Corte di cassazione prima sezione civile, ordinanza del 16 febbraio 2022 n. 6383

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

                        SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. GENOVESE  A. Francesco                      –  Presidente   –

Dott. TRICOMI   Laura                             –  Consigliere  –

Dott. IOFRIDA   Giulia                            –  Consigliere  –

Dott. TERRUSI   Francesco                     –  rel.Consigliere  –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro                    –  Consigliere  –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3930/2021 proposto da:

X,  Y quest’ultima anche quale genitore della minore          Z., elettivamente domiciliate in Roma, Via Gregoriana n. 54, presso lo studio dell’avvocato Miri Vincenzo, rappresentate e difese dall’avvocato Fiorini Elena, giusta procura in calce al ricorso;

ricorrenti

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Sindaco del Comune di Q nella qualità di Ufficiale del Governo, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

controricorrenti

contro

Prefettura di K, Comune di H, Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di V, Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione;

intimati

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di M, del 02/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2022 dal cons. Terrusi Francesco

 

FATTI DI CAUSA

 

Il 16 novembre 2017 Y partoriva, in Q, la piccola Z., figlia genetica della compagna X.

L’ufficiale di stato civile del comune di …. rifiutava di iscrivere la bambina con indicazione di entrambe le donne come madri, e accoglieva di contro l’istanza subordinata di iscrizione con indicazione come madre della sola Y

Con ricorso del D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95, le già menzionate X e Y adivano il tribunale di (OMISSIS) in rettificazione dell’atto di nascita di G.A..

Il tribunale accoglieva il ricorso, essenzilmente osservando che la L. n. 40 del 2004, con riguardo agli effetti del consenso alla procreazione medicalmente assistita (p.m.a.), “contempla accanto alla genitorialità biologica anche una genitorialità affettiva e psicologica”, e l’eventuale illiceità della tecnica procreativa “non cancella automaticamente l’interesse del minore alla cancellazione dello status così acquisito”.

Su reclamo del sindaco del comune di (OMISSIS), la corte d’appello ha riformato il provvedimento e ha respinto la domanda della coppia XY di procedere alla rettifica dell’atto di nascita di G.A. con indicazione della doppia genitorialità. Ciò in quanto la normativa citata come intesa dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (si citano Cass. Sez. U n. 12193-19 e Cass. n. 7668-20), già definita conforme a costituzione (C. Cost. n. 221 del 2019), non consente un’interpretazione estensiva con riferimento ai soggetti che possono accedere alle tecniche di p.m.a., mentre l’interesse del minore a essere accudito e educato nell’ambito familiare resta adeguatamente garantito dall’istituto dell’adozione.

A tanto la corte territoriale ha aggiunto che ostativo sarebbe pure il complesso delle disposizioni in tema formazione dell’atto di nascita, poiché la stessa dichiarazione di riconoscimento di figlio naturale è prevista dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 29, solo in quanto effettuata da due individui di sesso diverso.

Avverso il decreto della corte d’appello è proposto ricorso per cassazione da parte delle medesime X e Y, con tre motivi illustrati da memoria.

A esso resiste con controricorso l’avvocatura generale dello Stato in rappresentanza del Ministero dell’interno e del sindaco di …. quale ufficiale di governo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. – Col primo mezzo le ricorrenti denunziano l’omesso esame di fatto decisivo controverso, integrato dalla sussistenza del legame genetico tra la bambina e la X, alla quale è appartenuto l’ovulo che, fecondato con seme maschile di donatore anonimo, era stato impiantato nell’utero della madre partoriente.

Col secondo mezzo denunziano la conseguente violazione della L. n. 40 del 2004, artt. 6,8 e 9, in relazione agli artt. 2 Cost. e 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.

Col terzo, infine, deducono la violazione del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 29, e degli artt. 250 e 254 c.c., dal momento che l’interpretazione fornita dalla corte territoriale a proposito del nesso tra le citate disposizioni codicistiche e quella della legge sullo stato civile, nel testo antecedente alla legge sulla p.m.a., non terrebbe conto della necessità di un’interpretazione evolutiva, peraltro doverosa nell’ottica costituzionalmente e convenzionalmente orientata.

  1. – Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, è infondato.

Tutto il ragionamento svolto dalle ricorrenti si basa sulla premessa che a fronte dei precedenti già indicati dalla corte d’appello di …. diversa sarebbe la fattispecie in esame, poiché contraddistinta dall’essenziale circostanza che la donna non partoriente, oltre ad avere espresso il consenso alla p.m.a., compiuta all’estero mediante impiego di gamete maschile di donatore anonimo, ha essa stessa un legame genetico con la nata, visto che alla medesima è appartenuto l’ovulo che, fecondato, è stato impiantato nell’utero della partoriente.

Da qui la considerazione che la X è madre, e segnatamente madre genetica, della piccola Z così come è madre, segnatamente madre biologica, anche e ovviamente la Y, che l’ha partorita.

A riguardo di tale fatto, la corte d’appello di … avrebbe dunque, secondo le ricorrenti, violato la L. n. 40 del 2004 nel pretendere che le relative norme (artt. 6, 8 e 9) possano trovare applicazione – ed effetto nei riguardi del nato – solo laddove siano rispettati i requisiti soggettivi e oggettivi di accesso alla p.m.a., anche in caso di sussistenza di un legame genetico tra la madre cd. intenzionale (che per l’appunto ha prestato il consenso) e la madre partoriente.

E poiché le violazioni attengono all’identità personale del nato, esse si risolverebbero anche in violazioni del diritto fondamentale presidiato costituzionalmente (art. 2 Cost.), compromettendo il superiore interesse del minore qualificato dal fascio di diritti che si lega alla filiazione.

III. – Sennonché l’insistito riferimento delle ricorrenti alle circostanze appena indicate non toglie rilevanza ai principi già affermati da questa Corte in consonanza col vaglio di costituzionalità della L. n. 40 del 2004.

Innanzi tutto è bene precisare che l’atto di nascita, oggetto della controversia in esame, riguarda una bambina nata in Italia da donna di nazionalità italiana, sì che resta interamente assoggettato alla legge nazionale.

In base alle più recenti pronunce di questa Corte può ritenersi acclarato che sia in contrasto con la L. n. 40 del 2004, l’art. 4, comma 3, il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata a quella che lo ha partorito, stante l’esclusione del ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie omosessuali.

Questo perché non è consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto (cfr. Cass. n. 8029-20 e Cass. n. 7668-20).

Da qui l’inammissibilità di un’istanza tesa a formare l’atto di nascita traducendo in termini certificativi il risultato di ciò che non può trovare ingresso in termini sostanziali.

  1. – Il principio è stato a più riprese affermato in casi in cui la donna non partoriente non abbia alcun legame biologico con il minore medesimo.

La circostanza che a fondamento della domanda di rettificazione sia stata posta l’esistenza di un legame genetico tra il nato e la donna sentimentalmente legata a colei che ha sostenuto il parto, siccome donatrice dell’ovocita, non cambia la sostanza delle cose.

Non è invero decisiva in vista di una soluzione diversa, perché non è in grado di incidere sull’essenziale rilievo secondo cui la legge nazionale si contiene nel senso che una sola è la persona che può essere menzionata come madre in un atto di nascita.

Questo è per l’appunto il dato correlabile all’opzione legislativa (artt. 4 e 5 della L. n. 40 del 2004) volta a limitare l’accesso alle tecniche di p.m.a. per rimuovere cause impeditive della procreazione circoscritte ai casi di sterilità o di infertilità accertate e certificate da atto medico. E quindi a situazioni di infertilità patologica, alle quali, come precisato dalla Corte costituzionale, non è omologabile la condizione di contro fisiologica – di infertilità della coppia omosessuale (v. C. Cost. n. 221 del 2019).

  1. – Non è fondato sostenere che una diversa interpretazione sarebbe imposta dalla necessità di un’esegesi costituzionalmente orientata.

L’esegesi costituzionalmente orientata è praticabile dinanzi a un’alternativa che veda il risultato di quella difforme in contrasto con norme o principi costituzionali.

Ma così non è nel caso concreto, perché la Corte costituzionale, affrontando la questione di legittimità della L. n. 40 del 2004, artt. 8 e 9, oltre che dell’art. 250 c.c., in quanto, sistematicamente interpretati, non consentirebbero al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata da una coppia dello stesso sesso, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale che abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa, ove non vi siano le condizioni per procedere all’adozione nei casi particolari e sia accertato giudizialmente l’interesse del minore, ha di recente dichiarato inammissibile la questione medesima perché involgente scelte discrezionali del legislatore (v. C. Cost. nn. 32 e 33 del 2021).

Ne deriva che, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, i limiti stabiliti dalla L. n. 40 del 2004 non possono evocare scenari di contrasto con principi e valori costituzionali.

  1. – Solo per completezza deve essere pure ricordato che, in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia di accesso alla p.m.a., la Corte costituzionale ha sottolineato che non è configurabile un divieto costituzionale, per le coppie omosessuali, di accogliere figli, spettando tuttavia alla discrezionalità del legislatore la relativa disciplina.

Specularmente, a fronte della inesistenza di certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore (v. C. Cost. n. 221 del 2019 e C. Cost. n. 230 del 2020), il profilo direttamente inerente alla tutela del miglior interesse del minore, nato a seguito di p.m.a. praticata da due donne, resta presidiato dalla possibilità del ricorso alla cd. adozione in casi particolari, in base a un’interpretazione estensiva dell’art. 44, comma 1, lett. d), della L. n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore (v. Cass. Sez. U n. 12193-19).

Per converso una diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la “madre intenzionale”, ove anche se ne reputi la necessità, rientra comunque nella piena discrezionalità del legislatore, ed è sottratta – così come esplicitamente è stata già ritenuta sottratta – a qualunque possibile sindacato.

Il che sta a significare che una diversa interpretazione, rispetto a quella sopra menzionata, delle norme che qui rilevano, oltre tutto involgenti la sola questione della formazione dell’atto di nascita, non è affatto imposta dalla necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela.

Ed anzi va considerato che il suddetto vuoto, se anche ritenuto esistente, implica pur sempre (in questa materia eticamente sensibile) scelte legislative di riscontro in base all’equilibrio di diversi valori costituzionali – tutti coinvolti e tutti in gioco -; a fronte delle quali scelte non sarebbe ammissibile, perché potenzialmente finanche arbitraria, una qualsivoglia attività di supplenza in termini solo giurisprudenziali.

VII. – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in 4.200,00 EUR oltre le spese prenotate a debito.

Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità e gli altri dati significativi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 16 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022