Corte di cassazione, terza sezione penale, sentenza n. 16465 dell’11 aprile 2013

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo – Presidente –

Dott. FRANCO Amedeo – Consigliere –

Dott. MULLIRI Guicla – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.G. , nato a (omesso) ;

imputato art. 609 bis c.p.;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Torino del 6.3.12;

Sentita, in pubblica udienza, la relazione del Cons. Dr. Guida Mulliri;

Sentito il P.M., nella persona del P.G. Dr. Lettieri Nicola, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Sentito il difensore di P.C., avv. Pipicelli Gabriele, che ha insistito per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso. Sentito il difensore dell’imputato avv. Rossi Monica Alessandra, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello, riconosciute le attenuanti generiche, ha rideterminato in anni 3 e mesi 6 di reclusione la pena inflitta in primo grado all’imputato accusato di avere abusato sessualmente di una persona di sesso maschile (penetrazione anale) approfittando del fatto che questa era affetta da vizio parziale di mente.

2. Motivi dei ricorso – Avverso tale decisione, il condannato ha proposto ricorso, tramite difensore, deducendo:

1) travisamento dei fatti e delle prove non sussistendo, cioè, la prova di ciò che è stato contestato all’imputato. S. , infatti, è stato condannato sulla base delle sole parole della vittima e di quelle dell’assistente sociale G. che ne ha raccolto la confidenza e che ha confermato. Nessun accertamento medico e nessun riscontro obiettivo al racconto della vittima se non il riferimento ad una modesta somma di denaro – Euro 20 (secondo G. ) e 10 Euro (secondo la p.o.) – che non troverebbe altra spiegazione se non nell’asserita ricompensa percepita dalla vittima.

Tale ultimo argomento è, però, a detta del ricorrente, molto flebile visto che la disponibilità della somma di denaro può essere giustificata in molti modi. Infine, non è esatto nemmeno che la vittima non avesse motivo di calunniare l’imputato visto che, al contrario, è stato spiegato che egli avrebbe avuto ragione di attribuire ad altri la responsabilità per un rapporto d lui stesso voluto per giustificare il senso di colpa agli occhi della G. che gli ripeteva sempre che i rapporti tra uomini non erano una cosa bella;

2) errata applicazione della legge penale. Ricorda il ricorrente che la normativa in tema di abuso sessuale su persone inferme di mente è cambiata e prevede la possibilità che anche la persona minorata fisicamente o psichicamente si determini sessualmente. L’unico limite rappresentato dal fatto di chi abusi della condizione della p.o. carpendole un consenso viziato. Tale, però, non può essere il caso in esame dal momento che la p.o. è talmente autonoma da poter vivere da sola, ha un lavoro stabile e risulta avere avuto già una compagnia maschile;

3) violazione di legge (art. 606 c.p.p., lett. b) dal momento che la querela sporta personalmente dalla vittima non è mai stata ratificata dal curatore;

4) mancata motivazione e contraddittorietà della stessa (art. 606 c.p.p., lett. e) nella parte in cui, per un verso, esclude che la vittima abbia scelto liberamente il rapporto sessuale con l’imputato e, dall’altro, sostiene che la querela da lui sporta è valida. Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Motivi della decisione – il ricorso è infondato e deve essere respinto.

3.1. La delicatezza dell’apprezzamento di situazioni del genere non ha impedito ai giudici di merito di pervenire ad una convincente e corretta conferma della responsabilità dell’imputato sulla base di un ragionamento lineare nel quale l’unico elemento “incerto” è rappresentato dalla diversità dell’importo (10 Euro o 20 Euro) che sarebbe stato corrisposto dall’imputato alla p.o. in cambio della prestazione sessuale. Tale dettaglio, però, non mette in discussione la obiettività della rivelazione fatta dalla p.o. all’assistente sociale quando erano passate alcune settimane dal fatto ma, ciò nonostante, era rimasta, nella vittima, una sensazione così forte da indurla, non solo, a confidarsi con la G. ma anche a rappresentare la cosa, ancora con “forte turbamento emotivo”.

Per di più, quando, altri 15 giorni dopo la rivelazione, la G. rinvenne la somma di 20 Euro nella “cassa” ove la donna lasciava alla p.o. (che ella seguiva da 30 anni) somme per le necessità quotidiane, la risposta che le diede la p.o. circa le ragioni di quella disponibilità (non giustificabile in quei momento) fu molto chiara visto che l’uomo le disse che la somma l’aveva ricevuta dal vicino “per pagare il suo corpo”.

Il caso in esame è emblematico del fatto che, talora, per reati del genere, è necessario fondare il convincimento di responsabilità quasi solo parole della vittima che è anche l’unica testimone oculare (da ult. sez. 3, 3.12.10, L.C., rv. 249136).

Di qui, la indubbia necessità, sottolineata più volte da questa S.C. (ex multis, sez. 4, 21.6.05, Poggi, Rv. 232018) di vagliare con peculiare attenzione le dichiarazioni della p.o..

È stato, peraltro, anche sottolineato, però, che il giudizio di attendibilità della teste, “essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria” (sez. 3, 5.10.06, Agnelli, rv. 235578). Orbene, la infondatezza della presente doglianza si annida proprio nella concorrenza di tali fattori: da un lato, la esistenza di una valida motivazione e, dall’altro, l’erroneo sforzo del ricorrente di indurre questa S.C. ad una rivalutazione dei fatti per trarne conseguenze diverse che, anche se astrattamente possibili, non possono rappresentare il risultato di un giudizio come quello qui invocato che è mirato esclusivamente a soppesare la esistenza di una motivazione congrua, rispettosa di tutte le emergenze processuali e dibattimentali ed articolata in modo non manifestamente illogico ne’ contraddittorio.

Come dicevasi, infatti, i giudici di merito hanno preso le mosse dalla deposizione della vittima che, in sede dibattimentale, ha “fornito una concisa ma precisa e circostanziata narrazione dei fatti, riferendo particolari che, per la loro peculiarità e singolarità, non possono essere frutto di invenzione mitomaniacale”. A tali emergenze, è stata aggiunta la deposizione dell’assistente sociale “corroborata” dal successivo rinvenimento della somma di denaro prima commentata.

Nel fare ciò, i giudici si sono fatti carico di considerare le minorate facoltà psichiche della vittima (affetta da insufficienza mentale di grado medio, condizione patologica abituale ed irreversibile a proposito della quale il c.t. ha detto che produce la personalità di un bambino di 8 anni) ed hanno incisivamente osservato che, se un bambino di 8 anni è in grado di dire una menzogna, molto difficilmente egli è capace di mantenere la posizione e “perseverare nella stessa, mantenendola ferma per anni” come nel caso in esame.

Deve, poi, rammentarsi anche che, a proposito dei criteri seguiti nel valutare le dichiarazioni testimoniali acquisite, è stato espresso ripetutamente da questa S.C. (da ultima, sez. 4, 10.10.06, Montefusco, rv. 234830) il concetto secondo cui, il giudice, “pur essendo indubbiamente tenuto a valutare criticamente, verificandone l’attendibilità, il contenuto della testimonianza, non è però certamente tenuto ad assumere come base del proprio convincimento l’ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso, salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere. In assenza, quindi, di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza”.

Anche esaminata in quest’ottica, la deposizione della vittima, nella fattispecie che occupa, regge al vaglio di credibilità come affermato dai giudici di merito, a nulla rilevando, perciò, eventuali spiegazioni alternative del tipo di quelle prospettate dalla difesa dell’imputato.

3.2. La reiezione del primo motivo comporta, implicitamente, anche quella del secondo motivo che, in qualche modo, ripropone la vicenda sotto un’altra prospettiva, peraltro, in via meramente ipotetica. Anche ammesso, infatti, che la vittima odierna abbia avuto esperienze sessuali omosessuali precedenti cui, eventualmente, si sia indirizzata in modo autonomo e volontario (cosa, astrattamente possibile e legittima) la cosa non avrebbe nessuna rilevanza nella specie ove, all’evidenza, il consenso è stato carpito dall’agente in modo abusivo come testimonia il fatto stesso che, a distanza di alcune settimane, l’uomo avesse deciso di confidare il fatto all’assistente sociale nei termini già prima commentati. Lo stesso racconto fatto dalla vittima, descrive, infatti, l’azione subdolamente abusiva dell’imputato il quale si era presentato a casa della vittima mentre quest’ultima si stava lavando i piedi per andare a letto ed, inizialmente, si era messo a fumare vicino alla finestra proponendo il rapporto sessuale. Al rifiuto della vittima che aveva sostenuto che “non stava bene avere rapporti sessuale con un uomo” quest’ultimo aveva insistito mettendo la p.o. in qualche modo di fronte al fatto compiuto, denudando, cioè le proprie parti intime e mettendo in atto il proprio gesto, salvo, alla fine, lasciare il citato “compenso” (di incerta quantificazione).

È, quindi, del tutto scolastico, da parte del ricorrente, rammentare che la normativa attuale prevede la libertà di autodeterminazione sessuale anche di una persona affetta da deficit fisico o mentale perché, di certo, non è questo il caso che occupa.

3.3. Devono essere respinti, come bene ha deciso la Corte d’appello anche il terzo ed il quarto motivo.

Per quel che attiene alla questione di procedibilità è pacifico che non occorre alcuna ratifica della querela sporta dalla vittima in un caso come quello in esame visto che l’art. 120 c.p., comma 3, non lo prevede ed essendo stata già asserita la validità della querela presentata in proprio dall’infermo di mente, in quanto la nomina di un curatore speciale, su istanza del P.M., è necessaria solo nel caso in cui la persona offesa non sia in grado di proporre querela a causa della propria infermità (sez. 3, 4.11.10, z., rv. 248758). Nè vale, da ultimo, sostenere una sorta di contraddittorietà nel fatto che la sentenza, da un lato, escluda che la vittima possa aver scelto il rapporto liberamente e, dall’altro, ne affermi la capacità di sporgere querela. Si tratta, all’evidenza di due apprezzamenti diversi visto che, se è vero che anche il seminfermo di mente può fare querela e determinarsi sessualmente il punto è sempre costituito dalla verifica circa la libertà di scelta del rapporto sessuale.

Come ampiamente detto in precedenza, nella specie, la p.o. è stata chiara nel rappresentare che l’atto sessuale non era stato da lui voluto, bensì, subito.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che si liquidano in Euro 3000 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Visti l’art. 615 c.p.p. e ss..

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in Euro 3000 oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2013