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Passo dopo passo, il diritto si avvicina alla vita: la Corte d’Appello di Milano ordina la trascrizione dell’atto di nascita di due gemelli nati grazie alla gestazione per altri

Art29

di Angelo Schillaci*

Pubblichiamo il decreto, depositato il 28 dicembre 2016, con il quale la Corte d’Appello di Milano ha ordinato la trascrizione di un atto di nascita, formato in California, relativo a due minori, nati da parto gemellare a seguito di ricorso alla gestazione per altri, e legati geneticamente ad una stessa donatrice di ovocita – diversa dalla portatrice – e, rispettivamente, ai due padri. La trascrizione dell’atto di nascita era stata negata dall’Ufficiale di stato civile del Comune di Milano, con decisione confermata dal Tribunale. In particolare, l’originario diniego di trascrizione era stato motivato sulla base della circostanza che la diversa paternità genetica dei gemelli, unita al parto gemellare, lasciava supporre il ricorso alla gestazione per altri (mai negato, tuttavia, dai padri reclamanti), con conseguente contrarietà dell’atto di nascita all’ordine pubblico, per elusione dell’art. 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 che, come noto, vieta – in Italia – il ricorso alla gestazione per altri.

Il caso presenta tratti non dissimili da altri già risolti in senso favorevole dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza interna e sovranazionale. Come noto, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo, a partire dalle decisioni Mennesson e Labassee contro Francia, ha chiarito che il ricorso alla gestazione per altri non può incidere negativamente sul riconoscimento giuridico del legame parentale tra il minore ed il genitore genetico, dovendosi assicurare in ogni caso la protezione del diritto del minore all’identità personale e sociale ed il suo superiore interesse, che verrebbe ad essere pesantemente leso dal mancato riconoscimento del legame (ad esempio, sul piano della certezza dei rapporti giuridici, dei diritti ereditari, ma anche dell’acquisto della cittadinanza e del godimento di una serie di diritti fondamentali, tra cui quello alla circolazione). Già in precedenza, peraltro, non erano mancate alcune decisioni di Tribunali italiani che, in casi di coppie eterosessuali o di padri singoli che avevano fatto ricorso alla g.p.a., avevano riconosciuto il legame con il padre genetico (ad es. Trib. Forlì, 25.10.2011; Trib. Napoli, 1.7.2011) ma anche, in un caso (App. Bari, 15.3.2009), con la madre intenzionale.

Allo stesso tempo, l’iter argomentativo del decreto in esame presenta talune peculiarità che meritano di essere sottolineate. In particolare, si tratta della prima applicazione – ad un caso di filiazione tramite gestazione per altri – dei chiari principi enunciati da Cass., sez. I civ., n. 19599/16, relativa, come noto, alla trascrizione di un atto di nascita recante l’indicazione di due madri. Infatti, benché la decisione milanese non riguardi la trascrizione di un atto di nascita recante l’indicazione di due padri, ma la trascrizione di due atti di nascita recanti ciascuno l’indicazione del padre genetico, la Corte d’Appello cita ampi stralci della decisione della Corte di legittimità, approfondendone le già significative potenzialità in ordine al pieno riconoscimento e alla piena tutela dei rapporti di filiazione sorti all’estero in coppia omogenitoriale (come già confermato dal recente decreto del Tribunale di Napoli, sempre relativo alla trascrizione di atto di nascita formato all’estero e recante l’indicazione di due madri).

Rilevante, anzitutto, il richiamo ai caratteri del giudizio di compatibilità dell’atto trascrivendo con l’ordine pubblico: come chiarito dalla Corte di cassazione e ribadito dalla decisione in esame, tale giudizio non deve infatti risolversi in una verifica della conformità dell’atto al diritto interno, bensì nel controllo della sua compatibilità con l’ordine pubblico internazionale, inteso come complesso dei principi derivanti da “esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo desumibili dalla Carta Costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”, ed in particolare relativi, in casi come quello in esame, alla protezione del superiore interesse del minore.

Strettamente legato a tale primo aspetto è, in questo caso, il profilo dell’incidenza del modo di concepimento e nascita del minore sulla compatibilità dell’atto con l’ordine pubblico. Assai significativamente – e sviluppando, come accennato, chiare potenzialità della decisione della Corte di cassazione – la Corte milanese ribadisce l’irrilevanza del modo in cui il minore sia venuto al mondo, rispetto alla primaria esigenza di tutelare l’interesse del minore stesso alla certezza dei rapporti giuridici e alla piena protezione del suo diritto all’identità personale e sociale. Il bambino – afferma infatti la Corte d’Appello – mantiene inalterato il proprio diritto fondamentale alla conservazione dello status di figlio, indipendentemente dalla qualificazione giuridica che l’ordinamento interno riconnetta alla condotta (altrui) che ha determinato la sua nascita. Diversamente argomentando, si finirebbe inoltre per assoggettare l’atto di nascita formato all’estero ad un controllo di conformità ai divieti prescritti dalla legislazione interna, con ciò travalicando i confini del controllo di compatibilità con il solo ordine pubblico internazionale. Tale rilievo assorbe e supera, peraltro, le ragioni dell’originario diniego di trascrizione, legate alla (presunta) anomalia di un parto gemellare con diversa paternità genetica dei due bambini. Da un lato, infatti, come afferma la Corte milanese, tale eventualità non è del tutto sconosciuta in natura (dandosi casi, pur rari, di cd. “superfecondazione eteroparentale”); d’altro canto, una volta affermata l’irrilevanza del ricorso alla gestazione per altri ai fini del controllo di compatibilità con l’ordine pubblico, le circostanze del parto divengono esse stesse del tutto irrilevanti ai fini della trascrizione.

L’irrilevanza del modo di concepimento e nascita – ed in particolare, del ricorso alla gestazione per altri, in presenza di un divieto posto dal diritto interno – ai fini della garanzia del diritto fondamentale del minore alla conservazione dello status è principio affermato – prima che dalla Suprema Corte di Cassazione con la richiamata sent. n. 19599/16 – dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (nei richiamati casi Mennesson e Labassee c. Francia), e, in Italia già da Trib. Varese 8.10.2014 (in un caso di ricorso alla g.p.a. da parte di una coppia eterosessuale, con legame genetico tra il bambino e il padre intenzionale). Se tale principio può ritenersi dunque pacificamente applicabile al riconoscimento del legame con il genitore genetico – ormai anche in fattispecie in cui si sia fatto ricorso alla gestazione per altri – solo apparentemente più complessa è la sua applicabilità al legame con il genitore intenzionale, non legato geneticamente al bambino (e dunque, in fattispecie di ricorso alla g.p.a., con la madre intenzionale che non abbia potuto donare l’ovulo poi fecondato ed impiantato nell’utero della portatrice, o il padre non genetico in coppia omosessuale). A ben vedere, infatti, chiare indicazioni nel senso di una possibile apertura provengono proprio dalla richiamata sentenza della Corte di cassazione, anzitutto sotto il profilo del rilievo ivi attribuito al progetto di genitorialità, e dunque al principio della responsabilità procreativa in casi di ricorso a tecniche di p.m.a. eterologa, desumibile anche dall’art. 9 della legge n. 40/2004, che vieta il disconoscimento di paternità al compagno della donna, ove questi abbia prestato consenso al ricorso alla fecondazione eterologa. In secondo luogo, appare dirimente la centralità della tutela del superiore interesse del minore, ed in particolare del suo diritto fondamentale alla conservazione dello status di figlio: si deve infatti considerare che, negli ordinamenti in cui è consentita la g.p.a., al figlio viene assicurato – di regola – lo status filiationis nei confronti di entrambi i genitori intenzionali, e ciò – ove il ricorso alla g.p.a. sia consentito a coppie omosessuali – indipendentemente dal loro sesso. Non si vede allora perché, una volta chiarita, come avviene con forza nella decisione in esame, l’irrilevanza del ricorso alla gestazione per altri (all’estero) rispetto alla tutela dei diritti del minore, la conservazione dello status filiationis debba essere garantita solo in relazione al rapporto con il genitore genetico e non anche con quello intenzionale non genetico.

Solo in tal modo, peraltro, si potrebbe dare piena effettività al principio della responsabilità procreativa (con i doveri che ne derivano nei confronti del minore), così colmando le lacune ed i pesanti vuoti di tutela ancora rivelati dal caso in esame: i gemelli, infatti, voluti da entrambi i padri, e da questi cresciuti e accuditi, restano legati – in Italia – solo e rispettivamente ad uno di essi, benché per il diritto dello Stato di nascita siano figli di entrambi; sebbene abbiano lo stesso cognome, vivano come fratelli e come tali siano riconosciuti secondo il diritto dello Stato in cui sono venuti al mondo, restano due estranei per il diritto italiano.

La strada che resta da percorrere sembra farsi, dunque, più agevole e la meta, sebbene forse più vicina, resta chiara all’orizzonte: fare in modo che il diritto incontri la vita e riconosca le esperienze di genitorialità in tutte le loro complesse sfumature, valorizzandone a pieno la pari dignità sociale ed il legame con i più intimi percorsi di autodeterminazione personale e sociale. Solo in questo modo potrà essere garantita la piena corrispondenza tra l’esperienza di vita del minore, il suo universo di affetti familiari e il diritto chiamato a riconoscerla e regolarla e, con essa, la piena tutela dell’interesse superiore del bambino.

*Ricercatore TDB – Università di Roma “Sapienza”