La Corte costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, di Marco Gattuso

Nella sua prima pronuncia sulla questione omosessuale, la Corte Costituzionale italiana afferma la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, comprendendole nella nozione di formazioni sociali che a norma dell’art. 2 sono meritevoli di tutela con diritti immediatamente azionabili; la scelta, operata allo stato in altri sette ordinamenti europei, di estendere alle stesse anche il matrimonio civile è invece riservata al legislatore.


1. La questione

Con la decisione in commento la Consulta affronta per la prima volta una questione che negli ultimi anni ha già occupato, in una sorta di dialogo globale, numerose altre Corti costituzionali. Gli omosessuali, chiedendo di potere contrarre matrimonio, pongono difatti in tutto il mondo la medesima interrogazione, ovvero che relazione sussista tra il principio di eguaglianza formale che, potremmo dire, è l’architrave della nostra stessa civilizzazione, e la tradizione della nozione solo eterosessuale di famiglia, anch’esso principio antichissimo. Mentre fuori d’Europa le Corti hanno dichiarato più volte l’illegittimità del divieto di matrimonio[1], le Corti europee sono intervenute per lo più per sancire le scelte già intraprese dai legislatori nazionali, senza addivenire mai, sino ad oggi, ad una dichiarazione di incostituzionalità[2]. Il mancato accoglimento era da noi ampiamente prevedibile, posto peraltro che il nostro ordinamento non contempla ancora alcuna tutela, così che la pronuncia era attesa meno come l’ultima parola che come «una prima storica occasione per avviare un cammino»[3]. Sotto tale profilo, pur tra luci ed ombre, la sentenza si segnala per alcune notevoli affermazioni capaci d’avviare una nuova fase.

2. Articolo 2

L’eccezione veneziana, innanzitutto, chiedeva alla Corte di verificare la compatibilità dell’implicito divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso con il diritto di sposarsi, certamente inquadrabile tra i diritti inviolabili dell’uomo ex art. 2 Cost.. La Corte ha ritenuto la questione “inammissibile” in quanto «diretta ad ottenere una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata», atteso che l’eventuale apertura del matrimonio implica scelte rimesse alla discrezionalità del legislatore (non soltanto perché le unioni omosessuali potrebbero essere tutelate con altri istituti affini al matrimonio, ma anche perché, pure nell’ipotesi di apertura del matrimonio, ben potrebbe essere esclusa l’operatività di alcune norme, come già accaduto in altri ordinamenti[4]).

Pur rilevando la carenza di direzione obbligata per una decisione d’accoglimento, la Corte compie comunque un deciso passo in avanti, individuando nella «unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso», una «formazione sociale» tutelata dall’art. 2 Cost.. Si configura dunque il diritto fondamentale al libero sviluppo della persona anche nell’ambito della coppia omosessuale. Non può sottacersi come con l’evidente valorizzazione delle relazioni affettive omosessuali la Corte annetta una specifica rilevanza costituzionale alla stessa nozione giuridica di orientamento sessuale, universalmente intesa come orientamento verso persone dell’opposto o del proprio genere e con tale accezione già recepita dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali[5].

La Corte declina il contenuto di tale diritto fondamentale rilevando che a tale unione non spetta soltanto il diritto «di vivere liberamente una condizione di coppia» ma altresì «il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Si ha qui un passaggio di portata storica, che segna il superamento d’ogni concezione volta a consumare la vocazione liberale del sistema giuridico italiano nel mero rispetto della vita privata, poiché la Corte segnala la necessità di assicurare tutela positiva dell’unione omosessuale[6]. Affermando che in forza della Costituzione a tale comunità «spetta … riconoscimento giuridico» che “necessariamente” richiede una disciplina, la Consulta individua difatti una lacuna nella nostra legislazione e chiama il legislatore a colmarla, seppure «nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge». Il riferimento ai “tempi” non consente di ritenere che anche l’an della tutela sia nella sua disponibilità, così come la discrezionalità è definita «piena» solo al fine di specificare il quomodo («le forme di garanzia e di riconoscimento»). Pur potendosi condividere una certa insoddisfazione per l’eccessiva cautela della Consulta a fronte d’un legislatore particolarmente riottoso, non è dunque dubbio che la Corte abbia inteso mandare un primo segnale al Parlamento, secondo il noto schema delle sentenze monito, col quale in un primo tempo rileva la sussistenza d’un vuoto di tutela, segnalandone via via la necessità e l’urgenza ove il legislatore resti inerte.

Altrettanto importante è l’affermazione per cui tale riconoscimento giuridico «necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia». Dunque, non riforme circoscritte ad aspetti specifici, ma una disciplina generale. Anche in questo caso l’indicazione della Corte è estremamente precisa ed innovativa, anche rispetto alla communis opinio in ambiente politico[7]. La Consulta appare in ciò certamente consapevole delle frequentissime sollecitazioni provenienti dal Parlamento di Strasburgo, oltre che del complessivo quadro di riferimento normativo e politico europeo, ove l’isolamento delle posizioni italiane è ormai vistoso[8].

Dovendosi procedere verso la riforma, la Corte segnala come sia «sufficiente l’esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate». Tale diversificazione delle scelte, in verità, non appare così significativa ove si tenga conto che tutte le legislazioni negli ultimi anni tendono progressivamente verso l’equiparazione al matrimonio. Nella specie si possono segnalare, comunque, diversi modelli. Sette Paesi europei hanno rimosso il divieto di matrimonio (Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Islanda, Norvegia e Svezia). In Lussemburgo, Andorra e Slovenia la legge è stata annunciata dal governo o è in corso d’approvazione in Parlamento. Altri dieci Paesi europei hanno previsto il nuovo istituto delle unioni omosessuali registrate, in alcuni casi (Paesi scandinavi) richiamando integralmente la regolamentazione del matrimonio (salvo a volte alcune disposizioni), mentre in altri (Regno Unito, Germania, Svizzera, Austria..) sono state introdotte regole ad hoc, sino al simbolico riconoscimento del cognome comune (Germania). Leggi analoghe sono in corso d’approvazione anche in Estonia, Irlanda e Liechtenstein. In altri Paesi (Francia, Lussemburgo e Repubblica Ceca) sono state previste forme di registrazione pubblica delle convivenze, sia omosessuali che eterosessuali. Non è prevista, invece, alcuna tutela, né è in corso alcuna riforma legislativa, nei Paesi ex Urss, in alcuni Paesi dell’ex Jugoslavia, in Grecia, Polonia, Slovacchia, Albania, Romania, Bulgaria e Italia.

3. Nella vacatio legis

La Corte afferma che resta «riservata alla Corte costituzionale la possibilità d’intervenire a tutela di specifiche situazioni» ove «sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, trattamento che questa Corte può garantire con il controllo di ragionevolezza». L’affermazione della sussistenza d’un diritto fondamentale conduce dunque ad assicurare tutela giuridica ogni qualvolta sia riscontrabile la necessità d’una eguale protezione. Non può revocarsi in dubbio che la Corte, attesa la rilevanza costituzionale degli interessi in gioco, preannunci il proprio intervento già in costanza della lacuna (oltre che al fine di controllare la legittimità della futura legislazione), com’è univocamente evidenziato dall’espresso richiamo a quanto già avvenuto a proposito delle convivenze more uxorio (in materia di assegnazione d’alloggio in regime di edilizia residenziale pubblica e di successione nel contratto di locazione).

L’affermazione è di particolare impatto, posto che alla luce di tale indicazione, si dovrà ritenere che ogni giudice sia chiamato ad accertare di volta in volta se nella situazione data «sia riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo», verificando preventivamente se il dispositivo favorevole alla coppia coniugata possa essere applicato anche alla coppia omosessuale – essendo ammissibile il ricorso alla Corte soltanto quando la norma da applicare non sia suscettibile d’una lettura costituzionalmente orientata – e, in caso negativo, interrogando la Corte per consentirle di verificare se sussista violazione del parametro dell’eguaglianza formale. Pur venendo richiamati, quale precedente storico, i pregressi interventi a tutela delle convivenze eterosessuali, non pare che possa assumere specifica rilevanza la giurisprudenza con la quale la Corte ha evidenziato che la mancata estensione della regolamentazione del rapporto matrimoniale discende dal rispetto dell’autonomia privata, poiché la carenza di vincolo matrimoniale sarebbe frutto d’una deliberata scelta[9]. Tale limite non sussiste per le unioni omosessuali data l’impossibilità d’accedere ad una qualsiasi protezione a cagione del ravvisato vuoto legislativo, sulla cui sussistenza la Corte fonda la necessità d’un intervento. Le unioni omosessuali, nell’ambito della nozione generale ex art. 2 Cost. di “formazione sociale” e della classificazione unica imposta dall’art. 9 della Carta di Nizza sotto la dizione “diritto di costituire una famiglia”, sembrerebbero porsi, sul piano della normativa applicabile, in uno spazio intermedio tra convivenze more uxorio e coppie coniugate. È inoltre significativo che la Corte preannunci l’intenzione di porre a confronto la coppia omosessuale e la coppia “coniugata”. La notazione pare di particolare importanza, poiché sarebbe allora una mera petizione di principio negare un diritto riconosciuto alla coppia coniugale sul solo rilievo della mancanza del vincolo matrimoniale, venendosi a negare in radice proprio quella verifica in concreto postulata dalla Corte. Da questo punto di vista la Corte pare indicare una strada verso il superamento dell’impostazione tradizionale delle corti internazionali europee che, con la prudenza che le contraddistingue in questa materia, hanno ritenuto di potere comparare soltanto le condizioni delle coppie dello stesso sesso non coniugate con quelle delle coppie di sesso opposto non coniugate[10].

Appare a tale proposito d’un certo interesse che dalla lettura della sentenza, fatto salvo il mancato accesso all’istituto del matrimonio, la Corte non enunci alcuna disomogeneità ontologica tra affettività etero ed omosessuale, limitandosi ad affermare che «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio», comparando dunque una realtà sociale con un istituto giuridico (il matrimonio) e non con le unioni eterosessuali[11]. Dalla lettura della sentenza l’unico elemento di differenziazione tangibile è segnalato nella «(potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale». Come si dirà più avanti, tale indicazione pare connessa meno ad un giudizio sull’attualità che al proposito di ricostruire l’intenzione originaria del legislatore del ‘48. In ogni caso, ci si dovrà chiedere se sussistano ragioni che giustifichino un trattamento non omogeneo per ogni istituto ove la presenza di figli non assuma specifica rilevanza. In materia di assistenza sanitaria, ad esempio, non si dovrebbe più negare al partner di assistere il malato sul mero rilievo della carenza di matrimonio, dovendosi accertare se la situazione sia omologa o meno a quella della coppia eterosessuale sposata[12]. Anche in materia di ricongiungimenti familiari dovrebbe essere rimeditato l’orientamento per cui «la condizione di convivente di fatto, sia pure ammantata da un riconoscimento ufficiale che ne attesta la durata e la stabilità, è del tutto diversa da quella di familiare, secondo quanto inteso dal nostro ordinamento giuridico»[13], posto che alla luce dell’interpretazione dell’art. 2 data dalla Consulta si renderà necessario verificare in concreto se l’unione omosessuale presenti carattere di omogeneità, per natura e stabilità, rispetto alla coppia coniugata. Sarà inoltre di notevole interesse verificare i risultati di tale giudizio di omogeneità nei casi sempre più numerosi di coppie, per lo più di donne, che hanno figli[14].

La giurisprudenza verificherà nel prossimo periodo l’atteggiarsi di tale giudizio di omogeneità con riguardo ai diversi interessi in gioco, ma tale lavoro di interpretazione dovrà ovviamente essere preceduto dal rigoroso accertamento della sussistenza di un’unione caratterizzata da un sufficiente grado di stabilità, che sarà resa più agevole ove i partner abbiano già consolidato il loro rapporto con l’iscrizione anagrafica nel medesimo stato di famiglia o con la registrazione nei registri delle coppie di fatto già istituiti in numerosi comuni italiani (tali istituti, che hanno avuto sino ad oggi valore esclusivamente simbolico, potranno assumere, allora, maggiore pregnanza).

4. Articolo 117

La questione posta in riferimento agli obblighi internazionali era apparsa tra tutte la più debole attesa l’ampia discrezionalità riservata ai parlamenti nazionali dall’art. 9 della Carta di Nizza, tant’è che è ritenuta “inammissibile” poiché “ancora una volta” la materia è affidata alla discrezionalità del legislatore.

Ciò posto, la Carta dei diritti fondamentali presenta comunque una precisa portata innovativa, poiché il legislatore europeo ha compiuto una scelta storica avendo utilizzato nell’art. 9 i termini “sposarsi” e “famiglia” senza alcuna specificazione proprio al fine di non escludere le coppie omosessuali[15]. La Carta ha optato per un’espressione volutamente diversa da quella contenuta nell’art. 12 della Convenzione europea del 1950 che conteneva un riferimento a «uomini e donne». Il Legislatore europeo ha ritenuto che per indicare esclusivamente il matrimonio tra persone di sesso opposto, si sarebbe reso necessario specificare “matrimonio tra uomo e donna”, mentre il termine “matrimonio” di per sé avrebbe invece carattere neutro e dunque includente. La Carta è oggi fonte di diritto comunitario primario posto che l’art. 6 del Trattato di Lisbona le ha conferito lo stesso valore giuridico dei trattati e, a prescindere dai problemi connessi al suo ambito di applicazione ex art. 51, non è dubbio che valga quale potente strumento di interpretazione anche del diritto interno.

A ciò deve aggiungersi che la legislazione sovranazionale ha già inciso nella definizione di «famiglia» anche a livello di legislazione ordinaria, posto che in attuazione della direttiva 2004/38, l’art. 2 (“definizioni”) del D.L. 6 febbraio 2007 n. 30 riconosce come “familiare” anche «il partner che abbia contratto con il cittadino dell’Unione un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro, qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante». Non è dubbio, dunque, che la norma contenga una definizione di “familiare” inclusiva del membro di una unione tra due persone dello stesso sesso[16].

Appena poche settimane dopo la decisione della nostra Corte, il quadro internazionale è andato incontro ad una nuova svolta con la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha affrontato anch’essa per la prima volta la questione dei matrimoni gay[17]. La Corte di Strasburgo, pur ritenendo che l’eventuale apertura del matrimonio sia rimessa alla discrezionalità dei singoli Paesi, ha colto l’occasione per due revirement di portata storica. La Corte europea, difatti, ha modificato la propria interpretazione della nozione di matrimonio annunciando che «la Corte non considererà più che il diritto di sposarsi sancito dall’art. 12 debba essere limitato in ogni circostanza al matrimonio tra persone di sesso opposto». Per tale sterzata interpretativa i giudici di Strasburgo hanno fatto leva proprio sulla portata innovativa dell’art. 9 della Carta della U.E., con un notevole esempio di “dialogo tra le Carte”. La Corte, inoltre, ha annunciato un’altra svolta epocale rendendo nota anche una nuova nozione di famiglia inclusiva delle coppie gay. Richiamata la propria pregressa giurisprudenza per cui le famiglie de facto sono da ricondurre nella nozione di «vita familiare», i giudici europei hanno ritenuto che sarebbe oramai “artificiale” (!) mantenere la pregressa distinzione tra omosessuali ed eterosessuali, annunciando che le relazioni omosessuali non saranno più comprese soltanto nella nozione di «vita privata», ma nella nozione di «vita familiare» pure contenuta nell’art. 8. Dunque, ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo «una coppia dello stesso sesso che vive in una stabile relazione di fatto» è una famiglia.

Tali osservazioni se allo stato non assumono rilievo in ordine al parametro ex art. 117 Cost, consentono tuttavia, come si vedrà, ulteriori riflessioni sui prevedibili sviluppi in questa materia.

5. Omosessuali, transessuali ed art. 3

Il Tribunale veneziano aveva invocato il parametro di cui all’art. 3 “soprattutto” con riguardo all’attuale assetto normativo che consente alle persone transessuali di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso biologico. Tale prospettazione era apparsa debole, posto che non pareva tenere conto delle profonde differenze tra le nozioni di “identità di genere” e di “orientamento sessuale”. La prima attiene all’individuazione del genere della persona, al cui riguardo la l. n. 164 del 1982 ha stabilito di dare prevalenza ai fattori psichici dominanti rispetto al mero dato biologico[18]. Le persone con orientamento omosessuale si identificano, invece, col proprio genere biologico. Sotto tale profilo la questione è giudicata, dunque, “infondata” poiché la normativa che consente il matrimonio del transessuale non può fungere da tertium comparationis[19]. Non viene presa invece in considerazione (né dai giudici a quibus né dalla Corte) l’ulteriore notazione per cui (a norma dell’art. 4 l. 164/1982: «la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso … provoca lo scioglimento del matrimonio») l’ordinamento prevede già la prosecuzione del matrimonio tra persone divenute dello stesso sesso fino a che non intervenga una sentenza di divorzio[20].

6. Articoli (3 e) 29

I giudici veneziani avevano ritenuto che l’art. 29 interpretato come norma che garantisce i rapporti familiari così come essi si determinano ed evolvono nella concretezza sociale, potesse “assurgere ad ulteriore parametro” esigendo insieme all’art. 3 il riconoscimento del matrimonio anche per le unioni omosessuali. Si tratta, con ogni evidenza, della prospettazione più innovativa contenuta nell’ordinanza veneziana poiché prefigura un completo ribaltamento della lettura più tradizionale della norma[21]. Osservato come la nozione di “matrimonio” avuta in mente dai costituenti all’atto della scrittura dell’art. 29 fosse certamente connessa alla sola affettività eterosessuale, come peraltro mai negato neppure dai ricorrenti, e pur non negando la necessità di interpretare le norme in senso evolutivo, la Corte ritiene tuttavia che l’apertura del  matrimonio alle coppie dello stesso sesso configurerebbe un’interpretazione “creativa” che si allontanerebbe eccessivamente dal “nucleo” originario della norma. Il parametro di cui all’art. 29 di per sé non è in grado di fondare, dunque, una dichiarazione di incostituzionalità della legge ordinaria. Seguendo tale tracciato, la Corte ha buon gioco nello stimare che non vi sia alcuna deroga al principio di eguaglianza ex art. 3 nei confronti degli omosessuali, posto che i medesimi restano formalmente titolari del diritto di sposarsi (con persona del sesso opposto) e che per le unioni omosessuali il principio di eguaglianza resta indenne in ogni altro settore dell’ordinamento. Tale ultima conclusione appare foriera, come visto, di importanti sviluppi, consentendo la piena espansione dell’eguaglianza formale nei confronti delle unioni omosessuali ogniqualvolta vi sia necessità di trattamento omogeneo. Per contro, la constatazione che le persone d’orientamento omosessuale restino titolari del diritto di sposarsi con persona del sesso opposto lascia del tutto irrisolto il nodo della limitazione per gli stessi dell’esercizio d’un diritto costituzionale a condizioni che appaiono, in tutta evidenza, inconciliabili con la loro natura.

La decisione si presta ad alcune prime notazioni.

Si deve registrare, innanzitutto, una fondamentale affermazione della Consulta che palesa il rifiuto d’ogni rimando ad una sorta di immutabile diritto di natura[22]. Come noto, l’art. 29 ha dato adito nei decenni ad un dibattito dottrinale piuttosto acceso, posto che se n’era prospettata una lettura giusnaturalistica che avrebbe pietrificato la famiglia impedendone ogni evoluzione[23]. Tale visione era stata osteggiata e confutata dall’orientamento dottrinario dominante[24] e, pur tuttavia, era tornata in auge negli ultimi tempi – soprattutto in ambito politico – proprio al fine d’ostacolare ogni intervento a favore delle unioni omosessuali. Dando atto del «vivace confronto dottrinale tuttora aperto» la Corte afferma adesso che «i concetti di famiglia e matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi». Con riguardo alla locuzione «società naturale» la Corte osserva che «con tale espressione, come si desume dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere». La funzione della norma deve essere rinvenuta, dunque, nella primaria esigenza di prevenire limitazioni o strumentalizzazioni autoritative, senza che ciò implichi alcun rimando giusnaturalistico[25]. Viene così smentito ogni approccio alla questione omosessuale diretto ad ancorare la negazione di diritti ad argomenti evocativi di ordini naturali e ontologici, tant’è che tutta l’argomentazione della Corte è accortamente centrata sulla definizione di “matrimonio” senza riferimento alcuno alla locuzione “società naturale”, spostando dunque l’accento sull’istituto giuridico piuttosto che sul dato metagiuridico. D’altra parte, la Corte non poteva che prendere atto che la semplice esistenza del matrimonio tra persone dello stesso sesso in molti altri ordinamenti giuridici a noi affini e la circostanza che l’art. 9 della Carta di Nizza contempli tale possibilità, dimostrano inequivocabilmente come per mantenere l’esclusione degli omosessuali serva una norma giuridica e non basti un preteso ordine naturale.

Appare inoltre notevole che tutta la ricostruzione della Corte sia dominata dall’argomento così detto originalista[26] a cui è ricondotto anche il dato della contestuale affermazione del principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, per il quale la Corte si limita ad osservare che il Costituente «ebbe riguardo proprio alla posizione della donna»[27]. Così pure il rapido cenno alla «(potenziale) finalità procreativa del matrimonio», la quale emergerebbe anche dalla vicinanza tra gli artt. 29 (sul matrimonio) e 30 (sulla filiazione), non può che essere riferito a tale quadro di ricostruzione dell’original intent[28], posto che la connessione tra matrimonio e procreazione, che pure è stata al centro del dibattito dottrinale e delle stesse argomentazioni dei giudici a quibus, non è sviluppata in alcun modo ed apparirebbe argomento assai debole se fosse riferito alla oggettività sociale contemporanea ed all’attuale quadro normativo[29]. Anche il riferimento al dato testuale della vicinanza tra art. 29 ed art. 30 è di per sé equivoco, posto che la Corte lo inserisce in una ricostruzione strettamente originalista e che la collocazione in due distinti articoli ben potrebbe suggerire proprio l’ineluttabilità di una distinzione[30].

Limitando la propria motivazione alla sola indagine sull’intenzione soggettiva dei costituenti, la Corte evita, allora, ogni menzione d’una pretesa immutabile “tradizione”. Da questo punto di vista, pare scostarsi anche da quella variante dell’orientamento anti-storicistico, cd. intermedio[31], che pur riconoscendo in linea di principio la relatività e storicità della nozione di famiglia aveva individuato nell’art. 29 il richiamo ad una tradizione immodificabile, un “nucleo duro” costituito dalla diversità di genere[32].

7. Un divieto nella costituzione?

L’ancoraggio proposto dalla Corte all’intenzione soggettiva dei costituenti pare strettamente connesso alla necessità di prevenire interpretazioni «creative», d’evitare fughe in avanti giurisprudenziali, di salvaguardare il principio di tripartizione dei poteri, come potrebbe già desumersi dall’indicazione per cui «questo significato del precetto costituzionale non può essere superato per via ermeneutica». In tutta la motivazione, la Corte non introduce alcun elemento espressamente diretto a condizionare la discrezionalità del Legislatore, né sarebbe conforme alla sua pregressa giurisprudenza in materia familiare coartare, in un senso o nell’altro, la volontà parlamentare – a maggior ragione in forza di meri argomenti “originalisti”[33]. Alla Corte, peraltro, è stato chiesto se l’art. 29 imponga il riconoscimento del matrimonio tra omosessuali, mentre non è stato chiesto se l’art. 29 possa consentire tale riconoscimento. Appare dunque forzato andare più in là del mero riscontro della tradizionale (e comprensibile, atteso anche il clima politico istituzionale) prudenza esercitata dalla Corte nel dichiarare infondata l’eccezione sollevata in base al parametro di cui all’art. 29. Sarebbe difatti certamente paradossale che al disconoscimento della Corte di interpretazioni “creative” del giudice, consegua una limitazione per lo stesso potere legislativo, imposta proprio per via giudiziale[34]. Dalla lettura della sentenza non emerge peraltro alcun argomento per sostenere che l’apertura del matrimonio violi diritti od interessi di terzi e della famiglia eterosessuale e che dunque si contrapponga alla ratio di garanzia della norma[35]. Ne consegue che se al Legislatore ordinario è preclusa dall’art. 29 Cost. una normativa che limiti i diritti della famiglia, non deve ritenersi preclusa, invece, la ridefinizione per via legislativa della nozione di “matrimonio” in senso non limitativo ma, anzi, inclusivo. Si dovrà ritenere legittimo allora – e conforme all’assetto costituzionale europeo[36] – un esito analogo a quanto accaduto, ad esempio, sotto l’imperio della Costituzione portoghese ove in seguito ad una prima sentenza della Corte Costituzionale di rigetto, del 2009, il Legislatore ha introdotto il matrimonio gay con legge ordinaria, giudicata legittima dalla stessa Corte con sentenza del 2010[37].

Tale conclusione appare appropriata anche alla luce della citata pronuncia di Strasburgo. La sentenza della CEDU non si segnala soltanto per la nuova interpretazione del termine «matrimonio» ex art. 12 e per la volontà di chiamare le famiglie omosessuali con il loro nome, ma, per ciò che qui interessa, anche per il percorso argomentativo scelto per rigettare la richiesta di imporre l’apertura del matrimonio. L’accento è posto sulla «base comune nelle legislazioni dei Paesi aderenti» che assurge a criterio ermeneutico guida nell’esame della Convenzione. La Corte ritiene che le sia precluso allo stato d’allontanarsi dall’intenzione originaria – compiendo l’ulteriore passo, richiesto dai ricorrenti, d’imporre ai Paesi aderenti l’apertura del matrimonio alle coppie dello stesso sesso – proprio per la ravvisata carenza d’un consenso maggioritario. Dunque, tale evenienza non potrebbe escludersi per il futuro. Si tratta di segnali importanti che devono indurre ad apprezzare ancor più un atteggiamento di grande cautela, rifuggendo da interpretazioni della Costituzione italiana che, immotivatamente, la potrebbero portare in urto con gli stessi Bill of rights europei.

8. Rilievi critici ed evoluzioni giurisprudenziali

Con riguardo alla questione centrale del rapporto tra le due distinte tradizioni giuridiche e, prima ancora, culturali, che oggi si confrontano – eguaglianza formale e nozione di famiglia – la Consulta muove dal presupposto che “ragioni d’ordine logico” inducano a definire innanzitutto la nozione di “matrimonio”, confrontandola solo successivamente con il principio di eguaglianza, con ciò ripercorrendo un cammino argomentativo che era stato suggerito da una parte della dottrina[38], che è stato seguito in alcune pronunce americane di rigetto[39] e propugnato nelle dissenting opinions e nelle difese della parte pubblica[40]. Si tratta d’un percorso che se può trovare qualche ragione nella comprensibile cautela dei giudici costituzionali, in verità dovrà essere attentamente meditato, posto che diverse Corti, come noto, ribaltando tale presunto “ordine logico”, non si sono sottratte all’onere di analizzare le ragioni che imporrebbero oggi al giudice una “ridefinizione della nozione di matrimonio” alla luce del principio di eguaglianza, osservando come nella storia delle democrazie occidentali la determinazione dell’ambito semantico di fondamentali nozioni giuridiche risenta ed abbia risentito della progressiva affermazione del principio di eguaglianza formale[41]. Appare indispensabile, difatti, verificare in concreto se l’affettività tra due persone dello stesso sesso esprima o meno le stesse concrete esigenze cui l’ordinamento dà risposta con l’istituto del matrimonio[42]. Se si evita tale confronto si rischia di rispondere alle nuove istanze di tutela facendo ricorso ad una mera tautologia (le Corti americane hanno parlato a tale proposito di pericolo di “circular reasoning”)[43].

La scelta interpretativa operata preclude inoltre alla Corte italiana ogni approfondimento in ordine alla consistenza del “diritto costituzionale alla libertà matrimoniale”. Da questo punto di vista la libertà di scegliere la persona da sposare è tratto tradizionale dell’istituto matrimoniale la cui progressiva espansione ha segnato l’evoluzione della famiglia in Occidente (con l’allontanamento dalla funzione schiettamente patrimoniale del matrimonio come “accordo tra famiglie”; con il superamento del divieto di matrimoni interraziali e interreligiosi). La ripulsa di violazioni della libertà matrimoniale è oggi così profondamente impressa nella nozione di matrimonio da non tollerare mai alcuna deroga nei sistemi liberali, mentre, come abbiamo visto, ciò non accade per il principio della diversità di genere, la cui deroga è certamente accolta[44].

Seguendo, comunque, il percorso della Corte volto a determinare preventivamente la nozione di «matrimonio» e data per scontata l’originaria nozione di matrimonio presupposta dal legislatore costituente, non appare neppure sufficientemente precisato il criterio segnalato dalla Corte al fine di orientare l’interprete nella distinzione tra interpretazione evolutiva, che secondo la Consulta legittimamente può discostarsi dall’intenzione originaria, ed interpretazione “creativa”. La Corte fa riferimento alla necessità che l’interpretazione del giudice non si spinga «fino al punto d’incidere sul nucleo della norma». Se il “nucleo della norma” dovesse desumersi dal mero significato intrinseco delle parole, il medesimo dovrebbe necessariamente mettersi in movimento sotto l’impulso della progressiva evoluzione della lingua e del progressivo slittamento di significato dei termini utilizzati. La questione sarebbe da ricondurre allora all’indagine sul significato attuale delle parole ed in prospettiva non potrebbe restare indifferente al significato adottato nella Carta di Nizza e, adesso, nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nella normativa interna sopra richiamata, nel contesto internazionale, nella definizione che oggi appare nei maggiori dizionari[45]. La prossima prospettazione del problema, dalla sfera prettamente giuridica dovrebbe, allora, essere restituita all’analisi dell’incalzante evoluzione del costume sociale[46]. La Corte sembra precisare tuttavia il criterio ermeneutico con riguardo anche a qualcosa d’esterno al mero significato intrinseco delle parole, ponendo l’accento sulla necessità di non includere “fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata”. Tale criterio, nondimeno, non appare di per sé dirimente, posto che la stessa Corte ha già considerato in molti altri casi fenomeni estranei all’originaria intenzione del legislatore. È difatti «connaturata alle Costituzioni in quanto fonti destinate a durare nel tempo, la capacità di rispondere ad esigenze neppure ipotizzabili da coloro che le hanno un tempo elaborate»[47]. D’altro canto, tale operazione pare portata a termine persino nella sentenza in commento, ove la Corte considera quali “formazioni sociali” ex art 2 le stesse “unioni omosessuali”, per le quali ammette che «la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in Assemblea». L’argomento che i costituenti neppure immaginarono che un giorno le coppie omosessuali avrebbero chiesto di sposarsi, inoltre, ben può essere rivoltato, potendosi sostenere che, allora, l’art. 29 certamente non fu scritto per impedire tale eventualità[48]. Forse consapevole di tale incertezza, la Corte aggiunge l’ulteriore considerazione che la questione rimase estranea al dibattito «benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta». Sembra, cioè, di intendere che mentre l’interpretazione evolutiva deve essere ammessa ove abbia riguardo a fatti inimmaginabili ab origine, la stessa non possa essere consentita ove abbia ad oggetto situazioni già conosciute e per ciò implicitamente escluse. Appare tuttavia ingannevole ritenere, sul mero assunto dell’esistenza in natura della condizione omosessuale, che al momento della redazione della Carta i costituenti potessero avere contezza del suo carattere non patologico. È difatti noto che soltanto una cinquantina d’anni fa si è prodotto quel radicale mutamento di paradigma nelle scienze umane che ci ha consegnato la vera natura di questa «variante della condizione umana», secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità[49]. Pur senza addentrarci nella problematica relazione epistemologica tra cognizione e suo oggetto, appare evidente come un fenomeno naturale non possa assumersi “conosciuto” senza tenere in alcun conto proprio lo sviluppo e l’approfondirsi delle conoscenze. Soltanto col mutare delle conoscenze scientifiche ha acquisito legittimità, nell’opinione pubblica, nella consapevolezza dei giuristi e nelle coscienze degli stessi omosessuali, l’aspettativa di tutela dell’unione omosessuale. La Corte costituzionale portoghese, nella sentenza dell’8 aprile 2010 con la quale ha dichiarato legittima legge sui matrimoni gay, ha avuto modo di osservare al riguardo che, mentre «si può dire senza esitazione che il matrimonio che i costituenti si rappresentarono fu il matrimonio tra persone di sesso opposto, al contempo si può concludere certamente che non vi fu alcuna opzione deliberata nella materia nel senso di vietare un’evoluzione dell’istituto matrimoniale. Il problema era politicamente e giuridicamente sconosciuto, così che l’elemento storico deve essere manovrato con cautele ancor maggiori di quelle che generalmente già merita nell’interpretazione del test costituzionale».




Note:

[1] Hanno aperto il matrimonio alle coppie omosessuali: Corte suprema Massachusetts, Goodridge v. Department of Public Health 18 novembre 2003; Sudafrica Minister of Home Affairs v. Fourie, 1 dicembre 2005; California In Re Marriage Cases 15.5.2008 (superata con revisione costituzionale); Connecticut E. Kerrington v. Commissioner of Public Health, 10 ottobre 2008; Iowa K. Varnum v. Timothy J. Brien, 3 aprile 2009. In precedenza anche Corte suprema Hawaii Baher v. Lewin del 5 maggio 1993 e Corte superiore Alaska, con Brause v. Bureau of vital statistic, 27 febbraio 1998 i cui giudizi venivano tuttavia bloccati da una legge di revisione costituzionale. V. anche Corte suprema Vermont Baker v. State 20 dicembre 1999, con conseguente introduzione, per legge ordinaria, delle unioni civili per gli omosessuali.

[2] Negli ultimi anni, senza pretese di completezza: la Corte Costituzionale portoghese (n. 359 del 9 luglio 2009) ha rigettato ricorso equivalente a quello presentato avanti alla nostra Corte. La Corte Costituzionale belga (n. 159 del 2004) e, di nuovo, la Corte Costituzionale portoghese (n. 121 dell’8 aprile 2010) hanno confermato invece la legittimità delle leggi che consentono il matrimonio. Il Bundesverfassungsgericht si è occupato del matrimonio tra persone dello stesso sesso soltanto in una decisione piuttosto risalente (4.10.1993) definendo il matrimonio ai sensi del paragrafo 6 del Grundgesetz come l’unione tra uomo e donna (citata in J. Muender, Familienrecht, 2005, 41). Analoga decisione è stata adottata dalla Corte Costituzionale austriaca il 12 Dicembre 2003. Un giudizio avverso la legge che nel 2005 ha introdotto il matrimonio è da tempo ancora pendente avanti alla Corte costituzionale spagnola. La Corte Costituzionale francese (Décision n° 99-419 DC 9 novembre 1999) ed, ancora, il BVG (sent.17 luglio 2002) si sono occupate non del matrimonio gay, ma di istituti giuridici che riconoscono diritti alle coppie gay con nomi differenti, affermandone la legittimità (si ha notizia di altre due pronunce della Corte Costituzionale polacca e ungherese che non sono tuttavia disponibili in altra lingua). Si segnala infine il “modulo misto” canadese (così M. Montalti Orientamento sessuale e costituzione decostruita. Storia comparata di un diritto fondamentale, Bologna 2007, 373), ove, dopo diverse pronunce di corti territoriali, la Corte suprema (sent. 19 dicembre 2004) ha riconosciuto la legittimità del matrimonio gay nell’ambito dell’iter legislativo che ha condotto al suo riconoscimento con legge 20 luglio 2005.

[3] Così E. Crivelli Il matrimonio omosessuale all’esame della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2009, 1238, che osservava «la giurisprudenza della Corte si forma per processi lenti e progressive stratificazioni, dove è raro trovare novità assolute non anticipate da precedenti che avvisano dell’approssimarsi della svolta giurisprudenziale».

[4] Ad. es. in materia di filiazione, presunzione di paternità, adozione.

[5] Del tutto superato quindi il recente ed assai poco informato tentativo di confondere l’orientamento sessuale con fenomeni estranei (cfr. la questione di pregiudizialità costituzionale votata dalla Camera il 13 ottobre 2009 avverso la normativa contro l’omofobia ove, incredibilmente ignorando la normativa vigente, si sostiene che l’orientamento sessuale «ricomprende qualunque orientamento, ivi compreso incesto, pedofilia, zoofilia, sadismo, necrofilia, masochismo eccetera»).

[6] Riteneva invece l’illegittimità costituzionale della regolamentazione delle convivenze, eterosessuali ed omosessuali, G. Giacobbe Famiglia o famiglie: un problema ancora dibattuto, in Dir. famiglia, 2009, 305.

[7] Negli ultimi anni le forze politiche parlamentari italiane si erano limitate ad ipotizzare la tutela di specifici interessi dei singoli componenti della coppia. In questo senso v. vari progetti di legge succedutisi negli ultimi anni (cd. DICO, DIDORE, CUS..). Per un quadro approfondito del dibattito antecedente la sentenza in commento v. Le unioni tra persone dello stesso sesso – Profili di diritto civile, comunitario e comparato a cura di F. Bilotta Milano-Udine, 2009.

[8] In Europa, nella questione si ravvisa un tipico tema di diritti civili e di libertà di tipo tradizionale, tant’è che dall’esame delle posizioni ufficiali dei partiti politici degli altri quattro maggiori Paesi europei, si rileva che tutte le forze politiche parlamentari tanto di destra che di sinistra, ad eccezione del solo Front National francese, sono favorevoli al riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali oggi sollecitato dalla nostra Corte.

[9] Cfr., ad esempio, Corte Cost. n. 166 del 6 maggio 1998.

[10] Corte europea dei diritti dell’uomo Karner v. Austria, 24 luglio 2003. La Corte europea di giustizia più di recente aveva già compiuto un passo avanti consentendo la comparazione con le coppie coniugate nel caso in cui la legislazione nazionale già preveda un istituto giuridico “para-matrimoniale”, ad es. la Lebenspartnerschaft tedesca (Maruko v.Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen,1 aprile 2008, in questa Rivista 2008, 653, con nota di M. Bonini Baraldi). Il quadro è ancora radicalmente mutato con la recente Kozak c. Polonia, 2 marzo 2010, e, soprattutto, con la fondamentale Schalk and Kopf v. Austria, 24 Giugno 2010, su cui v. oltre paragrafo n.4.

[11] Per contro la Corte afferma espressamente che «le posizioni dei transessuali e degli omosessuali non sono omogenee».

[12]Così, ancora, con riguardo alla facoltà d’essere informato sulle condizioni di salute del partner; d’assumere decisioni sulle cure in caso di momentanea incapacità; per le decisioni post mortem, ad esempio sulle esequie; ai fini dei criteri di liquidazione del danno tanatologico (su cui, da ultimo, v. F. Bilotta La convivenza tra persone dello stesso sesso è ancora un tabù? Resp. civ. e prev. 2010, 412), ma l’elenco è infinito e l’indagine potrà interessare tutti gli istituti ad oggi riservati alle coppie legate dal vincolo formale.

[13]Come ritenuto da C. App. Firenze, decreto 6 dicembre 2006, in questa Rivista, 2007, 1040 con nota di L. Pascucci.

[14] Su cui cfr. G. Oberto Problemi di coppia, omosessualità e filiazione, in Dir. Fam. Pers., 2010 in corso di pubblicazione.

[15]Come osservato dalla Corte di Cassazione, l’art. 9 «non richiede più come requisito necessario per invocare la garanzia dalla norma stessa prevista la diversità di sesso dei soggetti del rapporto» (Sez. I, Sent. n. 6441 del 17 marzo 2009). La volontà di includere le unioni omosessuali è esplicitata nelle note che accompagnano il testo che così chiariscono: «La formulazione di questo diritto è stata aggiornata (rispetto all’art. 12 della Convenzione europea) al fine di disciplinare i casi in cui le legislazioni nazionali riconoscono modi diversi dal matrimonio per costruire una famiglia. L’articolo non vieta né impone la concessione dello status matrimoniale a unioni tra persone dello stesso sesso. Questo diritto è pertanto simile a quello previsto dalla Convenzione europea, ma la sua portata può essere più estesa qualora la legislazione nazionale lo preveda». V. anche G. Ferrando Il matrimonio gay: Il testimone passa alla Consulta, in Resp. civ. e prev. 2009, 1905.

[16] cfr. F. Mosconi Europa, famiglia e diritto internazionale privato, in Riv. dir. internaz., 2008, 347.

[17] La CEDU ha dichiarato che il codice civile austriaco, nella parte in cui non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso, non viola la Convenzione agli artt. 8, 12 e 14; Schalk and Kopf v. Austria, cit.

[18] Per la Corte Costituzionale (n. 161 del 6 maggio 1985) viene introdotto “un concetto di identità sessuale nuovo”, posto che la psiche determina l’identità di genere riconosciuta dall’ordinamento, autorizzando l’intervento chirurgico necessario per farvi coincidere anche l’aspetto fisico.

[19] Altra cosa è, invece, il rilievo che nell’impostazione del problema assume la cesura, pure sottolineata nella sentenza del 1985, tra capacità generativa e capacità matrimoniale (su cui v. infra, nota 28).

[20] Su cui diffusamente M. La Torre, Transessualismo, omosessualità e matrimonio, in La «società naturale» ed i suoi “nemici”. Sul paradigma eterosessuale del matrimonio, in corso di pubblicazione, Torino.

[21] Per un’analoga interpretazione dell’art. 29 Cost. sia consentito di rimandare a M. Gattuso, Costituzione e matrimoni fra omosessuali, in Il Mulino 2007, 452.

[22] Auspicava «che la Corte costituzionale risponda ai dubbi di legittimità costituzionale … negando una volta per tutte che l’art. 29 Cost. possa essere letto in una logica “anti-storicistica”, come peraltro la dottrina maggioritaria afferma da tempo e come sembra potersi desumere dalla volontà dei Costituenti» N. Pignatelli, Dubbi di legittimità costituzionale sul matrimonio, 3, Forum di Quaderni Costituzionali, 2010, in www.forumcostituzionale.it.

[23] Per un’interpretazione strettamente giusnaturalistica cfr. V. Grassetti I principi costituzionali relativi al diritto familiare, in Comm. Sist. Cost. it. Diretto da Calamandrei e Levi, Firenze, 1950, I, 285.

[24] V. ad es. M. Sesta Diritto di famiglia, Padova, 2005, 2: «la qualifica di società naturale può essere intesa come riferimento alle forme concrete che la realtà familiare assume in un determinato contesto sociale, si potrebbe dire che la Costituzione vuole che l’ordinamento – piuttosto che adottare normativamente un modello rigido di famiglia – si relazioni al concreto atteggiarsi dei rapporti familiari».

[25] Un’argomentata ricostruzione in questi termini della ratio dell’art. 29 alla luce dei lavori preparatori in P. Veronesi Costituzione, «strane famiglie» e «nuovi matrimoni», in Quaderni Costituzionali, 2008, 577. Per un penetrante commento dell’art. 29 Cost. cfr. anche A. Pugiotto Alla radice costituzionale dei “casi”: la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio», in Forum di Quaderni Costituzionali, 2009, in www.forumcostituzionale.it.

[26] L’approccio originalista o psicologico si evince da tutta la struttura motivazionale: «come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea»; «i costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione»; «è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile»; «in tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna»; «si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel significato tradizionale di detto istituto». Non può non evidenziarsi una certa peculiarità della decisione: una recente ricerca condotta nel 2007 su tutte le decisioni della Corte ha evidenziato che «dal 2000 in poi non si è più riscontrata la ricorrenza dell’argomento originalista per interpretare parametro o oggetto in sentenze in materia di diritti fondamentali (quando vi è, il richiamo ai lavori preparatori è mera clausola di stile)». Peraltro anche per il passato si rileva che «l’argomento originalista non è mai l’argomento determinante, ma è impiegato sempre ad adiuvandum per rafforzare interpretazioni alle quali la Corte perviene attraverso altri criteri, e particolarmente attraverso gli argomenti letterale, sistematico o della discrezionalità del legislatore» C. Tripodina L’argomento originalista nella giurisprudenza costituzionale in materia di diritti fondamentali, 3, in Atti del convegno Lavori preparatori ed original intent del legislatore nella giurisprudenza costituzionale, a cura di F. Giuffrè – I. Nicotra, Quaderni del “gruppo di Pisa”, Torino, 2008.

[27] Ne aveva rilevato il carattere «non ontologico, bensì storico e fenomenico» B. Pezzini Dentro il mestiere di vivere: uguali in natura o uguali in diritto, 21, in La «società naturale» cit.. Non pare, in effetti, contestabile che il principio di eguaglianza tra i coniugi conservi la sua funzione di garanzia per il componente debole della coppia anche con riferimento all’età, alle condizioni economiche, culturali ecc…  e dunque anche all’interno di una unione omosessuale.

[28] Conviene che con il richiamo alla finalità procreativa la Corte abbia inteso «semplicemente ricostruire, ancora, la volontà del costituenti» Dal Canto La Corte costituzionale e il matrimonio omosessuale, in Foro it. 2010, I, 1373.

[29] La nozione di matrimonio oggi più diffusamente recepita nel senso comune e nella normativa è connessa alla comunione di vita tra due adulti, prescindendo dalla loro possibilità o volontà di mettere al mondo dei figli. Non può dubitarsi del diritto al matrimonio anche per chi a causa dell’età, di patologie o altro (ad es. lo stato di detenzione a vita, cfr. Corte Suprema Stati Uniti Turner vs Safely, 1 giugno 1987) non può procreare, né l’impotenza costituisce causa di invalidità del matrimonio. Inoltre possono contrarre matrimonio anche persone che, avendo cambiato sesso, sono inidonee alla generazione, per le quali sarebbe insensato parlare di (potenziale) finalità procreativa. Se si può convenire, allora, che “la famiglia” può essere considerata “ordinariamente … il luogo elettivo per la trasmissione della specie” (secondo la definizione di Ruggeri Le unioni tra soggetti dello stesso sesso e la loro (innaturale…) pretesa a connotarsi come “famiglie”, 5, in La «società naturale cit.), il vincolo matrimoniale non postula tuttavia necessariamente tale funzione procreativa (v. anche G. Ferrando Il matrimonio gay cit. 1907).

[30] Il dato è sottolineato da ultimo da Pezzini per cui «l’art. 30 relativizza l’art. 29 e la sua definizione di famiglia (legittima), precludendo qualsiasi interpretazione che costruisca un nesso rigido tra filiazione, famiglia e matrimonio», Pezzini Dentro il mestiere di vivere cit., 15. La dottrina prevalente ha evidenziato come «l’art. 30, comma 1, Cost. individui direttamente nel rapporto procreativo e non nel matrimonio il fondamento dei diritti e doveri nei confronti della filiazione … sottraendo di fatto al matrimonio l’esclusività della più essenziale e tipica delle funzioni familiari, quale è certamente quella di provvedere alla cura della prole», F. Prosperi La famiglia nell’ordinamento giuridico, in Dir. famiglia, 2008, 790.

[31] F. Dal Canto Matrimonio tra omosessuali e principî della Costituzione italiana, in Foro it., 2005, V, 279 e similmente anche se con argomentazioni non coincidenti A. Ruggeri Idee sulla famiglia e teoria (e strategia) della Costituzione Quaderni Costituzionali, 2007, 752.

[32] Critica per tale ragione il percorso argomentativo prescelto dalla Consulta, Dal Canto La Corte costituzionale cit. 1373.

[33] Da questo punto di vista l’approdo appare conforme all’orientamento che, in un’ottica comunque storicistica, ravvisa nell’art. 29 una norma in bianco che rimanda alla definizione normativa di matrimonio, qual è indicata, attualmente, nel codice civile cfr. Pignatelli, Dubbi cit 14.

[34] Contra Dal Canto, La Corte costituzionale, cit.; L. D’Angelo, La Consulta al Legislatore: questo matrimonio nun s’ha da fare, Altalex, 19 aprile 2010; G. M. Salerno, Il vincolo matrimoniale non è suscettibile di interpretazioni creative, in Guida al diritto, Famiglia e minori, maggio 2010, 46; S. Spinelli, Il matrimonio non è un’opinione Forum di Quaderni Costituzionali, 2010, www.forumcostituzionale.it.

[35] In tutto il dibattito in corso, in Italia e all’estero, non è mai stato indicato alcun interesse o diritto (di terzi o degli stessi nubendi) che possa assumersi leso nel momento in cui due adulti consenzienti decidono di sposarsi, né è stato mai segnalato alcun concreto pericolo per il matrimonio eterosessuale (peraltro smentito, alla prova dei fatti, da quanto occorre nei Paesi che hanno già aperto l’istituto ai gay). Seguendo, però, una teorica del «piano inclinato» (slippery slope), si è detto che si dovrebbero respingere i matrimoni gay per non aprire in futuro le porte ad altre forme familiari estranee alla nostra tradizione (poligamia, matrimoni tra minori, matrimoni incestuosi e quant’altro), assumendo che l’ancoraggio alla «tradizione» possa assicurare la tenuta del nostro assetto costituzionale. Si tratta d’una difesa assai debole dei valori costituzionali. Non si coglie che in tutti questi altri casi vi sono concrete lesioni e pericoli per interessi e diritti di terzi o degli stessi coniugi e non si considera che il mero richiamo alla tradizione non si rileva in grado d’opporre la necessaria resistenza avverso rischi di incrinature del tessuto costituzionale («se c’è una categoria che si usura col tempo … questa è esattamente la tradizione», A. Pugiotto Alla radice costituzionale , 9, cit.). Il pericolo di “scivolamento”, invece, deve essere prevenuto ponendo il limite su basi razionali in una prospettiva di rigoroso bilanciamento degli interessi. La Costituzione pone al centro la persona e la sua dignità, esigendo che ogni istituto sia riguardato per i diritti che tutela o lede e non per diritti od interessi lesi da altri istituti giuridici. In tale bilanciamento razionale degli interessi e nel principio della tutela della dignità personale di tutti i cittadini sta la più autentica tradizione del pensiero giuridico occidentale e, sia consentito aggiungere, il più alto contributo del pensiero cristiano.

[36] Rammenta come «nessun parlamento nazionale al fine di ampliare il contenuto di tale istituto, abbia ritenuto di dovere modificare la costituzione» N. Pignatelli, Nozione di matrimonio e disciplina delle coppie omosessuali in Europa, in Foro it., 2005, V, 260 ss.

[37] La Corte lusitana nella sentenza del 2009 cit. aveva ritenuto che l’istituto matrimoniale dato per presupposto nella Carta costituzionale implicasse la connessione tra matrimonio e procreazione (operante al livello della considerazione del matrimonio come istituzione sociale attraverso cui lo Stato difende determinati valori nella società, in particolare «il diritto dei figli ad essere educati dai loro genitori biologici»). Secondo la Corte la sua estensione alle coppie dello stesso sesso avrebbe necessitato il riconoscimento d’una «definizione più ampia del matrimonio», da «unione completa tra un uomo ed una donna orientata verso l’educazione congiunta dei figli», alla nozione di matrimonio come «relazione privata tra due persone adulte diretta a soddisfare essenzialmente necessità proprie». La scelta tra le due nozioni non veniva ritenuta di competenza del Tribunale costituzionale così che, in mancanza di tale ridefinizione legislativa, una decisione favorevole avrebbe assunto «chiaramente un carattere additivo». Seguendo l’indicazione della Corte, il legislatore portoghese, con disegno di iniziativa governativa approvato il 22 dicembre 2009, ha effettivamente percorso la strada della riforma, di cui la Corte nel 2010 ha quindi dichiarato la legittimità.  – In termini in tutto coincidenti si è espressa anche la Corte costituzionale belga, che nel 2004, sentenza cit., ha verificato la legittimità della legge che ha aperto il matrimonio, rammentando che «appartiene al legislatore il compito di determinare la natura e le condizioni del matrimonio» e che «il legislatore concepisce oramai il matrimonio come una istituzione avente per scopo principale la creazione, tra due persone, d’una comunità di vita durevole, i cui effetti sono regolati dalla legge» e dunque «avuto riguardo a tale concezione del matrimonio (la creazione d’una comunità di vita durevole) la differenza tra le persone che vogliono formare una tale comunità con persone dell’altro sesso e le persone che vogliono formare una tale comunità con persone del proprio sesso non è tale da fare escludere le seconde dalla possibilità di sposarsi».  – Non sembrerebbe discostarsi da tale impostazione neppure il BVG, che nella risalente sentenza cit. in cui affermava ex art. 6, Legge fondamentale, il presupposto della differenza di genere, osservava comunque come non fossero riconoscibili indizi sufficienti per ritenere un cambiamento nella «comprensione del significato del matrimonio». Come acutamente osservato da Pignatelli, Dubbi cit. 6 pare così «emergere a contrario la possibilità che sopravvenga un diverso significato del parametro costituzionale».

 

[38] Si è detto che in caso contrario si avrebbe «il capovolgimento dei termini della questione, ovverosia l’apodittica denunzia della violazione del diritto all’eguaglianza nella formazione della famiglia, prescindendo da ciò che la famiglia stessa è per Costituzione», Ruggeri Le unioni, cit., 1. In tutt’altra prospettiva, v. anche Pignatelli  per cui «il diritto alla scelta del compagno o della compagna di vita è certamente un diritto fondamentale ma si esercita e si attua soltanto all’interno degli istituti giuridici costruiti normativamente dal legislatore» Dubbi di legittimità, cit., 16.

[39] Corte Suprema del Minnesota Baker v. Nelson, 15 ottobre 1971; Corte suprema di Washington Andersen v. King County del 2006. Per un commento di queste e altre pronunce v. Montalti, Orientamento sessuale cit., 414 e ss.

[40] L’Attorney General avanti alla Corte del Massachusetts, ad esempio, riteneva che le parti private avessero richiesto non già la rimozione d’una ingiustificata deroga al principio di eguaglianza ma la creazione, preclusa per via giudiziale, di un «nuovo diritto» (il «matrimonio con una persona dello stesso sesso»).

[41] Nella sentenza cit. sui matrimoni gay, la Corte suprema canadese ricorda la discussione che precedette il cd. Persons case (Edwards v. Canada, 1930) nel quale stabilì che la donna doveva essere considerata «persona idonea» alla nomina a pubblico ufficiale, nonostante i «precedenti legali risalenti sino al diritto romano». Sino a tale decisione la definizione legale di «persona» a norma della Costituzione canadese non includeva la donna, sull’assunto che la giurisprudenza al tempo della promulgazione del British North America Act del 1857 non la comprendeva e che i costituenti, se l’avessero voluta includere, l’avrebbero detto espressamente. – Anche la Corte suprema della California, nella sentenza cit. sui matrimoni gay, ricorda come nel suo, notissimo, precedente Perez v. Sharp del 1948 sui matrimoni interraziali, la stessa non avesse mancato di ridefinire l’istituto del matrimonio nonostante «il fatto che divieti legali di matrimoni interraziali esistessero sin dalla fondazione dello Stato». Tale precedente, ad avviso della Corte, «chiarisce come la storia di per sé non è invariabilmente una guida appropriata per la determinazione del significato e dello scopo di tale fondamentale garanzia costituzionale». – Più sentenze rammentano, inoltre, come la Corte suprema degli Stati Uniti (Lawrence v. Texas 26 giugno 2003) affrontando la questione della legittimità costituzionale del delitto di sodomia previsto in Texas, si chiese se tale pratica rientrasse o meno nella più ampia nozione di libertà sessuale poiché in una precedente, notissima, sentenza la stessa Corte aveva osservato come la libertà sessuale dovesse essere riferita soltanto alla «attività sessuale procreativa» (Bowers v. Hardwick 30 giugno 1986). Il progresso del comune sentire, l’eliminazione dell’omosessualità dal catalogo delle patologie psichiatriche o delle deviazioni sessuali e, per conseguenza, l’emergente frizione tra principio di eguaglianza formale e disparità di trattamento sulla base dell’orientamento sessuale, consentì di ritenere che la sessualità tra persone dello stesso sesso esprima la stessa naturale esigenza umana e rientri pertanto, ridefinendola, nella più ampia nozione di libertà sessuale (e, nell’impostazione costituzionale americana, di diritto alla privacy). – Emblematico in senso opposto l’esito cui giungeva la Corte suprema degli Stati Uniti nel 1857 ove a proposito delle persone di origine africana proprio facendo riferimento all’originaria intenzione del Costituente affermava espressamente: «noi pensiamo che queste non siano incluse, e non si era inteso includerle, nella categoria di “cittadini” ai sensi della Costituzione», Dred Scott v. Sanford 6 marzo 1857. Su questi problemi e la connessione tra Lawrence  e questione matrimoniale sia consentito rimandare a M. Gattuso Appunti su famiglia naturale e principio di uguaglianza (A proposito della questione omosessuale) Questione Giustizia, II 2007, 276. Sulla stessa linea, ma con ben altro approfondimento, v. anche Montalti Orientamento cit., 425 e ss..

[42] In questa prospettiva, tra gli altri, M. Bonini Baraldi, La famiglia de-genere Matrimonio omosessualità e costituzione, Milano-Udine 2010. Dello stesso autore cfr. Le nuove convivenze tra disciplina straniera e diritto interno, Milano 2005.

[43] La Corte di Boston (la città dell’università di Harvard, culla del diritto americano) nella sentenza cit., dopo avere precisato di riconoscere che il significato legale di “matrimonio” nel common law è sempre stato riferito all’unione tra uomo e donna, ha ritenuto che ciò «non possa tuttavia precludere l’esame della questione di costituzionalità». La Corte segnala, difatti, il profondo significato simbolico di una «istituzione sociale della massima importanza», poiché il matrimonio civile è «allo stesso tempo un impegno profondamente personale verso un altro essere umano ed una celebrazione intensamente pubblica degli ideali di reciprocità, amicizia, intimità, fedeltà e famiglia». La Corte segnala inoltre le innumerevoli conseguenze legali del matrimonio in termini di benefici ed obblighi giuridici, rilevando quindi l’insussistenza di ragioni che consentano di giustificare la disparità di trattamento tra coppie, giungendo a ritenere che il divieto di matrimonio tra persone delle stesso sesso «costituisca una profonda e dolorosa sofferenza per un concreto segmento della comunità, senza ragioni razionali», così da imporre una «ridefinizione del matrimonio». Anche la Corte sudafricana cit. rileva come la garanzia costituzionale nei confronti delle minoranze non si possa arrestare innanzi ad un’argomentazione esclusivamente “denotational”: «i diritti per loro natura si atrofizzano se vengono congelati: quando le condizioni umane mutano e le idee di giustizia e di equità evolvono, anche le concezioni dei diritti assumono nuova trama e significato». – La Corte suprema del Canada cit. ha rilevato come «il ragionamento per concetti cristallizzati (frozen concepts) è contrario ad uno dei più fondamentali principi dell’interpretazione costituzionale canadese, per il quale la Costituzione è come un albero vivente (a living tree) che, per mezzo dell’interpretazione evolutiva, affronta e compone le diverse realtà della vita moderna».

[44] «La questione rilevante non è se il matrimonio fra le persone dello stesso sesso sia tanto radicato nelle nostre tradizioni da essere un diritto fondamentale, ma se la libertà di scegliere il proprio life partner sia tanto radicata nelle nostre tradizioni» Corte superiore Alaska cit..

[45] Tanto il Webster’s che l’Oxford English Dictionary richiamano l’unione tra due persone dello stesso sesso sotto la voce «matrimonio».

[46] Appare contraddistinto a tale proposito d’una certa indeterminatezza anche l’orientamento cd. intermedio che, muovendo da una tradizione immutabile giunge al rimando al senso comune attuale; cfr. Dal Canto che, criticandone l’approccio strettamente originalista, ritiene che la Corte avrebbe dovuto indagare il «significato che, a distanza di oltre sessant’anni dall’entrata in vigore della Carta costituzionale e tenuto conto dell’attuale contesto storico e sociale, era possibile oggi attribuire a tale locuzione testuale» (ritenendo che la «locuzione conservi, attualmente, un “nucleo duro” di significato che risulta incentrato appunto sul presupposto della diversità di sesso dei coniugi»), La Corte costituzionale cit. 1371. Sottolineava la necessità di non pervenire «ad esiti ricostruttivi non soltanto discosti dall’originaria intenzione dei suoi redattori (il cui rilievo secondo la più accreditata opinione è pur sempre relativo) ma – ciò che più importa – dal senso comune (e, perciò, oggettivo) attribuito alle espressioni in parola, per l’uso fattone nella pratiche (giuridiche e non) correnti» anche Ruggeri Idee sulla famiglia cit. 752.

[47] Così Veronesi Costituzione, «strane famiglie» cit. 585. L’Autore cita, tra gli altri, l’evoluzione del concetto di salute (volto nell’intenzione originaria a prevenire le pratiche e le sperimentazioni umane nei lager nazisti ed utilizzato nella sua applicazione per il potenziamento del consenso informato, per la consapevole rinunzia alle cure salvavita, per i trapianti inter vivos, per giustificare la mutazione dei tratti sessuali ecc..) nonché l’esempio dei transessuali, con l’attuale conseguente possibilità d’accedere persino alle pratiche adottive da parte di coppie composte da persone del medesimo sesso biologico originario, definendoli «tutti approdi difficilmente riconducibili alle tradizioni, alle attese e fors’anche ai valori che si ha ragione di pensare appartenessero ai costituenti, eppure non esclusi dalla formulazione del testo».

[48] In questi termini, R. Bin Per una lettura non svalutativa dell’art. 29, 4, in La «società naturale» ed i suoi “nemici” cit. .

[49] L’omosessualità è stata cancellata dal DSM (Diagnostic and statistical manual of mental disorders) nel 1973 ed è stata definita una «variante del comportamento umano» con Decisione OMS 17 maggio 1990. Sul rapporto tra mutamento di paradigma scientifico e mutamento giuridico v. M. Gattuso, Il dialogo tra le Corti, in La «società naturale»  cit.