PROPOSTA DI LEGGE Di Pietro n. 5336 – Modifiche al codice civile in materia di eguaglianza nell’accesso al matrimonio in favore delle coppie formate da persone dello stesso sesso

PROPOSTA DI LEGGE

d’iniziativa del deputato Di Pietro

Modifiche al codice civile in materia di eguaglianza nell’accesso al matrimonio in favore delle coppie formate da persone dello stesso sesso

On. Di Pietro

 

Onorevoli Colleghi! – La vita di coppia è espressione genuina della natura umana e costituisce una scelta fondamentale per lo sviluppo e l’espressione della personalità delle due persone che stabiliscono un progetto di vita comune. La nostra Costituzione riconosce in questa scelta uno dei fondamenti dell’ordine politico, della pace e dello sviluppo sociale e la garantisce come diritto fondamentale e inviolabile dell’uomo, ai sensi dell’art. 2 Cost.

Oggi nel nostro Paese, come in ogni altro paese dove non esistono aberranti leggi penali di repressione delle persone omessuali, è possibile individuare nell’ambito dell’organizzazione familiare, che rappresenta un modello comune, due realtà fondamentali che divergono per la differenza o l’uguaglianza di sesso delle due persone che costituiscono la coppia e all’interno delle quali trova spazio la filiazione naturale o adottiva.

L’elaborazione giurisprudenziale della Corte costituzionale ha ricondotto tra le formazioni sociali riconosciute e garantite ai sensi dell’art. 2 Cost., più realtà familiari che oggi caratterizzano la società italiana e dei paesi occidentali.

Innanzitutto, la Corte ha ricondotto nell’ambito dell’art. 2 la famiglia coniugata regolata dall’art. 29 Cost.e la famiglia cosiddetta di fatto.

Con riguardo alle famiglie coniugate e a quelle di fatto formate da un uomo e una donna, la Corte ha ritenuto necessario attribuire a ciascuna la sua specifica dignità, ma anche distinguerle in modo da evitare di configurare la convivenza come forma minore del rapporto coniugale e da non innescare «alcuna “impropria” rincorsa verso la disciplina del matrimonio da parte di coloro che abbiano scelto di liberamente convivere. Soprattutto, si pongono le premesse per una considerazione giuridica dei rapporti personali e patrimoniali di coppia nelle due diverse situazioni, considerazione la quale – fermi in ogni caso i doveri e i diritti che ne derivano verso i figli e i terzi – tenga presenti e quindi rispetti il maggior spazio da riconoscersi, nella convivenza, alla soggettività individuale dei conviventi; e viceversa dia, nel rapporto di coniugio, maggior rilievo alle esigenze obiettive della famiglia come tale, cioè come stabile istituzione sovraindividuale» (sentenza n. 8 del 1996).

Nell’ambito dello stesso articolo 2, la Corte ha ricondotto successivamente le famiglie formate da persone dello stesso sesso, riconoscendo che «l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso», ha «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri», specificando che il Parlamento deve «individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette» (sentenza n. 138 del 2010). La Corte ha indicato al Parlamento la possibilità di optare nella scelta della regolamentazione tra l’apertura del matrimonio o l’introduzione di una diversa regolamentazione, aggiungendo inoltre che è possibile riscontrare la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale, in relazione ad ipotesi particolari, anche in assenza di un intervento legislativo, mediante un controllo di ragionevolezza riservato ai giudici.

Nonostante l’evoluzione della giurisprudenza, non solo costituzionale, nella nostra legislazione ordinaria, purtroppo, è dato riscontrare ancora la presenza di un vulnus, rappresentato dalla totale assenza di una disciplina organica in favore delle famiglie formate da persone dello stesso sesso e dai loro figli. L’attuale quadro normativo, mentre consente alle famiglie formate da un uomo e una donna, la scelta tra l’accesso al matrimonio e la possibilità di rimanere una realtà di fatto, impedisce alle famiglie formate da due uomini o da due donne la possibilità di optare qualunque scelta, non consentendo il godimento di diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione.

È importante sottolineare che questa diversità di trattamento giuridico è stabilita unicamente in base ad una caratteristica personale degli individui, qual è l’orientamento sessuale, che l’art. 3 Cost. impedisce di prendere come elemento di discriminazione normativa tra le persone.

Pertanto, in ambito familiare, la legge continua a dare rilevanza e dignità sociale unicamente all’orientamento eterosessuale e non a quello omosessuale. Questo è un pregiudizio antico che la Repubblica non può più tollerare e che questa legge intende rimuovere aprendo il matrimonio civile alle famiglie omosessuali.

Non operare questa apertura avrebbe il significato di mantenere una discriminazione non tollerabile, motivata unicamente da una caratteristica personale, in relazione ad un diritto, quello di sposarsi, che la nostra Costituzione inserisce tra quelli fondamentali.

La libertà di contrarre matrimonio costituisce un diritto fondamentale della persona riconosciuto anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 16), dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 9).

In particolare, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nella sentenza del 24 giugno 2010 Shark and Kopf contro Austria, successiva alla sentenza della nostra Corte costituzionale, ha considerato «artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della “vita familiare” ai fini dell’articolo 8» della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e che «conseguentemente la relazione dei ricorrenti, una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di “vita familiare”, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppa eterosessuale nella stessa situazione». La Corte ha anche compiuto un revirement interpretativo dell’articolo 12 della Convenzione dichiarando che esso potrà essere considerato –alla luce dell’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea- come fonte di protezione del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Pochi mesi fa, la Corte di cassazione, nella sentenza n. 4184 del 15 marzo, riprendendo i contenuti delle sentenze già richiamate della Corte costituzionale e della CEDU ha concluso che non ci sono più dubbi sul fatto che il matrimonio tra due persone dello stesso sesso non è inesistente per il nostro ordinamento, come invece fino ad allora veniva creduto, ma è valido laddove contratto all’estero, nonostante sia incapace di produrre effetti in Italia, a causa dell’assenza di una disciplina matrimoniale posta dal nostro legislatore a favore delle coppie omosessuali.

Tuttavia, dice la Suprema corte, non vi sono dubbi sul senso e sugli effetti dei dicta delle due Corti citate nell’ordinamento giuridico italiano (punto 4.2 della sentenza). Secondo la Cassazione «I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto», se in assenza di una legislazione italiana «non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia -, quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata» (punto 4.2 della sentenza).

Siamo evidentemente di fronte ad una situazione nella quale la giurisprudenza, interpretando il diritto vigente, ha restituito a tutte le persone gay e lesbiche, alle loro famiglie e ai loro figli la dignità sociale che la nostra Costituzione gli riconosce incastonandola tra i diritti fondamentali dell’uomo.

Con questa legge, pertando, il legislatore italiano intende portare a compimento questa fioritura giuridica e di civiltà, consentendo alle coppie omosessuali di poter contrarre matrimonio. Si tratta non solo di una scelta rimessa alla sua discrezionalità, ma anche di un imperativo gli deriva dalla Costituzione laddove impone alla Repubblica di rimuovere ogni ordine di ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini (articolo 3 Cost.).

Non vi può essere il timore che dall’estensione del matrimonio derivi un pregiudizio alle famiglie eterosessuali fondate sul matrimonio. Al contrario, l’estensione alle famiglie formate da due donne o due uomini, ma anche da due mamme o due papà omosessuali, rafforzano l’istituto matrimoniale, rendendolo sempre più uno strumento di uguaglianza e di valorizzazione della persona, come è già avvenuto in passato quando è stata riconosciuta la libertà di scegliere liberamente il coniuge, quando è stata riconosciuta la parità tra gli uomini e le donne o quando è caduto il divieto di celebrare matrimonio interrazziali.

Non è di poco conto ricordare che oggi nel mondo il matrimonio è aperto alle coppie formate da persone dello stesso sesso in Portogallo, Spagna, Belgio, Danimarca, Olanda, Norvegia, Svezia, Islanda e, per rimanere in Europa, nel giro di un anno o poco più lo sarà in Francia e in Inghilterra. Lo stesso accada, fuori dall’Europa, in Sud Africa, in Canada, in sette degli Stati Uniti d’America e in alcuni degli stati federati messicani, in Argentina. L’attuale presidente degli Stati Uniti d’America si è detto favorevole all’estensione del matrimonio ugualitario all’intera federazione. Si tratta, evidentemente, di un processo globale di sviluppo del diritto e della civiltà che appare inarrestabile.

In conclusione, non possiamo più tollerare, perché ripugna alla coscienza, che nel nostro Paese ci siano famiglie e persone costrette all’invisibilità sociale in ragione di un pregiudizio antico e insensato che limita la libertà matrimoniale, determinando una discriminazione nell’esercizio di un diritto fondamentale dell’uomo legata ad una mera condizione personale, che non appare ragionevole, in assenza di esigenze di salvaguardia di altri valori costituzionalmente rilevanti di pari grado, tali da giustificare un limite a questo diritto fondamentale. Anzi proprio l’esigenza di assicurare l’affermazione di altri valori costituzionali deve portarci a non più tollerare che i figli delle persone omosessuali, frutto di una scelta di amore e maternità e paternità condivisa, siano costretti per legge ad avere un solo genitore o possano correre il rischio di non averne più nessuno nel caso in cui non dovesse esserci più il genitore naturale.

 

 

 

 

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Dopo l’articolo 90 del codice civile è inserito il seguente:

«Art. 90-bis. – (Eguaglianza di sesso). – Il matrimonio può essere contratto tra persone di sesso diverso o dello stesso sesso con i medesimi requisiti ed effetti».

Art. 2.

1. Agli articoli 107 e 108del codice civile le parole «in marito e in moglie» sono sostituite dalla seguenti «come coniugi».

2. All’articolo 143del codice civile le parole «il marito e la moglie» sono sostituite dalla seguenti «i coniugi».

3. L’articolo 143-bis del codice civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 143-bis. – (Cognome dei coniugi). – Ciascuno dei coniugi aggiunge al proprio cognome quello dell’altro e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze».

 4. L’articolo 156-bis del codice civile è sostituito dal seguente:

«Art. 156-bis. – (Cognome dei coniugi). – Il giudice può vietare a un coniuge l’uso del cognome dell’altro, quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole e può parimenti autorizzare un coniuge a non utilizzare il cognome dell’altro, qualora dall’uso possa derivargli grave pregiudizio».

Art. 3.

      1. Le disposizioni di legge e di regolamento vigenti in materia di matrimonio si applicano indipendentemente dal sesso dei contraenti il matrimonio medesimo.
2. Nelle disposizioni di legge e di regolamento vigenti, le parole: «marito e moglie», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «i coniugi».