Corte d’Appello di Roma, prima sezione civile, sentenza del 2 dicembre 2010 – 20 dicembre 2010

Riunita in Camera di Consiglio e composto da:

Dott. Evangelista Popolizio – Presidente –

Dott. Lucio Bochicchio – Giudice –

Dott.ssa Gianna Maria Zannella – Giudice rel. –

ha emesso la seguente

SENTENZA

Nella causa civile di secondo grado, iscritta al numero di ruolo generale 4218 dell’anno 2007, riservata in decisione all’udienza collegiale del 6 luglio 2010 con termini per depositare comparse conclusionali e repliche sino al 9.11.2010 e vertente tra:

Bo. On. Um. nato a Cassano Magnago il (…) e residente in Torino elett.te dom.to in Roma, presso lo studio dell’Avvocato Lu.Ia. che lo rappresenta e difende per procura in calce alla citazione in appello, unitamente agli Avvocati Al.Cu. e Ma.Br., quest’ultimo in virtù di procura generale alle liti autenticata il 28.1.1998 dal Notaio Ch. di Milano

Appellante

E

Gr.Ed. S.p.A. con sede in Roma in persona del suo legale rappresentante dott. Ma.Be., Pa.Gi., An.Gi. elett.te dom.ti in Roma presso lo studio dell’Avvocato Vi.Ri. che lì rappresenta e difende per procura a margine della comparsa di costituzione e risposta in appello unitamente all’Avvocato Vi.Ri.

Appellati

OGGETTO: Appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 16902 depositata il 31.7.2006 in tema di pretesa diffamazione tramite stampa.

Svolgimento del processo

L’On. Um.Bo. ha convenuto in giudizio dinanzi a questa Corte la società “Gr.Es. s.p.a.” in persona del suo legale rappresentante, nella qualità di editrice e proprietaria della testata “Es.”, nonché il Direttore di quest’ultima, Dott. Gi.An., nonché il Dott. Gi.Pa., autore dell’articolo di seguito indicato, con la citazione notificata a tutti il 12.7.2007.

Ha chiesto che fosse riformata la sentenza del Tribunale di Roma n. 16902 del 31.7.2006, resa tra le parti, con la quale la domanda proposta dall’On. Bo. in primo grado era stata respinta e che gli appellati in solido fossero condannati al risarcimento del danno in proprio favore, quantificato in Euro 51.844,44.

Ha chiesto inoltre che fosse disposta la pubblicazione della sentenza d’appello sui giornali Il.Co., La.Re. e la Pa., a spese degli appellati; che fosse ordinata la restituzione di quanto già versato dall’On. Bo. in esecuzione della sentenza appellata; che il solo Pa. fosse condannato al pagamento della ulteriore somma ritenuta dalla Corte, ai sensi dell’art. 12 legge stampa; con vittoria delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

Ha esposto l’appellante di aver convenuto in giudizio gli odierni appellati dinanzi al Tribunale di Roma al fine di ottenere il risarcimento del danno patito in seguito alla pubblicazione, sul periodico “Es.”, dell’articolo, a firma del Pa., del 15.2.2001 dal titolo “Um., il Legaskin”, del seguente tenore: “Um. il legaskin. Oggi la musica suonata dall’orchestra leghista è un rock demenziale, roba durissima, da metallari xenofobi, capaci di suonare soltanto furenti boiate razziste… Bo. è passato a un lavoro oscuro e rischioso: pescare nel fondo torbido che sta dentro a ciascuno di noi e cavarne le tante paure di quest’epoca… per sfruttare ed incarognire le angosce dei semplici. E indirizzare verso bersagli che lui disegna giorno dopo giorno con insistenza maniacale: gli extracomunitari e non solo quelli clandestini… le unioni di fatto, persino chi adotta un figlio. Non siamo di fronte agli incubi di un matto solitario. E’ la visione avvelenata di un politico… L’ombra di Um. il legaskin ci fa sentire il gelo di quest’annata che si annuncia maledetta”.

A sostegno dell’appello l’On. Bo. ha posto i seguenti motivi (quali enucleati dalla citazione, in cui essi non sono tenuti distinti):

l’articolo conteneva affermazioni non vere ed oggettivamente infamanti, mentre la sentenza appellata aveva ritenuto che la diffamazione era giustificata perché l’On. Bo. avrebbe una personalità in sintonia con quella descritta dal giornalista e perché l’articolo era espressione di critica politica; inoltre, aveva ritenuto veritiere alcune circostanze che invece non lo erano;

nell’articolo l’appellante era descritto quale persona contraria alle unioni di fatto, mentre egli era unicamente contrario alla possibilità che gli omosessuali potessero adottare bambini, del resto in sintonia con l’opinione della “Chiesa” al riguardo; in tal modo l’articolo, oltre che diffamatorio, aveva provocato un danno all’identità personale dell’appellante, poiché gli erano state attribuite opinioni del tutto estranee alla sua personalità, quale manifestata nell’attività politica svolta, dipingendolo quale persona xenofoba, razzista ed intollerante;

la sentenza si era erroneamente basata sul contenuto del “Libro bianco, dossier a cura dell’arcigay” e su estratti di articoli “scaricati dai siti internet degli appellati”, del tutto privi di valore probatorio;

nell’articolo l’appellante era definito “legaskin”, termine offensivo ed adoperato in un contesto che ricordava “un assalto all’interno di un autogrill di alcuni naziskin nei confronti di un extracomunitario”; inoltre, con un termine analogamente offensivo, era definito “matto”;

in sentenza era contenuta l’espressione: “è nota la posizione antimeridionale della Lega”, argomento che non era contenuto neppure nelle difese dei convenuti;

i limiti entro i quali poteva esercitarsi il diritto di critica – verità dei fatti, continenza – erano stati quindi superati, quindi, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, l’articolo non poteva ritenersi espressione del diritto di critica.

Tutti gli appellati si sono costituiti ed hanno chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata.

Quest’ultima aveva correttamente ritenuto l’articolo una manifestazione di critica politica, nella quale i fatti narrati non devono essere veri dal punto di vista cronachistico, ma devono corrispondere ad un giudizio soggettivo di veridicità, purché esso non stravolga completamente il contesto della vicenda esposta.

Analogamente, hanno proseguito gli appellati, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza, nell’esercitare il diritto di critica la continenza deve ritenersi osservata non quando è utilizzato un linguaggio compito ed urbano, poiché sono ammessi anche toni aspri; ma quando non sono usati epiteti gratuitamente offensivi, nonché personali ed indirizzati alla sfera privata del soggetto che lamenta la diffamazione, scollegati cioè dall’immagine pubblica dello stesso.

La sentenza impugnata, pertanto, correttamente aveva ritenuto che l’articolo esponesse la verità soggettiva del giornalista.

Inoltre, aveva dato conto di precisi episodi in cui l’On. Bo. aveva espresso le opinioni che il giornalista aveva riassunto, traendoli dai documenti prodotti dagli appellati.

Questi documenti, mai contestati nel corso del giudizio di primo grado, contenevano anche estratti di articoli di testate giornalistiche “vicine all’appellante”; inoltre, i contenuti delle dichiarazioni dell’On. Bo. erano “di universale notorietà”.

Gli appellati hanno inoltre negato che nell’articolo fosse stata lesa l’identità personale dell’appellante, sostenendo che i lettori del periodico “Es.” non erano a digiuno delle vicende della cronaca e della politica, tanto da farsi suggestionare dalla lettura dell’articolo e da acquisire un’opinione distorta dell’On. Bo..

Questi era noto per usare toni veementi circa lo scontro tra Nord e Sud; circa le proposte di legge per abolire l’immigrazione; circa le espressioni su “Roma ladrona”, cosicché il Pa. “non è stato certo il primo – né il solo – a ravvisare motivi xenofobi e razzisti nelle dichiarazioni rese dall’odierno attore”: in tali motivi anzi, secondo gli appellanti, si riconoscevano gli elettori della Lega, partito di cui l’On. Bo. era esponente di rilievo.

La sentenza aveva pertanto correttamente escluso che l’articolo fosse stato veicolo per travisare il pensiero dell’attore, poiché l’identità personale non si identifica con la corrispondenza tra quanto narrato e l’opinione che il preteso danneggiato ha di se stesso; bensì deve ricostruirsi oggettivamente, in base a quanto la persona compie in azioni e condotta di vita.

L’articolo rispettava inoltre il requisito della continenza che, nell’esercizio del diritto di critica, non esclude l’uso di toni coloriti e polemici, oltremodo spiegabili nel caso di specie, poiché l’articolo era stato scritto nel periodo preelettorale, connotato da aspri scontri tra schieramenti politici ed aveva tratto spunto dalle numerose esternazioni della propria opinione da parte dell’On. Bo., contrario agli extracomunitari; ai clandestini, alle coppie di fatto omosessuali, “addirittura contro Pa. candidato premier Ru., accusato dall’on. Bo. di non essere adatto a governare perché non aveva una famiglia certa con figli certi (Fr.Ru. è padre adottivo di un bimbo ecuadoriano)”.

In seguito, precisate le conclusioni, la causa è stata riservata in decisione all’udienza collegiale del 6.7.2010, con termini per depositare comparse conclusionali e repliche sino al 9.11.2010.

Motivi della decisione

1. Ad avviso della Corte, l’appello è infondato e deve essere respinto, mentre la sentenza impugnata deve essere confermata.

I motivi di appello si esaminano tutti congiuntamente, essendo tra loro strettamente connessi.

L’articolo, come ha correttamente ritenuto la sentenza impugnata, si è tradotto nel legittimo esercizio del diritto di critica.

Quest’ultimo, affinché possa legittimamente esercitarsi, deve rispettare tre connotati fondamentali:

la verità dei fatti esposti, la continenza, l’interesse pubblico.

1.1. Il primo dei requisiti deve essere correttamente inteso.

Nell’esercizio del diritto di critica il requisito della verità è rispettato non già quando si riportano singoli episodi, che devono essere veri: nella critica, a differenza della cronaca, non si riportano i fatti rilevanti, ma li si commenta, positivamente o negativamente, con taglio differente rispetto al loro protagonista, presupponendone la notorietà.

Pertanto, la verità deve essere intesa in senso soggettivo, quale corrispondenza del fatto a verità poiché così ritenuto dall’autore, secondo un giudizio di verosimiglianza e di verificabilità, tale da evitare che la critica si appunti su fatti del tutto diversi dal reale, perché stravolti o riportati in modo del tutto difforme rispetto al vero.

La giurisprudenza di legittimità, nel caso di contemporaneo esercizio del diritto di cronaca e di critica, non ha mancato di osservare che in tal caso occorre far riferimento alla “interpretazione soggettiva dei fatti esposti. Infatti la critica mira non già ad informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali e, se è vero che, come ogni diritto, anche quello in questione non può essere esercitato se non entro limiti aggettivi fissati dalla logica concettuale e dall’ordinamento positivo, da ciò non può inferirsi che la critica sia sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, richiedendosi invece un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita.

Siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioè nell’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto della stessa e, quindi, fuori di essa, ma di quella interpretazione del fatto, interesse che costituisce – assieme alla correttezza formale (continenza), requisito per la invocabilità per la esimente dell’esercizio del diritto di critica”: Cass. 25.7.2000 n. 9746.

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha, del tutto correttamente, osservato che le notazioni critiche contenute nell’articolo, all’indirizzo dell’On. Bo., descritto quale personaggio politico che amplificava paure ed intolleranze nei confronti di “…extracomunitari e non solo quelli clandestini… le unioni di fatto, per sino chi adotta un figlio…” poggiavano la loro consistenza su dichiarazioni reali rese dall’odierno appellante.

A tal fine, in sentenza sono stati richiamati, tra i documenti prodotti dai convenuti:

l’articolo edito sulla “Pa.” del 29 – 30 settembre 2002, nel quale l’On. Bo. ha riferito, tra l’altro: “l’immigrazione si deve fermare… e bisogna che nascano figli da noi in Europa e venga alzato con determinazione lo scudo contro l’aggressione dell’immigrazione” (doc. 1 );

l’articolo edito sul Gazzettino, in cui l’On. Bo. ha definito i profughi kosovari “straccioni e scalzacani” (doc. 2 ), aggiungendo che i profughi devono essere respinti;

le opinioni espresse dall’On. Bo. contro gli omosessuali, desunte non dal Libro bianco dell’arcigay, inteso quale insieme unilaterale di osservazioni degli autori di quest’ultimo, bensì da singole circostanze di fatto elencate in detto Libro bianco: basta richiamare (pag. 12 sgg.) i numerosi articoli ivi raccolti, connotati dalla medesima espressione di contrasto per le coppie omosessuali ed anche per le coppie di fatto;

le dichiarazioni rese dall’On. Bo. nei confronti dell’On. Ru., richiamate in narrativa (doc. 7 e sgg.), dalle quali si trae la sostanziale, forte disapprovazione per chi adotta un bambino, perché non da vita ad una famiglia “certa”, sminuendo contemporaneamente la persona adottata che, sol perché tale, non sarebbe “certo”.

La verità, intesa come su visto, dei fatti posti alla base della critica contenuta nell’articolo del Pa., non può quindi porsi in dubbio.

1.2. La critica contenuta nell’articolo era, inoltre, finalizzata all’interesse pubblico alla conoscenza delle opinioni espresse dall’On. Bo., esponente di rilievo del partito della Lega Nord, come egli stesso ha sottolineato nelle sue difese e come peraltro è notorio.

Invero, il giornalista ha ritenuto di descrivere, con tono polemico, le precise opinioni politiche dell’odierno appellante su temi di natura squisitamente politica, come le unioni di fatto e l’immigrazione.

Orbene, nei bilanciamento tra il diritto di critica, costituzionalmente garantito dall’art. 21 Cost., con i diritti personalissimi all’onore ed alla reputazione, deve darsi prevalenza al primo, quando esso non si traduca nella mera contumelia o aggressione verbale nei confronti del personaggio pubblico e non lo colpisca nella propria sfera privata, del tutto scollegata cioè dall’immagine e della condotte pubbliche della persona stessa.

La giurisprudenza di legittimità ha anche di recente chiarito che “in tema di diffamazione a mezzo stampa, non è giuridicamente né logicamente corretto sostenere il prevalere del diritto all’onore ed alla reputazione sul diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero pure in chiave critica anche in presenza di capacità lesive estremamente ridotte, tali quindi da non giustificare in nessun caso detta prevalenza. Ed invero qualunque critica che concerna persone è idonea a incidere in qualche modo in senso negativo sulla reputazione di qualcuno e, tuttavia, escludere il diritto di critica ogni qualvolta leda, seppure in modo minimo, la reputazione di taluno, significherebbe negare il diritto di manifestare il proprio pensiero.

Pertanto il diritto di critica può essere esercitato utilizzando espressioni di qualsiasi tipo anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita distruttiva dell’onore o della reputazione del soggetto interessato”: Cass. 16.5.2008 n. 12420.

1.3. Infine, è rispettato il requisito della continenza verbale.

Quest’ultima, nella manifestazione del diritto di critica, non si risolve necessariamente nell’uso di toni pacati e di vocaboli compiti.

Non deve essere cioè valutata secondo criteri solo formali (Cass. 7.1.2009 n. 25). La critica, per sua natura, si accompagna invero ad un fervore polemico, poiché i fatti vengono osservati da un’angolazione diversa rispetto a quella propria del loro autore e vengono sottoposti a revisione, secondo canoni differenti rispetto a chi ha agito, con la conseguenza che non può essere obiettiva.

E’ quindi affermazione pacifica in giurisprudenza quella per cui la critica può dispiegarsi anche attraverso un linguaggio “colorito e pungente” (Cass. 6.8.2007 n. 17172), con espressioni forti, che, nell’ambito degli spazi utili per la manifestazione del proprio pensiero, accompagnino adeguatamente il dissenso o l’opinione ragionata contrastante con quella del personaggio pubblico oggetto dell’articolo, senza trasmodare nella pura contumelia, né risolversi in un attacco ingiustificato alla persona della quale si tratta.

Anche di recente (Cass. 23.2.2010 n. 4325), la S.C. ha ribadito che l’esimente del diritto di critica è ravvisabile tutte le volte che, pur usandosi un linguaggio pungente o toni particolarmente aspri, rispetto a quelli che connotano usualmente i rapporti interpersonali, si svolgono commenti nei quali può evidenziarsi l’interesse pubblico alla loro conoscenza e debba escludersi il mero attacco personale, al fine di sottolineare l’indegnità della persona.

Nel caso di specie, certamente il giornalista ha utilizzato un linguaggio colorito e pungente, tuttavia i concetti in tal modo espressi sono occorsi unicamente per descrivere in chiave critica le opinioni politiche manifestate dall’On. Bo., il tema dell’articolo non si è allontanato da questo contesto, non ha mai cioè utilizzato appellativi o epiteti volti sic et simpliciter a denigrare la persona dell’appellante, a prescindere dalla sua figura pubblica.

In tal senso sono evidenti sia le espressioni adoperate a proposito dell'”orchestra leghista”, sia il “lavoro” definito “oscuro” dell’On. Bo., sia il commento alle sue opinioni politiche, laddove il giornalista sottolinea il modo esplicito e la chiarezza di vedute con cui l’odierno appellante le manifesta, negando appunto che sia “un matto solitario: l’autore dell’articolo ha inteso criticare il contenuto delle opinioni dell’uomo politico ed anche i toni veementi ed “urlati” dei quali a suo avviso l’On. Bo. si serviva.

Occorre quindi eseguire il bilanciamento tra l’interesse personale al diritto all’onore ed alla reputazione con la tutela del diritto di manifestazione del pensiero attraverso la critica, il quale, a giudizio della Corte, deve concludersi con la prevalenza del secondo, poiché la critica è stata pertinente all’interesse pubblico, inteso quale “interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto della critica, che è il presupposto della stessa, e, quindi, fuori di essa, ma dell’interpretazione di quel fatto, interesse che costituisce, assieme alla correttezza formale (continenza), requisito per l’invocabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica”: Cass. 6.8.2007 n. 17171 (orientamento ribadito da Cass. 2009 n. 25 già richiamata).

Ed invero, oltre a quanto già osservato, non può tacersi che l’articolo risale ad un periodo preelettorale – circostanza quest’ultima incontestata – in cui, se da un lato le espressioni degli esponenti si possono rendere più impetuose e violente, è altrettanto vero che i commenti delle varie opinioni politiche possono essere corrosivi, proprio perché destinati a formare criticamente il pubblico nell’occasione squisitamente politica della competizione elettorale.

Infine, come ha correttamente osservato la sentenza di primo grado, l’articolo non è lesivo dell’identità personale dell’On. Bo..

L’articolo ha descritto in chiave critica alcuni dei connotati cui si è ispirato il leader del partito della Lega Nord nella sua attività politica, la contrarietà agli immigrati, alle unioni tra coppie omosessuali, alle coppie di fatto ed anche alle adozioni (contraria cioè ad unioni differenti dalla famiglia basata sul matrimonio e nella quale nascano figli dai coniugi).

La descrizione – sebbene con i toni del dissenso – coincide con quanto esternato dall’On. Bo. nelle pubblicazioni e negli interventi pubblici su riassunti.

Essa è avvenuta pertanto in sintonia con la sua identità personale, diritto con il quale si identifica il patrimonio di convinzioni, atteggiamenti, condotte di vita sociale di un soggetto, al quale egli ha diritto, poiché in tal modo vuole farsi riconoscere nella collettività in cui vive ed opera, non volendo, contemporaneamente, che esse siano travisate, misconosciute o disprezzate, in guisa tale da negare la sostanza di persona pensante e la natura delle proprie convinzioni (sul contenuto del diritto all’identità personale: Cass. 1996 n. 978).

2. Al rigetto dell’appello segue la condanna dell’appellante al pagamento delle spese processuali in favore solidale degli appellati.

Esse si liquidano come in dispositivo, d’ufficio in mancanza di nota.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Roma, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 11059 del 15.5.2006, proposto dall’On. Um.Bo. nei confronti del “Gr.Es. s.p.a.” in persona del suo legale rappresentante, nonché di Gi.Pa. e di Gi.An.:

respinge l’appello;

conferma la sentenza appellata;

condanna l’appellante al pagamento in favore solidale degli appellati delle spese del giudizio

d’appello, liquidate in Euro 50 per spese vive, Euro 1.600 per diritti ed Euro 7.500 per onorari, oltre ad Euro 1.012,50 per rimborso spese generali.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.

Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2010.