Tribunale di Ferrara, ordinanza del 16 dicembre 2009

 Osserva

hanno proposto ricorso avverso il provvedimento datato 25.3.2009 con il quale l’ufficiale dello stato civile del Comune di Ferrara ha rifiutato di procedere alla pubblicazione di matrimonio dalle stesse richiesta, ritenendo che: «l’ordinamento giuridico italiano non consente ne´ disciplina il matrimonio tra persone dello stesso sesso»; l’art. 29 Cost. dispone che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» e che il costituente ha inteso far riferimento al tradizionale rapporto di coniugio inteso tra soggetti di sesso diverso, secondo una concezione che, prima ancora della legge, trova il suo fondamento nel sentimento, nella cultura, nella storia della nostra comunità nazionale; alla luce di questo si deve intendere che la diversità di sesso è elemento essenziale nel nostro ordinamento per poter qualificare l’istituto del matrimonio; il Ministero dell’Interno con circolare M.i.a.c.e.l. n. 2 del 26.3.2001 si è

espresso sull’argomento che «non è trascrivibile il matrimonio celebrato all’estero tra omosessuali, di cui uno italiano, in quanto contrario alle norme di ordine pubblico». Le ricorrenti rilevano che nel nostro ordinamento non esisterebbe un divieto espresso di matrimonio tra persone dello stesso sesso, non essendo previsto tra i requisiti per contrarlo di cui all’art. 84 c.c. la disparità di sesso e che la circolare del Ministero degli Interni citata nel provvedimento si riferirebbe all’ordine pubblico internazionale e non all’ordine pubblico interno, che invece andrebbe richiamato nel caso di specie. Inoltre le ricorrenti sostengono che, in ogni caso, l’interpretazione letterale delle norme codicistiche posta a fondamento dell’atto di diniego da parte del Comune sarebbe contraria alla Costituzione italiana, ed in particolare agli artt. 2, 3, 10 2º co., 13, 29 e 117.

Sulla base di tali argomenti le ricorrenti hanno chiesto al Tribunale, in via principale, di ordine all’ufficiale di stato civile del comune di Ferrara di procedere alla pubblicazione del matrimonio rifiutata e, in via subordinata, di sollevare la questione di legittimità costituzionale, previa positiva valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza, degli artt. 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c. rispetto agli artt. 2, 3, 10 2º co., 13, 29 e 117 Cost., rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale. Con il ricorso si chiede, quindi, che il Tribunale si pronunci in ordine alla riconoscibilità del diritto delle persone omosessuali di contrarre matrimonio con persone del proprio sesso.

In via preliminare va osservato che in mancanza di modifiche legislative in materia, il nostro attuale ordinamento non ammette il matrimonio tra omosessuali. Infatti, pur non esistendo una norma definitoria espressa, l’istituto del matrimonio, cosı` come previsto nell’attuale sistema giuridico italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al matrimonio tra persone di sesso diverso: se e` vero che il codice civile non indica espressamente la differenza di sesso fra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra cui quelle menzionate nel ricorso e sospettate d’incostituzionalità`, si riferiscono al marito e alla moglie come ‘‘attori’’ della celebrazione (107 e 108), protagonisti del rapporto coniugale e autori della generazione (artt. 231 ss.). La medesima distinzione di sesso tra i coniugi si rinviene in numerosissime altre disposizioni (143, 143 bis, 143 ter, 156 bis ecc.) e specificamente in quelle che disciplinano il concreto atteggiarsi dei diritti e doveri dei coniugi tra loro e verso i figli, nonché´ nello stesso ordinamento sullo stato civile emanato con il d.p.r. n. 396/2000, laddove prevede, nell’art. 64 lett. e), che l’atto di matrimonio deve specificamente indicare «la dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e in moglie». Pertanto il chiaro tenore delle norme sopra indicate esclude la possibilità di un matrimonio tra persone dello stesso sesso e ciò si spiega con una consolidata e ultramillenaria nozione di matrimonio come unione di un uomo e di una donna. Peraltro, come hanno già esattamente evidenziato il Tribunale di Venezia e la Corte d’Appello di Trento, d’altra parte non si può ignorare il rapido trasformarsi della società e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si è assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia tradizionalmente intesa ed al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione ispirandosi al modello tradizionale e come quello mirano ad essere considerate e disciplinate: si tratta di nuovi bisogni, legati anche all’evoluzione della cultura e della civiltà`, che sollecitano tutela e riconoscimento, imponendo un’attenta meditazione sulla persistente compatibilità della normativa vigente con i principi costituzionali.

Il primo riferimento costituzionale con il quale confrontarsi, suggerito anche dalle ricorrenti, è sicuramente quello di cui all’art. 2 Cost., nella parte in cui riconosce i diritti inviolabili dell’uomo (diritti già proclamati dalla Costituzione ovvero individuati dalla Corte Costituzionale) non solo nella sua sfera individuale ma anche, e forse soprattutto, nella sua sfera sociale, ossia, secondo la formula della norma, «nelle formazioni

sociali ove si svolge la sua personalità`», fra le quali indiscutibilmente la famiglia deve essere considerata la prima e fondamentale espressione. La famiglia è infatti la formazione sociale primaria nella quale si esplica

la personalità dell’individuo e nella quale vengono quindi tutelati i suoi diritti inviolabili, conferendogli uno status (quello di persona coniugata) che assurge a segno caratteristico all’interno della società e che conferisce un insieme di diritti e di doveri del tutto peculiari e non sostituibili tramite l’esercizio dell’autonomia negoziale. Il diritto di sposarsi configura un diritto fondamentale della persona riconosciuto sia a livello sopranazionale (artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, artt. 8 e 12 Cedu e ora l’artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7.12.2000), sia dall’art. 2 Cost.: è un diritto inteso sia nella sua accezione positiva di libertà di contrarre matrimonio con la persona prescelta (cosı` anche C. Cost. n. 445/2002), sia in quella negativa di libertà di non sposarsi e di convivere senza formalizzare l’unione (cosı` C. Cost. 13.5.1998, n. 166). La libertà di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente riguarda la sfera dell’autonomia e dell’individualità ed è quindi una scelta sulla quale lo Stato non può interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili; ora, nell’ipotesi in cui una persona intenda contrarre matrimonio con altra persona dello stesso sesso nessun pericolo di lesione ad interessi pubblici o privati di rilevanza costituzionale, quali potrebbero essere la sicurezza o la salute pubblica, appare verificarsi. L’unico diritto che corrisponde anche ad un indiscutibile interesse sociale è quello dei figli di crescere in un ambiente familiare idoneo: è evidente, pero`, che tale interesse potrebbe incidere esclusivamente sul diritto delle coppie omosessuali coniugate di avere figli adottivi, diritto, che è un diritto distinto, e non necessariamente connesso, rispetto a quello di contrarre matrimonio. Il secondo parametro di riferimento da prendere in esame, strettamente connesso al precedente, è quello di cui all’art. 3 Cost., che vieta ogni

Famiglia, Persone e Successioni 5 345 maggio 2010 discriminazione irragionevole, conferendo a tutti i cittadini «…pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», impegnando lo Stato a «… rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…». Poiché´ il diritto di contrarre matrimonio è un momento essenziale di espressione della dignità umana, esso deve essere garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali (quali l’orientamento sessuale), con conseguente obbligo dello Stato d’intervenire in caso di impedimenti all’esercizio.

Ne consegue che se lo scopo del principio di cui all’art. 3 Cost. e` vietare irragionevoli disparità di trattamento, la norma che esclude, o comunque non consente alle persone omosessuali, dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, cosı` seguendo il proprio orientamento sessuale (ne´ patologico, ne´ illegale), non ha alcuna giustificazione razionale, soprattutto se raffrontata con l’analoga situazione delle persone transessuali, che, ottenuta la rettificazione di attribuzione di sesso in applicazione della l. 14.4.1982, n. 164 possono contrarre matrimonio con persone del proprio stato di nascita.

Al riguardo va rammentato che la coerenza con la Costituzione della legge n. 164/1982 è stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 161 del 6.5.1985 e che le valutazioni espresse dalla Corte sulla norma sospettata d’incostituzionalità confortano la tesi qui sostenuta, essendo stata riconosciuta la legittimità costituzionale non tanto sulla base del fatto che i soggetti abbiano compiuto e portato a termine un trattamento medico chirurgico e che vi sia stato il provvedimento del Tribunale, che attribuisce il sesso opposto, ma in base al fatto che la Corte ha definito l’orientamento del transessuale come «naturale modo di essere» sostenendo che la legge sospettata d’incostituzionalità «si e` voluta dare carico di questi ‘‘diversi’’ producendo una normativa intesa a consentire l’affermazione della loro personalità e in tal modo ad aiutarli a superare l’isolamento, l’ostilità e l’umiliazione che troppo spesso li accompagnano nella loro esistenza. Cosı` operando il legislatore italiano si è allineato agli orientamenti legislativi, amministrativi e giurisprudenziali, già affermati in numerosi Stati, fatti propri, all’unanimità dalla Commissione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (decisione 9.5.1978, nel caso Daniel Oosten Wijck contro Governo belga) e la cui adozione in tutti gli Stati membri della Comunità e` stata caldeggiata con una proposta di risoluzione presentata al Parlamento Europeo nel febbraio 1983. La l. n. 164 del 1982 si colloca, dunque, nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori di libertà e dignità`, della persona umana».

Non vi è dubbio che la l. n. 164 del 1982 ha profondamente mutato i connotati dell’istituto del matrimonio civile consentendone la celebrazione tra soggetti dello stesso sesso biologico ed incapaci di procreare, valorizzando cosı` l’orientamento psicosessuale della persona e dunque oggi l’identità di sesso biologico non può essere invocata per escludere gli omosessuali dal matrimonio. Se e` vero, infatti, che fattore meritevole di tutela e` l’orientamento psicosessuale della persona, non appare in alcun modo giustificata la discriminazione tra coloro che hanno naturale orientamento psichico che li spinge ad una unione omosessuale, e non vogliono pertanto effettuare alcun intervento chirurgico di adattamento, ne´ ottenere la rettificazione anagrafica per conseguire un’attribuzione di sesso contraria al sesso biologico, ai quali e` precluso il matrimonio, e i transessuali che sono ammessi al matrimonio pur appartenendo allo stesso sesso biologico ed essendo incapaci di procreare.

In sintesi la parità di diritti per i cittadini omosessuali potrà dirsi realizzata solo se sarà loro consentito di scegliere di regolare la propria vita e i loro propri rapporti giuridici e patrimoniali optando fra le stesse alternative che sono a disposizione dei cittadini transessuali ed eterosessuali. In realtà le opinioni contrarie al riconoscimento alla libertà matrimoniale tra persone dello stesso sesso, per giustificare la disparità di trattamento invocano ragioni etiche, legate alla tradizione o alla natura, d’altra parte, però non solo i costumi familiari si sono radicalmente trasformati, ma soprattutto quando si discute di diritti fondamentali, ogni difesa formale della liberta`, priva di un reale supporto giuridico strutturale, è debole e priva di effettività`. Un terzo parametro di riferimento, anch’esso strettamente connesso con gli altri due, è proprio il disposto dell’art. 29, 1º co. della Costituzione, invocato al contrario (anche nel caso specifico dall’Ufficiale di Stato civile di Ferrara) come principale dato normativo per negare il matrimonio omosessuale: laddove si afferma che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio» si ritiene, infatti, che con tale espressione si sia inteso tutelare il solo nucleo legittimo di carattere tradizionale, ossia l’unione di un uomo ed una donna suggellata dal vincolo giuridico del matrimonio.

La famiglia costituzionalmente tutelata e riconosciuta, intesa come società naturale, e`, quindi, solamente quella fondata sul matrimonio: dunque qualsiasi altro tipo di «famiglia» (nel senso di associazione totale di vita tra due persone) non fondata sul matrimonio non solo non ha riconoscimento e tutela costituzionale, ma e` anche da ritenersi «innaturale».

Infatti se la norma costituzionale impone di privilegiare la famiglia fondata sul matrimonio appare difficile negare che, prevedendo espressamente una norma apposita, il legislatore costituente ha inteso riconoscere alla famiglia fondata sul matrimonio un ruolo particolare, per cosı` dire rafforzato. Deve chiedersi, dunque, se gli omosessuali hanno o non hanno il diritto ad avere una famiglia (nel senso di associazione dotale di vita tra due persone non semplicemente diretta a soddisfare in via privata degli affetti, ma avente un interesse pubblico il cui atto fondativo deve essere serio, consapevole, responsabile e dichiarato di fronte alla comunità) come tutti gli altri cittadini, vale a dire una famiglia fondata sul matrimonio.

Sul punto deve premettersi che il testo della norma non limita l’istituto del matrimonio a persone di sesso diverso: in questo senso, i nostri costituenti, già nel 1945, si sono comportati in modo molto diverso dai costituenti di altri Paesi affini al nostro che, invece, hanno specificato espressamente che i coniugi devono essere di sesso diverso (e che per questo, in anni più recenti, si sono trovati di fronte a difficoltà maggiori di quanto non presenti il nostro testo costituzionale). Naturalmente, è inutile sostenere che i padri fondatori della nostra Costituzione avessero in mente l’eventualità di estendere il matrimonio anche a persone dello stesso sesso o all’eventualità che in un futuro si sarebbe posto al legislatore ordinario questo problema: essi, semplicemente, non hanno specificato l’esigenza della diversità di sesso perché´ per essi era naturale che il matrimonio fosse possibile soltanto tra persone di sesso diverso.

Questo riferimento all’intenzione del legislatore costituente non e`, pero`, un argomento decisivo, poiché´ deve porsi il problema di come interpretare oggi una disposizione in se´ neutra, scritta in anni molto diversi dai nostri, in presenza di un contesto sociale di riferimento che certamente ha poco a che fare con quello dell’Italia (e dell’Europa) attuale.

E` evidente che il problema interpretativo si accentra soprattutto sul termine «naturale» che compare nell’articolo della Costituzione dato che tale termine costituisce di fatto l’unico limite che la norma pone al riconoscimento costituzionale della famiglia come società fondata sul matrimonio. A questo proposito, va da se´ che non può essere attribuito al termine naturale ciò che viene ritenuto tale da una particolare concezione ideologica, religiosa o altro: l’uso di un tale criterio interpretativo sarebbe aberrante in uno Stato che si è fondato costituzionalmente in contrapposizione (e superamento) del modello dello Stato etico, quale che sia questa etica.

Si asserisce che il termine naturale non può che riferirsi alla famiglia come tradizionalmente intesa perché´ questa tradizione segna l’identità tipica della società italiana e siccome questa tradizione da un punto di vista storico-religioso ammette soltanto la famiglia eterosessuale, l’art. 29 deve essere interpretato di conseguenza: una norma non può essere, pero`, interpretata oggi solo alla luce del suo significato storico poiché´ di solito, accade il contrario e cioè che una norma, storicamente datata, debba essere interpretata alla luce dei bisogni e dei dati del presente ovvero, in senso storico, sı`, ma evolutivo. In realtà`, le interpretazioni dottrinali sono concorsi nel ritenere che naturale vada inteso come dato pregiuridico, attestante la preesistenza e l’autonomia della famiglia, come comunità originaria, dallo Stato, che il diritto positivo si limita appunto a riconoscere e che la famiglia è un dato sociologico, che la Costituzione non crea ma si limita a tutelare (durante i lavori costituenti si affermò che: «Escluso che qui ‘‘naturale’’ abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto, la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico e quindi qui ‘‘naturale’’ sta per ‘‘razionale”»). Una società complessa e articolata può presentare, pero`, diversi modelli di convivenza, come quella eterosessuale o quella omosessuale e il riferimento al concetto di naturale non basta in una società che può presentare tanti modelli naturali (nel senso letterale di «realtà fenomeniche»).

Occorre, quindi, individuare un criterio oggettivo che porti a selezionare il modello o i modelli rilevanti e scartare quello che non lo è o addirittura a censurare quello che, benché´ naturale, possa essere avvertito come negativo: questo criterio non può stare se non dentro la Costituzione, nei principi che la fondano. La Costituzione italiana del dopoguerra non è certamente eticamente orientata, sebbene si fondi, ovviamente, su dei valori e non potrebbe esistere altrimenti e, date le esperienze del passato, il valore principale fondante è indubbiamente il rispetto della dignità della persona, di ciascuna persona, sia presa in se´ come valore assoluto, sia presa in rapporto agli altri, con i quali essa convive e si confronta. Di conseguenza non appare conforme alla dignità della persona privare qualcuno della possibilità di fondare una famiglia in ragione di un criterio come quello dell’orientamento sessuale, di un criterio, cioè`, che, come quello della razza, della nazionalità`, dell’origine etnica, ecc., non fa parte delle scelte individuali, ma e` dato, inerente, connaturato, congenito. Il fatto che la tutela della tradizione non rientri nelle finalità dell’art. 29 Cost. e che famiglia e matrimonio si presentino come istituti di carattere aperto alle trasformazioni che necessariamente si verificano nella storia, e` poi indubitabilmente dimostrato dall’evoluzione che ha interessato la loro disciplina dal 1948 ad oggi. Il codice civile del 1942 recepiva un modello di famiglia basato su di un matrimonio indissolubile e su di una struttura gerarchica a subordinazione femminile; basti pensare al fatto che l’art. 143 parlava solo di obblighi reciproci e non di diritti, alla potestà maritale dell’art. 144, al dovere del marito di proteggere la moglie di cui all’art. 145, all’istituto della dote. Tale caratterizzazione autoritaria e gerarchica si traduceva, sul fronte penale, nella repressione del solo adulterio femminile, nella responsabilità penale del marito solamente per abuso dei mezzi di correzione nei confronti della moglie, nella previsione del delitto d’onore, nell’estinzione  del reato di violenza carnale a mezzo del matrimonio riparatore. Sono ben noti gli interventi della Corte Costituzionale a tutela dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi fra cui la storica sentenza n. 126/1968 che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 559, 1º co., e 2 c.p. che puniva il solo adulterio della moglie, ha sottolineato proprio il mutamento della società`, superando cosı` il proprio orientamento precedente solo di pochi anni, con il quale, richiamandosi al «tradizionale concetto della famiglia, quale tuttora vive nella coscienza del popolo», aveva dichiarato non fondata la medesima questione (sentenza n. 64/1961). Anche in questo caso è stata proprio la Corte Costituzionale ad aprire la strada ad una riforma del diritto di famiglia, attuata con la legge del 1975, effettivamente in linea con i principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi superando la tradizione ultramillenaria secondo la quale la donna nell’ambito della famiglia doveva rivestire un ruolo subordinato.

Ancora, vanno menzionati la mancata «istituzionalizzazione dell’indissolubilità del matrimonio e la conseguente introduzione legislativa del divorzio, nonché´ la progressiva attuazione per via legislativa (da ultimo con la l. 54/2006) del principio costituzionale di eguaglianza tra figli legittimi e figli naturali: tutti esempi che dimostrano come l’accezione costituzionale di famiglia, lungi dall’essere ancorata ad una conformazione tipica ed inalterabile, si sia al contrario dimostrata permeabile ai mutamenti sociali, con le relative ripercussioni sul regime giuridico familiare».

Le considerazioni che precedono sul significato dell’espressione «società naturale» e sull’estraneità della tutela del «matrimonio tradizionale» alle finalità dell’art. 29 Cost. portano a ritenere prive di fondamento quelle tesi che giustificano il divieto di matrimoni tra persone dello stesso sesso ricorrendo ad argomenti della procreazione. Al riguardo sarebbe sufficiente sottolineare come ne´ la Costituzione, ne´ il diritto civile prevedano la capacità di avere figli come condizione per contrarre matrimonio, ovvero l’assenza di tale capacità come condizione di invalidità o causa di scioglimento del matrimonio, essendo matrimonio e filiazione istituti nettamente distinti. Se cosı` non fosse le persone sterili non potrebbero sposarsi e, quindi, non potrebbero formare una «famiglia» costituzionalmente tutelata. Una volta escluso che sulla disposizione dell’art. 29 Cost. possa trovare fondamento il trattamento differenziato delle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali, si ritiene che tale norma, proprio nel momento in cui attribuisce tutela costituzionale alla famiglia legittima, contribuendo essa, grazie alla stabilità del quadro delle relazioni sociali, affettive ed economiche che comporta, alla realizzazione della personalità dei coniugi, lungi dal costituire un ostacolo al riconoscimento giuridico del matrimonio tra persone dello stesso sesso, assurge indubbiamente ad ulteriore parametro, unitamente agli artt. 2 e 3, in base al quale valutare la costituzionalità del divieto.

E` sulla base di tutte queste considerazioni esposte che il Tribunale è giunto al convincimento della non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale, pur parzialmente modificando i parametri di riferimento rispetto a quelli indicati dalle ricorrenti, delle norme di cui agli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis e 231 c.c., laddove siano incompatibili, o non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso; valuterà la Corte, qualora ritenesse la questione fondata, se vi sia la necessità di estendere la pronuncia anche ad altre disposizioni legislative interessate in via di consequenzialità ai sensi dell’art. 27, l. n. 87/1953.

In punto di rilevanza, si osserva che l’applicazione delle norme indicate è evidentemente ineliminabile nell’iter logico-giuridico che questo remittente deve percorrere per la decisione: infatti, in caso di dichiarazione di fondatezza della questione cosı` come sollevata, il rifiuto alle pubblicazioni, la cui richiesta dimostra inequivocabilmente la volontà di contrarre matrimonio, dovrebbe ritenersi, in assenza di altra causa di rifiuto, illegittima, mentre, in caso di non accoglimento, l’attuale stato della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto del ricorso. Per completezza si osserva che, a fronte del rifiuto alla pubblicazione da parte dell’ufficiale dello stato civile, essendo la pubblicazione una formalità necessaria per poter procedere alla celebrazione del matrimonio, non è individuabile alcun altro procedimento nell’ambito del quale valutare la questione.

P.Q.M.

Visti gli artt. 134 Cost., la l. cost. 9.2.1948, n. 1 e 23 ss., l. 11.3.1953, n. 87;- dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis e

156 bis, 231 c.c. nella parte in cui non consentono che le persone dello stesso sesso possano contrarre matrimonio, per contrasto con gli artt. 2,3, 29º co., Cost.;- dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, sospendendo il procedimento in corso;- ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti, al Pubblico Ministero e al Presidente del Consiglio dei Ministri e che ne sia data comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.