Corte di cassazione, quarta sezione penale, sentenza n. 23689 del 31 maggio 2013

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente –

Dott. FOTI Giacomo – Consigliere –

Dott. MARINELLI Felicetta – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.C. N. IL (omesso) ;

avverso la sentenza n. 1905/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del 18/01/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/05/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Stabile Carmine, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore avv. Bray Roberto Aldo del foro di Lecce che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Lecce in data 12.01.2011 confermava la sentenza emessa in data 28.05.2010 che aveva ritenuto M.C. responsabile del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e art. 609 bis c.p. in danno del minore M..F. e lo aveva condannato alla pena di anni quattro di reclusione.

La Corte di Cassazione, con sentenza del 5.10.2011, in accoglimento del ricorso proposto M.C. , annullava con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce la sopra indicata sentenza per nuovo esame.

La Corte di appello di Lecce, decidendo sul rinvio disposto dalla Corte di Cassazione, in data 18.01.2013, confermava la sentenza del Tribunale di Lecce del 28.05.10 appellata dall’imputato. Avverso la predetta sentenza M.C. , a mezzo del suo

difensore, proponeva ricorso in cassazione, chiedendone l’annullamento e la censurava per i seguenti motivi:

1) Art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) – inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale:

a) Violazione dell’art. 533 c.p. con riferimento alla novella apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 5;

b) Violazione dell’art. 530 c.p.p., commi 2 e 3;

c) Violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e);

Violazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 192 c.p.p., comma 1. Lamentava la difesa del ricorrente che solo apparentemente la sentenza impugnata era motivata allorquando aveva ritenuto l’assenza di interventi intrusivi che avrebbero potuto determinare nel minore una rielaborazione ed enfatizzazione degli episodi in esame; la sicura attendibilità anche sotto il profilo intrinseco della persona offesa F.M. ; l’inesistenza di elementi che consentissero di confutare il racconto del F. ; la conferma delle dichiarazioni del minore sulla base del contenuto delle molteplici deposizioni rese dai soggetti ai quali il ragazzo descrisse di volta in volta e in momenti diversi gli accadimenti; l’inconferenza della tesi difensiva volta a sostenere un’ardita orchestrazione del F. tesa ad inventare fantasiosamente gli accadimenti al solo fine di sottrarsi all’obbligo scolastico.

Secondo la difesa invece ciò che si era omesso di valutare è se il minore F.M. , certamente capace ai sensi dell’art. 196 c.p.p., comma 1 a rendere testimonianza, non avesse volutamente, scientemente, con estrema lucidità architettato un piano al fine di trarre beneficio da quanto denunciato a danno di M.C. . In particolare secondo la difesa nella fattispecie che ci occupa la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente valutato il contesto all’interno del quale sono maturate le dichiarazioni del minore e, in particolare, non avrebbe valutato il contenuto della sua testimonianza tenendo presente le circostanze che potrebbero averlo indotto a fare determinate affermazioni piuttosto che altre. La difesa a questo proposito riportava nel ricorso molteplici passi delle dichiarazioni di numerosi testimoni escussi da cui risultava che F.M. era stato inserito in comunità l’estate prima che succedessero i fatti oggetto del processo per diverbi familiari e per inosservanza degli obblighi scolastici, dal momento che egli, prima di essere ospite della comunità, non frequentava assiduamente la scuola. Egli quindi avrebbe avuto più di un motivo, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, per ricercare una giustificazione per abbandonare in maniera definitiva la frequenza scolastica. Avrebbe quindi elaborato il piano di accusare di abusi sessuali in suo danno M.C. , un soggetto giudicato per una sua ipotizzata omosessualità, per un pregresso rapporto con la tossicodipendenza, che, a causa di tali sospetti, nello svolgimento della sua attività lavorativa, veniva relegato ai margini della scuola, a svolgere le mansioni di giardiniere con divieto assoluto di rapporti con gli studenti all’interno dell’istituto.

Secondo la difesa anche la descrizione del luogo in cui sarebbero avvenuti gli abusi rafforzerebbe l’ipotesi della fantasiosità della ricostruzione dei fatti da parte del minore M..F. .

Non si trattava infatti di un vero e proprio sgabuzzino, come narrato in denuncia, riparato e in grado di occultare ciò che in esso poteva avvenire, bensì di uno spazio a cielo aperto, privo di infissi, semplicemente perimetrato da muri, facilmente accessibile da parte di chiunque e in qualunque momento, conosciuto benissimo dagli studenti che spesso lo utilizzavano per fumare. Secondo la difesa sarebbe stato poi impossibile che si fosse verificato il secondo episodio di cui parla il F. , che sarebbe avvenuto in un giorno di sabato, al termine dell’ora di educazione fisica e presso i bagni della palestra, in quanto, come risultava dalle dichiarazioni dei testimoni, il M. non aveva accesso all’interno dell’istituto e della palestra, essendo adibito solo all’espletamento di lavori di giardinaggio all’esterno del plesso scolastico con esplicita disposizione di non accedervi.

In conclusione, secondo la difesa, sulla base delle emergenze processuali, unico elemento che aveva condotto all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato erano le dichiarazioni rese dal minore F.M. non suffragate da alcun ulteriore elemento esterno e che quindi non potevano da sole essere poste a fondamento di una sentenza di condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

La Corte territoriale infatti ha motivato puntualmente e in maniera logica su tutti i punti oggetto di rinvio della Corte di Cassazione. Si osserva infatti a tal proposito (cfr. Cass., Sez. 4, Sent. n.4842 del 2.12.2003, Rv. 229369) che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne’ deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.

Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte nei limiti sopra indicati. I giudici della Corte di appello di Lecce hanno infatti chiaramente evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto che il minore F.M. era credibile e che quindi le sue dichiarazioni accusatorie nei confronti dell’imputato M.C. erano assolutamente attendibili. In primo luogo hanno evidenziato che il ragazzo in sede di incidente probatorio aveva rievocato i fatti commessi dal M. , collocandoli non solo nel loro corretto ambito spaziale e territoriale, ma anche in quello temporale circoscritto tra il mese di febbraio e quello di marzo 2009.

In particolare hanno evidenziato la estrema precisione della descrizione fornita dal minore della condotta dell’imputato in ciascuno degli episodi in contestazione, che aveva ricordato altresì particolari altamente sintomatici di una reale percezione, quali le particolari frase dialettali pronunciate dall’imputato in quelle circostanze. Il minore aveva sempre ribadito le sue dichiarazioni, con coerenza e sempre in termini tali da non prestarsi a censure di inverosimiglianza o contraddittorietà non solo in sede di incidente probatorio, ma altresì allorquando si era confidato con altri soggetti che poi sono stati ascoltati in qualità di testimoni nel giudizio di primo grado.

I giudici della Corte territoriale poi hanno ricercato ulteriori conferme oggettive a conforto delle accuse, idonee a suffragare la credibilità del minore. In particolare hanno evidenziato la descrizione particolarmente dettagliata fornita dal ragazzo dei luoghi e, in particolare, del vano posto al di fuori del plesso scolastico in cui era avvenuto uno degli episodi oggetto di contestazione. Sul punto il minore ha precisato che in quel vano vi era un “buco sul muro” e che l’imputato gli aveva chiesto di “guardare in quel buco” con la chiara finalità di monitorare l’area circostante al fine di controllare che non sopraggiungessero altre persone. I giudici del rinvio evidenziavano ancora sul punto che non vi era nessuna prova che il F. potesse avere già frequentato quel luogo e quindi aver notato quel buco in altre occasioni, né che, come sostenuto dalla difesa vi fossero genitori o altre persone all’esterno di quel sito esterno alla scuola e che quindi era inverosimile che fosse dagli stessi frequentato.

Con riferimento poi al rilievo della difesa secondo cui sarebbe stato impossibile che alcuni episodi fossero accaduti all’interno della palestra, come riferito dal ragazzo, atteso che al M. era interdetto l’accesso all’interno del plesso scolastico, i giudici della Corte territoriale hanno rilevato, sulle base delle dichiarazioni rese dai testimoni, in particolare dal maresciallo C. , che il divieto di cui sopra non era tale da impedire al M. di perpetrare gli abusi all’interno della palestra, atteso che la persona offesa aveva dichiarato che gli stessi erano stati perpetrati di sabato, alla fine delle lezioni, allorquando la palestra era aperta per il normale espletamento della lezione di educazione fisica. Anzi i giudici di appello rilevavano come le circostanze descritte dal F. a tal proposito costituissero una obiettiva conferma alle sue dichiarazioni, non essendo state sconfessate da nessun elemento di opposto tenore.

I giudici della Corte territoriale hanno poi indicato con chiarezza gli elementi sulla cui base avevano escluso quanto sostenuto dalla difesa, che cioè il F. avesse mosso false accuse nei confronti dell’imputato, soggetto ritenuto un omosessuale, relegato ai margini della scuola, a cui nessuno avrebbe mai dato credito, al fine di sottrarsi al vincolo scolastico.

Sul punto la sentenza impugnata ha rilevato che il minore non era assolutamente a conoscenza di tali presunte tendenze sessuali dell’imputato, avendo appreso tali fatti solo successivamente, mentre invece, all’inizio, aveva un rapporto confidenziale con il M. , verso il quale nutriva simpatia e fiducia. Inoltre rilevava la sentenza l’inverosimiglianza e la sperequatezza rispetto alla finalità di sottrarsi alla frequenza scolastica della prospettazione di episodi di così elevata gravità, specialmente se si considerava la circostanza che il F. dopo la denuncia, sporta il 21.03.2009, aveva continuato a frequentare le lezioni per più di un altro mese, fino alla fine di aprile 2009, mostrando anzi di avere acquisito maggiore serenità.

Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2013