Tribunale di Treviso, prima sezione civile, sentenza del 20 ottobre 2008 – 10 novembre 2008

Il Giudice Unico presso il Tribunale di Treviso

Dott. Marco BIAGETTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile n. 919/2006 R.G.

promossa da:

Ra.Lo.Co.

con Avv. Ma.NA.

ATTORE

CONTRO

MINISTERO DELL’INTERNO

CONVENUTO CONTUMACE

OGGETTO: Diritti della personalità

 Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 22/11/2005 Ra.Lo.Co. citava avanti codesto Tribunale il Ministero dell’Interno in persona del ministro pro tempore esponendo di essere cittadino colombiano, presente in territorio italiano dal 1995; di essere dichiaratamente e palesemente un transessuale, avendo un aspetto esteriore che rappresenta perfettamente la sua completa identificazione con il genere sessuale femminile: si veste da donna, si trucca, ha atteggiamenti prettamente femminili, si comporta sostanzialmente come una donna, pur risultando anagraficamente appartenente al sesso maschile; di essere incensurato e di trovarsi attualmente in Italia sprovvisto di regolare permesso di soggiorno, essendo quest’ultimo scaduto di validità in data 11.11.2000 e pertanto vivendo nel nostro Paese in clandestinità con il rischio concreto e attuale di essere destinatario nell’immediato di un provvedimento di espulsione e di rimpatrio nel proprio paese di origine.

Per tali motivi, essendo a suo dire noto che in quasi tutti i paesi dell’America Latina gli arbitrii delle forze di polizia nei confronti della comunità omosessuale sono all’ordine del giorno, a causa di una mancanza di controllo da parte delle autorità politiche e inoltre per la presenza residua nei codici di reati, come quello dell’offesa al pubblico pudore che sono utilizzati dalla polizia per arrestare a fare pressione sugli omosessuali, con l’espulsione il Signor Lo.Co. si troverebbe in una situazione oltremodo pericolosa, proprio il fatto di essere un transessuale, e dunque rendendo l’odierno attore soggetto ad alto rischio di persecuzione nel suo paese d’origine.

Chiedeva pertanto che fosse riconosciuto il suo diritto d’asilo nel nostro paese ai sensi dell’art. 10 della Costituzione.

Alla prima udienza del 27/04/2006 nessuno compariva per il convenuto Ministero, che veniva pertanto dichiarato contumace.

Il G.I. fissava udienza ex art. 183 c.p.c., (vecchio rito) e successivamente assegnava i termini per le memorie istruttorie, fissando udienza al 31/10/2006.

La causa veniva istruita con l’effettuazione di una CTU medico-psichiatrica volta ad accertare l’effettivo status di transessuale dell’attore, affidata al Dott. Tu.Fr. e all’esito il G.I., preso atto che le prove testimoniali non erano state assunte per mancata comparizione dei testi, ritenuta la causa matura per la decisione fissava l’udienza di precisazione delle conclusioni al 10/04/2008.

A tale udienza, parte attrice precisava le conclusioni così come in epigrafe e il G.I. tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionale e memorie di replica.

La causa passa ora in decisione.

Motivi della decisione

La domanda attorea è infondata e andrà pertanto respinta.

Come evidenziato in premessa, la domanda attorea era volta ad ottenere il c.d. diritto di asilo in Italia, garantito dall’art. 10 III comma della Costituzione, in base al quale tale diritto è garantito allo straniero “… al quale sia impedito, nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana…”.

La giurisprudenza ha chiarito, in materia, che: “Le categorie dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico non sono del tutto sovrapponibili: il rifugiato versa in una situazione di fondato timore di persecuzione che può non coincidere con quella del richiedente asilo, per il quale l’art. 10 comma III cost., indica come requisito la circostanza che allo straniero sia impedito, nel suo paese, l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana. Per contro, le due categorie sono unitariamente disciplinate, giacché il precetto costituzionale accorda ad entrambe una piena tutela, per il tramite di una figura giuridica riconducibile alla categoria degli “status” e dei diritti soggettivi” (Consiglio St. Atti norm., 19.04.2004, n. 200).

Tale distinzione, anche ai fini che interessano in questa sede, ha una certa rilevanza, in quanto è stato ulteriormente chiarito che: “La generica gravità della situazione economica, della situazione politica economica e la stessa mancanza dell’esercizio delle libertà democratiche non sono di per sé sufficienti a costituire i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato, essendo necessario che la specifica situazione soggettiva del richiedente, in rapporto alle caratteristiche oggettive sussistenti nel suo paese, siano tali da far ritenere l’esistenza di un grave pericolo per l’incolumità della persona. Non è sufficiente a tal fine l’appartenenza ad una etnia in posizione di difficoltà, sia pure nell’attuale situazione di alcune aree non caratterizzate dal rispetto dei diritti umani, in quanto è necessario un “quid pluris” dato da una persecuzione specificamente rivolta al richiedente; pertanto per ottenere lo “status” di rifugiato è necessario almeno il pericolo reale di subire persecuzioni, mentre per integrare la previsione del comma III dell’art. 10 cost., è sufficiente la mancanza di libertà democratiche nel paese di provenienza”. (T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 09.10.2003, n. 4526).

In questo senso, dunque, si ritiene che la mancanza di libertà democratiche nel paese di provenienza sia requisito unico e sufficiente per ottenere il riconoscimento del diritto d’asilo, così come quello di rifugiato, per il quale però è necessaria anche la sussistenza di una situazione personale “singola” del soggetto che lo renda personalmente esposto a persecuzioni.

Tuttavia, il concetto di “mancanza di libertà democratiche”, nel paese di provenienza del richiedente, non è concetto così ampio e indeterminato come apparirebbe ad una prima lettura superficiale.

Mancanza di libertà democratiche significa innanzitutto (senza spingersi in spiegazioni troppo ampie e non opportune in questa sede) mancanza di libertà politiche, ma significa anche mancanza di garanzie per poter liberamente esplicare, nel paese di provenienza, tutti quei diritti che invece la Costituzione italiana garantisce come inviolabili (diritto di associazione, di espressione del pensiero, di religione, di sesso, ecc… di cui agli artt. 13 – 28 Cost.).

Tale mancanza, tuttavia, deve giocoforza dipendere da condizioni obiettive e notorie, dipendenti direttamente dalla situazione politica, sociale e legislativa del paese d’origine e non da situazioni transitorie, limitate e circoscritte, dipendenti invece dall’esistenza di criminalità diffusa e fuori controllo, o da una situazione generale di “corruzione” politica e sociale che renda frequenti abusi e soprusi da parte di bande criminali organizzate o da gruppi di delinquenti comuni.

In parole più povere, la mancanza di libertà democratica deve essere, per così dire, “istituzionalizzata”, cioè dipendere direttamente da leggi dello Stato che impediscano o comprimano diritti fondamentali ed inviolabili dell’uomo (es., la libertà di pensiero o di stampa in Cina, la libertà religiosa in Iran, ecc…), ma non può essere semplice conseguenza di situazioni contingenti, in paesi con criminalità diffusa e radicata, rese tali dall’impossibilità o difficoltà per lo Stato, ove pure le libertà sono garantite “costituzionalmente”, di tenere sotto controllo organizzazioni criminali dedite a varie attività illecite; altrimenti verrebbe da chiedersi se persino in Italia è riscontrabile, in certe zone, la mancanza di libertà democratiche garantite, a causa della presenza delle organizzazioni criminali (mafia, ndrangheta e camorra) che di fatto controllano ogni attività “libera” dei cittadini.

Questa è di fatto, invece, la situazione descritta dall’attore e sulla quale è stata fondata la domanda di asilo; è lui stesso, infatti, sentito dal CTU nel corso della perizia volta a verificare il suo status di transessuale (che di fatto non è in discussione, quantunque la perizia concluda comunque nel senso di una “transessualità atipica” – cfr. pag.4 CTU) che spiega che in Colombia “… non ci sono pregiudizi, la gente normale non è che si fa pregiudizi, ma ci sono queste bande, che ci fanno la vita difficile…”; e ancora: “… Un gruppo di questa gente, di questi gruppi armati sovversivi, perché loro non vogliono gli omosessuali, la gente che si droga. Loro prima abitavano in montagna, dentro la selva, nella montagna profonda, e come il governo lo stanno combattendo, loro si stanno diffondendo nelle città: io vivo in un quartiere dove vivono persone non ricche, di classe media, e io non posso tornare in Colombia perché li ho denunciati, lo per quello sto chiedendo il permesso, per i diritti: in Colombia non posso andare e se vado devo cambiare città”; e alle domande sulla diffusione e tolleranza della transessualità in Colombia risponde che: “… è diffusa, cioè frequente, o c’è molta tolleranza per i pochi casi…”.

Tutto ciò dimostra come nel paese di origine dell’attore non è riscontabile alcuna “persecuzione” degli omosessuali o dei transessuali, cioè di fatto non esiste alcuna mancanza di libertà democratica o di discriminazione legata alla sfera sessuale, tale da giustificare la concessione dell’asilo politico per la sussistenza oggettiva dei presupposti di cui all’art. 10 III comma della Costituzione.

Anche la copiosa documentazione allegata dall’attore, volta a dimostrare il “fatto notorio” della situazione di discriminazione esistente in Colombia, in realtà attesta soltanto la difficile e complessa situazione di criminalità diffusa e di grave corruzione, anche all’interno delle istituzioni nazionali (come l’esercito “regolare” o i servizi segreti) che però riportano concettualmente solo a quanto prima riferito in merito a situazioni “non istituzionalizzate” e non certo dipendenti dalla Costituzione o da Leggi dello Stato (o dalla mancanza di leggi volte a garantire i diritti fondamentali).

Per tali motivi, la domanda attorea deve ritenersi infondata, in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge.

Nulla sulle spese, in mancanza di opposizione.

P.Q.M.

Il Giudice Unico presso il Tribunale di Treviso, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda, eccezione od istanza disattesa, così decide:

1. Rigetta la domanda attorea.

2. Nulla sulle spese.

Così deciso in Treviso il 20 ottobre 2008.

Depositata in Cancelleria il 10 novembre 2008.