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Certezza e tempi “breves que possible” per trascrizioni e adozioni in casi particolari dopo il parere Cedu 10/4/2019

di Marco Gattuso

 

La Corte europea dei diritti umani nel recente parere pubblicato il 10 aprile 2019 su sollecitazione della Court de Cassation francese[1], ha affermato il diritto del bambino nato a mezzo di maternità surrogata al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, sicché l’ordinamento nazionale deve prevedere la possibilità di riconoscere una relazione genitore-figlio con la madre cd. intenzionale.

La Corte non ha ritenuto che tale riconoscimento debba avvenire necessariamente mediante la trascrizione del certificato estero nel registro di stato civile, potendo l’ordinamento del Paese aderente ricorrere all’alternativa dell’adozione del bambino da parte della madre intenzionale, purché sia assicurata una procedura tempestiva e efficace.

La Corte europea dei diritti umani richiede dunque a tutti i paesi aderenti di riconoscere in caso di maternità surrogata entrambi i genitori intenzionali nel più breve tempo possibile («breve que possible»).

Si tratta di un principio che, seppure espresso con riguardo alla madre intenzionale, trova sicura applicazione anche nel caso di certificati di nascita (americani o canadesi) con due padri. Una sua limitazione ai soli figli di coppie eterosessuali appare invero assai ardua, dovendosi confrontare col superiore interesse del minore e col suo diritto a salvaguardare la relazione con entrambi i genitori, col giudizio sostanzialmente neutro nei confronti della omoparentalitá e, infine, col divieto di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale (in questo caso si tratterebbe discriminazione indiretta subita dal bambino a causa dell’orientamento sessuale dei genitori). Tutti temi su cui la Corte europea (ma anche la nostra giurisprudenza di legittimità) si è già espressa.

Secondo la Corte europea, dunque, la procedura di adozione del “figlio del partner”, ove sia l’unica consentita nell’ordinamento al fine di salvaguardare il diritto ex art. 8 Cedu del bambino al riconoscimento della relazione giuridica con chi lo ha voluto mettere al mondo (“diritto alla vita familiare”), può essere considerata una legittima alternativa alla trascrizione del certificato straniero solo se consenta il riconoscimento giuridico in modo certo e nel tempo “breve que possible”. La valutazione in merito è rimessa al giudice nazionale.

In Italia non vi è alcuna espressa regolamentazione della cd. omogenitorialità.

Com’è noto, un indirizzo giurisprudenziale, inaugurato dal tribunale per i minorenni di Roma nel luglio 2014, ha ammesso in queste ipotesi il ricorso alla cd. adozione in casi particolari ex art. 44 lettera d), legge adozioni[2].

Il legislatore ha tentato nel 2016 di regolamentare la materia introducendo una espressa estensione dell’art. 44, lettera b), oltre che al “coniuge” (necessariamente eterosessuale) del genitore, anche al suo unito civilmente, ma dopo una oscura vicenda parlamentare tale disposizione (l’art. 5 dell’originario disegno di legge Cirinnà) fu stralciata.

Ciò nonostante, il legislatore della legge n. 76 del 2016 previde all’art. 1, comma venti che restasse “fermo quanto stabilito e consentito” (corsivo aggiunto) dalla legge adozioni, quasi a invitare, con quel “consentito”, la giurisprudenza a continuare a indagare la possibilità di una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della ormai vecchia legge 4 maggio 1983, n.184. Come si disse allora, e come ritenuto da diverse decisioni, quella peculiare norma, diretta non a dettare una nuova regola giuridica, ma a affermare che, nonostante lo stralcio, restava fermo quanto già “consentito”, non poteva avere alcun altro significato se non quello di evitare che il detto stralcio potesse essere letto dalla giurisprudenza come uno stop al nuovo indirizzo del tribunale per i minorenni capitolino e (a quel punto, anche) della Corte di appello di Roma.

Subito dopo l’entrata in vigore della legge Cirinnà, la Corte di cassazione, prima sezione civile, pronunziandosi proprio su quel primo caso romano (che riguardava due donne, non dunque una ipotesi di maternità surrogata) confermò l’interpretazione evolutiva dell’art. 44, lettera d)[3].

Da allora, tuttavia, la giurisprudenza di merito è rimasta sostanzialmente divisa, ritenendo diversi tribunali di potersi discostare dall’indirizzo fatto proprio dalla Suprema Corte.

In particolare, quattro grandi tribunali per i minorenni, Milano, Torino, Napoli e Palermo hanno emesso sentenze di rigetto (una o due per tribunale) dissentendo espressamente, per ragioni giuridiche, dall’indirizzo della Cassazione[4].

In ben tre casi (Milano, Torino e Napoli) le decisioni di primo grado sono state riformate dalle rispettive Corti di appello[5], con motivate sentenze di adesione all’orientamento della prima sezione della Corte di cassazione, ma la situazione è rimasta nondimeno immutata, atteso che da allora i tribunali di primo grado non hanno più emesso alcun provvedimento, né di accoglimento né di rigetto, nonostante risultino procedimenti pendenti da diversi anni[6]. A oltre tre anni dalla sentenza della Corte d’Appello di Torino e a due anni e mezzo da quella di Milano, che hanno riformato le sentenze di rigetto emesse in primo grado, non risulta in effetti che sia stata più emessa in quei distretti alcuna sentenza ex art. 44 lettera d), né di accoglimento né di rigetto (salvo una sola sentenza, su cui vedi: A. Schillaci Milano Padri, comunque: da Milano ulteriori conferme in tema di omogenitorialità maschile).

Oltre a Roma, in tutta Italia soltanto i tribunali per i minorenni di Bologna, Firenze e Venezia risultano avere emesso sentenze favorevoli. Nel resto di Italia, tutto tace.

In assenza di una espressa disciplina legislativa, la funzione di nomofilachia della Corte di cassazione non pare dunque in grado di assicurare, a mezzo dell’adozione in casi particolari, la protezione che ci viene imposta dall’art. 8 Cedu.

Com’è noto, lo stallo sostanziale che ne è derivato, a quasi cinque anni dalla prima sentenza romana, ha condotto dunque numerose coppie di genitori dello stesso sesso (coppie di padri, ma anche di madri), al fine di assicurare la necessaria protezione giuridica dei propri figli, a tentare la strada del riconoscimento alla nascita, con la trascrizione di certificati esteri o con la iscrizione dei due genitori alla nascita ex art. 8 legge 40/2004.

Si tratta di provvedimenti che sono stati adottati in moltissimi casi dai sindaci, nella loro qualità di ufficiali dello stato civile (Torino, Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo, Catania..) e che hanno ricevuto, in caso di diniego da parte dei sindaci, numerosissime conferme dalla giurisprudenza di merito [7] e, in due casi, di legittimità[8].

In questa Italia a macchia di leopardo, dove prevalgono nettamente le circoscrizioni in cui è sostanzialmente assai difficile, se non impossibile, accedere a una qualsiasi protezione del diritto alla vita familiare dei cd. bambini arcobaleno, giunge dunque oggi l’innovativa decisione di Strasburgo.

La stessa, si badi bene, pur avendo ad oggetto i bambini nati tramite maternità surrogata, si applica a maggior ragione in caso di accesso di due donne all’estero a ordinarie tecniche di fecondazione eterologa.

Vi sono dunque casi di bambini che hanno atteso per tre anni, e oltre, la decisione sulla adozione in casi particolari, senza che fosse adottato un provvedimento né positivo né negativo, sicché i genitori hanno intrapreso la strada della trascrizione del certificato di nascita, impugnata dalla Procura, e ci pare che, in effetti, divenga oggi francamente complesso sostenere davanti alla Corte Edu l’ipotesi di revocare quella trascrizione, suggerendo che quel bambino ben potrebbe tornare a provare la strada di un ricorso per adozione in casi particolari.

 

 

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[1] Advisory opinion n. P16-2018-001 del 10 aprile 2019, pubblicato in questa Rivista con nota di Alexander Schuster, GPA: la tutela del minore limite invalicabile https://www.articolo29.it/2019/gpa-la-tutela-del-minore-limite-invalicabile/

[2] Tribunale per i minorenni  di Roma, sentenza del 30 luglio 2014.

[3] Corte di cassazione, sezione prima, sentenza del 26 maggio 2016 n. 12962.

[4] Si tratta di Tribunale per i minorenni di Torino, sentenza dell’11 settembre 2015 , Tribunale per i minorenni di Milano, sentenza del 17 ottobre 2016 , Tribunale per i minorenni di Palermo, sentenza del 3 luglio 2017 e Tribunale per i minorenni di Napoli, sentenza dell’8 marzo 2018.

[5] Si tratta di Corte d’Appello di Torino, sentenza del 27 maggio 2016 , Corte d’Appello di Milano, sentenza del 9 febbraio 2017 , Corte di appello di Napoli, sezione per i minorenni, sentenza del 15 giugno 2018.

[6] Dati riferiti dal Gruppo legale di Famiglie Arcobaleno che, specificamente interpellato, ha fornito i dati sui procedimenti pendenti qui utilizzati, che pertanto ringrazio.

[7] Si sono espresse in favore della trascrizione anche in caso di maternità surrogata: Tribunale di Milano, decreto del 16 ottobre 2018; Tribunale di Pisa, decreto del 23 luglio 2018; Corte d’Appello di Venezia, ordinanza 28 giugno 2018; Tribunale Roma sezione prima, decreto dell’11 maggio 2018; Tribunale di Livorno, decreto 12 dicembre 2017; Corte d’Appello di Trento, ordinanza del 23 febbraio 2017.

Si sono espressi in favore della trascrizione di atti stranieri con due madri: Tribunale di Monza, decreto del 20 dicembre 2018; Corte d’appello di Perugia, decreto del 7 agosto 2018; Tribunale di Perugia, decreto del 9 febbraio 2018; Tribunale di Napoli, decreto dell’11 novembre 2016; Corte d’Appello di Torino, sezione famiglia, decreto del 29 ottobre 2014.

Si sono espressi in favore dell’iscrizione anagrafica di due madri: Tribunale di Genova, decreto del 8 novembre 2018; Tribunale di Bologna, decreto del 6 luglio 2018 ; Tribunale di Pistoia, decreto del 5 luglio 2018; biter: Corte di appello di Napoli, sezione per i minorenni, sentenza del 15 giugno 2018.

[8] Corte di Cassazione, sezione prima,  sentenza  del 21 giugno 2016 n. 19599; Corte di cassazione sezione prima, sentenza del 15 giugno 2017 n. 14878.