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Libertà religiosa e divieto di discriminazione: la Corte Suprema decide a favore del pasticciere “obiettore”

di Angioletta Sperti*

Chiunque abbia letto l’opinion of the Court del giudice Kennedy nella sentenza Obergefell v. Hogdes del 2015, sul riconoscimento del diritto al matrimonio per le coppie same-sex e ne abbia apprezzato la profonda ricostruzione dei principi costituzionali in gioco – la dignità, l’eguaglianza, la libertà individuale -, nonché la portata innovativa di molte delle sue affermazioni, non può che rimanere perplesso di fronte al judicial minimalism cui risulta, invece, ispirata la motivazione dello stesso Kennedy nella recentissima pronuncia sul cd. caso della torta nuziale. Il 4 giugno 2018, con un’ampia maggioranza di 7 – 2, la Corte Suprema degli Stati Uniti  si è, infatti, pronunciata sul caso Masterpiece Cakeshop Ltd. v. Colorado Civil Rights Commission e, ribaltando le conclusioni dei precedenti gradi di giudizio, ha concluso  a favore di un pasticciere che nel 2012 si era rifiutato di confezionare un dolce nuziale per una coppia same-sex.

Nel breve spazio di questo commento – pur rilevando come tale pronuncia diverga dal percorso che nel 2015 aveva condotto la Corte Suprema a “mettere la parola fine ad una delle vicende più combattute e sofferte nella storia dei diritti civili”[1] –  mi propongo di evidenziare per sommi capi le perplessità suscitate dal percorso logico-argomentativo attraverso cui la Corte ha riconosciuto le ragioni del pasticciere ed evidenziare i rischi che alcune delle sue affermazioni pongono per il superamento delle diseguaglianze fondate sull’orientamento sessuale.

La vicenda

Jack Phillips, proprietario di una pasticceria in una cittadina non distante da Denver, Colorado – la Masterpiece Cakeshop – si definisce un cake artist ed un fervente cristiano.

Nel 2012 – quando ancora il same-sex marriage non era  ammesso in Colorado, Phillips rifiuta ad una coppia dello stesso sesso – Charlie Craig e Dave Mullins –  l’ordinazione di un dolce nuziale, adducendo che confezionare una torta per il loro matrimonio equivarrebbe alla “condivisione ed alla partecipazione” ad una celebrazione contraria ai suoi più profondi convincimenti religiosi. I due sposi – occorre sottolineare – non avevano avanzato alcuna richiesta in merito alla scritta da apporre sul dolce, né alla sua forma: in altre parole, è il confezionamento di un dolce nuziale per un matrimonio same-sex che ripugna alla coscienza del pasticciere il quale si dice, infatti, disponibile a fornire alla coppia qualsiasi altro prodotto dolciario.

La coppia propone reclamo in base al Colorado Anti-Discrimination Act (CADA) – una legge statale che vieta ogni discriminazione negli esercizi commerciali ed in ogni luogo aperto al pubblico – adducendo che il diniego del pasticciere costituisce una discriminazione in base all’orientamento sessuale, dal momento che era sua “prassi commerciale consueta” negare alle coppie same-sex le torte nuziali. Dopo una sommaria istruttoria, la questione viene deferita alla Colorado Civil Rights Commission che a sua volta rimette la questione al giudice amministrativo il quale giudica la condotta del pasticciere motivata da discriminazione in base all’orientamento sessuale e non da una “semplice opposizione al matrimonio same-sex” come dichiarato dal resistente durante il giudizio.

Contro tale valutazione Phillips solleva due eccezioni di incostituzionalità adducendo, in primo luogo, che per il proprio “talento artistico” il confezionamento di un dolce costituisce una forma di arte e che l’obbligo di realizzare un dolce nuziale lede quindi la sua libertà di espressione artistica. Il giudice amministrativo respinge tale eccezione, ritenendo che il confezionamento di un dolce nuziale non costituisca una forma di manifestazione del pensiero protetta dal I emendamento della Costituzione e che, nel caso di specie, non comporti “l’adesione ad uno specifico punto di vista”.

In secondo luogo, il pasticciere ritiene che l’imposizione di un obbligo di fornire un dolce nuziale ad un coppia same-sex rappresenti una violazione della libertà religiosa, anch’essa protetta dal I emendamento (Free exercise clause). Tuttavia, il giudice amministrativo respinge anche questa seconda eccezione, non ritenendo il CADA discriminatorio in base alla fede religiosa degli esercenti.

Contro questa decisione il pasticciere propone ricorso al plenum della Colorado Civil Rights Commission che conferma la decisione di primo grado e gli ordina di “cessare ogni comportamento discriminatorio verso le coppie dello stesso sesso”, poiché qualunque messaggio la torta avrebbe potuto trasmettere era da attribuirsi ai clienti, non al pasticciere.

Questi propone, dunque, ulteriore ricorso alla Colorado Court of Appeals che conferma le conclusioni dei precedenti gradi di giudizio, precisando che il confezionamento di un dolce nuziale “non esprime alcun messaggio celebrativo delle matrimonio tra persone dello stesso sesso”, né lede la libertà religiosa.

A questo punto la Masterpiece Cakeshop si rivolge alla Corte Suprema chiedendole di concedere il certiorari e valutare le stesse eccezioni di incostituzionalità sollevate nei precedenti gradi di giudizio.

I contenuti della pronuncia

Nella sua opinion of the Court, il giudice Kennedy richiama, in primo luogo, i principi da lui stesso espressi nel caso Obergefell sul matrimonio: sottolinea, quindi, come “la nostra società abbia riconosciuto che le persone e le coppie gay non possano essere emarginate, né trattate come inferiori in dignità e valore” e che le leggi, così come le corti, devono garantire loro il godimento dei diritti civili “in termini di eguaglianza”.

A questi principi Kennedy contrappone il valore della libertà religiosa, già richiamato – occorre ricordare – a margine della sentenza sul matrimonio: “Il I emendamento – scrive – assicura alle organizzazioni religiose ed agli individui la giusta protezione nell’espressione di quei principi che sono così centrali per le loro vite e fedi”.

Nel bilanciamento tra questi diritti confliggenti – la dignità ed eguaglianza per le coppie same-sex, da un lato, e la tutela della libertà religiosa, dall’altro – la Corte Suprema ricorda come “costituisca regola generale che le obiezioni religiose non consentono alle imprese ed ad altri attori economici e sociali di negare ai soggetti protetti un eguale accesso a beni e servizi in base a quanto disposto da una legge generale e neutrale sui luoghi pubblici”. Gli Stati godono, infatti, della possibilità di introdurre discipline – dal contenuto neutrale verso ogni fede religiosa, con l’obiettivo di impedire che minoranze possano essere vittime di discriminazione. Kennedy precisa, ad esempio, che nel caso del matrimonio non è ammessa l’obiezione del celebrante, poiché in caso contrario “una lunga lista di fornitori di beni e servizi per i matrimoni potrebbe rifiutarsi di servire le persone gay, causando uno stigma nella comunità in contrasto con la storia ed il funzionamento delle leggi sui diritti civili che assicurano parità di accesso a beni, servizi e luoghi pubblici”.

Queste premesse generali – sui cui provocatoriamente anche le due giudici dissenzienti (Ginsburg e Sotomajor) asseriscono di convenire pienamente[2] – sembrano tuttavia contrastare con il seguito della motivazione: la Corte sottolinea la difficoltà  di tracciare, nel caso di specie, una netta linea di confine tra il diritto dei clienti alla parità di accesso ai pubblici servizi e le ragioni del pasticciere. Kennedy descrive quello del pasticciere come un vero e proprio “dilemma”, “particolarmente comprensibile dati i principi giuridici e l’applicazione del diritto in vigore in Colorado in quel momento”.  Essendo, infatti, il same-sex marriage illegale in Colorado all’epoca dei fatti, secondo la maggioranza “ciò dà forza all’argomento che sia ragionevole la pretesa del pasticciere di non compiere un’azione che giudicava di sostegno ai matrimoni, ove tale espressione sia contraria alle sue sincere credenze religiose, almeno nella misura in cui il suo diniego fosse limitato al rifiuto di creare ed esprimere un messaggio sostegno ai matrimoni gay, anche se celebrati in un altro Stato”.

Il seguito della motivazione, a mio parere, evidenzia una certa “difficoltà” della Corte nel conciliare le premesse generali con le ragioni del ricorrente: Kennedy riconosce, infatti, “con certezza, l’esistenza di obiezioni a questi argomenti” da parte dello Stato del Colorado al fine di assicurare un’equa applicazione della disciplina sui servizi al pubblico e chiarisce che “ogni decisione a favore del pasticciere sarebbe dovuta essere adeguatamente limitata, per timore che tutti i fornitori di beni e servizi contrari ai matrimoni gay per motivi morali o religiosi potessero affiggere insegne recanti la dicitura «non si offrono beni e servizi per i matrimoni gay», imponendo un serio stigma sulle persone gay”. “Ma ciononostante – conclude – “Phillips aveva diritto ad una valutazione neutrale e rispettosa delle proprie richieste in tutte le circostanze del caso”.

È questa, dunque, l’affermazione centrale della motivazione da cui discenderanno le conclusioni della Corte: a differenza di Obergefell – con i suoi richiami ai principi costituzionali di libertà, eguaglianza e dignità ed alla loro reciproca interazione nella definizione del carattere “fondamentale” del diritto al matrimonio[3]Masterpiece Cakeshop appare, quindi, una sentenza ispirata ad un minimalist approach, interamente fondata sulle specificità della valutazione del caso concreto operata dalla Civil Rights Commission del Colorado.

Il giudice Kennedy osserva, infatti, come “la considerazione neutrale e rispettosa cui Phillips aveva diritto sia stata compromessa”, dal momento che il modo in cui la Civil Rights Commission ha trattato il caso presenta “elementi di chiara ed inammissibilità ostilità verso le sincere credenze religiose che hanno motivato la sua obiezione”. Il seguito della motivazione è dunque dedicato alla ricostruzione di quelle dichiarazioni rese dai membri della commissione che, a parere della Corte, lasciano trasparire un’“ostilità” preconcetta verso le ragioni del pasticciere. Si può richiamare, per ragioni di brevità, una singola dichiarazione tratta dagli atti di causa, in cui un commissario “descrive la fede di un uomo come «uno dei più deprecabili strumenti retorici che la gente possa usare”. A parere della maggioranza, affermazioni di questo tenore denigrano la fede religiosa in due modi distinti”, poiché la giudicano non solo “priva di contenuti” (insubstantial), ma anche “non sincera” (insincere).

Nella sua opinione dissenziente, la giudice Ginsburg evidenzia che solo due commissari dei quattro organi giudicanti coinvolti nei vari gradi di giudizio avessero in realtà reso dichiarazioni discutibili; tuttavia, lo stesso giudice Kennedy sottolinea che n “nessuna obiezione” fu sollevata da parte di altri commissari, forse desumendone il tacito consenso da parte del resto della Commissione.

Ulteriori prove a sostegno della mancanza di imparzialità del giudizio vengono tratte dalla Corte attraverso il confronto con altri casi in cui, invece, la Commissione aveva giudicato legittima l’obiezione di coscienza di altri pasticceri che si erano rifiutati di confezionare torte nuziali recanti un messaggio contrario alle proprie convinzioni. Tuttavia – come sottolinea Ginsburg nella sua opinione dissenziente – si tratta a ben guardare di casi che non possono essere assimilati a quello in esame[4], dal momento che avevano riguardato la richiesta di un dolce recante uno specifico messaggio discriminatorio verso le coppie dello stesso sesso (nel caso di specie, un dolce “a forma di Bibbia, decorato con versetti biblici” contro i matrimoni same-sex). La maggioranza non si sofferma sul diverso valore espressivo di questo tipo di messaggio, ma conclude rilevando come la Commissione abbia operato una disparità di trattamento fra gli esercenti, motivata sulla base di una discrezionale valutazione della “offensività” del messaggio richiesto dai committenti[5].

In conformità con una lunga giurisprudenza che impone alle autorità statali imparzialità (neutrality) nei confronti di ogni religione, la Corte Suprema conclude, dunque, che il I  emendamento “non tollera neppure le più lievi violazioni” di tale principio. “L’ostilità della commissione – osserva –  contrasta con la garanzia prevista dal I emendamento che le leggi vengano applicate in modo imparziale verso la religione. Phillips aveva diritto ad un decisore neutrale che avrebbe dovuto dare piena e corretta considerazione alla sua obiezione religiosa”.

Le conclusioni della sentenza non consentono, dunque, di desumere che il pasticciere abbia agito nel rispetto delle leggi vigenti. La parte finale della pronuncia costituisce soprattutto un monito alle corti nella decisione di futuri casi analoghi: “Questo genere di controversie – conclude infatti la Corte Suprema – devono essere risolte con tolleranza, senza mancanza di rispetto per le sincere credenze religiose e senza assoggettare le persone gay a violazioni della loro dignità quando richiedono beni e servizi in un libero mercato”.

Le ombre (e qualche luce) della pronuncia

Le conclusioni del caso Masterpiece Cakeshop si fondano, dunque, solo sulle circostanze inerenti lo svolgimento del giudizio a carico del pasticciere, in particolare sulla parzialità di due dei componenti la Commissione che lo ha giudicato responsabile di un comportamento discriminatorio verso le coppie same-sex.

Tale motivazione suscita alcune perplessità dal momento che, come scrive Ruth Giunsburg nella sua opinione dissenziente, “non si vede la ragione per cui i commenti di uno o due commissari possano essere presi in considerazione per superare il rifiuto di Phillips di vendere un dolce nuziale a Craig e Mullins”, nonché – aggiungerei – per giustificare la violazione di una legge statale sul divieto di discriminazione che la stessa Corte Suprema ritiene neutrale nei confronti della religione e motivata da un fine costituzionalmente legittimo.

Nella sua motivazione, la Corte Suprema non prende posizione né sulla legittimità della condotta del pasticciere, né sulle questioni di natura generale che – come è probabile – saranno in futuro nuovamente riproposte all’attenzione della Corte. “Quale che sia l’esito di future controversie che riguardino fatti simili – scrive, infatti, Kennedy – le azioni della Commissione in questo caso hanno violato la libertà religiosa”.

Sebbene quindi la sentenza non pregiudichi sviluppi futuri anche in senso favorevole alle coppie same-sex[6], essa non affronta un tema cruciale, ossia se il realizzare una torta nuziale costituisca una modalità di espressione del pensiero tutelata dalla Costituzione al pari di altre condotte espressive. Né la Corte chiarisce – come avevano fatto i giudici amministrativi – se tale espressione sia da attribuirsi alla coppia che ha richiesto il dolce o se possa essere “fatta propria” anche dal pasticciere al fine di invocare un diritto all’obiezione di coscienza. Su questi aspetti, invece, la posizione delle giudici dissenzienti è chiara: “Quando una coppia contatta una pasticceria per un dolce nuziale, il prodotto che richiede è un dolce che celebra il loro matrimonio, non un dolce che celebra matrimoni tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso”.

La maggioranza, in un breve passaggio, si limita ad affermare che rifiutare un dolce che rechi un messaggio religioso o semplicemente rifiutare un dolce “potrebbe essere differente”, lasciando probabilmente aperta la possibilità di distinguere in futuro la posizione dell’obiettore in relazione al suo maggiore o minore coinvolgimento nello svolgimento della prestazione richiesta. Si apre pertanto la prospettiva di un futuro case by case approach da parte della Corte Suprema, in cui sottili distinzioni sulla tipologia di beni o servizi richiesti, sul loro contenuto espressivo e sull’orientamento sessuale dei richiedenti o dei destinatari finali finiscano per porre in secondo piano l’impatto dell’obiezione di coscienza sui principi di dignità e di eguaglianza.

Per dare un’idea di quanto un ragionamento incentrato sul diritto dell’obiettore al un giudizio imparziale piuttosto che sulla dignità e l’eguaglianza possa prestarsi a differenti (e forse strumentali) interpretazioni dei diritti in gioco, mi limito sommariamente a richiamare le sottili argomentazioni su cui si diffondono le varie opinioni: mentre, come si è detto, la maggioranza ritiene il pasticciere Phillips vittima di un atteggiamento parziale della commissione che in altri casi avrebbe, invece, riconosciuto l’obiezione di coscienza di altri pasticceri, la giudice Kagan legge il caso in esame ed i suoi precedenti dalla prospettiva dei soggetti richiedenti e sottolinea come l’orientamento sessuale dei richiedenti avrebbe dovuto rappresentare la loro chiave di lettura; infine, il giudice concorrente Gorsuch ritiene che a rilevare non sono le caratteristiche personali del cliente, ma il “tipo di dolce”[7] e ravvisa la parzialità della Commissione nel non aver tenuto conto del fatto che “così come i dolci che celebrano i matrimoni same-sex sono richiesti da  persone di un particolare orientamento sessuale, così i dolci che, invece, esprimono un’opposizione religiosa ai matrimoni same-sex sono (in genere) richiesti da persone di una particolare fede religiosa”.

Questa affermazione di Gorsuch può apparire una distinzione sottile, ma cela in realtà tutta la problematicità delle istanze di obiezione di coscienza – o meglio dei “timori di complicità”– che con sempre maggiore insistenza vengono opposti nei riguardi del matrimonio egualitario[8]. Cadute, infatti, molte delle eccezioni avanzate in passato contro l’eguaglianza matrimoniale – grazie soprattutto alle nette affermazioni delle corti costituzionali che hanno riconosciuto la prevalenza dei principi di dignità ed eguaglianza, a prescindere dall’orientamento sessuale – l’obiettore manifesta oggi la propria contrarietà al matrimonio in quanto egli stesso membro di una minoranza discriminata dalla generale applicazione di una legge che reputa contraria al proprio sentimento religioso.

Nelle eccezioni di costituzionalità sollevate dal cake artist, ma anche nell’appello della maggioranza della Corte Suprema alla correttezza del giudizio verso chi obietta in nome di una sincera fede religiosa ed, infine, in termini ancor di più espliciti, nelle considerazioni del giudice Gorsuch, l’eguaglianza verso l’obiettore è quindi contrapposta a quella delle coppie same-sex.

Occorre, pertanto, che nel bilanciamento cui tutte le corti, non solo quelle americane, saranno in futuro probabilmente chiamate non si perda il valore dei principi espressi nelle sentenze sul matrimonio egualitario e che sia salvaguardata non solo l’imparzialità della giurisdizione, ma altresì la coerenza dell’ordinamento giuridico e la garanzia effettiva dei diritti fondamentali per le coppie same-sex.

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* Professoressa associata di Diritto pubblico comparato nell’Università di Pisa.

[1] Le parole sono di Marco Gattuso, nella breve introduzione alla mia nota alla sentenza Obergefell v. Hodges in questo sito (https://www.articolo29.it/2015/pronuncia-storica-corte-suprema-riconosce-diritto-matrimonio-same-sex-in-tutti-gli-dellunione-2/).

[2]There is much in the Court’s opinion with which I agree” (Justice Ginsburg, dissenting).

[3] Ho espresso le mie riflessioni sui principi costituzionali sviluppati in questa sentenza in altri scritti cui mi sia consentito di rinviare. Si v. in particolare A. Sperti, Constitutional Courts, Gay Rights and Sexual Orientation Equality, Oxford, Hart Publishing, 2017, in part. pp. 140 ss.

[4] Ginsburg, dissenting opinion, p. 4.

[5] Kennedy, opinion of the Court, p. 16 (A principled rationale for the difference in treatment of these two instances cannot be based on the government’s own assessment of offensiveness. Just as no official, high or petty, can prescribe what shall be orthodox in politics, nationalism, religion, or other matters of opinion, it is not, as the Court has repeatedly held, the role of the State or its officials to prescribe what shall be offensive”).

[6] A leggere i primi commenti sulla stampa la sentenza non sembra del tutto soddisfare neppure coloro che, quali amici curiae, hanno sostenuto le ragioni del pasticciere ed avrebbero sperato in una più netta posizione della Corte Suprema a favore del riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza.

[7]In both cases, it was the kind of cake, not the kind of customer, that mattered to the bakers” (Gorsuch, concurring).

[8] Ho svolto alcune riflessioni su questi profili in Obiezioni di coscienza e timori di complicità, in Federalismi.it, nonché in Il caso della “torta nuziale” arriva alla Corte Suprema. Il punto sul same-sex marriage negli Stati Uniti a due anni dalla sentenza Obergefell, in Articolo29.it (https://www.articolo29.it/2017/il-caso-della-torta-nuziale-arriva-alla-corte-suprema-il-punto-sul-same-sex-marriage-negli-stati-uniti-a-due-anni-dalla-sentenza-obergefell-2/).