve essere piena nel caso di persone di orientamento sessuale diverso … conclusione che sorge dalle esigenze dei diritti al libero sviluppo della personalità, all’autonomia e alla autodeterminazione all’eguaglianza così come dalla regolamentazione dell’istituto familiare contenuta nel precedente articolo 42, pertanto la Corte, basandosi sull’interpretazione dei testi costituzionali può affermare categoricamente che nell’ordinamento colombiano deve esistere una figura distinta di unione di fatto come meccanismo per dare un inizio solenne e formale alla famiglia composta da coppia di persone dello stesso sesso.

Al fine di superare il deficit di protezione sofferto dalle coppie dello stesso sesso questa Corte costituzionale ritenne possibile affermare che

anche esse abbiano il diritto di decidere se costituire la famiglia in conformità con un regime che offra loro una tutela maggiore di quella che potrebbe offrirle un’unione di fatto, alla quale possono accedere se desiderano, poiché alla luce di ciò che è richiesto in base alla Costituzione è necessario istituire un’istituzione contrattuale come modo di dare origine alla famiglia costituita da una coppia di persone dello stesso sesso in un modo diverso dall’unione di fatto al fine di garantire il diritto al libero sviluppo della personalità come anche di superare il deficit di protezione sofferto da tali coppie.

(c)      Il deficit di tutela rilevato dal precedente 577/11 nei confronti delle coppie omosessuali.

Nello stesso modo la Corte adottò le seguenti decisioni: (i) dichiarò costituzionali in base ai motivi analizzati l’espressione uomo e donna dell’articolo 113 del codice civile; (ii) esortò il Congresso della Repubblica perché prima del 20 giugno 2013 legiferasse in maniera sistematica e organizzata sui diritti delle coppie dello stesso sesso al fine di eliminare il deficit il codice di protezione che nei termini di questa sentenza colpisce le menzionate coppie; e (iii) previde che se il 20 giugno 2013 ‘”il Congresso della Repubblica non ha approvato la legislazione corrispondente le coppie dello stesso sesso potranno rivolgersi a un notaio o a un giudice competente per formalizzare e solennizzare il loro vincolo contrattuale”. Lo scopo della decisione era duplice: rispettare il potere legislativo del Congresso della Repubblica (principio maggioritario) e permettere alle coppie dello stesso sesso di costituire una famiglia mediante un atto contrattuale di carattere coniugale solenne formale nel caso che il legislatore non avesse approvato i parametri normativi al riguardo (principio di prevalenza dei diritti fondamentali). Scaduto il termine indicato nella sentenza 577 del 2011 il Congresso della Repubblica non ha approvato la legislazione che potesse eliminare il deficit di protezione che colpisce le coppie dello stesso sesso in Colombia. In base al principio costituzionale di autonomia del giudice alcuni giudici civili hanno interpretato la sentenza della Corte nel senso che il vincolo solenne formale che potevano contrarre le coppie dello stesso sesso corrispondeva a quello del matrimonio civile. Tali funzionari hanno applicato in via analogica le norme civili che regolano il matrimonio tra coppie di sesso diverso. Alcuni notai pubblici o ufficiali di stato civile al contrario ritennero che si trattasse di un contratto innominato ma non di un matrimonio, mentre il Procuratore Generale della Nazione propose numerose azioni di tutela al fine di evitare la celebrazione dei matrimoni civili tra coppie dello stesso sesso.

(d)      L’atteggiamento degli attori giuridici e sociali a seguito della sentenza 577/11

Alla luce di queste precise circostanze e tenendo in conto: (i) l’esistenza di diverse e opposte interpretazioni sul contenuto della regola giudiziaria creata nel dispositivo della decisione 577 del 2011; (ii) la persistenza di un deficit di protezione che colpisce le coppie dello stesso sesso con riferimento alle caratteristiche del vincolo formale e solenne che possono contrarre ai termini della sentenza 577 del 2011; (iii) la relativa omissione del Congresso della Repubblica in ordine al suo dovere di garantire il pieno esercizio dei diritti fondamentali delle minoranze sessuali in Colombia; (iv) l’esistenza di differenti interpretazioni giurisprudenziali consolidate sulla dignità umana, il diritto all’uguaglianza e la proibizione della discriminazione; (v) la graduale conquista di diritti da parte delle coppie dello stesso sesso; e (vi) la competenza dei giudici costituzionali per superare il deficit di protezione, la Corte considera necessario adottare una sentenza di interpretazione unitaria in materia di unioni coniugali solenni tra coppie dello stesso sesso.

L’Adunanza Plenaria constata che il Congresso della Repubblica ha omesso di regolamentare le relazioni giuridiche private dalle diverse modalità di unioni di convivenza delle coppie dello stesso sesso. Dal 1999 a oggi si sono archiviati o ritirati-in alcune occasioni senza alcuna discussione-18 progetti di legge della più diversa portata e natura c’è che cercavano di supplire al deficit di protezione tante volte menzionato mediante la normalizzazione e la definizione giuridico di espositiva delle comunità di vita di quelle coppie.

La ultima esortazione al Congresso della Repubblica proveniva precisamente dalla sentenza 577 del 2011. Trascorsi circa cinque anni, come si è già detto, dalla sua pronuncia continua come omissione legislativa relativa il deficit di protezione tante volte invocato senza una plausibile copertura costituzionale ogni volta che alla data di questa decisione le coppie dello stesso sesso non hanno a disposizione una scelta chiara idonea e giuridicamente efficace per contrarre matrimonio, in condizioni di parità con le coppie eterosessuali, dato che la figura dell’unione maritale di fatto e l’indeterminata unione solenne risultano insufficienti e implicano un deficit di procedere protezione costituzionale.

Questo è l’ambito fattuale della competenza che la Corte costituzionale assume mediante questa sentenza di interpretazione unificata.

(e)      Il giudice costituzionale, i diritti fondamentali, e l’omissione di legiferare.

La democrazia non si può intendere esclusivamente come l’insieme delle regole adottate dai rappresentanti maggioritari del popolo nel Congresso della Repubblica, in quanto questa opinione potrebbe escludere l’esercizio dei diritti fondamentali libertà pubbliche delle minoranze senza rappresentanza politica. Il sistema democratico costituzionale impone limiti all’esercizio del potere pubblico alle maggioranze col fine di assicurare i diritti inerenti alla dignità umana che operano come precondizioni di quel potere. La competenza di questa Corte costituzionale si fonda sul principio di protezione dei diritti fondamentali dei gruppi minoritari, in questo caso, le coppie omosessuali ricorrenti, che in una società democratica non può possono sottoporre indefinitamente l’esercizio dei loro diritti individuali alle ingiustizie derivanti dal principio maggioritario.

Queste circostanze si sono verificate ad altre latitudini e in altri sistemi giuridici con la stessa soluzione qui accordata. E’ pertinente precisamente la decisione adottata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America del 26 giugno 2015 nel caso Obergefell v Hodges, con la quale si è stabilito che il diritto delle persone dello stesso sesso a contrarre matrimonio e di rango costituzionale:

La dinamica del nostro sistema costituzionale è che gli individui non devono aspettare una azione del legislatore per fare valere un diritto fondamentale. Le corti nazionali sono aperte agli individui lesi che si rivolgono ad esse per rivendicare il loro interessi personali e diretti contenuti nella nostra carta fondamentale”.

“Un individuo può invocare un diritto alla protezione costituzionale quando si ritenga leso anche se la maggior parte della popolazione non sia d’accordo e anche se il legislatore si rifiuti di agire. L’idea della Costituzione fu di sottrarre certi temi dalle vicissitudini delle controversie politiche per collocarle al di sopra della portata delle maggioranze e dei funzionari e per stabilirli come principi giuridici che devono essere applicati dalle Corti”.

Oltre a ciò di cui si è discusso fin qui sull’aspetto degli ambiti dell’interpretazione tanto in sede di controllo astratto (azioni pubbliche a difesa della Costituzione e della legge) quanto ora in sede di controllo concreto in via di azione di tutela, la Corte ha precisato alcuni effetti delle sue decisioni di costituzionalità senza che ciò configuri alcun disconoscimento del principio di cosa giudicata. Per esempio della sentenza 51 del 2010, la sezione seconda di revisione ha interpretato la sentenza 336 del 2009 per indicare che tale prima pronuncia non esige come condizione per accedere al riconoscimento e al pagamento della pensione ai superstiti di coppie dello stesso sesso la dichiarazione di una unione coniugale di fatto davanti a un notaio pubblico, firmata dal dante causa e dal richiedente.

Inoltre va detto che questa sentenza di interpretazione unificata non impedisce che il Congresso della Repubblica eserciti su questa stessa materia, in futuro, quando lo ritenga opportuno, in un esercizio democratico delle proprie competenze costituzionali tra regolamentazione tante volte promossa per proposta per colmare integralmente il deficit di protezione che resta aperto; attività funzionale che sarà legittimata dal rispetto dei limiti disposti dal costituente riguardo i diritti fondamentali che sono di natura progressiva e non ammettono un regresso. In conclusione, prendendo in considerazione che il Congresso della Repubblica ha omesso di legiferare per porre fine al deficit di tutela che affligge le coppie dello stesso sesso in materia di formalizzazione del loro vincolo coniugale solenne in base a quanto deciso nella sentenza 577 del 2011, la Corte ribadisce che il riferito vincolo contrattuale corrisponde alla celebrazione di un matrimonio civile ai termini dell’articolo 113 del codice civile.

Sezione 2. I singoli problemi all’esame della Corte

Problemi giuridici

‘’I sei casi riuniti di azione di tutela pongono il seguente problema giuridico di carattere generale: celebrare un contratto civile di matrimonio tra coppie dello stesso sesso in luogo di una unione solenne innominata al fine di colmare il deficit di tutela dichiarato dalla Corte nella sentenza 577 del 2011 configura una violazione dell’articolo 42 della Costituzione, nei sensi in cui lo allegano coloro che hanno rifiutato di celebrare di registrare matrimoni civili egualitari? O al contrario in che modo l’interpretazione dei giudici civili che li hanno celebrati costituisce un’interpretazione adeguata della sentenza 577 del 2011, un esercizio valido di autonomia giudiziaria e una concretizzazione di principi costituzionali come l’eguaglianza, la libertà e la dignità umana?

Inoltre la decisione dei ricorsi pone problemi giuridici concreti in relazione alla qualità dei convenuti (notai pubblici, giudici della Repubblica, ufficiali di stato civile) e dei ricorrenti (privati e Procura Generale della Nazione)’’.

(a)      La dubbia legittimazione della Procura generale a ricorrere avverso matrimoni omogenerici. La legittimazione passiva dei giudici, notai e Ufficiali di Stato Civile.

La Corte conclude che i ricorsi della Procura generale della Nazione siano inammissibili. Ex art 277 co 7 Cost. la Procura può proporre azioni a tutela di diritti fondamentali, non a disconoscimento di essi. E dalla sentenza 577/11 promanava l’imperativo a riconoscere il diritto fondamentale delle coppie omosessuali a godere degli stessi diritti di quelle eterosessuali, formalizzando il loro vincolo; tale formalizzazione poteva (veggasi sotto ) avvenire in modo ragionevole e completo solo con la celebrazione del matrimonio. Donde la sua carenza di legittimazione attiva.

Notai e Giudici sono obbligati a celebrare detti matrimoni in forza della Costituzione e gli Ufficiali di Stato Civile a registrarli, hanno quindi legittimazione passiva. Per i Giudici e i loro provvedimenti l’azione di tutela è ammissibile se la loro decisione viola come in questo caso in modo alese e diretto la Costituzione.

(b)     I principi di libertà e dignità umana vietano una discriminazione matrimoniale.

(i)     ‘’diritto a contrarre matrimonio civile in condizioni di dignità libertà e uguaglianza

  • Il paradigma dello stato sociale di diritto si fonda sul rispetto alla garanzia dei diritti fondamentali. I poteri pubblici trovano in essi la fonte della loro legittimazione e allo stesso tempo il limite materiale delle loro attività. 
  • Ogni persona è degna, libera e autonoma alfine di costituire una famiglia sia in forma naturale (unione coniugale di fatto) o di unione solenne (matrimonio civile) in conformità col suo orientamento sessuale ricevendo un eguale trattamento e protezione ai sensi della Costituzione e della legge
  • I principi di dignità umana, libertà individuale ed eguaglianza implicano che ogni essere umano possa contrarre matrimonio civile in conformità col suo orientamento sessuale’’.

 

3.Del matrimonio

Sezione 1. Definire il matrimonio è un atto di potere non neutrale. La teoria di Ronald Dworkin.

6. Il linguaggio giuridico come relazione di potere. Determinazione del significato della parola matrimonio

Il concetto di ‘’giochi del linguaggio’’ articola segni e azioni collocando l’accento sul carattere sociale e contemporaneo del significato che hanno le parole all’interno di una determinata cultura, di un sistema di valori e di certe forme di vita. Il linguaggio non è solo la pretesa di essere uno specchio della realtà, ma di essere inoltre un sistema di regole condivise da coloro che lo parlano, che ci permette di interagire e di comprenderci a vicenda. Da questo deriva che usare una lingua sia agire in modo conforme a una forma di vita e assumere un modus vivendi nella società. Impiegare un determinato linguaggio significa essere d’accordo con un insieme di regole di condotta socialmente prestabiliti.

Il diritto, nello stesso modo, si serve di un linguaggio preesistente nella società come strumento con fini diversi: delimita e classifica situazioni di fatto; fissa limiti alla condotta umana; definisce diritti e doveri; configura istituzioni politiche e sociali, tra l’altro.

Il linguaggio giuridico non è neutro:

Il diritto è una creazione spirituale tecnica che si rivela nel suo proprio linguaggio. Una lingua che oltre a essere una tecnica è la espressione di un sistema razionale ed etico che corrisponde a una etica materiale giuridica. È appena il caso di dire che nemmeno il linguaggio giuridico è neutro o innocente. Porta con sé un intero sistema di pensiero, un’articolazione di concetti e principi, un carico affettivo e passionale di valori. È d’obbligo ricordare l’esperienza della lingua volgare e del diritto volgare, le parole, le espressioni, le norme compromettono coinvolgono, affilano”.

(a)      Il matrimonio come funzione dei valori sociali variabili nel tempo.

Stando così le cose, la configurazione di un concetto giuridico come quello del matrimonio non corrisponde solo alla rappresentazione di un fatto sociale ma coinvolge un insieme di valori di portati affettivi e di relazioni di potere esistenti in una determinata società. Si tratta di conseguenza di un concetto evolutivo il cui significato è variato nel corso dei secoli.

Conformemente ai risultati esposti dai filosofi del linguaggio, quello che gli individui si rappresentano quando si allude alla parola matrimonio, dipenderà dal risultato di certe relazioni di potere, dalla interazione all’interno di un insieme di valori morali e allo stesso tempo da ciò che è socialmente accettato e stabilito dalle maggioranze.

Così per esempio nell’Antichità, il matrimonio era concepito come un’alleanza economica politica e militare tra due famiglie.

In Egitto secondo gli esperti non esisteva un termine specifico per denominare il matrimonio che costituiva uno stato di fatto, quello della fondazione una nuova famiglia. Allo stesso tempo la espressione “sedersi accanto a” era sinonimo di sposarsi per la donna. Nelle società mesopotamiche di tipo patriarcale si faceva differenza tra la sposa principale (panitu) la seconda sposa (urkittu) e la concubina (esirtu). Questa distinzione corrisponde a una gerarchia in termini di diritti e doveri all’interno della famiglia. Il marito (baal) è il capo della famiglia, imponeva la sua autorità sulla sposa ed era il proprietario di tutti i beni.

Nell’antico Israele il matrimonio aveva un carattere sacro, la sua celebrazione era decisa dai genitori, che univano le loro famiglie per interessi comuni. I futuri coniugi non potevano esprimere opinioni e senza l’accordo dei genitori le nozze non avevano luogo.

La polis greca era costituita da unità individuali denominate “oikoi”, famiglie. Secondo Aristotele all’interno dell’oikos l’uomo si comporta come un padrone assoluto nei confronti degli schiavi; in termini di re nei confronti dei figli e come cittadino di uno Stato democratico in relazione alla moglie. È per queste ragioni che il matrimonio era ritenuto un atto civico celebrato tra cittadini liberi e uguali con una dimensione religiosa che tendeva a conservare i culti familiari. Tuttavia in greco antico il matrimonio come tale mancava di un termine specifico. Per esprimere il significato di “essere sposato”, il greco ricorreva alla parola synoikein, “abitare con” i suoi derivati synoixia e synoixion, “vita in comune”. Per questo Aristotele aveva affermato che l’unione tra un uomo e una donna non ha nome.

a)      Roma. La Lex Canuleja de maritandis ordinibus e altri ampliamenti dello jus conubii

Anche a Roma la parola matrimonio ebbe diversi significati:

la parola famiglia (domus) comprende tutti coloro che vivono in una casa: bambini e adulti, uomini e donne, liberi e schiavi, coloro che si trovavano sotto la potestas del paterfamilias. Il latino non possedeva un termine specifico per denominare la famiglia nucleare (genitori e figli) poiché impiegava solo quello della famiglia estesa costituita da diverse persone che si trovavano sotto l’autorità del paterfamilias. Il termine gens indica l’insieme di famiglie che discendono da un antenato comune. Solo i Patrizi costituivano una gens e trasmettevano il loro nome gentilizio di generazione in generazione. La lingua latina aveva a disposizione un ricco vocabolario per riferirsi alle diverse unioni esistenti tra un uomo e una donna. Il conubium indicava il diritto a contrarre matrimonio riservato ai cittadini romani (jus conubii). Durante i primi secoli della storia romana sono i patrizi possedevano lo jus conubi. Nel 445 a.C. la legge Canuleia lo estese a tutti i romani. Dopo il primo secolo A.C., come esito delle guerre sociali, l’insieme degli abitanti delle città italiane ottengono lo jus conubii. A seguito dell’estensione della cittadinanza lo jus conubii si estese a favore di tutti gli abitanti dell’impero. L’unione tra schiavi o tra uno schiavo e una persona libera si definiva contubernium. Nelle parole di Gaio: “tra uno schiavo e una persona libera non può esistere un matrimonio ma un contubernium”.

Inoltre per potersi celebrare la cerimonia era richiesto disporre del preventivo consenso del padrone. Insieme a quanto sopra illustrato lo jus conubii determinava le regole successorie: “perché una donna possa chiedere la successione intestata di suo marito è necessario che il matrimonio sia legittimo. La successione intestata non avrà luogo in caso di matrimonio illegittimo” (Digesto 38.11.1).

b)      Medioevo germanico e medioevo cristiano.

Sino ai secoli quinto e sesto della dell’era volgare tra i popoli germanici coesistevano quattro forme per stabilire un vincolo all’interno di una coppia la donazione della figlia da parte del padre, la scelta reciproca dei contraenti, l’acquisto della futura sposa e il ratto. A loro volta, solo le unioni tra le famiglie reali si denominavano “Staemme”, da intendere come uno scambio tra contraenti al fine di raggiungere un equilibrio di potere tra i diversi gruppi etnici. In altre parole, la denominazione e i fini delle diverse unioni tra le coppie dipendevano dalla posizione che occupavano nella società medievale. Sotto l’influenza della Chiesa Cattolica il senso della parola matrimonio cambiò per indicare la celebrazione di un sacramento da cui gli elementi erano l’indissolubilità, l’eterosessualità dei contraenti e fini procreativi (concili del Laterano del 1215 e di Trento del 1545).

La riforma protestante ridefinì il concetto di matrimonio negando il suo carattere sacramentale nonostante conservasse il l’elemento del libero consenso come elemento essenziale per la celebrazione.

c)      La laicizzazione del matrimonio dopo la Rivoluzione francese.

La secolarizzazione e una nuova ridefinizione della parola matrimonio arrivò con la Rivoluzione Francese. Da allora in poi si sarebbe trattato di un’istituzione laica, di un contratto civile, celebrato liberamente tra cittadini, i cui contraenti si trovano in condizione di eguaglianza con gli stessi diritti e doveri. In tal senso la Costituzione del 1791 delegò al legislatore le seguenti competenze “La legge considera il matrimonio esclusivamente come un contratto civile. Il potere legislativo stabilirà, per tutti gli abitanti, senza alcuna eccezione, il modo in cui le nascite i matrimoni e le morti saranno accertati e indicherà i funzionari pubblici che redigeranno e solennemente conserveranno gli atti”.

Di conseguenza, il significato e i fini del matrimonio civile variarono completamente: si abbandonò la regolamentazione canonica e si lasciò ai contraenti la facoltà di celebrare tradizionalmente una cerimonia religiosa. Correlativamente, e allontanandosi dal dogma dell’indissolubilità, il termine matrimonio cessa di essere associato con quello di indissolubilità. Il 20 settembre del 1792 l’Assemblea Nazionale approvò la legge sul divorzio prevedendo tre ampie causali: (i) il mutuo consenso; (ii) l’incompatibilità dei caratteri; e (iii) la presenza di alcuni motivi determinati, come la demenza, una condanna penale, l’abbandono della famiglia. Il codice civile di Napoleone del 1804, poiché la Costituzione del 1791 aveva definito il matrimonio come contratto civile si limitò in 85 articoli (dal 144 al 228) ad elencare le condizioni che permettevano la formazione del vincolo giuridico così come dei suoi effetti in termini di doveri e obblighi tra i coniugi.

La nuova concezione rivoluzionaria della parola matrimonio influì sulla Costituzione belga del 1831; in Germania, legge imperiale del 1875; in Svizzera, legge federale del 1874 e codice civile del 1907; e in Ungheria, legge del 1894. Al contrario in altri Paesi coesistevano il matrimonio civile e religioso, frequentemente preponderante e con riconoscimento di effetti civili, lasciando il primo come “opzionale” e regolato unicamente dalla legge civile (come nel caso dell’Inghilterra con il Marriage Act del 1836). Al contrario, in Paesi come Spagna e Portogallo mediante la conclusione di concordati con la Santa Sede si reintrodusse il matrimonio religioso accompagnato dal matrimonio civile opzionale e contemporaneamente si previde l’indissolubilità del vincolo, lasciando solo la opzione della separazione.

d)      Continua evoluzione dell’Istituto in Colombia, tra laicità, indissolubilità e Concordato. Il Concordato e la Costituzione

Egualmente, in Colombia i significati sociali e giuridici della parola matrimonio si sono evoluti per effetto di diverse tendenze, influenze, tensioni e oscillazioni. Durante le prime decadi della vita repubblicana il senso della parola matrimonio coincise con quello costruito sotto il periodo coloniale e trasmesso dalla Prammatica reale sul matrimonio del 1776.

Sotto l’influsso della Costituzione della Nuova Granada del 1853 si approvò la legge del 20 giugno dello stesso anno, dove si regolamentò per la prima volta il matrimonio civile in Colombia, definendolo come un contratto. Si fissarono gli impedimenti per contrarre matrimonio, le formalità inerenti all’atto e le azioni di nullità. La legge previde come cause di divorzio, lo scioglimento legalmente deciso per mutuo consenso dei coniugi o il delitto di uno di essi. Poco tempo dopo mediante l’articolo 4 della legge 8 aprile del 1856, si decise che l’unica forma con cui si poteva sciogliere un matrimonio era la morte di uno dei coniugi. Si autorizzava la separazione ma non si permetteva che i separati si risposassero.

Nel 1863, con l’avvento del federalismo, il significato di ciò che significasse ‘’il matrimonio’’ in Colombia variò tra i diversi Stati dell’Unione: ciascuno dei nuovi Stati federali adottò la sua propria legislazione in materia. Così, mentre nello stato di Antiochia si accolse la legislazione canonica nel senso di concepirlo in termini di sacramento, a Santander si impose il matrimonio civile come obbligatorio e soggetto alle formalità di un contratto. Nel 1873 si approvò il codice civile dell’unione i cui precedenti si collegano ai lavori di Don Andreas Bello in Cile, le cui fonti di ispirazione furono il codice napoleonico del 1804; il codice civile austriaco del 1811, il diritto indiano e in alcuni aspetti il diritto canonico. Si basò anche sulla Ley de las Siete Partidas per ciò che fa allusione alla comunione dei beni. Ugualmente, si eliminò il divorzio, lasciando solo la separazione personale e del patrimonio. Con il trionfo della Rigenerazione e l’approvazione della Costituzione del 1886, il significato della parola matrimonio cambiò di nuovo per effetto di un nuovo assetto delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica sottolineato dalla ratifica del Concordato del 1886: per i credenti si ristabilì il matrimonio religioso come unico e obbligatorio e si riconobbero pieni effetti civili al vincolo sacramentale, che si riteneva indissolubile, e si stabilì la competenza dei tribunali ecclesiastici in materia di nullità. Grazie alla legge 20 del 1974 fu approvato il testo del concordato sottoscritto nel 1973 tra la Santa Sede e lo Stato colombiano. In virtù di questo trattato internazionale si riconobbero pieni effetti civili al matrimonio celebrato conformemente alle norme del diritto canonico (articolo sette). Si affermò allo stesso tempo che le cause relative alla nullità e allo scioglimento del vincolo dei matrimoni canonici “incluse quelle che si riferiscono alla dispensa del matrimonio rato e non consumato sono di competenza esclusiva dei tribunali ecclesiastici e delle Congregazioni della Sede Apostolica” (articolo ottavo) e allo stesso tempo si convenne che le cause di separazione personale fossero decise dei giudici dello Stato, in prima istanza di fronte al competente Tribunale superiore e in seconda istanza dinanzi alla Corte Suprema di Giustizia (articolo nono).

Per mezzo della legge 1 del 1976 in Colombia si disciplinarono il divorzio nel matrimonio civile così come la separazione personale e patrimoniale nel matrimonio civile e canonico. La Costituzione del 1991 stabilì come competenza del legislatore fissare le forme del matrimonio, l’età e la capacità per contrarlo, i doveri e diritti dei coniugi. Egualmente previde che (i) i matrimoni religiosi abbiano effetti civili nei termini che stabilisca la legge; (ii) gli effetti civili di ogni matrimonio cesseranno per divorzio con riguardo alla legge civile; (iii) avranno effetti civili anche le sentenze di nullità dei matrimoni religiosi pronunziate dalle autorità della rispettiva religione nei termini stabiliti dalla legge. in conformità con quanto sopra si approvò la legge 25 del 1992, nella quale si previde che “gli effetti civili di ogni matrimonio religioso cesseranno per divorzio decretato dal giudice della famiglia o da un giudice promiscuo di famiglia” (articolo cinque) che contemporaneamente conteneva un articolo transitorio di questo tenore: “le sentenze pronunciate in base alle causali della legge 1 del 1976, per applicazione diretta del comma 11º dell’articolo 42 della Costituzione avranno il pieno valore che il diritto processuale stabilisce”. In sintesi si può affermare che l’evoluzione del matrimonio dà conto del fatto che la sua attuale configurazione corrisponde all’esistenza di complesse interazioni tra aspetti di carattere morale, religioso, sociologico, economico, ideologico e linguistico. Il suo significato trascende l’ambito strettamente giuridico, giungendo anche ciò che l’antropologo tedesco Arnold Van Gennep denominò lo scenario nuziale o il rito di passaggio indicando con esso l’importanza che il simbolismo matrimoniale ha per gli individui, le loro famiglie e la società in generale.

e)      Il matrimonio come istituto in evoluzione ininterrotta. Wittgenstein e l’incostanza del significato delle parole. Della parola matrimonio.

Una revisione di questa complessa storia pone in risalto l’esistenza almeno delle seguenti costanti e tensioni: (i) nel corso dei secoli il matrimonio ha conosciuto una evoluzione ininterrotta; (ii) il diritto di contrarre matrimonio è stato oggetto di diverse restrizioni fondate su aspetti relativi posti all’origine sociale dei contraenti, alla loro nazionalità, alla loro razza, religione e orientamento sessuale; (iii) dal momento che ogni volta che nel diritto civile l’unione tra persone discriminate non è stata qualificata in termini di matrimonio non godeva nemmeno dei medesimi diritti e riconoscimenti sociali di cui godevano i coniugi; (iv) correlativamente, la natura del matrimonio è stata affrontata da ottiche diverse (ad esempio come sacramento, contratto, istituto di diritto naturale, tra le altre); (v) la regolamentazione giuridica del matrimonio ( ad esempio la capacità per contrarlo, il consenso, gli effetti giuridici, i fini, lo scioglimento etc.) è stata fonte di controversie tra le autorità religiose e civili e (vi) attualmente, in uno Stato Sociale di Diritto, in un paradigma di separazione tra la Chiesa e lo Stato, la regolamentazione del matrimonio trascende i canoni del diritto positivo (contratto civile) per essere compreso dalla prospettiva dei diritti fondamentali.

Di modo che, seguendo Wittgenstein, la parola “matrimonio” non è la rappresentazione di un fatto costante e uniforme. La sua conformazione e uso sociale rivela l’esistenza di un insieme di valori presenti in una società in una determinata epoca oltre a disegnare le relazioni di potere in un contesto storico. Oggi come oggi le espressioni “matrimonio”, “relazione matrimoniale”, “celebrazione del matrimonio”, “consumazione e consolidazione del matrimonio” etc, corrispondono a diverse espressioni che definiscono, in comune, diritti fondamentali che implicano culturalmente lo svolgimento di un programma di vita in comune da parte di individui della specie umana.

Sezione 2. Dei fini del matrimonio e dei suoi elementi essenziali.

7. Attualmente la sessualità e la procreazione sono fini ma non elementi essenziali del matrimonio

Il quid juris del matrimonio non è determinato da coloro che lo costituiscono, ma dalla finalità che rappresenta il libero esercizio di formare una comunione di vita. Cosi, l’obiettivo costituzionalmente perseguito dal matrimonio è di costituire la famiglia, che è il nucleo essenziale della società. Aspetto su cui conviene precisare che i fini del matrimonio non sono esclusivamente lo svolgimento della sessualità e la procreazione, ma essenzialmente il consolidamento di vincoli di volontà o convivenza che permettano di costituire una famiglia. Contrariamente opinando, alle coppie eterosessuali che liberamente decidessero di non procreare o a quelle persone con qualche limite fisico per la riproduzione sarebbe vietato contrarre matrimonio. Similmente, alle persone che non si trovino in condizione di svolgere un’attività sessuale piena sarebbe impedito di sposarsi.

Se è certo che la sessualità e la procreazione sono alcuni dei fini legali del matrimonio, come prevede l’articolo 113 del codice civile, è anche certo che non ne costituiscano gli elementi essenziali, in conformità con i parametri costituzionali, specialmente il diritto di contrarre matrimonio in condizioni di uguaglianza, poiché senza di essi il vincolo continua a essere valido e a produrre effetti.

4. Il diritto comparato

A questo punto la Corte compie un approfondito esame del diritto comparato, che qui sarà riassunto. Dopo avere osservato che 23 Stati su 194 hanno approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, la Corte osserva che in 16 di questi stati la decisione è stata adottata dal legislatore, mentre in sette di essi è stata il risultato di decisioni giudiziarie. In Irlanda, questo diritto sarebbe stato approvato mediante referendum, con il 62% dei voti favorevoli. In realtà il referendum irlandese, a norma della Costituzione di quello Stato, non è stato che un passaggio obbligatorio al fine di approvare un emendamento alla stessa, che implicitamente definiva il matrimonio come un rapporto eterosessuale. Infatti, dopo il referendum, sono state approvate e promulgate tanto la legge costituzionale di riforma dell’articolo sulla famiglia quanto la legge ordinaria che ha modificato l’ordinamento civile e consentito la celebrazione di matrimoni anche per le coppie dello stesso sesso. La Corte sottolinea che in Canada l’Istituto del matrimonio era stato aperto alle coppie omosessuali a partire da una serie di decisioni favorevoli delle Corti Supreme delle singole Province, tanto che il governo federale aveva preso l’iniziativa di chiedere alla Corte Suprema Federale un parere in materia. Il 9 dicembre del 2004 la Corte Suprema aveva affermato che l’istituto fondamentale del matrimonio ben poteva essere suscettibile di una riforma legislativa che permettesse il matrimonio per le coppie dello stesso sesso a livello federale. Il che avveniva con la legge federale del 20 luglio del 2005. In Sudafrica, invece, con decisione del 1 dicembre del 2005, la Corte Costituzionale aveva unanimemente affermato che la definizione tradizionale del matrimonio del Common Law e proveniente dal diritto romano-germanico era incostituzionale tutte le volte che escludeva alle coppie dello stesso sesso lo status, i benefici e gli obblighi riconosciuti alle coppie eterosessuali, concedendo un termine di 12 mesi al Parlamento per correggere tale deficienza. Nel novembre del 2006 il Parlamento sudafricano provvedeva di conseguenza. In Israele invece è riconosciuto dallo Stato esclusivamente il matrimonio religioso celebrato da una delle confessioni religiose riconosciute. Nessuna di queste confessioni religiose consente il matrimonio egualitario, ma la Corte Suprema d’Israele, nel 2006, con sentenza del 21 novembre, con sei voti su sette aveva ordinato al ministero dell’interno di accordare piena efficacia giuridica ai matrimoni di cittadini israeliani costituenti coppie omosessuali celebrati all’estero. Anche nel Messico la situazione è complicata dal sistema federale, per cui alcuni Stati approvano espressamente il matrimonio e altri sono obbligati a riconoscerlo a seguito di una serie di cinque condanne della Corte Suprema di Giustizia. Tuttavia, una recente sentenza della stessa Corte aveva ritenuto fosse incostituzionale in tutti i casi una normativa che facesse riferimento alla finalità del matrimonio come quella di perpetuare la specie e ai soggetti dello stesso come un uomo e una donna. Anche in Brasile il Tribunale Supremo Federale con sentenza del 5 maggio del 2011 aveva stabilito che l’articolo 1723 del codice civile non potesse interpretarsi in modo restrittivo ai fini qui contemplati. Detta Corte aveva riconosciuto senza ombra di dubbio alla minoranza omosessuale lo status di minoranza discriminata. Di conseguenza anche nel Brasile tale diritto era stato riconosciuto. Quanto agli Stati Uniti la Corte cita ampiamente la sentenza del 26 giugno del 2015  Obergefell. In particolare il passo che citando il precedente Loving recita

vi è dignità tanto nell’unione tra due uomini o due donne che cercano di sposarsi quanto nella loro autonomia per prendere decisioni così profonde…la libertà di sposarsi o di non sposarsi con una persona di un’altra razza è immanente all’individuo e non può essere lesa dallo Stato”.

Inoltre la Corte cita espressamente un altro importante passo che recita:

“la dinamica del nostro sistema costituzionale è che gli individui non devono aspettare una azione del legislatore per far valere un diritto fondamentale. Le Corti della Nazione sono aperte agli individui lesi nei loro diritti che ricorrano a esse per rivendicare i loro interessi e diritti personali contenuti nella nostra Carta fondamentale. Un individuo può invocare un diritto alla protezione costituzionale quando si veda pregiudicato, anche se il pubblico più ampio non è d’accordo e anche se il legislatore si rifiuta di agire. L’idea della Costituzione fu di sottrarre certi temi dalle vicissitudini delle controversie politica per collocarli al di fuori della portata delle maggioranze e dei funzionari e per stabilirli come principi legali che devono essere applicati dalle corti”.

Dopo avere ricordato che sussistono alcuni stati in cui sono state create figure giuridiche con effetti giuridici diversi da quelli del matrimonio, che però riconoscono in alcuni casi i medesimi diritti delle coppie sposate eterosessuali a quelle omosessuali, la Corte non manca di ricordare che in 79 paesi del globo le relazioni omoaffettive sono penalmente punite, e che in sette di essi è prevista la pena di morte, e conclude che il diritto comparato le offre elementi di giudizio che le permettono di constatare che ogni sanzione, restrizione o discriminazione fondata sull’orientamento sessuale ha un’origine eminentemente culturale, teocratica dittatoriale o religiosa, non giustificata in postulati di ordine giuridico e allo stesso tempo di evidenziare che negli stati di diritto si è verificato un cambiamento verso una tendenza globale al riconoscimento dei diritti delle coppie dello stesso sesso.

5.I precedenti della Corte Costituzionale della Colombia in materia di diritti delle persone LGBTI.

Confortata dalle tendenze evolutive del diritto di altri paesi la Corte intraprende un disamina della propria giurisprudenza premettendo ad essa le seguenti parole:

Sezione 1. Nascere e permanere liberi e uguali. La giurisprudenza costituzionale come un romanzo a catena

“Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti”. Ispirata da questa premessa dell’Illuminismo, la Corte costituzionale ha costruito un sistema di precedenti giudiziari relativi ai diritti fondamentali delle persone e delle coppie dello stesso sesso al fine di superare un secolare deficit di protezione in materia. Dai suoi inizi fino a oggi questo Istituto ha pronunciato decisioni ‘’a catena’’ volte a proteggere in forma armonica coerente ed evolutiva i diritti delle minoranze sessuali in Colombia. Ronald Dworkin analizza il ragionamento giudiziario a partire da una analogia con l’interpretazione letteraria nel campo dell’arte. Interpretare il diritto costituzionale nel suo complesso equivale a interpretare non solo le norme, ma anche i valori e i principi morali che sottostanno ad esse e che inevitabilmente si incorporano al diritto scritto mediante principi. Così la Corte Costituzionale, in varie tappe, ha sviluppato un modello costruttivo di giurisprudenza in cui i principi costituzionali di non discriminazione, uguaglianza, di dignità umana e di libero sviluppo della personalità, che proteggono i diritti delle persone e delle coppie dello stesso sesso sono stati applicati in un costante processo di diritto vivente, adattato alla cangiante realtà sociale. I principi giurisprudenziali sviluppati dalla Corte Costituzionale in decisioni di tutela, così come di costituzionalità in astratto hanno indicato che gli omosessuali sono un gruppo tradizionalmente discriminato; tuttavia, alla luce dei principi che ispirano la Costituzione Politica del 1991, ogni differenza di trattamento fondata sull’orientamento sessuale di un essere umano deve essere sottoposta a un controllo restrittivo di costituzionalità e si presume violi i principi di eguaglianza, dignità umana e libertà. Nel corso della sua attività giurisprudenziale questa Corte ha riconosciuto diritti a lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e agli intersessuali (da ora in poi popolazione LGBTI). Per rappresentare i precedenti giurisprudenziali consolidati e rilevanti su questo punto di diritto, questo capitolo sarà affrontato per ordine tematico al fine di esaminare le decisioni relative (i) ai diritti individuali della popolazione LGTB i e (ii) ai diritti delle coppie dello stesso sesso”.

Passiamo ora a riassumere tale parte della decisione.

(a)      Cambiamento del nome.

In una delle sue prime decisioni, la 594/1993, la Corte aveva accolto la azione di tutela di un cittadino di sesso maschile ormai riconosciuto da 13 anni con il nome[4] di Pamela, benché l’ordinamento non consentisse tale opzione[5]. In quella occasione la Corte ebbe ad affermare che

il libero sviluppo della personalità si armonizza con la libertà di pensiero e di espressione in quanto è la decisione di esprimere il proprio modo di vivere una determinazione del proprio modo di essere della convivenza umana; purché tale determinazione sia libera, sia il culmine di un processo decisionale volontario e non leda i diritti dei terzi deve essere rispettata e protetta dall’ordine giuridico costituito.

Inoltre affermava fosse giuridicamente ammissibile che un maschio si identifichi con un nome usualmente femminile o viceversa: che una donna si identifichi con un nome usualmente maschile, o che chiunque dei due si identifichi con nomi neutri o con un nome di cosa. Tanto allo scopo che la persona determini in ossequio al diritto al libero svolgimento della personalità la propria identità conformemente al suo modo di essere al suo pensiero e alla alle sue convinzioni di fronte alla vita.

b)        Espressioni omoaffettive in TV. Lo stigma sociale. Monito della Corte.

Nella sentenza 539/1994 la Corte, sempre in un’azione di tutela, ha deciso in ordine al divieto stabilito dal consiglio nazionale della televisione di far proiettare un filmato pubblicitario che si riferiva alla lotta contro l’AIDS. In tale firmato apparivano due uomini che si baciavano e poi si allontanavano a piedi abbracciati per la piazza principale di Bogotà. Anche se la Corte non ritenne che vi fosse una violazione dei diritti fondamentali, si espresse contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale:

Un trattamento giusto verso gli omosessuali deve basarsi sul rispetto, la considerazione e la tolleranza, poiché si tratta di esseri umani titolari degli stessi diritti fondamentali degli altri in condizioni di piena uguaglianza, benché non siano identici nel loro modo di essere agli altri. Se gli omosessuali adottano una condotta differente rispetto a quella degli eterosessuali non per questo sotto il profilo giuridico sono privi di legittimazione. In ossequio al principio di eguaglianza consacrato nella Carta come diritto costituzionale fondamentale di ogni persona umana non vi è titolo che permetta di discriminare un omosessuale. Il rifiuto che esiste verso gli omosessuali è ingiustificato sotto l’egida di una filosofia di comprensione e tolleranza come quella che ispira la Costituzione del 1991. I dogmatismi sono proscritti e al loro posto vi è un rispetto assoluto per l’opposizione e le minoranze purché queste non violino l’ordinamento giuridico e i diritti dei terzi. Nella società contemporanea si è dato spazio alla tolleranza e alla comprensione verso le posizioni contrarie. Per questo, come si è detto, gli omosessuali sono titolari di tutti i diritti fondamentali della persona umana e non vi è titolo per escluderli da atteggiamenti di rispetto giustizia e solidarietà. Si ricorda che in Colombia nessuna persona può essere emarginata per ragioni di sesso e che il diritto all’intimità e protetto è tutelato dal nostro stato sociale di diritto.

c)         Espressioni omoaffettive in pubblico e loro repressione. Inversione dell’onere probatorio.

 Nella successiva sentenza 909/2011 la Corte si era occupata di un caso relativo a una coppia omosessuale che si era recata con amici in un centro commerciale, e che s’era abbracciata mentre uno dei suoi amici effettuava un prelievo bancomat, solo per essere affrontata da cinque guardie giurate una delle quali aveva detto di rispettare il loro modo di pensare, ma che essi dovevano comportarsi bene oppure ritirarsi dal centro commerciale: in quel luogo vi erano famiglie e bambini. In quel caso la Corte aveva stimato di operare l’inversione dell’onere della prova trasferendolo a chi pretendeva trattare in modo differente gli attori e così si era espressa:

L’orientamento sessuale diverso, come espressione dell’orientamento sessuale proprio della specie umana, è garantito nella Costituzione da tre punti di vista: (i) come contenuto protetto dal principio di autonomia personale, articolo 1,cioè come elemento essenziale della dignità umana come fondamento dello stato sociale di diritto, articolo 5, come diritto inalienabile della persona, articolo 15, come diritto fondamentale della sfera più intima dell’individuo, articolo 16, come tratto centrale del libero sviluppo della personalità; (ii) come principio egualitario non discriminatorio ai sensi degli articoli 5 e 13 per un riconoscimento di tali diritti a un eguale trattamento di fronte a una diversità personalissima che non merita una regolamentazione differenziata; (iii) e come obblighi riflessi il dovere di non agire o di non interferenza e l’obbligo di azione positiva e di speciale protezione ai sensi degli articoli 2, 5, 6, in quanto parte dei fini essenziali dello Stato, della sua ragione di essere e fondamento delle sue regole … mal può comprendersi, di per sé, come elemento perturbatore della tranquillità, in questo caso di un centro commerciale, che le coppie effettuino manifestazioni di affetto ivi compreso lo scambiarsi baci. Né l’ordine di un imprenditore, fosse il centro commerciale, fosse l’impresa di vigilanza, può dare istruzioni a un dipendente perché nell’adempimento delle sue funzioni come guardia giurata restringa ambiti non legittimamente limitati dal legislatore delle libertà individuali. Questo vuol dire che baciarsi in modo romantico con il proprio partner sia uno omosessuale fa parte degli spazi di libertà individuale che ogni persona naturale possiede alla luce della propria dignità di vivere come vuole per il suo libero sviluppo personale e per il diritto a non essere disturbato in questa scelta specifica che interessa solo lui o lei. E come il legislatore non ha ristretto da quanto sopra come diritto di libertà (e solo avrebbe potuto farlo per ragioni rilevanti di razionalità e proporzionalità) non lo può fare un centro commerciale nei suoi statuti e un’impresa di vigilanza, tanto più quando abbia come funzione quella di collaborare con le autorità di polizia. Nello stesso senso non ricade nelle facoltà della comproprietà che costituisce giuridicamente il centro commerciale disporre restrizioni agli ambiti dei diritti fondamentali della persona che non siano previsti dalla legge e che pertanto facciano parte dell’autonomia degli individui della forma di disporre dei propri affari’’

d)        Scuole di Polizia. L’intangibilità del diritto costituzionale alla educazione e formazione

Con la sentenza 97/1994 la Corte si occupò dell’espulsione di uno studente di una scuola di polizia per presunte condotte omosessuali, affermando che nel caso di specie erano stati violati i diritti fondamentali del giusto processo quanto all’educazione dell’attore. La Corte affermò:

Tra le innovazioni della Costituzione politica del 1991 hanno speciale rilevanza quelle riferite alla protezione del foro interno della persona. E’ il caso del diritto al libero sviluppo della personalità (articolo 16) e del diritto all’intimità e al buon nome (articolo 15). Il costituente volle elevare alla condizione di diritto fondamentale la libertà in materia di scelte di vita e credenze individuali, di conseguenza ha enfatizzato il principio liberale della non ingerenza delle autorità in materie soggettive che non siano rivolte contro la convivenza o l’organizzazione sociale. E’ evidente che l’omosessualità rientra in questo ambito di protezione, in tale senso non può avere come implicazione un fattore di discriminazione sociale. Termina così un lungo processo di accettazione tolleranza normativa che inizia con la depenalizzazione della condotta descritta nel codice penale del 1936. Va notato che, benché in questo tema il diritto abbia giocato un ruolo essenziale nella trasformazione dell’opinione pubblica, questa si trova ancora in ritardo con riferimento agli ideali dell’ordinamento. I valori della tolleranza e del pluralismo pienamente assunti dall’ordinamento giuridico devono ancora superare enormi ostacoli per trovare pieno piena espansione nella vita quotidiana.

e)         Rifiuto della iscrizione di minori omosessuali a corsi serali. La dignità della condizione omosessuale.

Nella decisione 101/1998 Corte si occupava della decisione di un consiglio scolastico che aveva negato a due studenti rispettivamente di 16 e 17 anni, nella necessità di lavorare per mantenersi agli studi un posto in un corso serale in ragione della loro omosessualità. La Corte affermava

…dal rettore della scuola emana un’attitudine discriminatoria e intollerante, inaccettabile in una persona che ha che è incaricata della direzione del processo educativo, il cui obiettivo principale è precisamente la formazione integrale di bambini e giovani in un paradigma di organizzazione sociale che propende per l’eguaglianza nella differenza, per il rispetto alla individualità di ciascuno dei consociati e per la rivendicazione della loro condizione di soggetti liberi, autonomi e titolari di diritti fondamentali come quelli consacrati negli articoli 13 e 16 della Costituzione. Questo atteggiamento ha influito in modo decisivo sull’assunzione della decisione che si è fondata non solo sul presunto inadempimento di alcune formalità, ma, come afferma lo stesso rettore, sulla condizione di omosessualità dei richiedenti, fatto, questo, che di per sé pone in essere una situazione di discriminazione che ha concorso alla lesione dei loro diritti all’educazione e al libero svolgimento della personalità, poiché ritenendo la loro condizione sessuale una variabile è stato violato fragrantemente il divieto dell’articolo 13 della Costituzione. Li hanno posti in situazione di diseguaglianza rispetto a quei giovani che hanno fatto la stessa richiesta ma che si presumono eterosessuali, considerando come un fattore negativo la condizione dei primi. L’omosessualità è una condizione della persona umana che implica la scelta di un’opzione di vita tanto rispettabile e dignitosa come qualunque altra, in cui il soggetto che la adotta è titolare come qualsiasi persona di interessi che sono giuridicamente protetti e che non possono essere oggetto di restrizioni per il fatto che altre persone non condividono il loro specifico stile di vita.

(f) Suicidio di studente maltrattato.

Nella successiva sentenza 478/2015 la Corte ebbe ad esaminare il ricorso di una madre verso una serie di atti di discriminazione nei confronti di suo figlio da parte di una scuola superiore; atti motivati sul suo orientamento sessuale e che avevano favorito il di lui suicidio. La Corte nel caso di specie aveva disposto altri atti di riparazione a carico della scuola e impartito ordini al ministero dell’istruzione per verificare la situazione della istituzione educativa. In tale caso la Corte affermava che

“Uno degli ambiti più importanti per la protezione del diritto all’uguaglianza, alla dignità e al libero sviluppo della personalità è il rispetto assoluto per l’espressione dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale. Nell’ambito scolastico questa protezione deve essere ancora più forte poiché i minori hanno il diritto di essere formati in spazi democratici e pluralisti. Così la proibizione di discriminare per ragioni di genere o di orientamento sessuale è assoluta in nessun terzo, siano altri studenti o le autorità del collegio possono perseguire o intimidire gli studenti che decidono di assumere volontariamente una scelta sessuale diversa. Qualunque atteggiamento in questo senso costituisce un maltrattamento…”

(g) La visita intima” in carcere.

Nelle decisioni 499/03, 624/05 e 815/13 era tutelato il diritto alla visita intima del detenuto omosessuale da parte del suo partner. Nella prima tale diritto era affermato per la prima volta con riguardo a una coppia lesbica; nella seconda si vietava di rendere la situazione umiliante per altra donna cui si imponeva all’atto della visita alla compagna detenuta di indossare una gonna; nella terza si determinavano i requisiti minimi di privacy, igiene, acqua, spazio, mobilio e disponibilità di preservativi per la visita intima indipendentemente dall’orientamento sessuale.

(h)     Donazione di sangue e discriminazione delle persone LGBTI

Con riferimento al problema della donazione di sangue da parte delle persone omosessuali la Corte accoglieva il ricorso degli aspiranti donatori di sangue discriminati (sent. 248/12). In ciò applicava un testo di proporzionalità restrittivo in quanto gli aspiranti donatori omosessuali erano una categoria sospetta di discriminazione. Affermava che

“…le autorità statali hanno il dovere speciale di protezione che implica l’obbligo di salvaguardare i gruppi minoritari tradizionalmente discriminati da azioni o pratiche di terzi che creino, mantengano o favoriscano situazioni discriminatorie. La Corte ha stabilito che trattandosi di mezzi che sorreggono il trattamento differenziato in base all’orientamento sessuale delle persone esse meritano di essere esaminate ai sensi del giudizio di proporzionalità restrittivo ogni volta che si tratti di una categoria sospetta. Tra i fattori di rischio che devono tenersi in conto al momento di qualificare un donatore di sangue non si deve menzionare l’orientamento sessuale, ma i comportamenti sessuali rischiosi, come per esempio le relazioni sessuali senza alcun tipo di protezione o con persone sconosciute, la promiscuità, non avere un compagno permanente e così via. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha detto che l’orientamento sessuale è un criterio sospetto, pertanto i trattamenti fondati su questo criterio si presumono incostituzionali e per questo devono essere sottomessi al giudizio stretto di proporzionalità secondo cui si deve verificare (a) se il mezzo o il criterio che discrimina l’attore per donare sangue in base al suo orientamento sessuale(a) cerca di raggiungere un un obiettivo costituzionalmente imperativo (b) sia necessario per soddisfare l’obiettivo (c) sia proporzionale in senso stretto, vale a dire se i suoi benefici siano maggiori dei suoi costi in termini di lesione di diritti fondamentali”.

(i)        Il pubblico impiego nella scuola. L’orientamento sessuale è costituzionalmente protetto.

Occupandosi dei diritti dei docenti, la Corte, nella sentenza 481/1998 dichiarava l’incostituzionalità dell’articolo 46 B del Decreto 2277 del 1979 che considerava l’omosessualità come causa di cattiva condotta nell’esercizio della professione docente.

L’omosessualità non può essere considerata una malattia né una anormalità psicologica che debba essere curata o combattuta, ma costituisce un orientamento sessuale legittimo che costituisce un elemento essenziale intimo dell’identità di una persona per cui gode di una protezione costituzionale speciale tanto in virtù della forza normativa dell’eguaglianza come per la consacrazione del diritto al libero sviluppo della personalità. Ogni linguaggio tendente a stigmatizzare una persona del suo orientamento sessuale è allora contrario alla Carta ed è esplicitamente riprovato da questo Istituto. In questo stesso ordine d’idee ogni differenza di trattamento fondata sul diverso orientamento sessuale equivale a una possibile discriminazione per ragioni di sesso e viene sottoposta a un controllo costituzionale restrittivo. La Corte ha affermato che lo specifico orientamento sessuale di un individuo costituisce un fatto un elemento che si iscrive all’interno dell’ambito dell’autonomia individuale che gli permette di adottare senza costrizioni esterne i progetti di vita che consideri pertinenti sempre purché con essi non violi l’ordinamento giuridico o i diritti dei terzi.

(j)       Le persone transessuali e transgender.

Con riferimento alle persone transessuali la Corte con sentenza 876/2012, 918/2012 e 552 del 2013 ha affermato il diritto di tutti coloro che richiedano un intervento di rettificazione della sesso, benché esso non sia incluso nella nel programma sanitario nazionale il diritto a poterlo eseguire a spese del medesimo. Nella decisione 771/2013 si occupava più in particolare di una operazione di mammoplastica in aumento che era stata ordinata alla transessuale ricorrente dai suoi medici come parte del processo di riaffermazione della propria identità di genere in cui si trovava. In quel caso la sezione di revisione mise in risalto che le relazioni sessuali e di genere non potevano essere stigmatizzate come disordini, infermità o anormalità e che l’accesso alla salute integrale delle persone che cercavano la riaffermazione dell’identità sessuale mediante strumenti chirurgici non era condizionato da questo tipo di pregiudizi. Con la sentenza 337/1999 la Corte si era occupata del caso di una minore inter sessuale che a tre anni di età era stata diagnosticata come affetta da pseudo ermafroditismo maschile. I medici curanti avevano raccomandato l’intervento chirurgico, mentre il servizio sanitario aveva rifiutato di eseguirlo, opponendo l’obiezione che doveva essere la minore e non sua madre a prendere una decisione in materia. La madre aveva adito la Corte per ottenere l’autorizzazione all’intervento. L’interessante decisione osserva che

“…gli stati intersessuali sembrano porre in questione alcune delle convenzioni sociali più profonde poiché la nozione stessa secondo cui esistono biologicamente solo due sessi resta vengono un po’ poste in dubbio. La questione non è così chiara poiché non è chiaro se si deve chiamare il minore nel presente caso “bambino” poiché tanto il suo sesso genetico come le sue gonadi sono maschili o “bambina” poiché è stata educata come una donna e i suoi genitali esterni sono ambigui. Il linguaggio esprime allora le difficoltà del problema che la Corte affronta. I casi di ambiguità sessuale genitale conosciuti nella letteratura medica anche come stati intersessuali che a volte si denominano ermafroditismo o pseudoermafroditismo sono allora particolarmente difficili perché toccano uno degli elementi più complessi, misteriosi e trascendenti dell’esistenza umana nella definizione stessa di identità sessuale tanto a livello biologico come in campo psicologico e sociale”.

Nella specie la Corte ordinava la formazione di una équipe interdisciplinare che potesse stabilire il momento preciso in cui la minore avesse una capacità di prestare il suo consenso informato ai procedimenti chirurgici e ormonali raccomandati dai medici.

In altri casi la Corte costituzionale ha affrontato la norma dell’ordinamento colombiano che vieta che si cambi il proprio nome per più di una volta. Nelle sentenze 1033/2008, 977/2012 86/2014 e 63/2015 la Corte, riformando le decisioni adottate in sede di azione di tutela dai giudici di merito, riteneva che la disposizione che permetteva di cambiare il nome solo una volta fosse costituzionale in astratto ma restringesse eccessivamente i diritti alla libertà, autonomia ed eguaglianza delle persone interessate e in particolare nel caso delle persone transessuali l’impossibilità di cambiare il nome comprometteva il loro progetto di vita. Pertanto riteneva che questi interessi non fossero prevalenti nei confronti dell’interesse alla certezza giuridica del nome della a parlare dell’identità della persona come certificato nei registri di stato civile.

Nella sentenza 62/2011 la Corte si occupava di una transessuale, ristretta in un istituto di detenzione, a cui si impediva di truccarsi, di avere un certo taglio di capelli e determinati capi di vestiario femminili, corrispondenti alla sua identità di genere, tutelando i suoi diritti e ritenendo che la Costituzione colombiana proibisce ogni tipo di discriminazione fondata sull’identità di genere. Inoltre indicò che sono contrari alla Costituzione tutti i comportamenti e le misure che censurino o restringano l’opzione sessuale privilegiata dalla tendenza maggioritaria eterosessuale e che impongano soluzioni conseguenze negative fondate su questa scelta.

Nella sentenza 314/2011 la Corte pur respingendo il ricorso di una transessuale che affermava che fosse stato negato l’accesso a un evento di musica elettronica in un hotel a causa del suo orientamento sessuale ritiene per la prima volta che l’identità di genere sia un criterio sospetto di discriminazione. La sentenza 476/2014, sempre in un’azione di tutela come anche la sentenza 99/2015 si occupano della singolare disposizione dell’ordinamento colombiano che obbliga gli impiegati pubblici a loro consegnare il proprio libretto militare. Nel primo caso era stato negato a una donna transessuale il completamento del procedimento di assunzione per non avere presentato tale documento. La Corte accoglieva, ritenendo che esigere un requisito proprio di un genere con cui l’interessato non si identificava disconosceva il suo diritto all’autodeterminazione. Nella sentenza 99 la Corte reiterava il principio anche perché le donne transessuali non sono destinatarie della legge sul servizio militare obbligatorio. Nella specie esortava il Congresso della Repubblica a promulgare una legge sull’identità di genere.

(k)     Le coppie LGBTI e l’unione coniugale di fatto.

Quanto ai diritti delle coppie la Corte ricorda che la legge 54 del 1990 conferiva limitati diritti alle convivenze stabili, che erano definite nella legge stessa come quelle formate da un uomo e una donna. In quattro decisioni, le 98/1996, 999/00, 1426/00 e 618/00 la Corte aveva respinto azioni di tutela proposte da coppie omosessuali, affermando che le cosiddette unioni coniugali di fatto erano state costituzionalmente limitate alle coppie eterosessuali poiché solo in questo caso il legislatore intendeva proteggere la famiglia in modo integrale. Tuttavia con una sentenza in Adunanza Plenaria e in sede nomofilattica, la 623/01, la Corte affrontava la questione incidentale dei diritti alla protezione all’assistenza sociale e pensionistica dei membri delle unioni vitali omosessuali negando ancora una volta tutela alle stesse, con decisione confermata nella sentenza 814/01 relativa, quest’ultima alla adozione concessa alle unioni di fatto eterosessuali. In questa sentenza la motivazione rivela una certa crisi di certezze perché affronta per la prima volta il problema della discriminazione di tali coppie pur negandola e affermando che invece il legislatore intendeva conservare una nozione ‘’superiore’’ di unione familiare, nonché proteggere l’interesse superiore del minore, che secondo il legislatore era nel caso di adozione meglio assicurato da una coppia eterosessuale, anche perché il concetto della famiglia rilevabile dalla Costituzione corrisponderebbe a quello della coppia eterosessuale.

Fu solo nella sentenza 75/07 che la Corte cambiò completamente giurisprudenza in ordine alla legge sulle unioni coniugali di fatto numero 54 del 1990.

“La legge, regolando la denominata unione coniugale di fatto, stabilisce un regime di protezione patrimoniale per i componenti delle coppie eterosessuali ma non fa lo stesso con le coppie omosessuali. In linea di principio occorre avvertire che la maniera in cui si può offrire una protezione patrimoniale a coloro che hanno deciso di formare una coppia come progetto di vita permanente e unico rientra nell’ambito della discrezione del legislatore perché non vi è una formula unica che risulti obbligatoria in base alla Costituzione a quest’effetto e la protezione richiesta si può ottenere per diverse vie. Tuttavia la Corte pone in rilievo che questo perimetro di discrezionalità legislativa è limitato dalla Costituzione al rispetto dei diritti fondamentali delle persone. In questo scenario per la Corte l’assenza di protezione nell’ambito patrimoniale per la coppia omosessuale risulta lesiva della dignità della persona umana e contraria al diritto al libero sviluppo della personalità e comporta una forma di discriminazione proibita dalla Costituzione. La giurisprudenza costituzionale in questa materia si è svolta conformemente a un linea argomentativa per cui (i) ai sensi della Costituzione è proibita ogni forma di discriminazione fondata sull’orientamento sessuale (ii) esistono differenze fra le coppie eterosessuali le coppie omosessuali, ragion per cui non esiste un obbligo costituzionale di trattamento eguale delle une e delle altre (iii) spetta al legislatore definire le misure necessarie per provvedere ai requisiti di protezione e distinti gruppi sociali e avanzare gradualmente nella protezione di coloro che si trovino in situazione di marginalità e (iv) ogni differenza di trattamento tra persone o gruppi che siano assimilabili è costituzionalmente ammissibile solo se ubbidisce a un principio di ragion sufficiente.

La Corte aggiungeva che “…oggi come oggi si può osservare che le coppie omosessuali presentano requisiti analoghi di protezione e che non esistano ragioni obiettive che giustifichino un trattamento diverso…”.

Pertanto la Corte estendeva l’Istituto dell’unione coniugale di fatto anche alle coppie omosessuali.

(l)        Prova della convivenza costitutiva dell’unione.

Premesso che con Legge 979/05 l’articolo 4 della Legge 54 era stato modificato nel senso di consentire ai partner di provare l’esistenza con ogni mezzo di prova e non solo mediante atto pubblico (invero, gli effetti dell’unione si producono dopo due anni di convivenza) nella sentenza 717/11 la Corte accordava tale regime probatorio anche alle coppie omosessuali, che non dovevano essere discriminate rispetto a quelle eterosessuali nemmeno quanto a questo aspetto.

(m)   L’assistenza sociale

A seguito della decisione 75/2007 la Corte si occupava a più riprese dei diritti legati all’assistenza e alla previdenza sociale delle unioni coniugali di fatto omosessuali. Nella decisione 811/2007 relativa all’assistenza sanitaria la Corte dichiarava l’incostituzionalità della norma dell’articolo 163 della legge 100 del 1993. Poiché l’articolo 163 consentiva alle sole coppie eterosessuali di designare come beneficiari delle prestazioni derivanti dalla legge stessa in materia di sicurezza sociale il proprio partner la norma era chiaramente incostituzionale perché

la scelta dell’individuo che decide di vivere in coppia con una persona del suo stesso sesso costituisce la causa diretta che impedisce che i membri della coppia si uniscano al sistema di sicurezza sociale sanitario in qualità di beneficiari. In questo senso è proprio la condizione omosessuale che, insieme alla decisione di vivere in coppia, determina l’esclusione del beneficio di legge, per cui la norma risulta lesiva del principio di eguaglianza costituzionale di cui all’articolo 13 della Costituzione rispetto a opzioni di vita egualmente legittime, come anche lesiva del diritto alla dignità umana ai sensi dell’articolo 2, poiché sanziona con l’esclusione da una misura destinata a tutelare la salute della vita dell’individuo chi,  per l’esercizio di una sua piena libertà decide di vivere in coppia con un’altra persona del suo stesso sesso.

Nella decisione 521/2007 la Corte esaminando la stessa legge riteneva che le coppie eterosessuali sposate non dovevano convivere da almeno due anni per poter designare il proprio partner come beneficiario delle prestazioni della sicurezza sociale. Al contrario le unioni coniugali omosessuali, come anche le unioni coniugali di fatto eterosessuali, si vedevano vincolate da tale principio del requisito di residenza minima comune. La decisione è un’interpretativa di rigetto perché dichiara costituzionale la norma nella misura in cui il regime di protezione della stessa mano si applichi anche alle coppie dello stesso sesso ogniqualvolta il pregiudizio che derivi dall’esclusione della coppia omosessuale dalla copertura del regime di sicurezza sociale sanitario è più grave di quello generato dall’esclusione della coppia omosessuale dalle norme sul regime patrimoniale di cui alla Legge 54, che si applica dopo due anni.

(n)     La previdenza

Con riferimento alla pensione di reversibilità con decisione 336/08 la Corte dichiarò costituzionalmente legittime le disposizioni della legge sulle pensioni una parte in cui si riferivano “al compagno o alla compagna permanente” o “al coniuge, alla compagna o compagno permanente” se interpretate nel senso che beneficiari della pensione di reversibilità possano essere anche i superstiti delle coppie permanenti dello stesso sesso la cui costituzione sia formalizzata (nei termini segnalati indicati nella sentenza 521/07 per le coppie eterosessuali) davanti a un notaio: non esistevano ragioni obiettive sufficienti per mantenere in vita un trattamento differenziato tra i due tipi di coppia. La decisione era confermata dalla successiva 1241/08 e da numerose altre, una delle quali, la decisione 51/10 pronunciava un gruppo di ordini con effetti estensibili a tutte le persone omosessuali che si trovassero nelle medesime condizioni dei numerosi ricorrenti. La decisione interpretava anche la sentenza 336/08 nel senso che non è necessario per accedere al riconoscimento e al pagamento della pensione ai superstiti per il superstiti di una coppia omosessuale la dichiarazione di unione coniugale di fatto davanti al notaio: anche se la sentenza 336 rinviava alle condizioni di certificazione di cui alla sentenza 521 che richiamava, relativa alle coppie eterosessuali. La Corte riteneva che il rinvio dalla sentenza 336 alla sentenza 521 era stato effettuato solo ai fini della richiesta della designazione del beneficiario delle prestazioni del servizio sanitario nazionale e non per le prestazioni pensionistiche ai superstiti. La decisione era reiterata dalla successiva decisione 716/11 e dalla decisione 860/11, che precisava che anche in caso di morte di uno dei membri della coppia omosessuale prima della sentenza 336 era inammissibile negare la pensione di reversibilità al superstite.

(o)      La violazione degli obblighi di assistenza familiare

La decisione 798/08 si occupava della tutela penale del diritto agli alimenti. La norma penale si riferiva all’uomo o alla donna che facessero parte di una unione coniugale di fatto per un lasso di tempo non inferiore ai due anni nei termini della legge 54 del 1990. In questo caso la decisione estese la tutela penale anche alle unioni coniugali di fatto omosessuali poiché un trattamento differenziato non aveva ragioni sufficienti né obiettive e generava un deficit di tutela in ordine all’adempimento dell’obbligazione alimentare.

(p)     La decisione omnibus

La decisione 29/09 affrontava la questione di costituzionalità di ben 26 norme contenute in varie leggi e decreti che così come formulata escludevano dal godimento dei diritti che  conferivano i membri delle coppie omosessuali. Nel dispositivo la Corte ritenne che tali disposizioni fossero costituzionali purché interpretate nel senso che il senso di includere ad eguaglianza di condizioni i componenti delle coppie dello stesso sesso

La coppia, come progetto di vita in comune che ha una vocazione alla permanenza, implica l’assistenza reciproca e la solidarietà tra i suoi componenti, gode di protezione costituzionale indipendentemente dal fatto che si tratti di coppie eterosessuali od omosessuali e in questo contesto differenze di trattamento per le coppie che si trovino in situazioni assimilabili può porre problemi di uguaglianza e, nello stesso senso, l’assenza di una previsione legale per le coppie dello stesso sesso con riferimento ai benefici che nessun risultino applicabili alle coppie eterosessuali può dar luogo a un deficit di protezione contrario alla Costituzione, nella misura in cui disconosce un imperativo superiore in base al quale in determinate circostanze l’ordinamento giuridico deve provvedere un minimo di protezione per certi soggetti, minimo senza il quale possono essere compromessi principi e diritti superiori come la dignità della persona e il libero sviluppo della personalità o la solidarietà.

(q)     La quota coniugale

La sentenza 283/11 dalla Corte costituzionale estendeva la cosiddetta quota coniugale ai componenti delle coppie omosessuali. In Colombia, il coniuge superstite ha diritto, da un lato alla sua parte dei beni acquisiti durante il matrimonio, nel regime che noi chiameremo di comunione legale, tuttavia il coniuge non è erede legittimo né legittimario dell’altro se non nel caso in cui non vi siano figli o discendenti del de cuius. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 1230 del codice civile colombiano, il coniuge superstite che manchi di mezzi ha diritto a una prestazione quasi alimentare una “porzione coniugale” a carico dell’asse ereditario. Esso equivale a un quarto dell’asse medesimo. Tale diritto non può essere condizionato dall’orientamento sessuale di coloro che decidano come scelta di vita di convivere in coppia e fare un progetto di vita in comune. Pertanto estendeva l’Istituto anche alle unioni coniugali di fatto omosessuali.

(r)      La successione intestata

La sentenza 238/12 è relativa alla successione tra coniugi. Si è visto come una successione del coniuge sia limitata ai casi di assenza di figli o discendenti del dante causa. Tuttavia il codice civile colombiano, come anche la legge 54 del 1990 non avevano accordato alcun diritto successorio alle unioni coniugali di fatto. La decisione estende alle unioni omosessuali od eterosessuali le norme del codice civile che prevedono la successione di un coniuge all’altro. La Carta costituzionale non limita alla famiglia matrimoniale l’obbligo di protezione della famiglia, ma comprende in tale obbligo gli altri tipi di famiglia, compresa la famiglia coniugale di fatto.

(s)       L’adozione.

Occorre quindi citare le decisioni 617/14 e 71/15: nel primo caso una coppia di donne aveva chiesto hanno ottenuto la possibilità che la compagna permanente della madre biologica potesse adottare la figlia di costei con la quale conviveva e di cui si occupava. Se era vero che la legge non contemplava le adozioni per le coppie omosessuali la Corte, tuttavia ritenne lesi diritti fondamentali dell’autonomia familiare e lo stesso diritto a costituire una famiglia in quanto

si disconosce, senza una ragione che lo giustifichi, l’esistenza di un assetto familiare nel quale il minore, per volontà di sua madre, o del suo padre biologico condivide la vita con il/la partner omosessuale della stessa e nel quale si conformava un vincolo solido e stabile tra di loro, vincolo a partire dal quale l’adulto ha assunto gli obblighi e i doveri associati al vincolo filiale.

Nella seconda decisione numero 71 viene esaminata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 64, 67 e 68 del codice della infanzia e dell’adolescenza della Colombia e della legge 54 del 1990 nella parte in cui faceva riferimento esclusivamente di compagni permanenti al padre alla madre ai fini dell’adozione. La decisione, anche qui un’interpretativa di rigetto dichiara le norme costituzionali nella parte in cui siano applicate alle coppie omosessuali quando la richiesta di adozione si rivolga al figlio biologico del compagno o della compagna.

Nella successiva decisione 633/15 Corte dichiarava le stesse norme – ai fini dell’adozione congiunta- incostituzionali, basandosi sul dato di fatto che in Colombia vi sono molti più bambini in attesa di adozione di quanti ne vengano richiesti ed è quindi ragionevole estendere la platea degli aspiranti adottanti anche alle coppie omosessuali nell’interesse superiore del minore: pertanto concedeva il diritto a chiedere l’adozione congiunta anche alle unioni coniugali di fatto omosessuali.

Sezione 2. La prima decisione sul matrimonio

Si riportano per esteso le considerazioni del paragrafo 9. Sulla decisione 577/11, interpretata dalla presente

Nella sentenza 577/11 la Corte costituzionale dichiarò la costituzionalità dell’espressione “un uomo e una donna” contenuta nell’articolo 113 del codice civile, sulla definizione del matrimonio. Nello stesso tempo si dichiarò incompetente per pronunciarsi sul merito della espressione “di procreare” contenuta nell’articolo 113 del codice civile e dell’espressione “di un uomo e di una donna” degli articoli 2 della legge 294/96 e 2 della legge 1361/09. Allo stesso tempo esortò il Congresso della Repubblica perché prima del 20 giugno del 2013 legiferasse in modo sistematico e organizzato sui diritti delle coppie dello stesso sesso con la finalità di eliminare il deficit di protezione che colpiva queste unioni. In caso di omessa adozione di alcuna regolamentazione da parte dell’ordine legislativo nel termine di due anni la Corte stabilì che gli interessati potessero rivolgersi a un notaio o al giudice competente per formalizzare celebrare un vincolo contrattuale solenne tra coppie dello stesso sesso. Per giungere a questa decisione la Sezione passò per le seguenti considerazioni. Osservò che oltre all’articolo 42 esistono diverse disposizioni costituzionali sulla famiglia come per esempio (i) l’articolo 5 della Carta mediante il quale si affida dello Stato la missione di proteggere la famiglia come istituzione fondamentale della società (ii) l’articolo 13 in cui si proibisce di discriminare per ragioni di origine familiare (iii) l’articolo 15 che stabilisce il diritto all’intimità familiare (iv) l’articolo 28 sul diritto di tutti di non essere molestati nelle loro famiglie (v) l’articolo 33 che proibisce di obbligare di rendere dichiarazioni contro se stesso, contro il coniuge, compagno o compagna permanente o parenti entro il quarto grado di consanguineità o il secondo grado di affinità (vi) l’articolo 44 che contempla il diritto dei bambini ad avere una famiglia e a  non essere separati da essa. Con riguardo a ciò, la Adunanza Plenaria ricordava che la giurisprudenza ha definito la famiglia in senso ampio, come quella comunità di persone imparentate tra loro da vincoli naturali o giuridici che fonda la sua esistenza sull’amore, il rispetto e la solidarietà, che si caratterizza per l’unità di vita o d di destino che lega intimamente i suoi componenti più prossimi. Basandosi su quanto sopra precisava che i partner stabili, come i coniugi, danno origine a una famiglia, poiché in entrambi i casi si presuppone la coabitazione tra uomo e donna e che effettivamente nei due ambiti ha luogo la costituzione di un regime di comunione dei beni tra i membri della coppia. Dopo aver compiuto un’analisi giurisprudenza costituzionale sui diritti e la protezione speciale riconosciuti alle coppie dello stesso sesso in base al deficit di protezione legislativa, osservò che le decisioni anteriori avevano trascurato di far riferimento alle modalità di famiglia costituzionalmente protetto e, concretamente se il deficit protezione dovesse risolversi tramite dell’inclusione della coppia omosessuale nel concetto di famiglia previsto nella Costituzione. In questo stesso senso osservò che la estensione del regime patrimoniale fra i compagni permanenti alle coppie composte da persone dello stesso sesso giustamente è stata preceduta dalla costituzione di questo regime legale a favore dei conviventi in una unione coniugale di fatto il cui proposito iniziale era quello di procurare la protezione della donna e della famiglia, perché i mezzi di protezione non rimanessero limitati a coloro che si fossero uniti mediante il vincolo matrimoniale e perché comprendessero anche l’unione coniugale di fatto; dopo di che stabiliva che le coppie dello stesso sesso, ai sensi dell’unione coniugale di fatto sono anch’esse una famiglia. Nelle parole della Corte

l’eterosessualità non è allora una caratteristica predicabile di ogni tipo di famiglia e nemmeno lo è la consanguineità con lo dimostra la famiglia de crianza, di modo che il denominatore comune dell’istituto familiare e delle sue diverse manifestazioni dev’essere un altro e anche se le motivazioni individuali per fondare una famiglia sono molteplici, per indagare quale sia il tratto condiviso dalle distinte categorie di famiglia e determinare se esso è presente nelle unioni omosessuali occorre ricordare che alle famiglie come quella sorta dal matrimonio o dall’unione coniugale di fatto si attribuiscono giuridicamente alcuni effetti patrimoniali e altri personali… Benché questo accordo tra i conviventi si definisca limitatamente alla coppia eterosessuale vincolata dal matrimonio o da un’unione coniugale di fatto, la Corte considera che non esistono ragioni giuridicamente attendibili per sostenere che tra i membri della coppia omosessuale non si possa ritenere che esista l’affetto, il rispetto e la solidarietà che ispirano il suo progetto di vita in comune con vocazione alla  stabilità e che queste condizioni personali meritino protezione solo quando siano processate tra eterosessuali ma non quando si tratti di coppie dello stesso sesso… stando così le cose la protezione delle coppie omosessuali non può rimanere limitata agli aspetti patrimoniali della loro unione permanente, perché vi è una componente affettiva ed emotiva che alimenta la loro convivenza e che si traduce in solidarietà, manifestazioni d’affetto, sostegno e aiuto reciproco, una componente personale che, inoltre si trova nelle unioni eterosessuali o in qualunque altro unione che benché non sia caratterizzata dall’eterosessualità di coloro che la costituiscano, sia una famiglia… gli effetti patrimoniali e le relazioni sessuali che possono esserci o no sono determinati dalle condizioni personali di un’unione che si fonda e si mantiene in ragione dell’affetto e della solidarietà di coloro che le hanno dato origine, poiché con parole che, benché esposte con riferimento al matrimonio, sono applicabili ai partner eterosessuali e omosessuali l’unione comporta un impegno personale orientato costituire una comunità di vita e di amore e se del caso una partecipazione reciproca della sessualità

La Sezione ritenne che un progetto di vita comune con una tendenza alla stabilità e con un’implicazione assistenziale reciproca goda di protezione costituzionale indipendentemente dal tipo di coppia di cui si tratti. La Corte una volta riconobbe la conformazione familiare da parte di coppie dello stesso sesso a contrario, in quanto ritenne che il concetto del matrimonio implica un vincolo che non emerge dalla mera comunità di vita che sorge dal patto coniugale, ma dalla unione giuridica prodotta dal consenso dei coniugi stessi, se si intende che la volontà che esprimono i contraenti è elemento essenziale del matrimonio e che l’unione che tra loro sorge sia un’unione giuridica, cioè che in futuro abbia il carattere di obbligo reciproco, di modo che senza consenso non vi è un vincolo giuridico e il principio formale dello stesso è il vincolo giuridico. Di fronte alle pretese dei ricorrenti di riconoscere la possibilità che le persone dello stesso presso potessero contrarre matrimonio la Corte spiegò che l’eterosessualità e la monogamia sono modelli di unione che presiedono alla definizione della famiglia, che ha origine nella convivenza della coppia senza che si esprima il consenso considerato fondamentale per il matrimonio; ugualmente indicò che l’unione libera di un uomo e di una donna, purché non abbiano vincoli di sangue e vincoli contrattuali formali, deve essere protetta poiché dà origine all’istituzione familiare; ha enfatizzato che secondo l’articolo 42 Cost. l’unione coniugale di fatto è un’unione libera di un uomo e una donna. Nonostante quanto sopra, l’Adunanza Plenaria diede atto che esisteva un deficit di protezione in confronto con le coppie eterosessuali. Considerato che per ottenere che il diritto al libero sviluppo della personalità degli omosessuali fosse rispettato e che nell’ambito delle regolamentazioni sulla famiglia si superasse il deficit di protezione cui essi sono sottomessi mancava nell’ordinamento un Istituto contrattuale distinto dall’unione di fatto che permettesse loro di scegliere tra la costruzione  di una famiglia con un grado maggiore di formalizzazione e di conseguente protezione e la possibilità di costituirla come l’unione di fatto che già era loro riconosciuta. Tuttavia affermò che doveva essere il legislatore incaricato di regolamentare una figura similare o uguale per questo tipo di coppie: la decisione sulla opzione che è chiamata a garantire l’esistenza della possibilità di scegliere, nel caso delle persone omosessuali decise a fondare una famiglia e il suo svolgimento concreto non spetti alla Corte costituzionale ma al Congresso della Repubblica tra altri motivi, perché oltre a essere il luogo di confronto democratico per eccellenza oltre al lato dei diritti la famiglia è l’istituzione basica e il nucleo fondamentale della società, e la sua trascendenza sociale impone la sua protezione mediante misure che l’organo rappresentativo è chiamato ad adottare con limiti che possono provenire  dalla componente dei diritti inerenti alla famiglia o ai suoi membri individualmente considerati … è importante porre in rilievo che secondo la Corte la determinazione del tipo e grado di protezione che richiedono gruppi di persone comparabili è stato affidato al legislatore democraticamente eletto cui, analizzando se un gruppo di persone sia meno protetto di un altro non spetta al giudice costituzionale sostituire l’apprezzamento del legislatore di imporre livelli di protezione massimi o ideali, benché gli competa stabilire se il legislatore abbia rispettato i minimi di protezione costituzionalmente obbligatori e se il deficit di protezione del gruppo ecceda i margini ammissibili e se la minore protezione corrisponda a una discriminazione proibita. In quest’ordine di idee la decisione di riservare alla legge quanto relativo alla famiglia matrimonio implica la difesa di uno spazio proprio che spetta al legislatore in modo che si impedisca ad altri poteri dello Stato disconoscerlo, e per questo la Corte non può ordinare una protezione massima, non può scegliere i mezzi che ritenga migliori disegnare un istituto giuridico o proporre una determinata politica sociale.

In base a quanto sopra l’Adunanza concluse che, contrariamente a quanto denunciato dagli attori, per quanto riguarda il matrimonio non è certo che l’articolo 113 del codice civile sia colpito da un’omissione legislativa di carattere relativo perché si limita a regolare il matrimonio tra eterosessuali in modo compatibile con la Costituzione, che, conformemente a quanto si è detto è espressamente previsto nell’articolo 42 Cost., il quale non si oppone a che il legislatore definisca i caratteri e la portata di un’istituzione che offrendo alle coppie omosessuali l’alternativa di formalizzare la loro unione, renda possibile di superare il deficit di protezione citato, che non ha la sua origine nell’espressione posta in discussione dell’articolo 113. La Corte dichiarò costituzionalmente legittime le norme in questione ed esortò il Congresso della Repubblica perché prima del 20 giugno 2013 legiferasse in maniera sistematica organizzata sui diritti delle coppie dello stesso sesso con la finalità di eliminare il deficit di protezione che secondo i termini della sentenza colpisce le menzionate coppie. Egualmente avvertì che se il 20 giugno del 2013 il Congresso della Repubblica non avesse approvato legislazione corrispondente alle coppie dello stesso sesso avrebbero potuto recarsi da un notaio dal giudice competenze a formalizzare rendere il vincolo contrattuale. In sintesi la Corte, nella sentenza 577/11 per la prima volta riconobbe in maniera esplicita che le coppie dello stesso sesso anch’esse costituiscono una famiglia. Determinò l’esistenza di un deficit di protezione sulle coppie dello stesso sesso che rendeva necessario il pronunciarsi di questo istituto senza che per questo si trascurassero due principi costituzionali che consacrano il matrimonio civile come unione tra un uomo e una donna, ragione che perentoriamente portò questo Istituto a emettere un’esortazione al Congresso della Repubblica al fine che questo organo legiferasse sulla materia. In questo modo, prevedendo un’omissione da parte del legislatore, la Adunanza di questa Corte espose la possibilità che queste coppie potessero formalizzare l’unione mediante un vincolo formale e solenne, il che non corrisponde ad un’applicazione analogica del matrimonio civile alle stesse, poiché, come espose la sentenza il Congresso della Repubblica conserverà la sua competenza legislativa sulla materia poiché così lo impone la Costituzione. Occorre precisare che il Congresso ancora non ha legiferato sui diritti delle coppie dello stesso sesso al fine di eliminare il deficit di protezione. Alla fine, dopo il decorso dei due anni, alcune di queste coppie sui rivolsero alle autorità civili di famiglia competenti per compiere quanto indicato dalla Corte nel capo quinto del dispositivo della sentenza 577, cioè formalizzare e rendere solenne il loro vincolo contrattuale. Questa situazione condusse al fatto che si presentassero diverse interpretazioni circa ciò che significasse quella ‘’celebrazione solenne’’ poiché alcuni giudici e notai realizzarono una figura di unione civile nuova senza che cambiasse lo stato civile, mentre altri decisero di prendere il contratto civile il matrimonio come una figura ragionevolmente applicabile a quanto deciso dalla Corte costituzionale.

Parafrasando la metafora di Ronald Dworkin (romanzi a catena) l’interpretazione giudiziaria che questa sentenza realizza, nel senso di estendere la figura del matrimonio civile a tutti, senza discriminazioni per ragioni sessuali, continua l’opera giurisprudenziale svolta dalla Corte costituzionale dai suoi inizi, con il fine di interpretare tutti i suoi precedenti e la sentenza 577 del 2011 in modo particolare e per concludere un’evoluzione giurisprudenziale singolare e unificata che offra la migliore interpretazione costruttiva dei diritti delle coppie dello stesso sesso vista come una narrativa giurisprudenziale in svolgimento. In definitiva, il diritto che le coppie dello stesso sesso hanno di contrarre matrimonio civile non è un capriccio momentaneo di questa Corte costituzionale. Tutto il contrario, è il ciclo di costante evoluzione giurisprudenziale in materia di protezione costituzionale delle famiglie diverse in cui i giudici di tutela e questa Corte hanno interpretato il cammino che rappresenta la lettura migliore di tutta la lunga catena di decisioni precedenti relative alle famiglie costituite da coppie dello stesso sesso.

6. Eguaglianza e dignità. La dignità secondo Kant.

Sezione 1. Il diritto a vivere e sposarsi secondo il proprio orientamento sessuale.

10. I principi di dignità umana, libertà individuale ed eguaglianza implicano che ogni essere umano possa contrarre matrimonio civile conformemente con il suo orientamento sessuale.

Nelle parole di Kant: la dignità è l’attributo di un essere razionale che non ubbidisce a nessuna altra legge che quella che egli stesso si dà. Pertanto, l’autonomia e il fondamento della dignità della natura umana costituisce un valore per cui non si può offrire alcun equivalente, cioè possiede un carattere assoluto perché non permette la negoziazione. La dignità della persona supera qualunque cosa che abbia un prezzo ed è il valore insostituibile di un essere che non si può mai negoziare.

Come guida della attività dello Stato, la dignità umana offre due dimensioni: l’individuo rimane libero da offese umiliazioni (negativa), d’altro canto gli consente di agire in libertà e di portare a termine il libero sviluppo della sua propria personalità (positiva). La dignità umana si innalza a fondamento dei principi di autonomia, libertà individuale ed eguaglianza dai quali derivano i diversi diritti fondamentali. La giurisprudenza costituzionale ha costruito solide linee interpretative giurisprudenziali in materia di dignità umana che si sintetizzano nei termini seguenti:

Una sintesi della configurazione giurisprudenziale dell’oggetto o del contenuto dell’espressione dignità umana come entità normativa si può presentare in due modi: a partire dal suo oggetto concreto di protezione e a partire dalla sua efficacia normativa. Tenendo come punto di vista l’oggetto della protezione dell’enunciato normativo ‘’dignità umana’’ la Sezione ha identificato nel corso della giurisprudenza della Corte, caratteri chiari e differenziabili: (i) la dignità umana intesa come autonomia o come possibilità di disegnare un piano di vita e di autodeterminarsi secondo le proprie caratteristiche (vivere come si voglia); (ii) la dignità umana intesa come certe condizioni materiali concrete di esistenza (vivere bene) e (iii) la dignità umana intesa come intangibilità dei beni non patrimoniali dell’integrità fisica e morale (vivere senza umiliazioni). Dall’altra parte, tenendo come punto di riferimento l’efficacia o il funzionamento dell’enunciato normativo ‘’dignità umana’’, la Sezione ha identificato tre principi: (i) la dignità umana intesa come principio fondante dell’ordinamento giuridico e pertanto dello Stato è in questo senso la dignità come valore; (ii) la dignità umana intesa come principio costituzionale e (iii) la dignità umana intesa come diritto fondamentale autonomo.

(a)      L’autonomia dell’individuo. Vivere come si vuole, vivere bene, vivere senza umiliazioni.

Dal principio della dignità umana deriva la piena autonomia dell’individuo di scegliere la persona con cui vuole assumere un vincolo permanente e coniugale, sia esso naturale o solenne, i cui scopi sono stare insieme, aiutarsi reciprocamente, godere di un’associazione intima nel corso dell’esistenza e formare una famiglia. Questa scelta libera e autonoma forma parte della dignità di ogni persona individualmente considerata e si estrinseca negli aspetti più intimi rilevanti del posto per determinarsi in tre ambiti concreti riconosciuti dalla giurisprudenza costituzionale cioè vivere come si voglia, vivere bene e vivere senza umiliazioni.

(b)      La intollerabilità costituzionale di due forme di unione.

In questo senso lo Stato non può tollerare l’esistenza di due categorie di unioni solenni per consolidare giuridicamente la comunità di convivenza eterosessuale od omosessuale, ogni volta che ciò comporti un trattamento differenziato fondato sull’orientamento sessuale, che infrange la dignità della persona umana. Per questa Corte, laddove esiste la volontà di essere in relazione in modo permanente e formare una famiglia esiste un vincolo che merita eguaglianza di diritti e di protezione da parte dello Stato.

La libertà non consiste nel non essere sottomesso al sottoposto a regole, ma nel dare a se stesso norme di azione che ci impegnano nella nostra vita per essere veramente liberi.

L’autonomia che ha l’essere umano di contrarre matrimonio senza distinzioni sociali, etniche, razziali, nazionali o a causa della sua identità sessuale è un predicato della dignità umana. Da ciò risultano ammissibili costituzionalmente solo le limitazioni riferite a certi gradi di consanguineità, all’assenza di un libero consenso e all’esistenza di un altro vincolo matrimoniale.

La libertà costituzionale di unirsi a un altro essere umano, sia mediante un vincolo giuridico naturale, sia mediante un vincolo solenne per mezzo della celebrazione di un matrimonio è un diritto che deriva dalla ragione degli esseri umani, nella cui natura e volontà confluisce una cosa così essenziale come la necessità di essere in relazione con un’altra persona per condividere l’esistenza e sviluppare un progetto di vita comune. Il vincolo permanente di questa libera scelta è bastato sui vincoli o sentimenti più vitali ed elementari della condizione umana. Ciò è tanto vero che in molti casi i suoi effetti trascendono la vita in se stessa poiché anche dopo la morte le persone continuano a definirsi a determinarsi sulla base del vincolo che hanno assunto in questa essenziale unione denominata dalle diverse culture matrimonio.

(c)      Loving v Virginia. Autonomia, eguaglianza e non discriminazione.

Nel diritto comparato, per esempio, la Corte Suprema degli Stati Uniti nella causa Loving v. Virginia ha dichiarato nulle le proibizioni alle relazioni interrazziali, poiché la celebrazione del matrimonio è uno dei diritti personali, vitali ed essenziali per il perseguimento ordinato della felicità per gli uomini liberi. E più di recente nella sentenza del 26 giugno del 2015 nel caso Obergefell la Corte Suprema ha considerato che il diritto alla decisione personale riguardo al matrimonio è inerente al concetto dell’autonomia individuale. Quanto sopra perché le decisioni sul matrimonio modellano il destino di un individuo.

Il diritto delle coppie eterosessuali e omosessuali a celebrare unione coniugale formale la cui principale espressione è costituita dal matrimonio civile è anche una manifestazione del diritto fondamentale all’uguaglianza di trattamento.

Nella Costituzione politica del 1991 l’eguaglianza compie una triplice funzione: (i) come valore (ii) come principio costituzionale e (iii) come diritto fondamentale. Questo carattere multiforme deriva dalla sua consacrazione in precetti di diverso spessore normativo che compiono funzioni differenti nel nostro ordinamento giuridico. Così il preambolo stabilisce tra i valori che intende assicurare il nuovo ordine costituzionale l’eguaglianza, mentre l’articolo 13 della Costituzione è la fonte del principio e diritto fondamentale di eguaglianza. Inoltre esistono altri precetti di eguaglianza sparsi nel testo costituzionale, che agiscono come norme speciali che concretizzano l’eguaglianza in certi ambiti definiti dal Costituente.

Un’altra particolarità dell’uguaglianza è che, a differenza di altri principi e diritti fondamentali, non protegge un ambito specifico di libertà o l’accesso a una prestazione concreta ma può essere invocata a fronte di qualsiasi trattamento differenziato che si consideri ingiustificato. Da questo deriva una delle sue caratteristiche più importanti: il suo carattere relazionale.

Sezione 2. Lo scrutinio di costituzionalità alla luce del principio di eguaglianza

L’eguaglianza normativa presuppone una comparazione tra due o più trattamenti giuridici che funzionano come tertium comparationis; per regola generale un trattamento giuridico non è discriminatorio considerato in maniera isolata in relazione a un altro. La comparazione generalmente non ha luogo con riferimento a tutti gli elementi che fanno parte della regolamentazione giuridica di una determinata situazione, ma unicamente con riferimento a quegli aspetti che sono rilevanti tenendo in conto il fine del trattamento differente. L’eguaglianza costituisce anche un concetto relativo: due regolamentazioni giuridiche non sono uguali o diverse tra loro in tutti i loro aspetti ma rispetto ai criteri impiegati per l’equiparazione.

Il carattere relazionale del principio e diritto fondamentale all’eguaglianza comporta non solo l’esame del precetto della norma giuridica sospettata di incostituzionalità, ma anche l’esame di ciò rispetto a cui si alleghi un ingiustificato trattamento differente.

In conseguenza di quanto sopra, l’esercizio del controllo di costituzionalità in termini di uguaglianza o presenta le sue particolarità, in quanto non si tratta di determinare la validità di una norma giuridica confrontandola esclusivamente con l’articolo 13 della Costituzione.

Il controllo di costituzionalità, in questi casi, non si riduce a un giudizio astratto di adeguatezza tra la norma impugnata e il precetto costituzionale che serve da parametro ma include un’altra regolamentazione giuridica che funziona come termine di paragone. Di conseguenza, si genera una relazione tra norme che deve essere affrontata utilizzando strumenti metodologici speciali tali come il test di eguaglianza impiegato dalla giurisprudenza di questo Istituto.

L’assenza di un contenuto materiale specifico del principio di eguaglianza non significa che si tratti di un precetto costituzionale vuoto. A partire dalla famosa formulazione aristotelica di trattare ugualmente gli uguali e in modo disuguale i disuguali, la dottrina e la giurisprudenza si sono sforzate di precisare la portata del principio generale di uguaglianza, da cui si distaccano due norme che vincolano i poteri pubblici: (i) un imperativo di eguale trattamento che obbliga a trattare egualmente situazioni di fatto equivalenti, sempre che non esistano sufficienti ragioni per attribuire loro un trattamento diverso, e (ii) un precetto di trattamento diverso che obbliga le autorità pubbliche a differenziare tra situazioni distinte.

I contenuti iniziali del principio di eguaglianza possono essere scomposti in quattro precetti: (i) accordare un trattamento identico a destinatari che si trovino in circostanze identiche; (ii) dare un trattamento interamente diverso a destinatari le cui situazioni non condividano alcun elemento in comune; (iii) attribuire un trattamento paritario a destinatari le cui situazioni presentino similitudini e differenze quando le prime siano più rilevanti delle seconde e (iv) offrire un trattamento differenziato a destinatari che si trovino in una posizione in parte simile e in parte diversa, ma nel caso in cui le differenze siano più rilevanti delle somiglianze.

(a)      Il test di uguaglianza.

La giurisprudenza costituzionale ha disegnato una specifica metodologia per affrontare i casi relativi alla supposta violazione del principio-diritto fondamentale all’eguaglianza: il test composto di eguaglianza, le cui fasi costitutive sono state descritte nelle decisioni 93 e 673 del 2001. Questo giudizio parte da un esame del trattamento giuridico dei soggetti in comparazione con l’obiettivo di determinare se si possa porre un problema di trattamento differenziato, trattandosi di soggetti che presentino tratti comuni che di principio obbligherebbero a un trattamento egualitario da parte del legislatore. Subito dopo si stabilisce se sul piano fattuale e quello giuridico esista un trattamento diverso tra uguali o eguale tra diversi. Alla fine si determina l’intensità del test di eguaglianza in conformità con i diritti costituzionali lesi dal trattamento differenziato per realizzare in conclusione un giudizio di proporzionalità con le sue distinte tappe: adeguatezza, idoneità e proporzionalità in senso stretto circa il trattamento differenziato.

A fronte della varietà di materie su cui può cadere l’azione dello Stato, si è ritenuto opportuno includere nello studio dell’uguaglianza da parte del giudice costituzionale strumenti interpretativi che rendono possibile realizzare scrutini con differenti gradi di intensità.

Si è detto allora che di regola si applica un controllo debole o flessibile nel cui l’esame si limita a determinare se la misura adottata dal legislatore sia potenzialmente adeguata o idonea a raggiungere un fine che non sia proibito dalla Costituzione. Un giudizio intermedio si applica in scenari in cui l’autorità ha adottato misure di differenziazione positiva (azioni affermative). In quest’analisi l’esame consiste nel determinare che il sacrificio da parte della cittadinanza risulti proporzionale al beneficio atteso dalla misura nei confronti del gruppo che si ritiene di promuovere. Infine l’esame restrittivo si effettua quando il legislatore nello stabilire un trattamento discriminatorio da categorie sospette come la razza, l’orientamento sessuale o l’affiliazione politica: in tal caso il legislatore deve perseguire un fine necessario e urgente e la misura deve dimostrarsi come l’unica adeguata per raggiungerlo.

(b)      … è restrittivo in caso di limitazioni al diritto fondamentale di sposarsi.

Nel caso concreto, stabilire un trattamento differente tra le coppie eterosessuali e quelle omosessuali nel senso che, mentre le prime possono formare una famiglia sia con un’unione coniugale di fatto che con un matrimonio civile, le seconde possono farlo soltanto per mezzo della prima opzione configura una categoria sospetta fondata sull’orientamento sessuale, che non riesce a superare un test restrittivo di eguaglianza in quanto non persegue nessuna finalità costituzionalmente ammissibile.

Oltre a quanto sopra, e in materia di esame di costituzionalità, il diritto a contrarre matrimonio a fondare una famiglia è un diritto classico che fa parte della tradizione giuridica occidentale. Per questa ragione appare consacrato in diversi strumenti internazionali di sui diritti umani. Così per esempio la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dispone:

articolo 16

Uomini e donne, a partire dall’età coniugale hanno il diritto, senza alcuna restrizione per ragioni di razza, nazionalità o religione di sposarsi e fondare una famiglia e godranno di eguali diritti coniugali durante il matrimonio e in caso di scioglimento dello stesso.

Egualmente il diritto a contrarre matrimonio a formare una famiglia appare consacrato nel patto internazionale dei diritti civili e politici, articolo 23, e nella Convenzione Americana sui Diritti Umani, articoli 17 e 24. Recentemente nella sentenza del 26 febbraio 2016, nella causa Duque v. Colombia la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha ribadito i suoi precedenti sul principio di non discriminazione tra coppie dello stesso sesso:

“…la Corte interamericana ha già stabilito che l’orientamento sessuale e l’identità di genere delle persone sono categorie protette dalla Convenzione. Perciò è proibita dalla convenzione qualunque norma, atto o pratica discriminatoria fondata sull’orientamento sessuale della persona. Di conseguenza nessuna norma, decisione o pratica di diritto interno, sia da parte delle autorità statali che da parte di privati, possono diminuire o restringere in alcun modo i diritti di una persona in base al suo orientamento sessuale”.

Di conseguenza le norme costituzionali attinenti alla formazione della famiglia e alla celebrazione di un matrimonio si devono interpretare armonicamente con gli standard internazionali esistenti in materia.

Non esiste una ragione costituzionalmente ammissibile perché lo Stato neghi questo diritto a certe persone basandosi sul loro orientamento sessuale poiché ciò costituirebbe una violazione contro l’insieme delle garanzie di dignità umana, libertà ed eguaglianza che l’ordinamento irradia come clausole di sradicamento di tutte le ingiustizie. Affermare il contrario condurrebbe a negare i cambiamenti strutturali avvenuti con l’entrata in vigore della Carta Polìtica del 1991.

Alla luce di una concezione siffatta, la Costituzione della Colombia, quanto i principi della dignità umana libertà ed eguaglianza è cieca quanto alle razze, ai colori, all’origine etnica, alla religione, all’orientamento sessuale, allo status sociale o a qualsiasi altra qualità che potrebbe dar luogo alla discriminazione o al trattamento differenziato della persona umana.

Così stando le cose, i principi di dignità umana, libertà individuale ed eguaglianza implicano che ogni essere umano possa contrarre matrimonio civile conformemente al suo orientamento sessuale.

Oltre a quanto precede, l’articolo 42 della Costituzione stabilisce espressamente che il matrimonio sorge dal vincolo tra un uomo e una donna: da questa descrizione normativa con cui si consacra un diritto a favore delle persone eterosessuali non deriva che esista una proibizione perché altre non lo esercitino in eguaglianza di condizioni. Stabilire che gli uomini e le donne possano sposarsi tra loro non implica che la Costituzione escluda la possibilità che questo vincolo si celebri tra anche tra donne o tra uomini.

Questo si deve al fatto che nell’interpretazione della Costituzione, l’enunciazione espressa di una categoria non esclude l’esistenza di altre, incorporando di per sé la regola di interpretazione inclusio unius est exclusio alterius, poiché la Carta Politica non è una norma generale scritta in un linguaggio proibitivo. Al contrario, la Costituzione, essendo scritta nel linguaggio deontico dei principi e diritti fondamentali, il suo contenuto essenziale si determina basandosi sul principio logico giuridico kelseniano secondo cui ciò che non è giuridicamente proibito è permesso.

Alla luce di quanto precede la Adunanza Plenaria ritiene che la Costituzione in nessuna parte esclude la possibilità di contrarre matrimonio da parte di persone dello stesso sesso.

Sezione 3. (segue) Infondatezza della tesi della esecuzione della sentenza 577/11 mediante ricorso a un contratto civile innominato: fomite di incertezza giuridica ed esistenziale

(a)      Limiti del contratto avente gli stessi effetti del matrimonio

11 Effetti giuridici del considerare che le unioni solenni realizzate da coppie dello stesso sesso sono un contratto civile, non un matrimonio (identificazione del trattamento discriminatorio).

Ai termini dell’articolo 113 del codice civile e in conformità con la sentenza 727 del 2015 la celebrazione di un matrimonio genera i seguenti effetti giuridici: Il matrimonio genera due tipi di effetti. Quelli personali comprendono l’insieme di diritti e doveri che sorgono per i coniugi tra di loro e rispetto ai loro figli, così come la fedeltà, l’assistenza, il mutuo aiuto e la convivenza. D’altra parte, gli effetti patrimoniali presuppongono la creazione della società coniugale o società di beni. Detti effetti sono così importanti per la società che è necessario che siano regolati dalla legge, che deve stabilire i meccanismi necessari per circondare di garanzie il consenso dei coniugi, elemento essenziale del matrimonio e fonte dei diritti e degli obblighi che nascono da esso. Così, la regolazione regolamentazione affidata al legislatore da un lato limita l’interferenza di altri poteri pubblici e dall’altro presuppone che le parti accettino e si sottopongano anche alle norme di ordine pubblico che disciplinano il matrimonio.

In materia di accesso agli impieghi pubblici e di contratti di lavoro con lo Stato il vincolo matrimoniale ha alcuni effetti giuridici in ciò che attiene alle incompatibilità e incapacità. Altrettanto accade per ciò che riguarda la regolamentazione della cittadinanza. Egualmente, il matrimonio modifica lo stato civile delle persone ai termini dell’articolo primo del decreto 1260 del 1970: lo stato civile di una persona nella sua situazione giuridica nella famiglia e nella società data la sua capacità di esercitare certi diritti e contrarre certe obbligazioni, è indivisibile, indisponibile e imprescrittibile e la sua assegnazione dipende dalla legge.

Per questo che la celebrazione di un matrimonio ai termini dell’articolo cinque del citato decreto fa parte degli atti soggetti a registrazione.

In quest’ordine di idee, interpretando che le coppie omosessuali debbano realizzare un contratto solenne che non configuri un matrimonio civile conduce, tra gli altri, ai seguenti risultati: (i) non si costituisce formalmente una famiglia (ii) non sorgono i doveri di fedeltà e di mutuo soccorso (iii) i contraenti non modificano il proprio stato civile (iv) è impossibile sottoscrivere convenzioni matrimoniali (v) i contraenti non entrano nel reciproco ordine di successione (vi) risulta impossibile sottoscrivere convenzioni patrimoniali (vii) non si ha certezza sulle cause di cessazione del vincolo tra i contraenti (viii) qualora stabiliscano la loro residenza in altri Paesi, le relative autorità non offrirebbero loro la protezione legale che hanno i coniugi con l’unione solenne, poiché queste autorità non riconoscono il loro gli effetti che hanno nel nostro sistema giuridico (ix) in materia tributaria non potrebbero invocare certi benefici per il fatto di essere coniugati o di avere un compagno permanente. In conclusione nessun contratto solenne innominato atipico celebrato tra coppie dello stesso sesso potrebbe arrivare a produrre gli stessi effetti personali e patrimoniali di un matrimonio civile. In conclusione i contratti civili innominati che cercano  di dare solennità e di formalizzare le unioni tra coppie dello stesso sesso diversi dal matrimonio civile non colmano il deficit di protezione identificato nella sentenza 577 del 2011 nelle cui parole: le coppie dello stesso sesso sono relegate a una instabilità che molte coppie di sesso opposto considererebbero intollerabili intollerabile nelle loro proprie vite.

(b)     (segue) Apprezzamento dei giudici che avevano celebrato matrimoni civili in esecuzione della sentenza 577/11

12 I giudici civili che hanno celebrato matrimoni tra coppie dello stesso sesso successivamente al 20 giugno 2013 hanno agito in conformità con la Costituzione e i trattati internazionali sui diritti umani nell’esercizio della loro autonomia giudiziaria.

L’articolo 228 della Costituzione consacra i principi di autonomia e indipendenza dei giudici; elementi essenziali per l’esercizio dei diritti fondamentali in uno Stato sociale di diritto.

Dalle sue prime decisioni della Corte costituzionale ha costruito una solida linea giurisprudenziale intorno al concetto della funzione giudiziaria e delle sue caratteristiche implicazioni riconoscendone il carattere di diritto fondamentale. Il principio dell’autonomia giudiziaria si trova egualmente consacrato in numerosi strumenti internazionali sui diritti umani. Così per esempio la Convenzione Americana sui Diritti Umani nel suo articolo 8 che si riferisce al tema delle garanzie giudiziarie dispone che ogni individuo abbia diritto a essere giudicato da un Tribunale indipendente e imparziale. Nello stesso senso il legislatore nazionale nell’articolo cinque della legge 270 del 1996 incluse come uno dei principi regolatori dell’amministrazione della giustizia la autonomia e indipendenza del potere giudiziario.

Nel caso concreto dei giudici civili che successivamente al 20 giugno del 2013 hanno celebrato dei matrimoni civili tra coppie omosessuali, basandosi su un’applicazione analogica dell’ordinamento legale vigente e sul rispetto della dignità umana la Corte ritiene che abbiano agito conformemente alla Costituzione e nel perimetro della loro autonomia giudiziaria, l’Adunanza Plenaria ritiene che celebrare un contratto civile di matrimonio tra coppie dello stesso sesso è un modo legittimo e valido di realizzare i principi e valori costituzionali e una forma di assicurare il godimento effettivo del diritto alla dignità umana a formare una famiglia senza che importi quale sia la propria identità di genere o il proprio orientamento.

Nella sentenza 577 del 2011 la Corte ha constatato che, mentre le famiglie di persone di sesso diverso possono costituirsi di fatto e di diritto, quelle omosessuali possono farlo solo di fatto. Non essendo stato colmato il vuoto legislativo esistente, ed essendo il matrimonio l’unico contratto solenne vigente nell’ordinamento giuridico colombiano, per formare una famiglia, risulta ragionevole che in base ai principi di dignità umana, libero sviluppo della personalità e dell’eguaglianza un giudice della Repubblica abbia applicato logicamente l’articolo 113 del codice civile al fine di adempiere agli scopi indicati nella decisione 577 del 2011. In tal misura, nei casi concreti l’ufficio nazionale del registro di stato civile ha disconosciuto i diritti alla dignità alla libertà personale e all’eguaglianza delle coppie dello stesso sesso garantiti dai giudici della Repubblica negando di adempiere al suo dovere di iscrivere nel registro di stato civile i matrimoni quali militari.

Similmente la Corte considera che anche i notai pubblici che si sono rifiutati di celebrare matrimoni civili tra coppie dello stesso sesso, benché siano privati che esercitano una funzione pubblica e in fondo non siano protetti dal principio dell’autonomia giudiziale hanno realizzato un’interpretazione erronea della sentenza 577 del 2011 della Costituzione. Di conseguenza successivamente al 20 giugno del 2013 non potevano rifiutarsi di celebrare un matrimonio civile tra coppie dello stesso sesso e neppure limitarsi a formalizzare un altro tipo di contratto civile tra quelle parti poiché questi negozi giuridici non sono a superare il deficit di protezione segnalato nella sentenza 577 del 2011.

7. Conclusioni e disposizioni della Corte.

Sezione 1. Disposizioni riguardanti le singole azioni di tutela

(a)      La inammissibilità delle azioni della Procura generale e i casi di cessata materia del contendere

A questo punto la Corte esamina i singoli casi giunti alla sua cognizione in sede di revisione al termine dell’azione di tutela.

Nel primo caso, concernente l’azione di tutela proposta contro un notaio pubblico che si era rifiutato di celebrare un matrimonio, e accolta dal giudice municipale competente, con decisione revocata in grado d’appello, dopo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale i ricorrenti avevano rinunciato al ricorso. La rinuncia era motivata dalla circostanza che l’inutile lite affrontata dalle parti aveva addirittura posto in crisi il loro coppia, che, non costituendo più una famiglia, non aveva più interesse a procedere; tuttavia la Corte costituzionale rileva che la rinuncia non è di per sé stessa valida ogni volta che il tema oggetto dell’azione di tutela coinvolge elementi che siano di interesse generale e potrebbe proporre produrre effetti solo se contemporaneamente venisse meno la materia del contendere. Poiché le parti non intendevano più contrarre matrimonio civile la Corte dichiara la cessazione della materia del contendere annullando tutte le sentenze di merito precedenti.

Nel secondo e nel quinto caso, l’azione di tutela era stata proposta dalla Procura avverso un matrimonio celebrato dal giudice municipale ottenendo ragione in prime cure, con decisione in cui il Tribunale aveva ordinato che l’atto si considerasse un contratto innominato e non un matrimonio, ma i entrambi i casi la Corte di Appello aveva affermato la sua carenza di legittimazione attiva, con decisioni confermate qui dalla Corte.

Nel terzo caso le parti avevano proposto di tutela contro un notaio pubblico che aveva rifiutato di trascrivere un atto di matrimonio la cui richiesta era stata già accolta dal competente giudice municipale. L’azione era stata portata alla cognizione del collegio disciplinare del consiglio superiore giudiziario (in unica istanza di merito) che aveva concesso quanto richiesto. La Corte dichiara di condividere la decisione del consiglio giudiziario. Tuttavia dichiara la cessazione della materia del contendere poiché il matrimonio era stato iscritto nel frattempo nel registro di stato civile.

(b)     Il matrimonio come unica possibilità di eseguire la sentenza 577/11.

Nel quarto caso anch’esso riguardante un’azione di tutela contro un notaio respinta in primo grado con decisione confermata in appello, la Corte, agendo come guardiana della Costituzione del 1991, e ribadendo che l’unico significato costituzionalmente ammissibile nell’espressione “Istituto che renda possibile solennizzare formalizzare un vincolo all’interno di una coppia omosessuale” è quella del matrimonio civile revoca la decisione di appello e accorda la tutela invocata, ordinando al notaio di accogliere la richiesta di celebrazione del matrimonio egualitario proposto dalle parti e allo stesso tempo all’ufficiale di stato civile di registrare il relativo atto.

Nel sesto caso sopra menzionato, dove un uomo transgender e la sua compagna si erano visti dichiarare d’ufficio la nullità assoluta del matrimonio in un primo momento celebrato dal giudice, per decreto dello stesso giudice da cui l’azione di tutela era stata respinta in primo grado, a causa della mancanza impugnativa del decreto che aveva dichiarato la nullità del matrimonio la Corte ricorda che la Corte d’Appello aveva ordinato alla Procura Generale della Nazione di archiviare l’indagine posta in essere su segnalazione del giudice municipale che aveva dichiarato la nullità. Nel resto la Corte d’Appello aveva accolto l’azione di tutela in quanto il giudice municipale non è competente per decretare la nullità di matrimonio. La Corte costituzionale, dopo avere sottolineato che le persone transgender, in un’esistenza che non corrisponde con lo stesso loro assegnato alla nascita, sono una categoria dalla manifesta debolezza sociale, che pertanto gode di una speciale protezione costituzionale per essere stata storicamente sottoposta a discriminazione, identifica tre violazioni dei diritti fondamentali del ricorrente (i) quello al giusto processo (ii) quella al diritto a unirsi formalmente con la sua compagna (iii) quello alla discriminazione sia dell’orientamento sessuale sia dell’identità di genere dell’attore. Pertanto accoglieva il suo ricorso. La trasmissione degli atti alla Procura Generale, aggiunge la Corte, lasciata in vita dalla Corte d’Appello, era illegittima. Pertanto, la sentenza della Corte d’appello resa nella azione di tutela era confermata tranne la detta trasmissione di atti, che avrebbe potuto porre in essere indagini per reati di falso processuale manifestamente privi di fondamento e che configurava pertanto di per sé una violazione della Costituzione.

Sezione 2. La estensione della sentenza a tutti i casi simili.

Così risolti i casi concreti, la Corte costituzionale aggiunge che la propria decisione non è limitata ai ricorrenti, come generalmente avviene per una azione di tutela, con effetti inter partes, ma per l’incidenza di un’eccezionale interesse pubblico alla tutela di diritti fondamentali in una situazione di disordine interpretativo, li estende, e no secondo la formula inter comunis che riguarda tutti i membri di una comunità ( ad esempio, gli iscritti a un fondo pensione) nelle stesse circostanze, in cause di mero diritto il cui punto di fatto sia pacifico: infatti, non tutti gli omosessuali colombiani chiesero di sposarsi dopo il 20 giugno 2013. La estende inter pares, cioè a consociati in una situazione fattuale di immediato accertamento che fosse uguale o simile. Tanto in base alle considerazioni che le sentenze di revisione di tutela della Corte rendono tutti  i giudici vincolati dagli effetti della decisione, che assicura il principio di supremazia costituzionale sia effettivamente rispettato e che i diritti fondamentali che debbano ricevere per mandato della Costituzione protezione immediata non si perdano nei labirinti dei conflitti di competenza che impediscono che si amministri prontamente immediatamente e completamente giustizia in spregio ai diritti inalienabili della persona. La sentenza 577 del 2011 poi, aveva dato adito a diverse interpretazioni circa gli effetti che sarebbero scaturiti dall’omessa attività legislativa in materia del Congresso della Repubblica entro il termine dalla sentenza assegnato. Di conseguenza la Corte costituzionale ritiene che al fine di proteggere i diritti fondamentali dei terzi non vincolati come parti da queste azioni di tutela l’opzione che meglio proteggeva le coppie omosessuali al fine di assicurare l’effettività loro diritti era la figura degli effetti inter pares della sentenza, che dovrà essere quindi deve essere quindi applicata tutte le volte che si tratti di proteggere casi di persone si trovino in una situazione uguale. Perciò estende con effetti inter pares il portato della sentenza tutte le coppie omosessuali che successivamente al 20 giugno 2013 si fossero rivolte ai giudici un notaio del paese in cui fosse stata negata la celebrazione di un matrimonio civile in base all’orientamento sessuale o che avessero celebrato un contratto da per rendere solenne formale loro vincolo senza denominarlo né dagli effetti di un matrimonio civile che pur avendo celebrato matrimonio civile si fossero viste viste opporre il rifiuto dell’ufficiale di stato civile a registrare il relativo atto; ordinando altresì che dal giorno della sentenza in poi questi vincoli dovranno in Colombia essere formalizzati mediante matrimonio civile sia davanti a un giudice municipale sia davanti a un notaio pubblico e mandando all’organo di autogoverno della magistratura e a quelli apicali del Notariato e dello Stato Civile la diffusione della sentenza, con la indicazione della sua vincolatività, a giudici, notai e ufficiali di stato civile.

La Corte aggiunge che i matrimoni tra omosessuali celebrati dopo il 20 giugno 2013 sono validi e che bene hanno agito i giudici che li hanno celebrati.

[1] Le tutele concesse o negate dai giudici di merito sono selezionate da apposita Sezione di Spoglio e assegnate a una Sezione di revisione composta da tre Giudici; ogni Giudice presiede una Sezione. Tuttavia in caso di cambiamento di giurisprudenza o di conflitto giurisprudenziale decide l’Adunanza Plenaria, su segnalazione delle parti o di un Giudice ( Acuerdo n. 2/15, Regolamento della Corte, artt 54 e ss )

[2] Competente a celebrare è anche il Notaio ai sensi del decreto 2668/88 seguendo le stesse formalità con la richiesta di pubblicazione e l’editto affisso per quindici giorni, salva la competenza del Giudice sulle opposizioni eventuali.

 [3] La familia es el núcleo fundamental de la sociedad. Se constituye por vínculos naturales o jurídicos, por la decisión libre de un hombre y una mujer de contraer matrimonio o por la voluntad responsable de conformarla.

[4] La azione concerne solo il cambiamento del nome, non del genere.

[5] Precisamente, il decreto Legge 1260/70 sullo stato civile prevedeva che una modifica della indicazione del sesso indicato nell’atto di nascita possa avvenire solo mediante decisione giudiziaria: artt 88 e ss. Con decreto 1227/15 è stata consentita una agile procedura notarile senza interventi giudiziari.

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*Avvocato dello Stato

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