Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, Schalk e Kopf contro Austria TRADUZIONE ITALIANA (non ufficiale)

 Sentenza *

La presente sentenza diventerà definitiva alle condizioni indicate nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Essa può subire modifiche formali.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Prima Sezione), sedendo quale Camera, composta da:
Christos ROZAKIS, Presidente,
e dai Sigg.ri Giudici:
Anatoly KOVLER,
Elisabeth STEINER,
Dean SPIELMANN;
Sverre Erik JEBENS,
Giorgio MALIVERNI,
George NICOLAOU,
e dal Cancelliere di Sezione Aggiunto André WAMPACH,
avendo deliberato in Camera di consiglio in data 25 febbraio 2010 e 3 giugno 2010,
emette la seguente sentenza, adottata nella data indicata da ultimo:

PROCEDURA
1.La causa ha preso le mosse da un ricorso (n. 30141/04) nei confronti della Repubblica di Austria presentato alla Corte a norma dell’articolo 34 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (“la Convenzione”) da due cittadini austriaci, il Sig. Horst Michael Schalk e il Sig. Johan Franz Kopf (“i ricorrenti”), in data 5 agosto 2004.
2.I ricorrenti sono stati rappresentati dall’Avv. K. Mayer, del Foro di Vienna. Il Governo austriaco (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo Agente, Ambasciatore H. Tichy, Capo del Dipartimento di Diritto Internazionale del Ministero Federale per gli Affari Europei e Internazionali.
3.I ricorrenti hanno dedotto, in particolare, di essere stati discriminati in quanto, essendo una coppia omosessuale, è stata loro negata la possibilità di contrarre matrimonio o di fare riconoscere la loro relazione dalla legge in altro modo.
4.L’8 gennaio 2007 il Presidente della Prima Sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Si è anche deciso di esaminare il merito del ricorso contemporaneamente alla sua ammissibilità (articolo 29 § 3).
5.I ricorrenti e il Governo hanno presentato ciascuno delle osservazioni scritte sull’ammissibilità e sul merito del ricorso. Il Governo ha presentato anche ulteriori osservazioni scritte. Inoltre, sono pervenuti commenti scritti di terzi da parte del Governo del Regno Unito, al quale il Presidente aveva permesso di intervenire nella procedura scritta (articolo 36 § 2 della Convenzione e articolo 44 § 2 del Regolamento). Un commento comune di terzi è pervenuto da quattro organizzazioni non-governative alle quali il Presidente ha permesso di intervenire, cioè la FIDH (Féderation Internationale des ligues des Droits de l’Homme), l’ICJ (International Commission of Jurists), il Centro AIRE (Advice on Individual Rights in Europe) e l’ILGA-Europe (European Region of the International Lesbian and Gay Association). Il Presidente ha permesso alle quattro organizzazioni non-governative anche di intervenire all’udienza.
6.Si è svolta un’udienza pubblica nel Palazzo dei Diritti Umani a Strasburgo in data 25 febbraio 2010 (articolo 59 § 3 del Regolamento).
Sono comparsi davanti alla Corte:
(a)per il Governo
B. Ohms, Cancelleria federale, Agente Aggiunto,
G. Paschinger, Ministero Federale degli Affari europei e internazionali
M. Stormann, Ministero Federale della Giustizia Consulenti;
(b) per i ricorrenti
K. Mayer Avvocato,
H. Schalk, Ricorrente;
(c) per le organizzazioni non-governative, terzi intervenuti
R. Wintemute, Kings College, Londra, Avvocato,
A. Jernow, International Commission of Jurists, Consulente.
La Corte ha udito gli interventi della Sig.ra Ohms, del Sig. Mayer e del Sig. Wintemute.

IN FATTO
1.LE CIRCOSTANZE DEL RICORSO
7.I ricorrenti sono nati, rispettivamente, nel 1962 e nel 1960. Essi sono una coppia omosessuale che vive a Vienna.
8.In data 10 settembre 2002 i ricorrenti hanno chiesto all’Ufficio dello Stato Civile (Standesamt) di adempiere alle formalità richieste perché essi potessero contrarre matrimonio.
9.Con provvedimento del 20 dicembre 2002 il Consiglio Comunale di Vienna (Magistrat) ha rigettato la richiesta dei ricorrenti. Facendo riferimento all’articolo 44 del Codice Civile (Allgemeines Burgerliches Gesetzbuch), esso ha ritenuto che il matrimonio poteva essere contratto solo tra persone di sesso opposto. In base alla costante giurisprudenza, un matrimonio contratto da due persone dello stesso sesso era nullo. Dato che i ricorrenti erano due uomini, essi non avevano la capacità di contrarre matrimonio.
10.I ricorrenti hanno interposto appello davanti al Governatore Regionale di Vienna (Landeshauptmann), ma senza successo. Con provvedimento dell’11 aprile 2003 il Governatore ha confermato il parere giuridico del Consiglio Comunale. Egli ha inoltre citato la giurisprudenza del Tribunale Amministrativo in base alla quale il fatto che le due persone interessate appartenessero allo stesso sesso costituiva impedimento al matrimonio. Inoltre, l’articolo 12 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali riservava il diritto di contrarre matrimonio a persone di sesso diverso.
11.Con ricorso costituzionale i ricorrenti hanno dedotto che la loro incapacità giuridica di contrarre matrimonio costituiva una violazione del loro diritto al rispetto per la vita privata e familiare e al principio di non discriminazione. Essi hanno dedotto che la nozione di matrimonio si è evoluta dall’entrata in vigore del Codice Civile nel 1812. In particolare, la procreazione e l’educazione dei figli non costituiva più parte integrante del matrimonio. Nell’attuale percezione, il matrimonio era piuttosto un’unione durevole che comprendeva tutti gli aspetti della vita. Non vi era alcuna giustificazione oggettiva per escludere le coppie omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio, a maggior ragione da quando la Corte Europea per i Diritti Umani aveva riconosciuto che le disparità basate sull’orientamento sessuale imponevano ragioni di particolare peso. Altri paesi europei avevano permesso i matrimoni omosessuali o avevano modificato differentemente la loro legislazione in modo da fornire alle unioni omosessuali uno status uguale.
12.Infine, i ricorrenti hanno dedotto la violazione del loro diritto al godimento pacifico dei loro beni. Essi hanno sostenuto che in una coppia omosessuale in caso di morte di uno dei partner, l’altro era discriminato poiché si sarebbe trovato in una posizione molto meno favorevole, dal punto di vista della normativa fiscale, del coniuge superstite di una coppia coniugata.
13.In data 12 dicembre 2003 la Corte Costituzionale (Verfassungs-gerichtshof) ha rigettato il ricorso dei ricorrenti. Le parti pertinenti della sua sentenza recitano come segue:
“Il procedimento amministrativo risultato nella decisione impugnata riguardava esclusivamente la questione della legittimità del matrimonio. Conseguentemente, l’unica doglianza dei ricorrenti applicabile è che l’articolo 44 del Codice Civile riconosce e prevede solo il matrimonio tra “persone di sesso opposto”. L’asserita violazione del diritto di proprietà è semplicemente un ulteriore mezzo per tentare di dimostrare che questo stato degli affari è ingiustificato.
Per quanto riguarda il matrimonio, l’articolo 12 della CEDU, che ha il rango di legge costituzionale, prevede:
‘A partire dall’età maritale, l’uomo e la donna hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia, secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di questo diritto.’
Né il principio dell’uguaglianza previsto dalla Costituzione federale austriaca né la Convenzione Europea sui Diritti Umani (come sottolineato nell’articolo 12 da “l’uomo e la donna”) impongono che la concezione del matrimonio finalizzato alla fondamentale possibilità della procreazione debba essere estesa a rapporti di altro genere. L’essenza del matrimonio non è, inoltre, influenzata in alcun modo dal fatto che è possibile il divorzio (o la separazione) e che è un problema degli sposi se essi sono effettivamente in grado di procreare o desiderano farlo. La Corte Europea dei Diritti Umani ha ritenuto nella sentenza di cui al ricorso Cossey del 27 settembre 1990 (n. 10843/84, relativa alla particolare posizione dei transessuali) che la limitazione del matrimonio a questa concezione “tradizionale” fosse giustificata oggettivamente, osservando
“… che l’attaccamento alla concezione tradizionale del matrimonio fornisce motivo sufficiente per continuare ad adottare criteri biologici per determinare il sesso di una persona ai fini del matrimonio.”
[La successiva modifica nella giurisprudenza relativa alla particolare questione dei transessuali [CEDU, Goodwin, n. 28957/95, 11 luglio 2002) non permette di concludere che vi dovrebbe essere una modifica nella valutazione della questione generale in discussione qui.]
Il fatto che i rapporti tra persone dello stesso sesso rientrino nel concetto di vita privata e, in quanto tali beneficino della tutela dell’articolo 8 della CEDU – che proibisce anche la discriminazione per motivi non-oggettivi (articolo 14 della CEDU) – non fa sorgere l’obbligo di modificare la legislazione relativa al matrimonio.
Al contrario, il ricorso deve essere invece rigettato in quanto infondato.”
14.La sentenza della Corte Costituzionale è stata notificata al difensore dei ricorrenti in data 25 febbraio 2004.

II. IL PERTINENTE DIRITTO NAZIONALE E COMPARATO
A. La legislazione austriaca
1.Il Codice Civile
15.L’articolo 44 del Codice Civile (Allgemeines Burgeliches Gesetzbuch) prevede:
“Il contratto di matrimonio formerà la base dei rapporti familiari. In base al contratto di matrimonio due persone di sesso opposto dichiareranno la loro legittima intenzione di vivere insieme in comunione indissolubile, di procreare e allevare figli e di assistersi reciprocamente.”
La disposizione è rimasta immutata dalla sua entrata in vigore il 1° gennaio 1812.
2.La Legge sulle Unioni registrate.
16.Il fine della Legge sulle Unioni registrate (Eingetragene Partnerschaft-Gesetz) era di fornire alle coppie omosessuali un meccanismo formale per riconoscere e dare effetti giuridici ai loro rapporti. Introducendo la suddetta Legge, il Legislatore ha tenuto particolare conto degli sviluppi in altri Stati europei (vedi il rapporto esplicativo sul progetto di legge – Erläuterungen zur Regierungsvorlage, 485 der Beilagen XXIV GP).
17.La Legge sulle Unioni Registrate, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale federale (Bundesgesetzblatt) vol. I, n. 135/2009, è entrata in vigore in data 1° gennaio 2010. L’articolo 2 prevede quanto segue:
“Solo due persone dello stesso sesso (partner registrati) possono costituire un’unione registrata. Essi si impegnano in tal modo a un rapporto durevole con reciproci diritti e obblighi.”
18.Le norme relative alla costituzione dell’unione registrata, ai suoi effetti e al suo scioglimento assomigliano alle norme che disciplinano il matrimonio.
19.L’unione registrata comporta la convivenza stabile e può essere costituita fra due persone dello stesso sesso in possesso della capacità giuridica e che abbiano raggiunto la maggiore età (articolo 3). Un’unione registrata non deve essere costituita tra parenti stretti o con una persona che è già coniugata o che ha costituito un’unione registrata ancora valida con un’altra persona (articolo 5).
20.Come le coppie coniugate, i partner registrati devono vivere insieme come coniugi sotto tutti gli aspetti, condividere un’abitazione comune, trattarsi reciprocamente con rispetto e fornirsi assistenza reciproca (articolo 8(2) e (3).) Come nel caso dei coniugi, il partner che si occupa del nucleo familiare comune e che non ha redditi può rappresentare l’altro partner nelle transazioni giuridiche quotidiane (articolo 10). I partner registrati hanno gli stessi obblighi dei coniugi in relazione al mantenimento.
21.I motivi di scioglimento dell’unione registrata sono gli stessi dello scioglimento del matrimonio o del divorzio. Lo scioglimento di un’unione registrata avviene in caso di decesso di uno dei partner (articolo 13). Esso può essere pronunciato anche con provvedimento giudiziario per diversi altri motivi: il venir meno dell’intenzione di costituire un’unione registrata (articolo 14), la colpa di uno o di entrambi i partner, o il fallimento dell’unione dovuto a divergenze inconciliabili (articolo 15).
22.La Legge sulle Unioni Registrate contiene anche una vasta gamma di modifiche dell’esistente legislazione al fine di fornire ai partner registrati lo stesso status dei coniugi in vari altri campi del diritto, quali il diritto ereditario, il diritto del lavoro, il diritto sociale e delle assicurazioni sociali, il diritto tributario, il diritto amministrativo, la legislazione relativa alla protezione dei dati e ai servizi pubblici, le questioni in materia di passaporti e registrazioni, nonché la legislazione relativa agli stranieri.
23.Tuttavia restano alcune differenze tra il matrimonio e l’unione registrata, oltre al fatto che solo due persone dello stesso sesso possono costituire un’unione registrata. Le seguenti differenze sono state oggetto di un dibattito pubblico prima dell’adozione della Legge sulle Unioni Registrate: mentre il matrimonio si contrae nell’Ufficio dello Stato Civile, le unioni registrate sono concluse davanti all’Autorità Amministrativa Distrettuale. Le norme relative alla scelta del cognome differiscono da quelle delle coppie coniugate: per esempio, la legge parla di “cognome” se una coppia registrata sceglie un cognome comune, ma di “cognome familiare” con riferimento al cognome comune di una coppia coniugata. Le differenze più importanti, comunque, riguardano i diritti genitoriali: a differenza delle coppie coniugate, i partner registrati non possono adottare un bambino; né è loro permessa l’adozione di un figliastro, vale a dire l’adozione del figlio di uno dei partner da parte dell’altro partner (articolo 8(4)). È altresì esclusa l’inseminazione artificiale (articolo 2 (1) della Legge sulla procreazione artificiale – Fortpflanzungsmedizingesetz).
B. Il Diritto comparato
1. La legislazione dell’Unione europea
24. L’articolo 9 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, che è stata firmata il 7 dicembre 2000 ed è entrata in vigore il 1° dicembre 2009, recita come segue:
“Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.”
25. La parte pertinente del Commentario della Carta dichiara quanto segue:
“Tendenze e sviluppi moderni nelle legislazioni nazionali di diversi paesi verso una maggiore apertura e accettazione delle coppie omosessuali nonostante che alcuni stati abbiano tuttora politiche pubbliche e/o regolamenti che proibiscono esplicitamente la nozione che le coppie omosessuali abbiano il diritto di sposarsi. Attualmente vi è un riconoscimento giuridico estremamente limitato delle relazioni tra partner dello stesso sesso nel senso che le coppie omosessuali non possono contrarre matrimonio. Le legislazioni nazionali della maggioranza degli stati presuppongono, in altre parole, che coloro che intendono sposarsi siano di sesso diverso. Ciononostante, in alcuni paesi, p.es. nei Paesi Bassi e in Belgio, il matrimonio tra persone omosessuale è riconosciuto giuridicamente. Altri, come i paesi scandinavi, hanno approvato una legislazione sulle unioni registrate, che implica, tra l’altro, che la maggior parte delle disposizioni relative al matrimonio, p. es. le sue conseguenze giuridiche quali la ripartizione dei beni, i diritti di successione, ecc., sono applicabili anche a queste unioni. Allo stesso tempo è importante sottolineare che la definizione di “unione registrata” è stata scelta intenzionalmente per non confonderla con il matrimonio, ed essa è stata istituita quale metodo alternativo di riconoscimento dei rapporti personali. Questo nuovo istituto è, conseguentemente, di norma accessibile solo a coppie che non possono contrarre matrimonio, e l’unione omosessuale non ha lo stesso status e gli stessi vantaggi del matrimonio. (…)
Per tenere conto della diversità dei regolamenti nazionali relativi al matrimonio, l’articolo 9 della Carta rinvia alla legislazione nazionale. Come appare dalla sua formulazione, la disposizione ha un campo di applicazione più ampio dei corrispondenti articoli di altri strumenti internazionali. Dato che non vi è un riferimento esplicito “agli uomini e alle donne” come avviene in altri strumenti relativi ai diritti umani, si può sostenere che non vi è alcun ostacolo al riconoscimento delle relazioni omosessuali nel contesto del matrimonio. Non vi è, tuttavia, alcuna disposizione esplicita che imponga che le legislazioni nazionali debbano facilitare tali matrimoni. I tribunali e la commissioni internazionali hanno finora esitato a estendere l’applicazione del diritto al matrimonio alle coppie omosessuali. (…)”
26. Anche diverse Direttive interessano questo caso:
la Direttiva del Consiglio Europeo 2003/86/CE del 22 settembre 2003, sul diritto al ricongiungimento familiare, tratta le condizioni per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare da parte di cittadini di paesi terzi che risiedono legittimamente nel territorio degli Stati Membri.
L’articolo 4, che reca l’intestazione “familiari”, prevede:
“(3) Gli Stati Membri possono, mediante legge o regolamento, autorizzare l’ingresso e la residenza, a norma di questa Direttiva e salva l’osservanza dei requisiti di cui al Capo IV, del partner non coniugato, che è cittadino di un paese terzo, con il quale lo sponsor ha una relazione stabile di lunga data debitamente attestata, o di un cittadino di un paese terzo che è legato allo sponsor da un’unione registrata in conformità con l’articolo 5(2). …”
La Direttiva 2004/38/CE del Parlamento e del Consiglio Europei del 29 aprile 2004 riguarda il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati Membri.
L’articolo 2 contiene la seguente definizione:
“(2) ‘Familiare’ significa:
(a) il coniuge
(b) il partner con il quale il cittadino dell’Unione ha contratto un’unione registrata, in base alla legislazione di uno Stato Membro, se la legislazione dello Stato Membro ospite tratta le unioni registrate come equivalenti al matrimonio in conformità con i requisiti stabiliti nella pertinente legislazione dello Stato Membro ospite.
(c) i discendenti diretti che sono di età minore degli anni ventuno o che sono a carico e quelli del coniuge o del partner come definito al punto (b)
(d) il parente diretto in linea ascendente a carico e i parenti del coniuge o del partner come definito al punto (b).”
2. Lo stato della pertinente legislazione negli Stati Membri del Consiglio d’Europa
27. Attualmente sei Stati Membri su quarantasette concedono alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio, vale a dire il Belgio, la Norvegia, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Spagna e la Svezia.
28. Vi sono inoltre tredici Stati Membri che non concedono alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio, ma che hanno promulgato norme che permettono alle coppie omosessuali di registrare le loro relazioni: Andorra, l’Austria, la Repubblica Ceca, la Danimarca, la Finlandia, la Francia, la Germania, l’Islanda, il Lussemburgo, il Regno Unito, la Slovenia, la Svizzera e l’Ungheria. Insomma, vi sono diciannove Stati Membri in cui le coppie omosessuali hanno la possibilità di contrarre matrimonio o di registrare la loro unione (vedi anche la rassegna generale nel ricorso Burden c. il Regno Unito [GC], n. 13378/05, § 26, CEDU 2008).
29. In due Stati, vale a dire in Irlanda e nel Liechtenstein pendono o sono in programma riforme che intendono concedere alle coppie omosessuali l’accesso a qualche forma di unione registrata. Inoltre la Croazia ha una Legge sulle Unioni Civili tra persone dello stesso sesso che riconosce le coppie omosessuali conviventi per fini limitati, ma non offre loro la possibilità di registrazione.
30. In base alle informazioni a disposizione della Corte, la grande maggioranza degli Stati interessati ha introdotto la pertinente legislazione negli ultimi dieci anni.
31. Le conseguenze giuridiche dell’unione registrata variano da una quasi equivalenza al matrimonio alla concessione di diritti relativamente limitati. Tra le conseguenze giuridiche delle unioni registrate si possono distinguere tre principali categorie: conseguenze materiali, conseguenze genitoriali e altre conseguenze.
32. Le conseguenze materiali comprendono l’impatto delle unioni registrate su diversi tipi di imposte, sull’assicurazione sanitaria, sui pagamenti della previdenza sociale e sulle pensioni. Nella maggior parte degli Stati interessati i partner registrati ottengono uno status simile al matrimonio. Ciò vale anche per altre conseguenze materiali, quali le norme relative alla comunione dei beni e dei debiti, l’applicazione delle disposizioni relative agli alimenti in caso di rottura, il diritto al risarcimento in caso di omicidio colposo del partner e i diritti ereditari.
33. Quanto alle conseguenze genitoriali, tuttavia, le possibilità per i partner registrati di sottoporsi all’inseminazione medicalmente assistita o di poter ottenere l’affidamento o l’adozione di minori variano notevolmente da un paese all’altro.
34. Altre conseguenze comprendono l’uso del cognome del partner, l’impatto sulla possibilità per un partner straniero di ottenere il permesso di soggiorno e la cittadinanza, il rifiuto di testimoniare, lo status di parente prossimo a fini sanitari, il subentro nella locazione in qualità di inquilino al decesso del partner, e le lecite donazioni di organi.
IN DIRITTO
I. LA RICHIESTA DEL GOVERNO TESA A OTTENERE LA CANCELLAZIONE DEL RICORSO DAL RUOLO DELLA CORTE
35. Nella sua deduzione orale il Governo ha sostenuto che la Legge sulle Unioni Registrate consentiva alle coppie omosessuali di ottenere uno status giuridico adattato il più possibile allo status conferito alle coppie eterosessuali dal matrimonio. Esso ha eccepito che la questione poteva essere ritenuta risolta e che era giustificato cancellare il ricorso dal ruolo della Corte. Esso ha invocato l’articolo 37 § 1 della Convenzione che, per quanto pertinente, recita come segue:
“1. In ogni momento della procedura, la Corte può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze permettono di concludere:

(b) che la controversia è stata risolta;

Tuttavia la Corte prosegue l’esame del ricorso qualora il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dei suoi Protocolli lo imponga.”
36. Per concludere che l’articolo 37 § 1 (b) della Convenzione si applica al presente caso, la Corte deve rispondere a sua volta a due domande: in primo luogo essa deve chiedere se le circostanze lamentate direttamente dai ricorrenti sono tuttora sussistenti e, in secondo luogo, se anche gli effetti di un’eventuale violazione della Convenzione per queste circostanze sono stati risarciti (vedi Shevanova c. la Lettonia (che cancella) [GC], n. 58822/00, § 45, 7 dicembre 2007).
37. La Corte osserva che il nocciolo della doglianza dei ricorrenti è che, essendo una coppia omosessuale, essi non hanno accesso al matrimonio. Questa situazione è tuttora sussistente, successivamente all’entrata in vigore della Legge sulle Unioni Registrate. Come ha sottolineato lo stesso Governo, la suddetta Legge concede alle coppie omosessuali di ottenere solo uno status simile o paragonabile al matrimonio, ma non concede loro l’accesso al matrimonio, che resta riservato alle coppie eterosessuali.
38. La Corte conclude che le condizioni per cancellare il ricorso dal ruolo non sono soddisfatte e rigetta pertanto la richiesta del Governo.
II. L’ASSERITA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 12 DELLA CONVENZIONE
39. I ricorrenti lamentano che il rifiuto delle autorità di consentire loro di contrarre matrimonio ha violato l’articolo 12 della Convenzione, che prevede quanto segue:
“A partire dall’età maritale, l’uomo e la donna hanno diritto di sposarsi e di formare una famiglia, secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di questo diritto.”
Il Governo ha contestato tale tesi.
A. L’ammissibilità
40. La Corte osserva che il Governo ha chiesto se la doglianza dei ricorrenti è rientra nell’ambito dell’articolo 12, dato che essi sono due uomini che rivendicano il diritto di contrarre matrimonio. Il Governo non ha comunque dedotto l’inammissibilità della doglianza in quanto incompatibile ratione materiae. La Corte concorda che la questione è sufficientemente complessa da non essere suscettibile di risoluzione nella fase dell’ammissibilità.
41. La Corte ritiene, alla luce delle tesi delle parti, che in base alla Convenzione la doglianza sollevi gravi questioni di fatto e di diritto, la cui determinazione esige un esame del marito. La Corte conclude pertanto che questa doglianza non è manifestamente infondata nel senso dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Non è stato accertato nessun altro motivo per dichiararla inammissibile.
B. Il merito
1. Le tesi delle parti
42. Il Governo ha rinviato il presente caso alla decisione della Corte Costituzionale, osservando che quest’ultima ha tenuto conto della giurisprudenza della Corte e non ha ritenuto la violazione dei diritti dei ricorrenti di cui alla Convenzione.
43. Nella sua difesa orale davanti alla Corte, il Governo ha dichiarato che sia la chiara formulazione dell’articolo 12 sia la giurisprudenza della Corte agli atti indicavano che il diritto di contrarre matrimonio è per sua stessa natura limitato alle coppie eterosessuali. Esso concede che dal momento in cui è stata adottata la Convenzione vi sono stati notevoli cambiamenti sociali nell’istituto del matrimonio, ma in Europa non vi è ancora l’unanimità europea sulla concessione del diritto di contrarre matrimonio alle coppie omosessuali, né tale diritto può essere dedotto dall’articolo 9 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Nonostante la differenza della formulazione, quest’ultima rinvia la questione del matrimonio omosessuale alla legislazione nazionale.
44. I ricorrenti hanno sostenuto che nella società contemporanea il matrimonio civile era l’unione di due persone che comprendeva tutti gli aspetti delle loro vite, mentre la procreazione e l’educazione di figli non costituiva più un elemento decisivo. Dato che l’istituto del matrimonio ha subito notevoli cambiamenti non vi era più alcun motivo per negare alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio. La formulazione dell’articolo 12 non doveva essere necessariamente letta nel senso che gli uomini e le donne avevano solo il diritto di sposare una persona del sesso opposto. Inoltre, i ricorrenti hanno ritenuto che il riferimento nell’articolo 12 alle “relative leggi nazionali” non poteva significare che gli Stati avevano una discrezione illimitata nella disciplina del diritto di contrarre matrimonio.
2. Le tesi dei terzi intervenuti
45. Il Governo del Regno Unito ha affermato che la giurisprudenza della Corte agli atti riteneva che l’articolo 12 si riferisse al “matrimonio tradizionale tra persone dell’opposto sesso biologico” (vedi Sheffield e Horsham c. il Regno Unito, 30 luglio 1998, § 66, Reports of Judgments and Decisions 1998-V). Secondo esso non vi erano motivi per discostarsi da quella posizione.
46. Quantunque la Corte abbia spesso sottolineato che la Convenzione era uno strumento vivente che doveva essere interpretato alle condizioni attuali, essa ha solo usato tale approccio per sviluppare la sua giurisprudenza quando ha percepito una convergenza di standard tra gli Stati Membri. Nel ricorso di Christine Goodwin c. il Regno Unito [GC] (n. 28957/95, CEDU 2002-VI), per esempio, la Corte ha rivisto la sua posizione sulla possibilità, per i transessuali che hanno subito l’intervento per cambiare sesso, di sposare una persona di sesso opposto al sesso da loro acquisito, dato il fatto che la maggioranza degli Stati Contraenti permetteva tali matrimoni. Al contrario, non vi era convergenza di standard sui matrimoni omosessuali. Quando il Governo terzo ha presentato le sue osservazioni solo tre Stati Membri permettevano il matrimonio omosessuale, e in altri due si stavano esaminando proposte di questo tenore. La questione del matrimonio omosessuale riguardava un’area sensibile di dibattito sociale, politico e religioso. In assenza di unanimità, lo Stato godeva di un margine di discrezionalità particolarmente ampio.
47. Le quattro organizzazioni non-governative hanno chiesto alla Corte di utilizzare quest’opportunità per estendere l’accesso al matrimonio civile alle coppie omosessuali. Il fatto che le coppie eterosessuali potessero sposarsi, mentre le coppie omosessuali non potevano farlo, costituiva una disparità di trattamento basata sull’orientamento sessuale. Con riferimento al ricorso Karner c. l’Austria, (n. 40016/98, § 37, CEDU 2003-IX), esse deducevano che tale disparità poteva essere giustificata solo per “motivi particolarmente gravi”. Secondo la loro tesi, tali motivi non sussistevano: l’esclusione delle coppie omosessuali dal matrimonio non serviva a tutelare il matrimonio o la famiglia intesa in senso tradizionale. Né la concessione dell’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali avrebbe svilito il matrimonio inteso in senso tradizionale. Inoltre, l’istituto del matrimonio ha subito notevoli cambiamenti e, come ha ritenuto la Corte nel ricorso di Christine Goodwin c. il Regno Unito (succitato, § 98), non si poteva ritenere che l’incapacità di procreare figli inibisse di per sé il diritto al matrimonio. Le quattro organizzazioni non-governative hanno ammesso che la differenza tra il ricorso di Christine Goodwin e il presente ricorso era costituita dallo stato dell’unanimità europea. Tuttavia, esse hanno dedotto che in assenza di una giustificazione oggettiva e razionale della disparità di trattamento, si doveva attribuire un peso considerevolmente inferiore all’unanimità europea.
48. Infine, le quattro organizzazioni non-governative hanno rinviato alle sentenze della Corte Costituzionale del Sudafrica, delle Corti d’Appello dell’Ontario e della Colombia Britannica del Canada, e delle Corti Supreme della California, del Connecticut, dell’Iowa e del Massachusetts degli Stati Uniti, che hanno ritenuto che negare alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio civile fosse discriminatorio.
3. La valutazione della Corte
a. I principi generali
49. Secondo la giurisprudenza radicata della Corte l’articolo 12 garantisce il diritto fondamentale di un uomo e di una donna di contrarre matrimonio e di fondare una famiglia. L’esercizio di questo diritto dà origine a conseguenze personali, sociali e giuridiche. Esso è “soggetto alle leggi nazionali degli Stati Contraenti”, ma le limitazioni introdotte in merito non devono limitare o ridurre il diritto in modo o in misura tale da minare l’essenza stessa del diritto (vedi B. e L. c. il Regno Unito, n. 36536/02, § 34, 13 settembre 2005, e F. c. la Svizzera, 18 dicembre 1987, § 32, Serie A n. 128).
50. La Corte osserva inizialmente di non aver ancora avuto l’opportunità di valutare se due persone appartenenti allo stesso sesso possono affermare di avere il diritto di contrarre matrimonio. Tuttavia, certi principi possono essere tratti dalla giurisprudenza della Corte relativa ai transessuali.
51. In diversi casi ci si è chiesto se il rifiuto di consentire a un transessuale che si è operato per cambiare sesso di sposare una persona di sesso opposto al sesso a lui attribuito violasse l’articolo 12. Nella sua precedente giurisprudenza la Corte ha ritenuto che l’attaccamento alla concezione tradizionale del matrimonio, che è alla base dell’articolo 12, fornisse motivo sufficiente perché lo Stato convenuto continuasse ad adottare i criteri biologici per determinare il sesso di una persona ai fini del matrimonio. Conseguentemente, si riteneva che la questione rientrasse nel potere degli Stati Contraenti di disciplinare con legge nazionale l’esercizio del diritto al matrimonio (vedi Sheffield e Horsham, succitato, § 67; Cossey c. il Regno Unito, 27 settembre 1990, § 46, Serie A n. 184; vedi anche Rees c. il Regno Unito, 17 ottobre 1986, §§ 49-50, Serie A n. 106).
52. Nel ricorso di Christine Goodwin (succitato, §§ 100-104) la Corte si è discostata da tale giurisprudenza: essa ha ritenuto che i termini utilizzati dall’articolo 12 che facevano riferimento al diritto di un uomo e di una donna di contrarre matrimonio non dovevano più essere intesi come determinanti il sesso mediante criteri puramente biologici. In tale contesto, la Corte ha osservato che vi erano stati notevoli cambiamenti sociali nell’istituto del matrimonio dall’adozione della Convenzione. Inoltre, essa ha rinviato all’articolo 9 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, che si è discostata dalla formulazione dell’articolo 12. Infine, la Corte ha osservato che vi era stata un’accettazione assai diffusa del matrimonio dei transessuali nel sesso a loro attribuito. In conclusione, la Corte ha ritenuto che l’impossibilità per un transessuale che ha subito l’intervento per cambiare sesso di sposarsi in base al sesso che gli è stato attribuito violasse l’articolo 12 della Convenzione.
53. Due ulteriori casi sono interessanti nel presente contesto: (Parry c. il Regno Unito, (dec.). n. 42971/05, CEDU 2006-XV, e R. e F. contro il Regno Unito, (dec.), n. 35748/05, 28 novembre 2006). In entrambi i casi i ricorrenti erano una coppia coniugata, composta da una donna e da un transessuale che aveva subito l’intervento per passare da uomo a donna. Essi lamentavano inter alia in base all’articolo 12 della Convenzione di dover porre fine al matrimonio se il secondo ricorrente avesse voluto ottenere il pieno riconoscimento giuridico del suo cambiamento di sesso. La Corte ha rigettato la doglianza in quanto manifestamente infondata. Essa ha osservato che la legislazione nazionale permetteva solo il matrimonio tra persone di sesso opposto, che esso derivasse dall’attribuzione alla nascita o da una procedura per il riconoscimento del sesso, mentre i matrimoni omosessuali non erano permessi. Similmente, l’articolo 12 custodiva la concezione tradizionale che il matrimonio doveva avvenire tra un uomo e una donna. La Corte ha riconosciuto che diversi Stati Contraenti hanno esteso il matrimonio a partner dello stesso sesso, ma è giunta ad affermare che ciò rifletteva la loro propria visione del ruolo del matrimonio nelle loro società e non derivava da un’interpretazione del diritto fondamentale come stabilito dagli Stati Contraenti nella Convenzione del 1950. La Corte ha concluso che le modalità con cui disciplinare gli effetti del cambiamento di sesso sui matrimoni pre-esistenti rientrasse nel margine di discrezionalità dello Stato. Inoltre, essa ha ritenuto che, se essi avessero deciso di divorziare per consentire al partner transessuale di ottenere il pieno riconoscimento sessuale, il fatto che i ricorrenti avessero la possibilità di contrarre un’unione civile contribuisse alla proporzionalità del lamentato regime di riconoscimento del sesso.
b. L’applicazione al presente caso
54. La Corte osserva che l’articolo 12 concede il diritto di contrarre matrimonio agli “uomini e alle donne”. La versione francese prevede “l’homme et la femme ont le droit de se marier”. Inoltre, l’articolo 12 concede il diritto di fondare una famiglia.
55. I ricorrenti hanno sostenuto che la formulazione non implicava necessariamente che un uomo potesse sposare solo una donna e viceversa. La Corte osserva che, esaminata isolatamente, la formulazione dell’articolo 12 potrebbe essere interpretata in modo da non escludere il matrimonio tra due uomini o tra due donne. Tuttavia, in antitesi, tutti gli altri articoli sostanziali della Convenzione concedono diritti e libertà a “tutti” o dichiarano che “nessuno” deve essere sottoposto a certi tipi di trattamento proibito. La scelta della formulazione dell’articolo 12 deve pertanto essere considerata intenzionale. Inoltre, si deve tenere conto del contesto storico in cui è stata adottata la Convenzione. Nel 1950 il matrimonio era inteso chiaramente nel senso tradizionale di unione tra partner di sesso diverso.
56. Per quanto riguarda il legame tra il diritto di sposarsi e il diritto di fondare una famiglia, la Corte ha già ritenuto che l’incapacità per una coppia di concepire o di procreare un figlio non inibisce di per sé il diritto di contrarre matrimonio (Christine Goodwin, succitata, § 98). Tuttavia, tale decisione non permette alcuna conclusione sulla questione del matrimonio omosessuale.
57. In ogni caso, i ricorrenti non si sono basati principalmente sull’interpretazione testuale dell’articolo 12. Essenzialmente essi hanno invocato la giurisprudenza della Corte in base alla quale la Convenzione è uno strumento vivente che deve essere interpretato alle attuali condizioni (vedi E.B. c. la Francia [GC], n. 43546/02, § 92, CEDU 2008-…, e Christine Goodwin, succitato §§ 74-75). Secondo la tesi dei ricorrenti si deve leggere attualmente l’articolo 12 come concedente alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio o, in altre parole, come facente obbligo agli Stati Membri di prevedere tale accesso nelle loro legislazioni nazionali.
58. La Corte non è persuasa della tesi dei ricorrenti. Tuttavia, come essa ha osservato nel ricorso di Christine Goodwin, l’istituto del matrimonio ha subito importanti cambiamenti sociali dall’adozione della Convenzione, la Corte osserva che non vi è un consenso generale europeo in materia di matrimonio omosessuale. Attualmente non più di sei Stati aderenti alla Convenzione su quarantasette permettono il matrimonio omosessuale (vedi paragrafo 27 supra).
59. Come hanno giustamente sottolineato il Governo convenuto e il Governo terzo, il presente caso deve essere distinto da quello di Christine Goodwin. In esso, (succitato, § 103) la Corte ha percepito la convergenza degli standard per quanto riguarda il matrimonio dei transessuali nel sesso a loro attribuito. Inoltre, Christine Goodwin riguarda il matrimonio di partner di sesso diverso, se il sesso è definito non mediante criteri puramente biologici ma tenendo conto di altri fattori, tra cui la riattribuzione del sesso a uno dei partner in esame.
60. Passando alla comparazione tra l’articolo 12 della Convenzione e l’articolo 9 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea (la Carta), la Corte ha già osservato che quest’ultima ha volutamente evitato il riferimento agli uomini e alle donne (vedi Christine Goodwin, succitato, § 100). Il Commentario alla Carta, che è divenuta giuridicamente vincolante nel dicembre 2009, conferma che l’articolo 9 intende avere un campo di applicazione più ampio dei corrispondenti articoli di altri strumenti relativi ai diritti umani (vedi paragrafo 25 supra). Allo stesso tempo il riferimento alla legislazione nazionale riflette la diversità dei regolamenti nazionali, che spaziano dal permesso dei matrimoni omosessuali al loro esplicito divieto. Facendo riferimento alla legislazione nazionale, l’articolo 9 della Carta lascia decidere agli Stati se permettere o meno i matrimoni omosessuali. Nelle parole del commentario: “… si può sostenere che non vi è ostacolo al riconoscimento delle relazioni omosessuali nel contesto del matrimonio. Tuttavia non vi è alcuna disposizione esplicita che prevede che le legislazioni nazionali debbano facilitare tali matrimoni.”
61. Visto l’articolo 9 della Carta, pertanto, la Corte non ritiene più che il diritto al matrimonio di cui all’articolo 12 debba essere limitato in tutti i casi al matrimonio tra persone di sesso opposto. Conseguentemente non si può affermare che l’articolo 12 sia inapplicabile alla doglianza dei ricorrenti. Tuttavia, per come stanno le cose, si lascia decidere alla legislazione nazionale dello Stato Contraente se permettere o meno il matrimonio omosessuale.
62. A tale riguardo la Corte osserva che il matrimonio ha connotazioni sociali e culturali radicate che possono differire molto da una società all’altra. La Corte ribadisce di non doversi spingere a sostituire l’opinione delle autorità nazionali con la propria, dato che esse si trovano in una posizione migliore per valutare e rispondere alle esigenze della società (vedi B. e L. c. il Regno Unito, succitata, § 36).
63. In conclusione, la Corte ritiene che l’articolo 12 della Convenzione non faccia obbligo allo Stato convenuto di concedere l’accesso al matrimonio a una coppia omosessuale come i ricorrenti.
64. Conseguentemente, non vi è stata violazione dell’articolo 12 della Convenzione.
III. L’ASSERITA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 14, IN RELAZIONE ALL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
65. I ricorrenti si dolgono ai sensi dell’articolo 14, in relazione all’articolo 8 della Convenzione, di essere stati discriminati in ragione del loro orientamento sessuale, dato che è stato loro negato il diritto di contrarre matrimonio e non hanno avuto nessuna altra possibilità di fare riconoscere la loro relazione dalla legge prima dell’entrata in vigore della Legge sulle Unioni Registrate.
L’articolo 8 recita come segue:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, …
2.Non può aversi interferenza di una autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la sicurezza pubblica, per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti o delle libertà degli altri.”
L’articolo 14 prevede quanto segue:
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere garantito, senza alcuna distinzione, fondata soprattutto sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o altre opinioni, l’origine nazionale, sui beni di fortuna, nascita o ogni altra condizione.”
A.L’ammissibilità
1.L’esaurimento dei rimedi interni
66. Nelle sue osservazioni scritte il Governo ha sostenuto che, davanti alle autorità nazionali, i ricorrenti avevano lamentato esclusivamente l’impossibilità di contrarre matrimonio. Qualsiasi altro punto sollevato esplicitamente o implicitamente nel loro ricorso alla Corte, quale la questione di un riconoscimento giuridico alternativo alla loro relazione, doveva essere dichiarato inammissibile per mancato esaurimento. Tuttavia il Governo non ha esplicitamente portato avanti tale tesi nella sua difesa orale davanti alla Corte. Al contrario, esso ha dichiarato che la questione dell’unione registrata poteva essere ritenuta inerente al presente ricorso.
67. I ricorrenti hanno contestato la tesi del Governo relativa al mancato esaurimento, affermando in particolare che l’aspetto della discriminazione subita in quanto coppia omosessuale faceva parte della loro doglianza e che nella loro doglianza costituzionale essi si erano basati anche sulla giurisprudenza della Corte di cui all’articolo 14 in relazione all’articolo 8.
68. La Corte ribadisce che l’articolo 35 § 1 della Convenzione impone che i ricorsi che si intendono proporre successivamente a Strasburgo devono essere stati fatti al competente organo nazionale, almeno sostanzialmente e in conformità con i requisiti formali e temporali fissati nella legislazione nazionale (vedi Akdivar e Altri c. la Turchia, 16 settembre 1996, § 66, Reports of Judgments and Decisions 1996-IV).
69. Nel presente caso il procedimento nazionale riguardava il rifiuto delle autorità di permettere il matrimonio dei ricorrenti. Dato che la possibilità di costituire un’unione registrata non esisteva in quel concreto momento, è difficile vedere come i ricorrenti avessero potuto sollevare la questione del riconoscimento giuridico della loro unione se non cercando di concludere un matrimonio. Conseguentemente il loro ricorso costituzionale si focalizzava anche sull’assenza di accesso al matrimonio. Tuttavia, essi lamentavano anche, almeno sostanzialmente, l’assenza di altri mezzi per fare riconoscere dalla legge la loro relazione. Perciò, la Corte Costituzionale poteva trattare la questione e, effettivamente, essa se ne è occupata brevemente, benché solo dichiarando che spettava al legislatore esaminare in quali campi eventualmente la legge discriminasse le coppie omosessuali limitando certi diritti alle coppie coniugate. Date le circostanze, la Corte è convinta del fatto che i ricorrenti abbiano soddisfatto il requisito dell’esaurimento dei rimedi nazionali.
70. In ogni caso, la Corte concorda con il Governo che la questione del riconoscimento giuridico alternativo è così strettamente collegata alla questione dell’assenza di accesso al matrimonio che essa deve essere ritenuta inerente al presente ricorso.
71. In conclusione, la Corte rigetta la tesi del Governo che i ricorrenti non hanno esaurito i rimedi nazionali in relazione alla loro doglianza di cui all’articolo 14 in relazione all’articolo 8.
2. Lo status di vittima dei ricorrenti
72. Nella sua difesa orale davanti alla Corte il Governo ha chiesto anche se i ricorrenti potessero ancora proclamarsi vittime dell’asserita violazione dopo l’entrata in vigore della Legge sulle Unioni Registrate.
73. La Corte ribadisce che lo status di vittima di un ricorrente può dipendere dal risarcimento concesso a livello nazionale in base ai fatti che egli o ella lamenta davanti alla Corte e dal riconoscimento da parte delle autorità nazionali, espressamente o sostanzialmente, della violazione della Convenzione. Solo quando queste due condizioni sono soddisfatte la natura sussidiaria della Convenzione preclude l’esame di un ricorso (vedi, per esempio, Scordino c. l’Italia (dec.), n. 36813/97, CEDU 2003-IV).
74. Nel presente caso, la Corte non deve esaminare se la prima condizione sia stata soddisfatta, dato che la seconda condizione non lo è stata. Il Governo ha chiarito che la Legge sulle Unioni Registrate è stata introdotta per una questione di scelta politica e non per adempiere a un obbligo previsto dalla Convenzione (vedi paragrafo 80 oltre). Pertanto, l’introduzione della suddetta Legge non può essere ritenuta un riconoscimento della violazione della Convenzione asserita dai ricorrenti. Conseguentemente, la Corte rigetta la tesi del Governo che i ricorrenti non possono più proclamarsi vittime dell’asserita violazione dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8.
3. Conclusioni
75. La Corte ritiene, alla luce delle deduzioni delle parti, che in base alla Convenzione il ricorso sollevi gravi questioni di fatto e di diritto, la cui determinazione impone un esame del merito. La Corte conclude pertanto che questo ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Non è stato accertato nessun altro motivo per dichiararlo inammissibile.
B.Il merito
1.Le tesi delle parti
76. I ricorrenti hanno sostenuto che il nocciolo del loro ricorso era la discriminazione subita in quanto coppia omosessuale. Concordando con il Governo sull’applicabilità dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8, essi hanno affermato che proprio come le disparità basate sul sesso, le disparità basate sull’orientamento sessuale imponevano motivi particolarmente gravi per essere giustificate. Secondo la tesi dei ricorrenti il Governo non aveva presentato i motivi per escluderli dall’accesso al matrimonio.
77. Seguiva dalla sentenza della Corte relativa al caso Karner (succitata, § 40) che la tutela della famiglia tradizionale era un motivo importante e legittimo, ma si doveva dimostrare che una data disparità fosse anche necessaria a conseguire tale fine. Secondo i ricorrenti niente mostrava che l’esclusione delle coppie omosessuali dal matrimonio fosse necessaria a proteggere la famiglia tradizionale.
78. Nella loro difesa orale, reagendo all’introduzione della Legge sulle Unioni Registrate, i ricorrenti sostenevano che le disparità che permanevano tra il matrimonio da una parte e l’unione registrata dall’altra fossero tuttora discriminatorie. Essi citavano in particolare che la Legge sulle Unioni Registrate non forniva la possibilità di formulare la promessa di matrimonio; che, a differenza dei matrimoni, le unioni registrate non erano concluse nell’Ufficio dello Stato Civile ma davanti all’Autorità Amministrativa Distrettuale; che non vi era diritto al risarcimento in caso di decesso colposo del partner; e che non era chiaro se certi “vantaggi” concessi alle famiglie sarebbero stati concessi anche ai partner registrati e ai figli di uno di loro che vivevano nel comune nucleo familiare. Nonostante il fatto che le disparità basate sull’orientamento sessuale imponessero motivi particolarmente importanti, il Governo non aveva fornito nessuno di tali motivi.
79. Il Governo accettava che si applicasse l’articolo 14 in relazione all’articolo 8 della Convenzione. Fino a quel momento la giurisprudenza della Corte aveva ritenuto che le relazioni omosessuali rientrassero nella nozione di “vita privata”, ma vi sarebbero potuti essere buoni motivi per comprendere la relazione di una coppia omosessuale convivente nell’ambito della “vita familiare”.
80. Per quanto riguarda l’osservanza dei requisiti di cui all’articolo 14 in relazione all’articolo 8, il Governo ha sostenuto che l’eventuale concessione o meno alle coppie omosessuali della possibilità di fare riconoscere la loro relazione dalla legge in una forma diversa dal matrimonio rientrasse nel margine di discrezionalità del legislatore. Il legislatore austriaco aveva fatto la scelta politica di concedere alle coppie omosessuali tale possibilità. A norma della Legge sulle Unioni Registrate, entrata in vigore in data 1° gennaio 2010, i partner omosessuali potevano costituire un’unione registrata che forniva loro uno status molto simile al matrimonio. La nuova legge copriva diversi campi quali il diritto civile e penale, il diritto del lavoro, il diritto sociale e previdenziale, il diritto tributario, il diritto amministrativo, la legislazione relativa alla protezione dei dati e al servizio pubblico, le questioni relative ai passaporti e alla registrazione, nonché la legislazione relativa agli stranieri.
2. Le tesi dei terzi
81. Quanto all’applicabilità dell’articolo 8, il Governo terzo ha dedotto che benché la giurisprudenza della Corte agli atti non ritenesse che le relazioni omosessuali rientrassero nella nozione di “vita familiare”, ciò non doveva essere escluso in futuro. Nonostante ciò, l’articolo 8 letto in relazione all’articolo 14 non doveva essere interpretato quale prescrivente l’accesso al matrimonio o la creazione di forme alternative di riconoscimento giuridico per le coppie omosessuali.
82. Quanto alla giustificazione di tale disparità di trattamento, il Governo terzo ha contestato la tesi dei ricorrenti tratta dalla sentenza della Corte relativa al ricorso Karner. In tale ricorso la Corte ha ritenuto che l’esclusione delle coppie omosessuali dalla tutela fornita alle coppie eterosessuali in base alla Legge sulle Locazioni non fosse necessaria per conseguire il fine legittimo di proteggere la famiglia in senso tradizionale. La questione oggetto del presente caso era diversa: qui era in gioco l’accesso al matrimonio o a una forma di riconoscimento alternativa. La giustificazione di questa particolare disparità di trattamento tra le coppie eterosessuali e quelle omosessuali era stabilita dallo stesso articolo 12 della Convenzione.
83. Infine, il Governo terzo ha dedotto che nel Regno Unito la Legge sulle Unioni Civili del 2004, entrata in vigore nel dicembre 2005, aveva introdotto un sistema di registrazione delle unioni per le coppie omosessuali. Tuttavia la suddetta Legge fu introdotta per scelta politica al fine di promuovere la giustizia e l’uguaglianza sociale, benché non si ritenesse che la Convenzione imponesse l’obbligo positivo di fornire tale possibilità. Ad avviso del Governo tale posizione era sostenuta dalla decisione della Corte relativa al ricorso Courten c. il Regno Unito (n. 4479/06, 4 novembre 2008).
84. Le quattro organizzazioni non governative hanno dedotto nei loro commenti comuni che la Corte doveva decidere se una relazione omosessuale tra partner conviventi rientrasse nella nozione di “vita familiare” di cui all’articolo 8 della Convenzione. Esse hanno osservato che nel ricorso Karner (succitato, § 33)la questione era stata lasciata aperta. Esse hanno sostenuto che ormai era generalmente accettato che le coppie omosessuali avessero la stessa capacità di costituire una durevole relazione emotiva e sessuale delle coppie eterosessuali e, perciò, avessero le stesse esigenze delle coppie eterosessuali di fare riconoscere giuridicamente la loro relazione.
85. Se la Corte non avesse ritenuto che l’articolo 12 imponeva agli Stati Contraenti di concedere l’accesso al matrimonio alle coppie omosessuali, essa avrebbe dovuto risolvere la questione relativa all’eventuale obbligo a norma dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8 di fornire un mezzo alternativo di riconoscimento giuridico di una relazione omosessuale.
86. Le organizzazioni non governative hanno risposto alla domanda affermativamente: in primo luogo, escludendo le coppie omosessuali da particolari diritti e vantaggi attribuiti al matrimonio (come per esempio il diritto alla pensione per il partner superstite) senza dare loro accesso a mezzi alternativi per averne i requisiti equivarrebbe a una discriminazione indiretta (vedi Thlimmenos c. la Grecia [GC], n. 34369/97, § 44, CEDU 2000-IV). In secondo luogo, esse concordavano con la tesi dei ricorrenti tratta dal ricorso Karner (succitato). In terzo luogo, esse hanno affermato che lo stato dell’unanimità europea appoggiava sempre maggiormente l’idea che gli Stati Membri avessero l’obbligo di fornire, se non l’accesso al matrimonio, mezzi alternativi di riconoscimento giuridico. Al momento quasi il 40% aveva una legislazione che consentiva alle coppie omosessuali di registrare le loro relazioni come matrimoni o con una denominazione alternativa (vedi paragrafi 27-28 supra).
3.La valutazione della Corte
a. L’applicabilità dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8
87. La Corte ha trattato diversi casi di discriminazione a causa dell’orientamento sessuale. Alcuni sono stati esaminati solo in base all’articolo 8, vale a dire casi relativi al divieto in base al diritto penale delle relazioni omosessuali tra adulti (vedi Dudgeon c. il Regno Unito, 22 ottobre 1981, Serie A n. 45; Norris c. l’Irlanda, 26 ottobre 1988, Serie A n. 142; e Modinos c. Cipro, 22 aprile 1993, Serie A n. 259) e il licenziamento degli omosessuali dalle Forze Armate (vedi Smith e Grady c. il Regno Unito, nn. 33985/96 e 33986/96, CEDU 1999-VI). Altri sono stati esaminati in base all’articolo 14 in relazione all’articolo 8. Tra questi vi erano, inter alia, la diversa età per il consenso in diritto penale per le relazioni omosessuali (L. e V. c. l’Austria, nn. 39392/98 e 39829/98, CEDU 2003-I), l’attribuzione di diritti genitoriali (Salgueiro da Silva Mouta c. il Portogallo, n. 33290/96, CEDU 1999-IX), il permesso di adottare un minore (Fretté c. la Francia, n.36515/97, CEDU 2002-I) ed E.B. c. la Francia, succitato) e il diritto di subentro al partner deceduto (Karner, succitato) nella locazione.
88. Nel presente ricorso, i ricorrenti hanno formulato la loro doglianza in base all’articolo 14 in relazione all’articolo 8. La Corte ritiene appropriato seguire tale approccio.
89. Come la Corte ha coerentemente ritenuto, l’articolo 14 integra le altre disposizioni sostanziali della Convenzione e dei suoi Protocolli. Esso non ha esistenza autonoma dato che esso ha effetto unicamente in relazione al “godimento dei diritti e delle libertà” salvaguardati da tali disposizioni. Benché l’applicazione dell’articolo 14 non presupponga la violazione di tali disposizioni – ed essa è autonoma fino a questo punto -, non può esservi spazio alla sua applicazione se i fatti in questione non rientrano nell’ambito di una o più di queste ultime (vedi, per esempio, E.B. c. la Francia, succitata, § 47; Karner, succitato, § 32; e Petrovic c. l’Austria, 27 marzo 1998, § 22, Reports 1998-II).
90. È indiscusso nel presente caso che la relazione di una coppia omosessuale come i ricorrenti rientri nella nozione di “vita privata” nell’accezione dell’articolo 8. Tuttavia, alla luce dei commenti delle parti la Corte ritiene opportuno determinare se anche la loro relazione costituisce una “vita familiare”.
91. La Corte ribadisce la sua giurisprudenza radicata in materia di coppie eterosessuali, vale a dire che la nozione di famiglia in base a questa disposizione non è limitata alle relazioni basate sul matrimonio e può comprendere altri legami “familiari” di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo del matrimonio. Il figlio nato da tale relazione è ipso iure parte di quel nucleo “familiare” dal momento e per il fatto stesso della nascita (vedi Esholz c. la Germania [GC], n. 25735/94, § 43, CEDU 2000-VIII; Keegan c. l’Irlanda, 26 maggio 1994, § 44, Serie A n. 290; e anche Johnston e Altri c. l’Irlanda, 18 dicembre 1986, § 56, Serie A n. 112).
92. In antitesi, la giurisprudenza della Corte ha accettato solo che la relazione emotiva e sessuale di una coppia omosessuale costituisca “vita privata”, ma non ha ritenuto che essa costituisca “vita familiare”, anche se era in gioco una relazione durevole tra partner conviventi. Nel giungere a tale conclusione, la Corte ha osservato che nonostante la crescente tendenza negli Stati europei verso un riconoscimento giuridico e giudiziario di unioni di fatto stabili tra omosessuali, data l’esistenza di poche posizioni comuni tra gli Stati Contraenti, questa era un’area in cui essi godevano ancora di un ampio margine di discrezionalità (vedi Mata Estevez c. la Spagna, (dec.), n. 56501/00, CEDU 2001-VI, con ulteriori riferimenti). Nel caso di Karner (succitato, § 33), relativo al subentro del partner di una coppia omosessuale nei diritti locativi del partner deceduto, che rientrava nella nozione di “abitazione”, la Corte ha esplicitamente lasciato aperta la questione di decidere se il caso riguardasse anche la “vita privata e familiare” del ricorrente.
93. La Corte osserva che dal 2001, anno in cui è stata emessa la sentenza relativa al ricorso Mata Estevez, ha avuto luogo in molti Stati Membri una rapida evoluzione degli atteggiamenti sociali nei confronti delle coppie omosessuali. A partire da quel momento un notevole numero di Stati Membri ha concesso il riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali (vedi supra, paragrafi 27-30). Certe disposizioni del diritto dell’UE riflettono anche una crescente tendenza a comprendere le coppie omosessuali nella nozione di “famiglia” (vedi paragrafo 26 supra).
94. Data quest’evoluzione la Corte ritiene artificiale sostenere l’opinione che, a differenza di una coppia eterosessuale, una coppia omosessuale non possa godere della “vita familiare” ai fini dell’articolo 8. Conseguentemente la relazione dei ricorrenti, una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto, rientra nella nozione di “vita familiare”, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione.
95. La Corte conclude pertanto che i fatti oggetto del presente ricorso rientrano nella nozione di “vita privata” e di “vita familiare” nel senso dell’articolo 8. Conseguentemente ha pertinenza l’articolo 14 in relazione all’articolo 8.
b. La doglianza di cui all’articolo 14 in relazione all’articolo 8
96. La Corte ha stabilito nella sua giurisprudenza che per sollevare una questione ai sensi dell’articolo 14 deve esservi una disparità di trattamento delle persone in situazioni relativamente simili. Tale disparità di trattamento è discriminatoria se non vi è una giustificazione oggettiva e ragionevole; in altre parole, se essa non persegue un fine legittimo o se non vi è un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi utilizzati e l’obiettivo che si intende realizzare. Gli Stati Contraenti godono di un margine di discrezionalità nel valutare se e in quale misura le disparità in situazioni altrimenti simili giustifichino una disparità di trattamento (vedi Burden, succitato, § 60).
97. Da una parte la Corte ha ripetutamente ritenuto che, proprio come le disparità basate sul sesso, le disparità basate sull’orientamento sessuale richiedono motivi particolarmente gravi per essere giustificate (vedi Karner, succitato, § 37; L. e V. c. l’Austria, succitato, § 45; e Smith e Grady, succitato, § 90). Dall’altra, la Convenzione concede generalmente allo Stato un ampio margine in relazione alle misure generali di strategia economica o sociale (vedi, per esempio, Stec e Altri c. il Regno Unito [GC], n. 65731/01, § 52, CEDU 2006-VI).
98. La portata del margine di discrezionalità varierà in base alle circostanze, alla materia e al suo background; a tale riguardo, uno dei fattori rilevanti può essere l’esistenza o l’inesistenza di una posizione comune tra le legislazioni degli Stati Contraenti (vedi, Petrovic, succitato, § 38).
99. Benché le parti non abbiano esplicitamente stabilito se i ricorrenti fossero in una situazione relativamente simile alle coppie eterosessuali, la Corte parte dalla premessa che le coppie omosessuali hanno la stessa capacità delle coppie eterosessuali di costituire stabili relazioni impegnative. Conseguentemente, esse si trovano in una situazione relativamente simile a una coppia eterosessuale quanto alla loro esigenza di riconoscimento e protezione giuridici della loro relazione.
100. I ricorrenti hanno dedotto di essere stati discriminati in quanto coppia omosessuale, in primo luogo perché essi continuavano a non avere accesso al matrimonio e, in secondo luogo, in quanto non hanno avuto a disposizione nessun mezzo alternativo di riconoscimento giuridico fino all’entrata in vigore della Legge sulle Unioni Registrate.
101. Nella misura in cui sembra che i ricorrenti asseriscano che, se non è compreso nell’articolo 12, il diritto al matrimonio potrebbe essere tratto dall’articolo 14 in relazione all’articolo 8, la Corte non è in grado di condividere la loro opinione. Essa ribadisce che la Convenzione deve essere letta nel suo complesso e i suoi articoli devono pertanto essere costruiti in armonia l’uno con l’altro (vedi Johnston e Altri, succitato, § 57). Vista la conclusione raggiunta sopra, vale a dire che l’articolo 12 non fa obbligo agli Stati Contraenti di concedere alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio, neanche l’articolo 14 in relazione all’articolo 8, una disposizione che ha un fine e un campo di applicazione molto più generici, può essere interpretata come imponente tale obbligo.
102. Tornando al secondo punto della doglianza dei ricorrenti, vale a dire l’assenza di un riconoscimento giuridico alternativo, la Corte osserva che al momento in cui i ricorrenti hanno depositato il ricorso, in base alla legislazione austriaca essi non avevano alcuna possibilità di far riconoscere la loro relazione. Tale situazione è durata fino al 1° gennaio 2010, quando è entrata in vigore la Legge sulle Unioni Registrate.
103. La Corte ribadisce a tale riguardo che nei procedimenti derivanti da un ricorso individuale essa si deve limitare, per quanto possibile, a un esame del caso concreto che ha davanti a sé (vedi F. c. la Svizzera, succitato § 31). Dato che al momento i ricorrenti possono costituire un’unione registrata, non è chiesto alla Corte di esaminare se l’assenza di mezzi di riconoscimento giuridico per le coppie omosessuali costituisca una violazione dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8, se essa permane tuttora.
104. Quello che deve essere esaminato date le circostanze del presente caso è se lo Stato convenuto avrebbe dovuto fornire ai ricorrenti un mezzo alternativo di riconoscimento giuridico della loro unione prima di quanto ha fatto.
105. La Corte non può fare a meno di osservare che vi è un emergente consenso generale europeo nei confronti del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. Inoltre, tale tendenza ha avuto un rapido sviluppo nell’ultimo decennio. Nonostante ciò, non vi è ancora una maggioranza di Stati che preveda il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. La materia in questione deve pertanto essere ritenuta ancora uno dei diritti in evoluzione che non ha un radicato consenso generale, in cui anche gli Stati devono godere di un margine di discrezionalità nella scelta del momento dell’introduzione delle modifiche legislative (vedi Courten, succitato; vedi anche M.W. c. il Regno Unito (dec.), n. 11313/02, 23 giugno 2009, entrambi relativi all’introduzione della Legge sulle Unioni Civili nel Regno Unito).
106. La Legge austriaca sulle Unioni Registrate, entrata in vigore in data 1° gennaio 2010, riflette l’evoluzione descritta sopra e fa pertanto parte dell’emergente consenso generale europeo. Pur non essendo all’avanguardia, il legislatore austriaco non può essere biasimato per non aver introdotto la Legge sulle Unioni Registrate prima (vedi, mutatis mutandis, Petrovic, succitato, § 41).
107. Infine, la Corte esaminerà la tesi dei ricorrenti relativa alla loro discriminazione in quanto coppia omosessuale in base a certe differenze conferite dallo status di matrimonio da una parte e dall’unione registrata dall’altra.
108. La Corte parte dalle sue determinazioni di cui sopra, che gli Stati sono tuttora liberi, a norma dell’articolo 12 della Convenzione, nonché dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8, di limitare l’accesso al matrimonio alle coppie eterosessuali. Ciononostante i ricorrenti sostengono che se uno Stato sceglie di fornire alle coppie omosessuali un mezzo di riconoscimento alternativo, esso è obbligato a conferire loro uno status che – pur essendo denominato diversamente – corrisponde al matrimonio sotto ogni aspetto. La Corte non è convinta di questa tesi. Essa ritiene al contrario che lo Stato goda di un certo margine di discrezionalità per quanto riguarda il preciso status conferito dal mezzo di riconoscimento alternativo.
109. La Corte osserva che la Legge sulle Unioni Registrate fornisce ai ricorrenti la possibilità di ottenere uno status giuridico uguale o simile al matrimonio per molti aspetti (vedi paragrafi 18-23 supra). Quantunque vi siano lievi disparità in relazione alle conseguenze materiali, persistono alcune disparità sostanziali per i diritti genitoriali. Tuttavia, ciò corrisponde nel complesso alla tendenza di altri Stati Membri (vedi paragrafi 32-33 supra). Inoltre, nella fattispecie la Corte non deve esaminare dettagliatamente ciascuna disparità. Per esempio, dato che i ricorrenti non hanno lamentato di essere direttamente colpiti dalle rimanenti limitazioni relative all’inseminazione artificiale o all’adozione, esaminare se queste disparità siano giustificate eccederebbe l’ambito del presente ricorso. Nel complesso, la Corte non vede niente che indichi che lo Stato convenuto sia andato oltre il margine di discrezionalità nella sua scelta dei diritti e degli obblighi conferiti dall’unione registrata.
110. In conclusione, la Corte ritiene che non vi sia stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinazione con l’articolo 8.
IV. L’ASSERITA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DEL PROTOCOLLO N. 1
111. I ricorrenti lamentano che, rispetto alle coppie coniugate essi hanno subito svantaggi nella sfera economica, in particolare in base al diritto tributario. Essi si sono basati sull’articolo 1 del Protocollo n. 1, che recita come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali di diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non ledono il diritto degli Stati di applicare quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende.”
L’ammissibilità
112. Nelle sue osservazioni scritte il Governo ha sostenuto che la doglianza dei ricorrenti sull’eventuale discriminazione nella sfera economica doveva essere dichiarata inammissibile per mancato esaurimento. Essi, tuttavia, non avevano perseguito esplicitamente tale tesi nella loro difesa orale davanti alla Corte.
113. La Corte osserva che i ricorrenti hanno toccato la questione della discriminazione nella sfera economica, in particolare in diritto tributario, nella loro doglianza davanti alla Corte Costituzionale per illustrare la loro doglianza principale, vale a dire di essere discriminati in quanto coppia omosessuale poiché essi non avevano accesso al matrimonio.
114. Date le circostanze della fattispecie, la Corte non deve determinare se i ricorrenti abbiano esaurito o meno i rimedi interni. Essa osserva che nel loro ricorso alla Corte i ricorrenti non hanno fornito i particolari relativi all’asserita violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. La Corte ritiene pertanto che tale doglianza non sia stata motivata.
115. Segue che questa doglianza è manifestamente infondata e deve essere rigettata in conformità con l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE
1.Rigetta all’unanimità la richiesta del Governo di cancellazione del ricorso dal ruolo della Corte;
2.dichiara, con sei voti contro uno, ammissibile la doglianza dei ricorrenti di cui all’articolo 12 della Convenzione;
3.dichiara all’unanimità ammissibile la doglianza dei ricorrenti di cui all’articolo 14 in relazione all’articolo 8 della Convenzione;
4.dichiara all’unanimità inammissibile il resto del ricorso;
5.ritiene all’unanimità che non vi è stata violazione dell’articolo 12 della Convenzione;
6.ritiene, con sei voti contro tre, che non vi è stata violazione dell’articolo 14 in relazione all’articolo 8 della Convenzione;
Fatto in inglese, e notificato per iscritto in data 24 giugno 2010, a norma degli articoli 77 § 2 e 3 del Regolamento della Corte.
Il Cancelliere Aggiunto Il Presidente
André Wampach Christos Rozakis
A norma dell’articolo 45 § 2 della Convenzione e dell’articolo 74 § 2 del Regolamento della Corte, sono allegati alla presente sentenza i seguenti distinti pareri:
(a) il comune parere dissenziente dei Giudici Rozakis, Spielmann e Jebens;
(b) il parere concordante del Giudice Malinverni cui si associa il Giudice Kovler.
C.L.R.
A.M.W.
* Traduzione non ufficiale a cura del Ministero della Giustizia, provenienza dal CED della Corte di Cassazione