Corte d’appello di Firenze, decreto 28 gennaio 2020

La Corte di Appello di Firenze, Sezione I Civile, composta dai Sigg.ri Magistrati:
dott. Edoardo MONTI Presidente
dott. Domenico PAPARO Consigliere
dott. Leonardo SCIONTI Consigliere rel.
riunita in camera di consiglio, ha pronunciato il seguente

DECRETO

sul reclamo ex artt. 95 l. [sic] n. 396/2000 e 739 c.p.c. avverso il provvedimento emesso in data 18.09.2018 dal Tribunale di Pisa nel giudizio di rettificazione di atto dello Stato Civile, proposto da SINDACO del comune di Pisa, quale Ufficiale delegato dal Governo nella materia dello Stato Civile, MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica, PREFETTURA – Ufficio territoriale del Governo di Pisa, in persona del Prefetto in carica Avvocatura Distrettuale dello Stato, ex lege
– reclamanti –
contro AAAA e BBBB in proprio e nella qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sul minore CCCC
– reclamati –
in contraddittorio con PUBBLICO MINISTERO presso il Tribunale di Pisa, in persona del Procuratore della Repubblica
– interventore ex lege –
[omissis]
I.4. Acquisito il visto di intervento del Procuratore Generale della Repubblica erano effettuati rinvii e quindi erano assegnati termini per memorie di replica e controreplica nelle quali le Parti ulteriormente arricchivano le rispettive argomentazioni prendendo, altresì, posizione sulla sentenza medio tempore resa dalla Suprema Corte in materia di maternità surrogata (Cassazione, Sezioni Unite Civili, 08.05.2019 n. 12193, d’ora in poi soltanto “SSUU/2019″) e insistevano sulle rispettive conclusioni già rese negli atti introduttivi. All’udienza le medesime Parti discutevano oralmente e la Corte si riservava.
Il reclamo è infondato e deve essere respinto.
II. I termini della controversia. Da un lato, il caso che ci occupa concerne esclusivamente – come più volte ripetuto – la trascrizione di un atto di nascita realizzato all’estero conformemente alle leggi di quello Stato e dall’altro lato, come noto, la normativa sulla regolamentazione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile (dPR 03.11.2000 n. 396) prevede all’art. 18, sotto la rubrica “casi di intrascrivibilità”, che “… Gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se sono contrari all’ordine pubblico…”. Occorre dunque verificare il significato di tale nozione e quindi – alla stregua dei risultati dell’indagine – accertare se l’atto trascrivendo, espressione di una maternità surrogata, possa ritenersi contrario all’ordine pubblico.
III. La nozione di ordine pubblico (internazionale). Ci offre una dirimente interpretazione proprio la recentissima SSUU/19. Va precisato che essa si occupava, in realtà di fattispecie affatto differente: se qui si verte in materia di procedura camerale non contenziosa, ex art. 95 dPR n. 396/2000, di opposizione al rifiuto dell’USC di trascrizione di atto (amministrativo) di nascita, là si trattava di procedura contenziosa a rito sommario ex art. 67 l. n. 218/1995 (fattispecie da decidersi ex art. 702- bis ss. c.p.c. ai sensi dell’art. 30 l. n. 150/2011 in materia di semplificazione dei riti civili, esplicitamente richiamata dall’art. 67 cit.) volta al riconoscimento interno di efficacia di provvedimento (giurisdizionale) estero, nel caso reso dalla Superior Court of Justice dell’Ontario (Canada), con il quale era stato giudizialmente accertato il rapporto di genitorialità tra il genitore intenzionale e i minori. Nondimeno, pur precisata la netta differenza di fattispecie giuridica, non può non riconoscersi la tendenziale coincidenza del limite di ordine pubblico in materia di trascrivibilità degli atti amministrativi (art. 18, DPR n. 396/00 cit.) con quello in materia di riconoscimento di efficacia di sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali stranieri (art. 65 l. n. 218/95 cit.). Ebbene, la Corte si pone in continuità – dichiarata – con la propria precedente enunciazione resa a sezione semplice (Sezione I, 15.06.2017 n. 14878), proprio in riferimento alla medesima materia sia della procreazione assistita che della rettifica di atto di nascita di minore (seppure in riferimento ad ipotesi di fecondazione eterologa non surrogata da parte di coppia omosessuale femminile), la quale – nell’enunciare che deve essere accolta la domanda di “rettificazione” dell’atto di nascita del minore nato all’estero e figlio di due madri coniugate all’estero, già trascritto in Italia nei registri dello stato civile con riferimento alla sola madre biologica, non sussistendo contrasto con l’ordine pubblico internazionale italiano – specificava, anche con riferimento a sua volta a precedenti conformi (fra cui, ancora Sezione I, 30.09.2016 n. 19599), che il giudice italiano deve dunque esaminare la contrarietà all’ordine pubblico internazionale dell’atto estero, con riferimento ai principi non solo espressi nella nostra Costituzione, ma pure, tra l’altro, contenuti nella Dichiarazione ONU dei Diritti dell’Uomo, nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nei Trattati Fondativi e nella Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea e, con particolare riferimento alla posizione del minore e al suo interesse, in altre disposizioni internazionali di massimo rango, su cui più specificamente oltre. In tale ampio significato di ordine pubblico va – dunque – pacificamente inquadrata la questione che ci occupa con l’avvertenza che la SSUU/2019 pone in luce “… un profilo importante della valutazione di compatibilità, rimasto forse in ombra nelle enunciazioni di principio delle precedenti decisioni, ma dalle stesse tenuto ben presente nell’esame delle fattispecie concrete, ovverosia la rilevanza della normativa ordinaria, quale strumento di attuazione dei valori consacrati nella Costituzione, e la conseguente necessità di tener conto, nell’individuazione dei principi di ordine pubblico, del modo in cui i predetti valori si sono concretamente incarnati nella disciplina dei singoli istituti. …” (par. 12.2, pag. 29). Di qui, il principio secondo cui “…In tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico…”.
Dunque, per concludere sul punto, il giudizio, nella prospettazione offerta, deve essere
svolto alla stregua di principi scaturenti da normativa di rango superiore, interna e sovranazionale, ma altresì da discipline normative ordinarie che di tali principi costituiscono espressione nella regolamentazione di singoli istituti.
IV. La maternità surrogata: l’interesse del minore e il suo bilanciamento con altri principi di pari rango. Non è dubbio che in subiecta materia, al di là dei diritti più specificamente propri delle coppie genitoriali (differenti, per la verità, per le coppie eterosessuali e omosessuali), uno dei principi alla stregua del quale deve essere valutato ogni giudizio sulla contrarietà o meno all’ordine pubblico è senz’altro l’interesse del minore. Nella già citata Cassazione n. 14878/17, la Corte – come sopra accennato – aveva evidenziato diritti irrinunciabili dei minori contenuti in fonti di rango superiore, internazionale e costituzionale. Richiamava, tra le fonti internazionali, 1) la Dichiarazione ONU dei diritti del Fanciullo, ove si afferma, fra l’altro, che questi deve godere di una particolare protezione così da svilupparsi in modo sano e normale, fisicamente, intellettualmente, moralmente, spiritualmente e socialmente, in condizioni di libertà e dignità (art. 2); che ha diritto al nome e ad una nazionalità (art. 3), all’affetto e alla comprensione, possibilmente nell’ambito della sua famiglia (art. 6), all’educazione, così da sviluppare le sue facoltà, il suo giudizio personale, il suo senso di responsabilità morale e sociale (art. 7); 2) la Convenzione ONU sui diritti del Fanciullo che costituisce un vero e proprio statuto dei suoi diritti (principio di uguaglianza tra minori; principio della preminente tutela del suo interesse; enunciazione dei diritti alla vita, al nome, alla nazionalità, alle relazioni familiari, alla identità personale, all’educazione da parte dei genitori, ove possibile); 3) la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea ove si indicano i diritti specifici dei minori alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere e ad intrattenere regolarmente relazioni e contatti
diretti con i genitori salvo che ciò appaia contrario al loro interesse (art. 24). Ancora,
richiamava fra i diritti riconosciuti nell’ambito della nostra Costituzione, il diritto del minore ad essere mantenuto, istruito, educato dai propri genitori o, nel caso di loro incapacità, a mezzo di specifiche previsioni legislative che assicurino in concreto che detti suoi diritti siano assicurati comunque; la garanzia di ogni tutela giuridico-sociale dei figli nati fuori dal matrimonio (e le riforme del 2012-2013 hanno delineato un unico status per i figli nati dentro e fuori del matrimonio, dopo che quella del 1975 aveva eliminato alcune gravi discriminazioni). Allo stesso modo richiamava la protezione dei diritti fondamentali dell’individuo nelle formazioni sociali in cui si svolge la personalità e l’impegno a rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona umana, dunque massimamente del minore per il quale lo sviluppo della personalità è caratteristico dato biologico. Sotto l’aspetto, tuttavia, del preminente interesse del minore, la SSUU/2019, sulla scorta della giurisprudenza precedente, propria (Sezione I, 11.11.2014 n. 24001) e della stessa Corte Costituzionale (10.06.2014 n. 162; 18.12.2017 n. 272), osservava ulteriormente, (§ 13.3): “…E’ pur vero, infatti, che le predette fonti assicurano la più ampia tutela al minore, riconoscendo allo stesso il diritto alla protezione ed alle cure necessarie per il suo benessere, impegnando gli Stati a preservarne l’identità ed a rispettarne le relazioni familiari, ed individuando, quale criterio preminente da adottare in tutte le decisioni che lo riguardino, il suo interesse superiore, nonché promuovendo la concessione delle garanzie procedurali necessarie ad agevolare l’esercizio dei suoi diritti. … Ciò non significa tuttavia che la tutela del predetto interesse non possa costituire oggetto di contemperamento con quella di altri valori considerati essenziali ed irrinunciabili dall’ordinamento, la cui considerazione può ben incidere sull’individuazione delle modalità più opportune da adottare per la
sua realizzazione, soprattutto in materie sensibili come quella in esame, che interrogano profondamente la coscienza individuale e collettiva, ponendo questioni delicate e complesse, suscettibili di soluzioni differenziate…”; così, dichiaratamente aderendo a quanto indicato dalla Corte Costituzionale (n. 272/17 cit.), evidenziava (par. 13.2) che “…nonostante l’accentuato favor dimostrato dall’ordinamento per la conformità dello status di figlio alla realtà della procreazione, l’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento con gli altri interessi coinvolti, in particolare con l’interesse del minore alla conservazione dello status filiationis, e dato atto che in caso di ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita il legislatore ha attribuito la prevalenza proprio a quest’ultimo interesse, dichiarando inammissibile il disconoscimento di paternità, la Corte ha rilevato che, a fianco dei casi in cui il bilanciamento è demandato al giudice, «vi sono casi nei quali la valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge, come accade con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa, mentre «in altri il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità con divieti come quello della maternità surrogata», confermando inoltre che in quest’ultimo caso l’interesse alla verità riveste natura anche pubblica, in quanto correlato ad una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, e per tale motivo è vietata dalla legge…”; pertanto, concludeva nel senso che il diritto del nato alla conservazione dello status filiationis legittimamente acquisito all’estero “…è destinato ad affievolirsi in caso di ricorso alla surrogazione di maternità, il cui divieto, nell’ottica fatta propria dal Giudice delle leggi, viene a configurarsi come l’anello necessario di congiunzione tra la disciplina della procreazione medicalmente assistita e quella generale della filiazione, segnando il limite oltre il quale cessa di agire il principio di autoresponsabilità fondato sul consenso prestato alla predetta pratica, e torna ad operare il favor veritatis, che giustifica la prevalenza dell’identità genetica e biologica…”. Di qui il principio di diritto secondo cui “…Il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983…”. In conclusione, SSUU/2019 conferma la necessità di bilanciamento tra opposti principi di pari, massimo rango; individua sostanzialmente detti principi confliggenti da un lato nel miglior interesse del minore quale espressione della normativa costituzionale e sovranazionale sopra richiamata, dall’altro lato nella dignità della persona, con riferimento alla gestante, principio quest’ultimo che trova il più alto riconoscimento nell’art. 2 della nostra Carta sia nella normativa in materia di adozione; conclude per la prevalenza di questi ultimi, incarnati nel divieto di maternità surrogata addirittura sancito con la previsione di una specifica figura delittuosa punita con sanzione penale detentiva, divieto che costituirebbe espressione di un bilanciamento in senso assoluto pre-imposto dal legislatore.
V. Segue: l’ordine pubblico del caso concreto. Sono proprio le fonti, normative e giurisprudenziali citate dalla SSUU/2019 ad imporre a questa Corte una riflessione sulla necessità di una valutazione in concreto del suddetto principio, tenuto conto che la materia concerne il divieto di maternità surrogata in sé considerata, quale procedura concretamente praticabile (e praticata), come avremo modo di verificare, da coppie sia eterosessuali sia omosessuali, ciò al fine di verificare la tenuta in assoluto di un bilanciamento pre-imposto come suggerito dalla Suprema, di verificarne gli effetti e le ricadute nell’ambito del caso che ci occupa di persona già nata e, finalmente, di offrire la soluzione ritenuta relativamente migliore e più aderente.
V.1. Innanzitutto è la stessa nostra Corte Costituzionale ad avere valutato già in passato – addirittura con maggiore forza – la preminenza dell’interesse del minore allo status e alla relazione parentale sulla condotta, pure penalmente rilevante, dei genitori sia in materia di nascita incestuosa (CC 28.11.2002 n. 494, la quale dichiarava costituzionalmente illegittimo l’art. 278, primo comma, del codice civile, nella parte in cui escludeva la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma dell’art. 251, primo comma, del codice civile, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato) sia in materia di alterazione di stato (CC 23.02.2012 n. 31, la quale dichiarava costituzionalmente illegittimo l’articolo 569 del codice penale, nella parte in cui stabiliva che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato, previsto dall’articolo 567, secondo comma, del codice penale, conseguisse di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto). Ma soffermiamoci, soprattutto, sulla stessa recente sentenza della Corte delle leggi riportata in larghi passi – come appena visto – anche dalla SSUU/2019 e più volte citata (n. 272/2017, cit:). In essa, la Corte Costituzionale conferma il valore dell’esigenza di ponderazione, nel concreto, del preminente interesse del minore, ove coinvolto, con altri principi di massimo rango eventualmente con esso confliggenti: in estrema sintesi l’ipotesi che era sottoposta alla sua attenzione – al fine di meglio comprendere – concerneva, per l’appunto, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 C.C. sollevata dalla Corte d’Appello di Milano per ritenuto contrasto con i principi di cui agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost., poiché, nel giudizio di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, essa non consentirebbe di tenere conto, in concreto, dell’interesse del minore «a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente alle sue esigenze di vita»; il giudizio a quo aveva per oggetto l’accertamento dell’inesistenza del rapporto di filiazione di un minore nato attraverso il ricorso alla surrogazione di maternità realizzata all’estero; l’azione di impugnazione prevista dall’art. 263 cod. civ. era dunque volta a rimuovere lo stato di figlio, già attribuito al minore per effetto del riconoscimento, in considerazione del suo difetto di veridicità. Ebbene, la Corte delle leggi, pure svolgendo il percorso argomentativo già sopra evidenziato da SSUU/2019 in riferimento al bilanciamento di interessi di pari rango, talvolta effettuato dallo stesso legislatore talaltra rimesso al giudice, e la non assolutezza del principio del favor minoris, in tale bilanciamento, tuttavia inserisce detto percorso in un contesto caratterizzato da ulteriori argomentazioni di più ampio e generale respiro e di certo e rilevante interesse per il caso che ci riguarda (§ 4.2): “… L’affermazione della necessità di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia internazionale e questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribuito a tale radicamento (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2013, n. 31 del 2012, n. 283 del 1999, n. 303 del 1996, n. 148 del 1992 e n. 11 del 1981). …Non si vede conseguentemente perché, davanti all’azione di cui all’art. 263 cod. civ., fatta salva quella proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare: se l’interesse a far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore; se tale azione sia davvero idonea a realizzarlo (come è nel caso dell’art. 264 cod. civ.); se l’interesse alla verità abbia anche natura pubblica (ad esempio perché relativa a pratiche vietate dalla legge, quale è la maternità surrogata, che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane) ed imponga di tutelare l’interesse del minore nei limiti consentiti da tale verità. Vi sono casi nei quali la valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge, come accade con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa. In altri il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità con divieti come quello della maternità surrogata. Ma l’interesse del minore non è per questo cancellato. … Se dunque non è costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si imponga in modo automatico sull’interesse del minore, va parimenti escluso che bilanciare quell’esigenza con tale interesse comporti l’automatica cancellazione dell’una in nome dell’altro. Tale bilanciamento comporta, viceversa, un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore. Si è già visto come la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi debba tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso. Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l’adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela. Si tratta, dunque, di una valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale…”. Insomma, pure nell’espressione del suo convincimento sul pesante disvalore della pratica vietata, è indubbio che la Corte prende atto del silenzio della legge” sul punto e lascia aperta la strada ad una “valutazione comparativa”. Ma procediamo.
V.2. Oltrepassando i confini nazionali è anche la stessa Corte EDU, il cui valore nel nostro ordinamento non è dato disconoscere, ad essersi occupata di maternità surrogata e di preminente interesse in concreto del minore in decisioni (sentenze del 26.06.2014, rese nei casi Mennesson contro Francia e Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192/2011 e n. 65941/2011), pure, citate dalla SSUU/2019 e precedentemente valorizzate anche dalla altresì già citata CC n. 272/2017. Quest’ultima (§ 4.1.4), evidenziava come la garanzia dei best interests of the child era stata riportata, nell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8, sia all’art. 14 della CEDU e che proprio in casi di surrogazione di maternità, nel valutare il rifiuto di trascrizione degli atti di nascita nei registri dello stato civile francese, la Corte di Strasburgo aveva affermato che il rispetto del migliore interesse dei minori doveva guidare ogni decisione che li riguarda. Un accenno, anche per le sentenze CEDU, sul fatto. A causa della infertilità femminile in ambedue le coppie, i genitori ricorrenti avevano fatto ricorso alla surrogazione di maternità negli Stati Uniti con impianto di embrioni nell’utero di un’altra donna, derivati dai gameti del sig. Mennesson nel primo caso, e del sig. Labassee nel secondo. Erano nate così le gemelle Mennesson e Juliette Labassee. In base a sentenze pronunciate rispettivamente in California per quanto riguarda la prima causa e nel Minnesota per quanto riguarda la seconda, i coniugi Mennesson sono i genitori delle gemelle e i coniugi Labassee sono i genitori di Juliette. Sospettando dei casi di surrogazione di maternità, le autorità francesi avevano rifiutato di trascrivere gli atti di nascita nei registri dello stato civile francese – circostanza pervero da non tralasciare – in riferimento non soltanto al genitore intenzionale, ma altresì al genitore biologico. Nella causa Mennesson, tuttavia, la trascrizione fu effettuata su disposizione della procura, che convocò successivamente i coniugi ai fini dell’annullamento. Nella causa Labassee, i coniugi non avevano contestato il rifiuto di trascrizione; avevano tentato di far riconoscere il legame di filiazione in quanto titolari del relativo stato giuridico; avevano ottenuto un atto notorio – atto rilasciato dal giudice e attestante il possesso dello stato di figlio o figlia, ossia la realtà concreta di un legame di filiazione – ma la procura si era rifiutata di farne menzione nello stato civile; essi adivano dunque le vie legali. Il ricorso dei ricorrenti, in esito ai gradi interni, era definitivamente respinto dalla Corte di Cassazione in quanto le trascrizioni o le iscrizioni in questione avrebbero dato effetto ad un accordo di surrogazione di maternità, che secondo il codice civile francese era inficiato da nullità di ordine pubblico. La massima Corte interna considerava che non fosse stato violato il diritto al rispetto della vita privata e famigliare poiché tale annullamento non privava i minori della filiazione materna e paterna riconosciuta dal diritto della California o del Minnesota né impediva loro di vivere in Francia con i coniugi Mennesson e Labassee. Ebbene, la Corte EDU, con le decisioni sopra indicate, nelle considérations Générales che premette alla discussione dei casi di specie – e che dunque li travalica – osserva che “…non vi è consenso in Europa né sulla legalità della surrogazione della maternità né sul riconoscimento giuridico del legame di filiazione tra i genitori intenzionali e i minori concepiti legalmente con questo metodo all’estero. … Tale mancanza di consenso rispecchia il fatto che il ricorso alla surrogazione di maternità fa sorgere questioni delicate di ordine etico. Agli Stati deve pertanto essere accordato un ampio margine di apprezzamento nelle loro scelte legate alla surrogazione di maternità. Tuttavia, tale margine di apprezzamento deve essere ridotto quando si parla di filiazione, in quanto viene messo in gioco un aspetto fondamentale dell’identità degli individui. Peraltro, è compito della Corte verificare se sia stato garantito un giusto equilibrio tra gli interessi dello Stato e quelli degli individui direttamente interessati, tenuto conto in particolare del principio fondamentale secondo il quale quando è in discussione la situazione di un minore, è l’interesse superiore di quest’ultimo che deve prevalere…”. Concludeva pertanto per la violazione dell’art. 8 della Carta europea sotto l’aspetto del rispetto per la vita privata. In altra ipotesi (Paradiso e Campanelli contro Italia, sentenza 24.01.2017, ricorso n. 25358), differente è stata la soluzione offerta dalla Corte EDU, Grande Chambre, ma affatto differente altresì l’ipotesi concreta; difatti, in riforma della prima sentenza resa in modo difforme dalla Camera singola, la Corte ha accolto il ricorso dell’Italia non considerando contrario all’art. 8 cit. in quanto non violava la vie familiale del minore, l’allontanamento operato dallo Stato, a fini di adozione, di un neonato da una coppia italiana che aveva ottenuto la nascita dello stesso a mezzo di maternità surrogata in Russia senza la partecipazione biologica di alcuno dei componenti della coppia e aveva introdotto illegalmente il minore in Italia; in tale ipotesi era inesistente un legame biologico con la coppia e la convivenza dell’infante con la coppia per soli pochi mesi aveva determinato il giudice a ritenere, nel bilanciamento di interessi contrapposti, da privilegiare il divieto alle condotte plurioffensive della coppia che di fatto aveva oltretutto violato, nella sostanza, la legge interna sull’adozione. Viceversa e infine, ancora la Corte EDU – Grande Chambre nel recentissimo avis consultatif del 10.04.2019 (richiesta n. P16-2018-001), reso su richiesta della Corte di Cassazione francese (il primo reso ai sensi del Protocollo n. 16, art. 2) su cui peraltro ci si soffermava anche nella presente procedura, ha ulteriormente chiarito i concetti espressi nelle sentenze appena sopra viste, Mennesson e Labassee, relativamente all’indicato”…ampio margine di apprezzamento da accordare agli Stati…” in materia; al compito della Corte di verificare che tuttavia “…sia stato garantito un giusto equilibrio tra gli interessi dello Stato e quelli degli individui direttamente interessati…”; alla circostanza, esplicitamente evidenziata in quelle sentenze, che conclusivamente “…chaque fois que la situation d’un enfant est en cause, l’intérêt supérieur de celui-ci doit primer…”. E così nel citato parere consultivo, che si riporta in lingua originale, la Corte all’unanimità rendeva la suddetta indicazione: “…Dans la situation ou, comme dans l’hypothèse formulée dans les questions de la Cour de cassation, un enfant est né à l’étranger par gestation pour autrui et est issu des gamètes du père d’intention et d’une tierce donneuse, et où le lien de filiation entre l’enfant et le père d’intention a été reconnu en droit interne : 1. le droit au respect de la vie privée de l’enfant, au sens de l’article 8 de la Convention, requiert que le droit interne offre une possibilité de reconnaissance d’un lien de filiation entre cet enfant et la mère d’intention, désignée dans l’acte de naissance légalement établi à l’étranger comme étant la « mère légale » ; 2. le droit au respect de la vie privée de l’enfant, au sens de l’article 8 de la Convention, ne requiert pas que cette reconnaissance se fasse par la transcription sur les registres de l’état civil de l’acte de naissance légalement établi à l’étranger; elle peut se faire par une autre voie, telle que l’adoption de l’enfant par la mère d’intention, à la condition que les modalités prévues par le droit interne garantissent l’effectivité et la célérité de sa mise en æuvre, conformément à l’intérêt supérieur de l’enfant…” (“…Nella situazione in cui, come nell’ipotesi formulata nei quesiti della Corte di Cassazione, un minore sia nato all’estero a mezzo di gestazione per altri e sia generato da gameti del padre intenzionale e di una terza donatrice e in cui il legame di filiazione tra il minore e il padre intenzionale sia stato riconosciuto nel diritto interno: 1. il diritto al rispetto della vita privata del minore, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, richiede che il diritto interno offra una possibilità di riconoscimento tra questo minore e la madre intenzionale, designata nell’atto di nascita legalmente redatto all’estero alla stregua della ‘madre legale; 2. il diritto al rispetto della vita privata del minore, ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, non richiede che questo riconoscimento sia effettuato a mezzo di trascrizione nei registri dello stato civile dell’atto di nascita legalmente redatto all’estero; esso può essere effettuato con altra modalità, come l’adozione del minore da parte della madre intenzionale, a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della sua realizzazione in conformità all’interesse superiore del minore…”). Il principio è chiaro e poco oltre sarà approfondito.
VI. Conclusioni. Proviamo a tirare le fila di quanto emerge dal ragionamento appena svolto non perdendo di vista il caso concreto che questa Corte è chiamata a valutare, vale a dire l’eventuale contrarietà all’ordine pubblico della chiesta trascrizione di un atto di nascita legittimamente perfezionato all’estero e contenente l’indicazione, a fianco del genitore biologico, altresì del genitore intenzionale a seguito di procedura di fecondazione eterologa nelle forme di maternità surrogata legalmente condotta all’estero da coppia omosessuale. Risultano in conflitto da un lato la complessiva identità personale di un minore, comprensiva del diritto al riconoscimento formale di legami parentali e familiari e il suo preminente interesse in tal senso e dall’altro lato la dignità umana della gestante e i principi sull’adozione nonché quale loro affermazione in sede di normazione primaria il divieto di maternità surrogata che assurge – esso stesso – a principio di ordine pubblico.
VI.1. Ritiene, innanzitutto, questa Corte che nella nozione di ordine pubblico internazionale e conseguentemente in riferimento ai requisiti che lo connotano e alle condotte che ne costituiscono violazione, in subiecta materia, il bilanciamento tra i suddetti interessi confliggenti di uguale rango, per quanto si è cercato di chiarire sopra, possa ritenersi chiuso – vale a dire pre-imposto, già effettuato a priori dal legislatore primario, con il divieto penale di cui alla fattispecie delittuosa dell’art. 12/6 della legge n. 40/2004 sulla PMA – soltanto nella fase a monte della pratica di gestazione per altri: in questo caso, il legislatore ha legittimamente, cioè secondo scelta etico-politica che certo gli compete, effettuato la scelta di ritenere prevalente la verità biologica e dunque il principio della dignità umana della gestante e, con valutazione proiettata in avanti, del concepturus rispetto alla complessiva situazione giuridica dell’individuo scaturente da diritti di pari rango, nel caso ritenuti soccombenti, quali quelli di essere genitore e di svolgere la propria personalità in una famiglia completa, quale cellula e formazione sociale primaria. Il suddetto bilanciamento, tuttavia, deve ritenersi aperto e rimesso al prudente apprezzamento del caso concreto tutte le volte in cui l’alto valore della dignità della gestante, per così dire, “compete” stavolta con il contrapposto interesse del nascituro (condizionato, con tutta evidenza, all’evento-nascita come insegna la Suprema Corte in Sezione III, 11.05.2009 n. 10741) o di una creatura già nata per la quale ultima il diritto alla propria dignità e identità personale nel significato sopra acclarato si estende ormai incondizionatamente e nella sua massima tutela; in tali casi, il bilanciamento per stessa ammissione delle Corti superiori è imposto, al fine di verificare l’adeguatezza dei rimedi posti dall’ordinamento a garanzia del diritto alla vita privata e familiare del minore, alternativi rispetto all’atto che è espressione di anteatta condotta di adulti vietata dall’ordinamento, ma che ormai è causa ed espressione dei detti diritti del minore. Ebbene, soltanto nel caso in cui i rimedi alternativi risultino adeguati e non cagionino intollerabile sacrificio o compromissione di detto interesse del minore, essi potranno essere adottati ed il riconoscimento dell’atto vietato potrà essere negato in quanto contrario all’ordine pubblico internazionale.
VI.2. Nel caso concreto, non è dubbio che la situazione di fatto – la complessiva vie familiale direbbe la Corte EDU – del nucleo XXXX sia di massima equiparabile a quella di una famiglia con figli nati fuori dal matrimonio. Peraltro, come in apertura accennato, YYYY nato nel 2010, è solo il figlio più grande ZZZZZ di padre biologico che nel 2012, ha procreato con la medesima procedura e nell’ambito del medesimo progetto genitoriale della coppia unita civilmente, anche due gemelli, AAAAA; si è in presenza di una famiglia con minori che di essa costituiscono parte integrante dalla nascita, che hanno ormai sette-nove anni, come del resto gli stessi ricorrenti in primo grado riconoscono: “…Nella vita di tutti i giorni, e indipendentemente dal fatto che per lo Stato civile italiano risultino ad oggi figli solo del sig. ___________sono sempre stati accuditi e cresciuti da entrambi da quando sono nati e infatti per loro _____________ sono indifferentemente i loro padri e tali li considerano sotto ogni profilo. D’altro canto, _______________ come _______________ sono considerati figli di entrambi dalle loro rispettive famiglie di origine e da chiunque finora sia entrato in relazione con loro. … Quindi il pediatra, le tate del nido, le insegnanti della scuola come i genitori dei loro compagni di scuola o amici del corso di nuoto e di violino o chiunque in questi anni abbia avuto occasione di frequentarli, anche del tutto occasionalmente, sanno che questi bambini hanno due babbi. …” (così ricorso introduttivo di primo grado).
VI.3. Tuttavia, non pare che l’ordinamento interno appronti – allo stato – adeguati mezzi di protezione, a fronte della pretesa impossibilità giuridica del sostanziale riconoscimento in atto di nascita, idonei a garantire sufficientemente l’identità personale di in realtà di tutti e tre i minori, (la loro vie privée direbbe la Corte EDU). Il principio enunciato con riferimento alla possibilità di conferire – comunque – rilievo al rapporto genitoriale mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari (art. 44/1, lett. d), 1. n. 184/83) si scontra con una disciplina legislativa ed una interpretazione giurisprudenziale incapaci di garantire un pieno riconoscimento alternativo alla genitorialità intenzionale in forma adeguata, vale a dire effettiva e rapida. Non può non sottolinearsi che la Grande Chambre, nel parere consultivo riportato, certo non vincolante ma alla cui luce va letta tuttavia l’intera produzione giurisprudenziale in materia della medesima Corte EDU, in parte citata e quella con ben diverso e superiore valore per il giudice interno, se da un lato riconosce che il rispetto della vita privata del minore preteso dall’art. 8 della Convenzione, anche sotto l’aspetto del riconoscimento dovuto di un legame di filiazione con il genitore d’intenzione, non richiede necessariamente la forma della trascrizione del certificato di nascita legalmente perfezionatosi all’estero risultando sufficienti anche altre modalità quali l’adozione del minore da parte del genitore intenzionale, tuttavia esse possono ritenersi adeguate “…a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della sua realizzazione, conformemente all’interesse superiore del minore…”.
VI.4. Ebbene, innanzitutto è da sottolineare che l’ordinamento italiano non conferisce a tutt’oggi alcuna legittimazione di partenza alla genitorialità omosessuale né sotto l’aspetto della PMA né sotto l’aspetto dell’adozione. Sotto il primo, basti evidenziare che fra i requisiti soggettivi per l’accesso alla PMA di cui alla l. n. 40/2004 è previsto che le coppie, fra l’altro, siano “…di sesso diverso…” (art. 5) anche se, nel preminente favor minoris, lo stato giuridico del nato in caso di PMA eterologa non subisce effetti negativi (art. 9) ed i genitori non sono punibili neppure con la sanzione amministrativa, irrogata invece a chi in qualunque modo applicasse tecniche di PMA a coppie non in possesso dei requisiti soggettivi sopra indicati (art. 12). Sotto il secondo aspetto, come noto, la legge sulle unioni civili, n. 76/2016, al fine dichiarato di “… assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile…”, prevede all’art. 1/20, con ambigua formulazione, da un lato che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole coniuge o coniugi o termini equivalenti, ovunque ricorrano, si applicano anche ad ognuna delle parti di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, dall’altro lato che la suddetta indicazione di equipollenza non trova applicazione in riferimento “…alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983 n. 184…”, ma immediatamente aggiunge che “… resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti…”. Sulla base di tale, complessivamente, non certo univoco e solido fondamento legislativo, l’interprete è dunque chiamato a decidere innanzitutto – fermo il divieto al ricorso a PMA – se alle persone dello stesso sesso, parti di una unione civile, tutte le vie alla genitorialità siano chiuse e, comunque, nel caso contrario quali norme, evidentemente, in materia di adozione siano ad esse applicabili. Non è certamente la sede per approfondire il tema, ma vale la pena, almeno, di sottolineare che quell’intero edificio interpretativo dell’adozione in casi particolari, comunque sempre in una lettura costituzionalmente orientata, conduce ad applicare norme, introdotte per consentire l’ingresso di minori in una distinta cellula familiare precostituita ed estranea all’evento della loro nascita, ad ipotesi – di massima – caratterizzate piuttosto, come nella fattispecie che ci occupa, da minori già inseriti dalla nascita, per effetto di un pre meditato progetto genitoriale che prevedeva quell’evento, in un contesto di vie familiale già proprio ab origine e ormai consolidato. Neppure è questa la sede per affrontare, a valle di quanto sopra, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, tuttora in corso, sull’applicabilità alle coppie omosessuali della normativa sulle adozioni di minori in casi particolari e quale delle ipotesi ivi previste, dibattito che comunque si nutre di decisioni giurisprudenziali, di giudici ordinari e giudici minorili nei vari gradi, affatto differenti, comunque necessitate e nell’ambito di procedure di complessiva durata – nei vari gradi – anche pluriennale. Merita – piuttosto – un accenno più specifico, davvero ultimo, soltanto all’ulteriore dibattito dottrinale e giurisprudenziale sui diritti dell’adottato, con tutta evidenza utile soltanto per la coppia che, superati tutti i precedenti scogli interpretativi, si veda riconosciuta l’applicabilità al genitore intenzionale di un’adozione del minore, figlio del proprio partner, ai sensi dell’art. 44 l. cit., lettera d) riferita all’ipotesi di constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Ebbene, l’art. 74 c.c. precisa che “…il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età di cui agli artt. 291 e seguenti…”, norma apparentemente applicabile alla sola ipotesi di adozione di maggiorenni. Tuttavia, proprio nel capo della l. n. 184/83 intitolata “Dell’adozione in casi particolari e dei suoi effetti” l’art. 55 prevede che a dette forme di adozioni si applicano, fra le altre, le disposizioni degli articoli 300 e 304 c.c. secondo cui, rispettivamente, da un lato “… l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia d’origine …l’adozione non induce alcun rapporto civile …tra l’adottato e i parenti dell’adottante…” e dall’altro lato “…l’adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione. I diritti dell’adottato nella successione dell’adottante sono regolati dalle norme contenute nel libro II…”, fra cui – per l’appunto – l’art. 567/2 c.c. secondo cui “…i figli adottivi sono estranei alla successione dei parenti dell’adottante…”, disposizione pacificamente non applicabile all’adozione piena del minore che, come noto, acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio (art. 27 1. n. 184/83), e dunque, residualmente, applicabile soltanto all’adozione di persone di maggiore età e, secondo alcuni per relationem, altresì alle adozioni in casi particolari. Ne consegue, in considerazione della differente interpretazione che possa darsi all’art. 74 c.c. in riferimento agli altri articoli sopra citati, che potrebbe derivarne una complessiva, seria menomazione di diritti primari del minore con ripercussioni gravi sull’identità personale, nella cui nozione rientra pacificamente il diritto al riconoscimento di legami familiari formali, ivi compresi quelli pieni successori, a tacere dei tempi occorrenti per il perfezionamento dell’intera procedura e della fisiologica incertezza dei suoi risultati, proprio in quanto demandati all’interpretazione giurisprudenziale di una normativa non chiara né univoca.
VI.5. Quanto sopra appare certamente – a parere di questa Corte – almeno sufficiente a ritenere che nel caso concreto non possa ritenersi, rispetto alla mera trascrizione nel registro dello stato civile del certificato di nascita legalmente costituito all’estero, che l’alternativa offerta dall’ordinamento italiano ai fini del riconoscimento di un legame parentale e familiare effettivo tra il genitore intenzionale e il minore figlio biologico del partner omosessuale, il tutto ovviamente nel preminente interesse del minore stesso, possa ritenersi adeguato a conferire rilievo al rapporto genitoriale, complessivamente inteso, comunque a garantire “… l’effectivité et la célérité …conformément à l’intérêt supérieur de l’enfant…”, interesse che al contrario ne risulterebbe irrimediabilmente compromesso e inammissibilmente soccombente. Ne deriva, per quanto sopra detto, la non contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione richiesta e – come in apertura anticipato – la conseguente infondatezza del reclamo proposto.
VII. Tenuto conto dell’assoluta novità delle specifiche questioni involte, sussistono certamente i presupposti di legge per la compensazione totale delle spese di lite. Infine, non sussiste a carico dei reclamanti l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, tenuto conto che le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo secondo giurisprudenza di legittimità cui questa Corte aderisce (cfr., in termini, Cassazione civile, Sezione Lavoro, Ordinanza 29/01/2016 n. 1778).

– PER QUESTI MOTIVI –

RESPINGE il reclamo;
COMPENSA integralmente le spese di lite;
DISPONE che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le
generalità e gli altri dati identificativi delle persone in esso menzionate ai sensi dell’art.
52 del d.l.vo 30.06.2003 n.196.
Firenze, 20.12.2019
IL PRESIDENTE Edoardo Monti