Corte d’Appello di Trento, ordinanza del 29 luglio 2009

Ordinanza

La Corte d’Appello, letto reclamo proposto, ai sensi dell’articolo 789 c.p.c. da XXX avverso il decreto n. 727/08 dd. 24 barretta 02/09 del tribunale di Trento, i procuratori dei ricorrenti ed il procuratore generale all’udienza davanti al collegio, celebrata in camera di consiglio in data 09/07/2000 e nove;

Osserva

I ricorrenti hanno proposto ricorso avanti al Tribunale di Trento avverso il provvedimento con cui l’ufficiale dello stato civile del Comune di Trento aveva rifiutato di procedere alla pubblicazione di matrimonio dagli stessi richiesta, non ritenendo ammissibile nel nostro ordinamento giuridico il matrimonio tra persone del medesimo

sesso.

Il Tribunale di Trento con decreto n. 727/08 del 24 febbraio 2009 ha respinto il ricorso, ritenendo legittimo il rifiuto opposto dall’Ufficiale dello Stato civile, osservando in sintesi che la disciplina del matrimonio prevista dalla vigente normativa non consente di configurare il matrimonio come un istituto giuridico accessibile a persone del medesimo sesso, consistendo invece nella regolamentazione, sotto molteplici profili, dell’unione tra un uomo ed una donna. Con ricorso depositato in data 16/03/ 2009 XXX e YYYY hanno impugnato il suddetto decreto, ritenendolo infondato ed erroneo e proponendo in via subordinata questione di legittimità costituzionale delle norme di cui agli artt. 107,108,143,143 bis, 156 bis c.c., art 64 lett.e) d.P.R. n. 396/2000, qualora ritenute affermative del principio di diritto secondo cui il matrimonio sarebbe istituto riservato a persone di sesso diverso.

Non ha resistito a detto gravame il Sindaco di Trento, mentre il Procuratore Generale ha dato parere contrario al suo accoglimento, sotto ogni profilo.

La domanda principale è, ad avviso di questa Corte, infondata.

Come recentemente ricordato dalla circolare Ministeriale n. 55/2007, di cui l’Ufficiale di Stato civile di Trento ha

fatto corretta applicazione, in mancanza di modifiche legislative in materia, il nostro attuale ordinamento non ammette il matrimonio tra omosessuali. Il Tribunale di Trento ha recepito detto orientamento e dato ampio resoconto delle ragioni per cui la normativa vigente non consente raccoglimento della tesi proposta dai ricorrenti; con argomentazione logica e precisa, che questa Corte non può che condividere, il primo giudice ha spiegato che sebbene non esista una norma che vieti espressamente il matrimonio tra omosessuali, tuttavia dall’esame della disciplina complessiva dell’istituto matrimoniale è chiaramente ricavabile un principio fondamentale da cui si evince che il matrimonio è stato concepito e configurato al fine di regolamentare l’unione tra individui di sesso diverso nonché i rapporti giuridici ad essa inerenti e da essa nascenti. Col gravame il difensore dei ricorrenti si è affannato al fine di proporre un’interpretazione diversa delle norme ricordate dal Tribunale, cadendo peraltro in una grave contraddizione logica nel momento in cui ha da un lato ritenuto ammissibile alla luce di esse il matrimonio omosessuale e, dall’altro, ha cercato di sminuire la portata delle norme ricordate dal primo giudice in quanto scritte in un’epoca in cui l’idea di un matrimonio tra persone del medesimo sesso neppure era concepibile. Con tale ultima pretesa, insomma, gli appellanti hanno in sostanza ammesso che la ratio legis ricavabile dalla vigente normativa in materia è inequivocabilmente contraria all’interpretazione da essi proposta, proprio in quanto è solo in tempi assai recenti che si è arrivati a concepire (e in diversi paesi, anche europei, ad ottenere) la possibilità da parte degli omosessuali di poter vantare il diritto a contrarre matrimonio tra persone dei medesimo sesso. Non può dunque l’interprete far dire alla norma ciò che era ad essa del tutto estraneo. Nella consapevolezza

di tale oggettiva difficoltà interpretativa gli appellanti hanno subordinatamente proposto questione di legittimità costituzione delle norme che, disciplinando il matrimonio, fanno intendere che esso sia istituto riservato a persone di sesso diverso. La questione è stata di recente portata dal Tribunale di Venezia (v. ordinanza del. 3 aprile 2009) all’attenzione della Corte costituzionale la quale dovrà, quindi, pronunziarsi in tempi presumibilmente brevi. Ritiene anche questa Corte di dover trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, trattandosi di questione rilevante e non manifestamente infondata. Non vi è dubbio, infatti, che rispetto all’epoca in cui sono state incardinate le norme disciplinanti il matrimonio si è verificata un’inarrestabile trasformazione della società e dei costumi che ha portato al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia tradizionale ed al contestuale spontaneo sorgere di forme diverse di convivenza che chiedono (talora a gran voce) di essere tutelate e disciplinate. In particolare, per quanto riguarda le unioni tra omosessuali, si è opportunamente sottolineato da parte dì molte pronunzie del giudici europei, ed anche dalla Corte costituzionale, che l’orientamento del transessuale costituisce un sia pur minoritario “naturale modo di essere” e che la normativa di un civile ordinamento deve essere volta a consentire l’affermazione anche della personalità di individui nati con siffatte diverse caratteristiche sessuali, non essendo concepibile il persistere di comportamenti tesi alla volontà d’isolamento, all’ostilità ed all’umiliazione degli omosessuali (come troppo spesso è avvenuto in passato). Nell’ambito di tale inarrestabile mutamento della società, dunque, occorre chiedersi se l’istituto del matrimonio, così come emerge dalla legislazione italiana, sia o meno in contrasto con i principi costituzionali. L’interrogativo si pone con particolare rilevanza rispetto al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, norma che da un lato vieta ogni discriminazione irragionevole, conferendo a tutti i cittadini «…pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»; e, dall’altro Iato, impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. In sostanza, dato che il diritto di contrarre matrimonio costituisce oggettivamente un momento essenziale di espressione della dignità umana (garantito costituzionalmente dall’art. 2 Cost. e, a livello sovranazionale, dagli artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, dagli artt 8 e 12 CEDU e dagli artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000), vi è da chiedersi se sia legittimo impedire quello tra omosessuali ovvero se, invece, esso debba essere garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali (quali l’orientamento sessuale), con conseguente obbligo dello Stato d’intervenire in caso di impedimenti all’esercizio di esso. Non può negarsi che la questione sia rilevante ai fini della decisione, giacché la dichiarazione di incostituzionalità delle norme disciplinanti il matrimonio nella parte in cui non consentono il matrimonio tra omosessuali influirebbe in maniera determinante sull’esito del presente giudizio. Né può sostenersi

che la questione sia manifestamente infondata giacché quanto sopra osservato non può essere superato da un’interpretazione secondo cui il matrimonio deve e può essere consentito solo a coppie eterosessuali a ragione della sua funzione sociale, principio secondo taluni ricavabile dall’art. 29 Cost. (norma che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio). Detto principio, infatti, si limita a riconoscere alla famiglia un suo ruolo naturale, nel senso che da un lato lo Stato non può prescindere da tale realtà sociale a cui tende per natura la stragrande maggioranza degli individui e, dall’altro, afferma che famiglia è fondata sul matrimonio; ma certo esso non giunge ad escludere la tutela della famiglia di fatto (che prescinde dal matrimonio) o ad affermare la funzione della famiglia come granaio dello Stato. L’evoluzione legislativa e giurisprudenziale, molto ben ricordata dal Tribunale di Venezia nell’ordinanza sopra citata, restituisce oggi un concetto di famiglia che porta ad escludere che in forza dell’art. 29 Cost. possa darsi rilevanza solo alla famiglia legittima funzionalmente finalizzata alla capacità procreativa dei coniugi sicché, semmai, è anche in relazione a tale norma di rango costituzionale che la questione sollevata deve essere giudicata meritevole di attenzione da parte del Giudice delle leggi.

P.Q.M.

La Corte, visti gli artt. 134 Cost., 1 legge n. 1/1948, 23 legge  n. 87/1953, ritenuto la rilevanza la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 93,96, 98,100 7,108, 143,143 bis, 156 bis c.c. in rapporto agli artt. 2, 3 e 29 Cost., Nella parte in cui, complessivamente valutati, non consentono agli individui di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso, sospende il presente giudizio, disponendo l’immediata trasmissione degli atti alla corte costituzionale.

Ordina che la presente ordinanza cementificata cura della cancelleria le parti, procuratore generale e dal presidente del Consiglio dei Ministri e comunicate presidenti delle due camere del Parlamento.

Trento, 9 luglio 2009.

                                                               Il presidente

                                                           (dott. Guglielmo Avolio)