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Nel procedimento di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. d) L.184/1983 il conflitto di interessi del minore con il genitore è in re ipsa?

 di Giuseppina Pisciotta*

2015-02-15 19.16.10Con ricorso depositato in data 19 febbraio 2016 il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma ha impugnato la sentenza n. 7127/2015 con cui la Corte ha confermato la decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma (sentenza n. 299 del 30 giugno 2014) che ha disposto farsi luogo all’adozione speciale ex art.44 lett. d) della legge 184 del 1983 di una minore da parte della compagna della madre biologica.

Nel ricorso il P.G. indica quale primo motivo di nullità dell’intero procedimento di adozione “speciale” ex art. 44 lett. d) della Legge 184/1983 la “omessa nomina del curatore speciale della minore ai sensi dell’art. 78 c.pc.” asserendo che “nel procedimento di adozione il conflitto di interessi” tra genitore rappresentante legale del minore adottando e minore “è in re ipsa”.

L’art. 78 c.p.c. – continua il P.G. – rappresenta una norma generale che autorizza il giudice a procedere d’ufficio alla nomina del curatore speciale tutte le volte in cui ravvisi un “potenziale conflitto di interessi”; in tal senso andrebbe consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione (confermata anche dalla Corte Costituzionale con sentenza n.83 del 2011).

Sul punto, premesso che, come si avrà modo di dimostrare, tali affermazioni di principio appaiono infondate nel caso in questione, si ritiene di procedere con ordine distinguendo l’ipotesi di rappresentanza del minore nel procedimento in materia di adozione legittimante da quella nel procedimento per adozione in casi particolari.

Ed invero, l’affermazione secondo cui “nel procedimento di adozione il conflitto di interessi” tra genitore rappresentante legale del minore adottando e minore  “è in re ipsa”  ha un fondamento se riferita all’adozione legittimante regolata dal Titolo II della Legge 184/1983 che presuppone il procedimento relativo allo stato di abbandono del minore in cui il genitore è coinvolto in proprio in quanto soggetto alla verifica della sussistenza del presupposto stesso richiesto dalla legge per lo stato di adottabilità e si troverebbe quindi a rappresentare in giudizio se stesso e il minore adottando in un oggettivo stato di conflitto di interessi.

In tal senso si è espressa Cassazione civile, sez. I, 19/07/2010, n. 16870 secondo cui “il nuovo procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità – configurato dalla L. n. 149 del 2001, che ha profondamente modificato quello disciplinato dalla L. n. 184 del 1983 – non prevede la nomina necessaria di un curatore speciale al minore, il quale è rappresentato nel giudizio o dai genitori ovvero dal tutore, perché il procedimento è unico ed immediatamente contenzioso essendo stata soppressa la fase dell’opposizione di cui al previgente art. 17 della L. n. 184 del 1983 -, con la conseguenza che il rappresentante legale è investito sin dall’apertura del procedimento della rappresentanza del minore. Tale procedimento – continua la Corte – ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 8, comma 4, e art. 10, comma 2, come sostituiti dalla L. n. 149 del 2001, deve svolgersi fin dalla sua apertura con l’assistenza legale del minore, il quale è parte a tutti gli effetti del procedimento e, in mancanza di una disposizione specifica contraria, sta in giudizio a mezzo di un rappresentante secondo le regole generali, quindi a mezzo del rappresentante legale (genitore o tutore), ovvero, in caso di conflitto d’interessi del rappresentate legale con il minore, di un curatore speciale, soggetti questi (genitore, tutore, curatore speciale) ai quali compete la nomina del difensore tecnico. Nel medesimo procedimento, il conflitto di interessi tra minore e genitore è in re ipsa, per incompatibilità anche solo potenziale delle rispettive posizioni – avuto riguardo allo stesso oggetto del giudizio”.

Stesso principio, ad avviso di chi scrive, non pare possa essere espresso con riguardo all’adozione in casi particolari, disciplinata dal Titolo IV della Legge 184 del 1983 il cui presupposto non è lo stato di abbandono del minore e, con riguardo in particolare all’ipotesi prevista dall’art. 44 lett.d), addirittura “vi è la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, impossibilità non solo di fatto ma anche di diritto (così Corte d’appello di Roma n. 7127/2015 oggi impugnata).

In tal senso la Corte di Cassazione secondo cui “l’adozione in casi particolari tende alla realizzazione dell’interesse del minore, con la conseguenza che legittimamente il giudice rigetta la domanda quando insorgano forti contrasti tra il richiedente l’adozione e il genitore del minore, che abbiano creato in quest’ultimo notevole sofferenza” (Cassazione civile, sez. I, 19/10/2011,  n. 21651).

A tale conclusione la Corte di cassazione giunge dopo avere valutato se nel procedimento avente ad oggetto una richiesta di adozione ai sensi dell’art. 44 lett. b), Legge 184 /1983, vi fosse la violazione degli art. 78, 79 e 80 c.p.c. in ordine alla necessità di nomina di un curatore speciale.

“Invero” afferma la Corte “gli artt. 78, 79 e 80 c.p.c., prevedono la nomina di un curatore speciale, tra l’altro, in caso di conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante. L’art. 320 c.c., comma 6, prevede ipotesi di conflitto di interessi, tra genitore e figlio, ma soltanto patrimoniali. Al contrario gli artt. 347 e 360 c.c., … individuano – ma solo in materia di tutela – conflitto di interessi, anche personali”.

D’altra parte nel procedimento previsto dall’art. 45 “il minore ultraquattordicenne esprime il suo consenso all’adozione, il legale rappresentante (genitore o tutore), in caso di età inferiore dell’adottando, viene sentito” e il successivo art. 46 “assicura una netta preminenza alla posizione del genitore che deve prestare il suo assenso.”

Ciò non escluderebbe – secondo la Corte – in linea di principio, l’applicabilità dell’art. 78 c.p.c., e segg., in caso di conflitto di interessi tra il minore e il suo legale rappresentante (nella specie il genitore). Tuttavia il conflitto deve essere provato fornendo indicazioni specifiche al riguardo: il conflitto deve essere concreto, diretto ed attuale, e sussiste se al vantaggio di un soggetto corrisponde il danno dell’altro.

Ciò che va dimostrato – conclude la Corte – non è tanto “il deterioramento di rapporti tra il genitore dell’adottando e il coniuge richiedente” ma piuttosto “l’interesse reale della minore …di essere adottata”.

Tale posizione, espressa proprio con riguardo al procedimento per l’adozione in casi particolari, conferma l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione in generale per tutti i casi in cui può manifestarsi un potenziale conflitto di interessi tra genitori –rappresentanti legali- e minori ncorché la presenza del curatore speciale non sia prevista normativamente.

In questa direzione va ad esempio Cass. n. 2489 del 1992 secondo cui “non si configura conflitto di interessi tra il genitore ed il minore da lui legalmente rappresentato, e non è, conseguentemente, necessaria la nomina di un curatore speciale, ai sensi dell’art. 320 ultimo comma c.c., quando il compimento dell’atto, pur avendovi i due soggetti un interesse proprio e distinto, realizza un vantaggio comune di entrambi senza danno reciproco” (la fattispecie riguardava la presenza della madre anche in rappresentanza del figlio minore in un giudizio avente ad oggetto la richiesta di risarcimento per la morte del padre) .

In tal senso si è espressa Cassazione civile, sez. I, 13/04/2001,  n. 5533 (di recente confermata da Cassazione civile, sez. I, 02/02/2016n. 1957) in tema di riconoscimento del figlio naturale, secondo cui “il conflitto di interessi nel rapporto processuale tra genitore esercente la potestà e figlio è ipotizzabile non già in presenza di un interesse comune, sia pure distinto ed autonomo, di entrambi al compimento di un determinato atto, ma soltanto allorché i due interessi siano nel caso concreto incompatibili tra loro, nel senso che l’interesse del rappresentante, rispetto all’atto da compiere, non si concili con quello del rappresentato (l’esistenza di una siffatta situazione di conflitto, il cui apprezzamento è rimesso al giudice di merito, non è normativamente presunta nel caso dell’azione di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, la quale non rientra tra le ipotesi, tassativamente indicate dal legislatore, nelle quali il giudizio deve essere proposto, in rappresentanza del minore, nei confronti di un curatore speciale nominato al riguardo dal giudice; ne consegue che, in ordine a tale azione, trova applicazione, in mancanza della deduzione di una concreta situazione di conflitto di interessi, la regola secondo cui il genitore esercente la potestà è legittimato, nell’interesse del figlio minore, a resistere al giudizio da altri intentato)”.

Mentre la Corte di cassazione a Sezioni unite, con sentenza n.2238 del 2009, ha individuato un caso di conflitto di interessi tra genitore legale rappresentante e minore nei giudizi promossi in sede di affidamento e di diritto di visita in quanto, in quella sede, il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore. E traendo spunto anche da tale considerazione la Corte Costituzionale ha affermato applicabile anche per la fattispecie prevista dall’art. 250, 4° comma c.c. il principio secondo cui “il giudice, nel suo prudente apprezzamento e previa adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, possa procedere alla nomina di un curatore speciale, avvalendosi della disposizione dettata dall’art. 78 c.p.c., che … non ha carattere eccezionale, ma costituisce piuttosto un istituto che è espressione di un principio generale, destinato ad operare ogni qualvolta sia necessario nominare un rappresentante dell’incapace” (Corte Cost. n.83 del 2011) .

Dunque la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di applicazione dell’art. 78 c.p.c. affida al giudice la verifica dell’esistenza in concreto del conflitto di interessi tra genitore legale rappresentante e minore rappresentato che è ipotizzabile solo quando l’interesse di cui il genitore rappresentante è portatore non si concilia o, meglio, sia incompatibile con quello del minore rappresentato.

Nel ricorso presentato dal P.G. presso la Corte d’appello di Roma si ritiene il conflitto esistente in re ipsa per effetto dell’accostamento della posizione del genitore coinvolto nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità a quella del genitore che interviene per prestare il suo consenso nel procedimento ex art. 44 e ss. della legge 184 del 1983, e si richiede la nomina di un curatore speciale, nomina cui il giudice è tenuto in tutti i casi in cui si ravvisi un potenziale conflitto di interesse del figlio con il genitore.

Il P.G. mescola le due differenti ipotesi per dare forza a quella che ritiene essere la giustificazione alla posizione assunta nell’attuale ricorso e nel precedente ricorso presentato avverso il Decreto del tribunale per i minorenni.

In realtà, come ampiamente dimostrato e come precisato anche dalla Giurisprudenza della Corte di Cassazione, la posizione del genitore nei due procedimenti è sostanzialmente differente.

Dunque nel caso in questione il conflitto di interessi tra genitore e figlio minore nella rappresentanza in giudizio non è in re ipsa ma dovrà essere dimostrato alla stregua dei principi più volte ribaditi dalla Suprema Corte.

Il P.G. ravvisa nel caso in questione il sussistere di un potenziale conflitto di interessi tra la madre e la minore in ciò: “già nella premessa del ricorso è esplicitato che la nascita” della minore “fosse il frutto di un progetto maturato e portato avanti dalle due donne, come riferito anche dai Servizi Sociali incaricati: il desiderio di avere un figlio è stato espresso come un naturale progetto di fare famiglia; dal che è agevole ravvisare la aspirazione di entrambe e quindi anche della madre della minore a vivere la bigenitorialità nell’ambito del rapporto di coppia, come consolidamento dello stesso.

Non di aperto conflitto di interessi si deve parlare, ma potenziale conflitto dell’interesse proprio della madre con quello che ella stessa valuta essere anche l’interesse della figlia da lei rappresentata. Non a caso” continua il P.G. “alcuni commentatori non hanno mancato di evidenziare che la sentenza di Tribunale per i minorenni, confermata dalla Corte d’Appello, sia in realtà, al di là della dichiarata intenzione di voler tutelare l’interesse della minore, maggiormente attenta agli interessi degli adulti al punto di definirla adultocentrica”.

Secondo il P.G. considerato tutto ciò “sembra evidente che si palesasse la necessità di scindere le due posizioni, quella di portatrice di interesse di carattere morale all’adozione e quella di legale rappresentante ella stessa adottanda, attraverso la nomina del curatore”.

Volendo semplificare il pensiero del P.G.: il fatto che la madre biologica e la partner adottante avessero in mente una famiglia (“omosessuale”) nel momento in cui accedevano alla procreazione medicalmente assistita lascia intravvedere un interesse che coinvolge la madre naturale e la partner e che non corrisponde all’interesse della figlia. O, meglio, la nascita della minore sarebbe funzionale all’interesse delle adulte che vogliono così consolidare il loro rapporto: in tal senso la successiva adozione è chiesta non tanto nell’interesse della minore quanto nell’interesse delle partners. Ancora più chiaro: in assenza di una legge che riconosca i diritti delle coppie omosessuali, l’adozione del figlio da parte della partner della madre biologica dello stesso (da cui consegue la bigenitorialità) sarebbe uno strumento utilizzato per dare un riconoscimento giuridico anche all’unione omosessuale.

Il pensiero del P.G. appare espressione di una posizione retriva e palesemente contraria al principio di non discriminazione e, se così non fosse, apparirebbe comunque configgere apertamente con la stessa legge 184 del 1983 che si intitola “Diritto del minore ad una famiglia” e con la legge 40 del 2004 che tutela milioni di coppie eterosessuali non sposate ma conviventi in modo stabile che decidono di mettere al mondo figli anche facendo uso della pratica di procreazione medicalmente assistita eterologa (oggi non più vietata per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 162/2014) perché desiderosi di creare una famiglia.

In realtà, come già precisato, al fine della dichiarazione di adozione in casi particolari ciò che conta è il sussistente “interesse reale della minore …di essere adottata” e tale interesse non solo non pare incompatibile con quello del genitore a creare una famiglia ma senza timore di smentite diremmo che è proprio un presupposto per l’adozione.

In tal senso, chi scrive, ritiene che correttamente il Tribunale per i minorenni e la Corte d’appello di Roma abbiano valutato l’inesistenza di un conflitto di interessi tra la madre e la minore sulla scorta dell’applicazione del principio più volte espresso dalla Corte di Cassazione secondo cui il conflitto non è ipotizzabile quando il compimento dell’atto, pur avendovi i due soggetti un interesse proprio e distinto, realizza un vantaggio comune di entrambi senza danno reciproco ed hanno perciò ritenuto non necessaria nel caso di specie la nomina di un curatore speciale.

* Ordinario di Diritto privato, Universita’ degli studi di Palermo.