Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (sezione quarta), sentenza del 20 dicembre 2011

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 2758 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

(…), rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Gallenca, Alberto Colombo, con domicilio eletto presso l’avv. Alberto Colombo in Milano, Viale Lazio 4;

contro

Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, rappresentata e difesa dall’avv. Anna Maria Pinto, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Washington, 15;

per l’annullamento, previa sospensione,

del provvedimento disciplinare di cui alla lettera 13.07.2011, prot. n. 3945-V/4 del Rettore dell’ Università Luigi Bocconi di Milano inviata al ricorrente via e-mail il 31.08.2011, ivi compresa l’esclusione dagli esami di dal Corso di Master in Acconting ,Auditing e Control presso la predetta Università nonchè dai servizi erogati dall’Università Bocconi con riferimento ai partecipanti a detto Master;

dell’art.30 del Regolamento Didattico di Atene in attuazione del D.M: 22.10.2004 n. 270, , emanato con Decreto Rettorale n. 163 del 29.05.2009;

 Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2011 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 FATTO e DIRITTO

 Il ricorrente impugnava il provvedimento disciplinare adottato nei suoi confronti dall’Università Bocconi, mentre stava frequentando un master, che comportava la sua esclusione per un anno da tutte le attività dell’Università.

Il provvedimento era stato assunto in relazione al comportamento tenuto dallo studente che in occasione di due distinte manifestazioni promosse dall’Ateneo aveva nel primo caso lacerato un manifesto che riguardava l’adesione di un’associazione studentesca presente all’interno dell’Università alla giornata internazionale contro l’omofobia e la transfobia e nel secondo caso l’apposizione sul manifesto che pubblicizzava una conferenza tenuta dalla medesima associazione di una scritta offensiva verso gli omosessuali.

Nell’unico articolato motivo di ricorso il Volante eccepisce che non è stato rispettato il suo diritto alla difesa tecnica poiché non ha potuto farsi assistere da un legale di fiducia nel corso del procedimento disciplinare, contesta che l’Università possa assoggettare al suo potere disciplinare i frequentatori di un master secondo l’art. 30 del Regolamento didattico di Ateneo.

Inoltre il ricorrente si lamenta del fatto che il provvedimento non indichi quali disservizi o lesione dei diritti altrui sarebbe derivata dai comportamenti contestati.

Infine veniva contestata l’entità della sanzione che comportava la perdita di sessioni di esame per un anno che appariva sproporzionata rispetto alle condotte contestate.

L’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso ed eccependo l’inammissibilità del ricorso per la genericità del ricorso introduttivo che ha omesso un’esposizione sommaria dei fatti di causa come richiesto dall’art. 40 c.p.a..

In data 15.11.2011 il ricorrente depositava motivi aggiunti con i quali contesta ulteriormente un difetto di istruttoria nel procedimento disciplinare circa l’accertamento dei fatti ed un difetto di tipicità poiché non risulta quale sia la fattispecie violata e ribadisce l’illegittimità di non aver consentito una difesa tecnica ammessa ormai dinnanzi a molti organi disciplinari in campo amministrativo.

L’eccezione preliminare di inammissibilità non può essere accolta in quanto l’art. 40 c.p.a. si limita a prevedere quale debba essere il contenuto del ricorso, ma la sanzione della nullità del ricorso è prevista solo laddove l’inosservanza delle prescrizioni contenute nella norma determini un’incertezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda.

Il ricorso non è fondato.

Appare certamente singolare che si censuri la non adeguatezza della sanzione e il difetto di istruttoria da parte della Commissione disciplinare senza però aver operato una ricostruzione neanche sommaria delle condotte poste in essere dal ricorrente.

Peraltro nelle difese svolte nel procedimento disciplinare, il Volante non contesta la materiale ricostruzione dei fatti che emerge dall’atto di avvio del procedimento disciplinare, ma si limita a precisare che non vi era stato alcuno scontro fisico o verbale con alcuno in occasione del primo episodio e cioè lo strappo di un manifesto dell’associazione “ Bocconi Equal Student ( Best ) “.

Venendo alle contestazioni più specifiche va innanzitutto respinta la censura relativa alla violazione del diritto di difesa.

Anche nel procedimento disciplinare va garantito il principio del contraddittorio oltre che una previa conoscenza dell’addebito contestato ed il provvedimento finale deve essere sorretto da una congrua motivazione

La difesa tecnica è invece imprescindibile solo nei procedimenti di qualsiasi tipo innanzi ad un’autorità giurisdizionale, mentre in campo amministrativo la scelta di consentire o meno il ricorso al patrocinio di un avvocato può essere riconosciuta o meno in base a valutazione discrezionale del legislatore (Cass. 7153/2008, 26023/2009).

Peraltro anche laddove si volesse ritenere che, in mancanza di un’espressa previsione di legge, vi fosse comunque la facoltà di farsi assistere da un avvocato, la mancanza del patrocinio legale non potrebbe essere considerata causa di illegittimità del procedimento amministrativo.

Afferma il ricorrente che quale partecipante ad un master non sarebbe sottoposto al potere disciplinare dell’Università.

I corsi che rilasciano i master universitari sono previsti dall’art. 3,comma 9, D.M. 270\2004 che dà facoltà alle università di disciplinarli nei regolamenti didattici di ateneo.

Sarebbe ben strano che al frequentatore di un corso tenuto presso l’Università in conseguenza di una facoltà riconosciuta a tale istituzione, non fossero applicabili le regole di condotta la cui violazione può comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari.

Il ricorrente ritiene che non possa applicarsi nei suoi confronti l’art. 30 del regolamento didattico di ateneo solo perché il regolamento dei corsi Master non fa ad esso riferimento.

Ma innanzitutto il regolamento didattico di ateneo ricomprende nel suo ambito anche i corsi di master di primo e secondo livello per cui non si comprende per quale ragioni le norme ivi contenute non dovrebbero applicarsi anche ai frequentatori di quei corsi; e poi se ei esamina l’art. 6.5 del regolamento dei corsi Master si potrà rilevare che esso ha un contenuto pressoché identico all’art. 30 citato e fa riferimento alla possibile applicazione di sanzioni disciplinari laddove non si osservino i doveri ci comportamento ivi descritti.

Non contenendo tale regolamento un’autonoma disciplina del procedimento disciplinare né un’autonoma previsione delle relative sanzioni è evidente che si faccia implicito rinvio all’art. 30 dove tali aspetti sono regolamentati.

Il ricorrente ha anche contestato la genericità delle prescrizioni in tema di sanzioni disciplinari; a tal proposito va innanzitutto osservato che non esiste un principio di tipicità o di tassatività per cui è sufficiente che la condotta censurata sia caratterizzata dalla violazione di quei doveri cui deve essere impostato il comportamento dello studente all’interno dell’Ateneo.

In particolare, dal momento che le norme di condotta sia nell’art. 30 del regolamento didattico di ateneo che nell’art. 6.5 del regolamento dei corsi Master prevedono il “ rispetto della dignità e personalità individuali e delle reciproche differenze culturali “.

I comportamenti contestati al ricorrente costituiscono palesi violazioni del rispetto della dignità degli omosessuali dal momento che la frase scritta sul manifesto nei loro confronti è espressione di una grave forma di disprezzo, mentre lo strappo del manifesto di un’associazione culturale è atteggiamento sintomatico di un’intolleranza verso realtà che esprimono una diversa sensibilità culturale.

Le sanzioni irrogabili sono quelle previste dall’art. 16 R.D.L. 1071\1935 il cui testo è stato riportato all’interno dell’art. 30 del regolamento citato per cui il motivo di ricorso non può essere accolto.

Infine rimane da esaminare la censura relativa alla ritenuta violazione del principio di proporzionalità in relazione all’entità della sanzione irrogata.

Il comportamento tenuto dal frequentatore del Master in occasione dei due episodi citati è grave soprattutto in relazione al secondo episodio che costituisce una grave forma di intolleranza verso persone con preferenze sessuali non approvate dal ricorrente tanto da auspicare nei loro confronti un comportamento analogo a quello che i nazisti riservarono agli ebrei nei campi di sterminio.

Né tanto meno può anche solo in parte giustificarsi una condotta siffatta sotto il profilo di un diritto alla critica espresso in forme improprie come in qualche sembrerebbe apparire dalle giustificazioni addotte dal Volante quando parla di “ un’istintiva reazione ad altrui atteggiamenti che ha sentito come ingiustificatamente aggressivi rispetto a modi di essere che sono anche i propri”.

Una cosa è il diritto di critica verso un’impostazione culturale che promuove una concezione di assoluta equivalenza di ogni orientamento sessuale, altra cosa è quella di insultare gratuitamente persone di cui non si condividono le scelte di vita, ma che non per questo non meritano l’assoluto rispetto della loro dignità di esseri umani.

Dal momento che in ossequio alle disposizioni di carattere statale la sanzione massima irrogabile è l’esclusione dall’università per non più di tre anni ( vedasi TAR Puglia 92\1988 ), il Collegio non ritiene illegittima la sanzione irrogata anche in considerazione di una discrezionalità in materia che può essere censurata solo quando appaia illogica e manifestamente ingiusta o sproporzionata rispetto alla entità del comportamento punito.

Il ricorso, in conclusione, deve essere respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 1.500 oltre C.P.A. ed I.V.A.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Adriano Leo, Presidente

Elena Quadri, Consigliere

Ugo De Carlo, Primo Referendario, Estensore