Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza n. 30369 del 2012

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMO Maurizio – Presidente –

Dott. DE BERARDINIS Silva – rel. Consigliere –

Dott. BRUNO Paolo A. – Consigliere –

Dott. LAPALORCIA Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) P.P. N. IL (OMISSIS);

2) T.P. N. IL (OMISSIS) C/;

avverso la sentenza n. 1921/2011 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di ANCONA, del 02/05/2011;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVANA DE BERARDINIS;

sentite le conclusioni del PG Dott.ssa Cesqui Elisabetta che ha chiesto l’annullamento con rinvio;

Udito il difensore Avv. Renzi che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

 Svolgimento del processo

Con sentenza in data 2-5-2011 il GUP. presso il Tribunale di Ancona dichiarava non doversi procedere, perchè il fatto non sussiste, nei confronti di T.P. imputato ai sensi dell’art. 57 c.p., in relazione all’art. 595 c.p., e L. n. 47 del 1948, artt.13e21: – per avere omesso nella qualità di direttore responsabile del periodico – “(OMISSIS)” – di esercitare il controllo necessario sull’articolo, pubblicato il (OMISSIS), dal titolo “(OMISSIS)”, del cui contenuto si era considerato persona offesa P.P., al quale era stato attribuito il fatto – vero – dell’addebito in sede di separazione giudiziale, a causa di una relazione con un lavoratore dipendente.

Nella specie il querelante si doleva della pubblicazione di tale articolo – nel quale si faceva riferimento alla giurisprudenza che riteneva la relazione omosessuale tale da integrare una forma di tradimento assimilabile a quello realizzato in danno del coniuge – avendo egli subito la conseguenza di rimanere esposto al pubblico ludibrio, con lesione del diritto alla riservatezza per quanto attiene alla sfera dei rapporti personali.

Il GUP aveva escluso l’ipotesi delittuosa, evidenziando che, nel testo dell’articolo, non era ravvisabile l’indicazione del cognome del querelante, essendone state indicate solo le iniziali, ed il nome per esteso, oltre l’attività lavorativa, senza specificare il luogo in cui le persona interessate abitavano (facendo generico riferimento ad “un marito marchigiano che aveva tradito la moglie con un commesso del suo negozio di restauratore”).

Peraltro il GUP aveva rilevato che il contenuto dell’articolo era privo di carattere offensivo e denigratorio e non avrebbe potuto ledere la reputazione del querelante.

D’altra parte rilevava che sarebbe stata ipotizzabile al più una lesione del diritto alla riservatezza inerente alla sfera sessuale, che tuttavia non poteva ritenersi configurabile nel caso di specie, secondo la richiesta di archiviazione formulata dal PM in data 13.11.09, in riferimento al D.Lgs. n. 196 del 1903, art. 167.

Infine rilevava la mancanza dell’elemento psicologico del reato di diffamazione, oltre la sussistenza dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione ai sensi degli artt. 428 e 606 c.p.p., la costituita Parte civile, P. P., a mezzo del procuratore speciale, deducendo:

1 – la violazione ed erronea interpretazione della legge penale in riferimento alla individuabilità della persona offesa; inoltre rilevava la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e).

In particolare, rilevava la violazione della legge penale, in quanto il giudice, nel ricostruire la vicenda, aveva escluso la sussistenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, atteso che, secondo il suo assunto, solo le persone indicate in querela erano state in grado di identificare nel P. la persona offesa.

Trattavasi di soggetti che già avevano un pregresso rapporto di conoscenza con il predetto; conseguentemente, il giudicante aveva(erroneamente) escluso la possibilità – in astratto e in generale – che terze persone potessero identificare il P. – Diversamente il ricorrente rilevava che era stata correttamente formulata l’imputazione e richiamava, a sostegno del gravame, giurisprudenza di legittimità, circa la configurabilità del reato nei casi in cui non sia stato esplicitamente precisato il nominativo del soggetto destinatario delle offese.

– 2 – Erronea interpretazione dell’art. 595 c.p., non avendo il GUP ravvisato, nell’articolo giornalistico in questione, la lesione della reputazione del P.. Invero (e oltretutto) risultava, ad evidenza, violato il diritto alla riservatezza attinente alla sfera sessuale del querelante. Per altro, la motivazione sulla valutazione del complessivo contesto dell’articolo era insufficiente, mentre certo era il dolo del reato presupposto, rispetto al reato (colposo) ascritto al direttore del giornale.

Il fatto che l’omosessualità – si osserva nel ricorso – sia, per taluni, condizione da non negare e da non nascondere non giustificava il giornalista, nè lo autorizzava ad attribuire e diffondere notizie come quelle pubblicate sul Corriere adriatico, ben potendo, in ambienti “meno aperti”, un legame erotico con persona dello stesso sesso portare disdoro alla persona cui è addebitato.

Evidenziava altresì, in riferimento all’elemento psicologico del reato, che esso risultava configurabile nella specie, anche come dolo eventuale, essendosi in presenza di una notizia ricevuta dall’ANSA, per la quale non era stato effettuato alcun riscontro dall’autore dell’articolo, che aveva omesso ogni cautela nella pubblicazione, senza escludere i riferimenti ai nomi dei soggetti interessati.

Quanto alla posizione dell’imputato, direttore del periodico, rilevava la natura colposa della responsabilità penale, citando giurisprudenza di legittimità (Sez. 5^ 2-12-2004, n. 46786-Graldi).

– 3 – la illogicità della motivazione, e il fatto che il querelante era stato accusato di tradimento (pur avendo epoca risalente nel tempo la condotta ascrittagliene risultava fonte di addebito nella separazione dal coniuge).

Diversamente la parte evidenziava che la relazione non rispondeva alla realtà e che, da tempo, il commesso del negozio aveva assunto la qualifica di socio della ditta.

In conclusione evidenziava la natura offensiva e denigratoria dell’articolo, rilevando che il giudice aveva omesso di valutarne la lesività emergente dal complesso del suo contenuto.

4 – riteneva sussistente la violazione dell’art. 51 c.p., negando che, nella specie, l’articolo potesse costituire espressione del diritto di cronaca, per mancanza dei requisiti di “pertinenza e verità”.

Sul punto censurava la sentenza impugnata anche per insufficienza della motivazione.

Peraltro rilevava che il giudice aveva omesso di considerare che la valutazione di pertinenza della pubblicazione doveva essere posta in relazione alla normativa di cui all’art. 6 del Codice deontologico dei giornalisti in ordine al trattamento dei dati personali.

Menzionava – a fl. 12 del ricorso – a riguardo un provvedimento del Garante della privacy (del 3-8-1999) – ritenendo che nella specie fosse stato violato il limite della “essenzialità” del contenuto dell’articolo.

Per tali motivi concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

 Motivi della decisione

Il ricorso risulta dotato di fondamento.

Devono, in particolare considerarsi dotate di fondamento le censure articolate nel primo motivo di ricorso, attinente alla erronea applicazione dell’art. 595 c.p..

Nella decisione impugnata, il Giudice ha erroneamente escluso la configurabilità del reato, rilevando la pretesa mancanza di presupposti per l’identificazione della persona offesa, querelante.

Tale valutazione dei presupposti che integrano la fattispecie contestata si rivela in contrasto con i canoni giurisprudenziali di questa Corte, che con sentenza n. 06507 del 17.1.1978, aveva stabilito che “ai fini dell’individuabilità dell’offeso non occorre che l’offensore ne indichi espressamente il nome, ma è sufficiente che l’offeso possa venire individuato per esclusione in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto l’offeso venga individuato da un ristretto gruppo di persone”.

Tale principio evidenzia che, nel presente procedimento, il GUP. ha erroneamente interpretato la disposizione dell’art. 595 c.p., oggetto di contestazione.

In riferimento alle ulteriori deduzioni del ricorrente, vale osservare che il contenuto dell’articolo, riferendo una situazione di fatto riconducibile alle scelte di vita privata del soggetto querelante, non ha alcun rilievo sociale (almeno nella attribuzione del fatto a una persona ben individuata o facilmente individuabile), con la conseguenza che l’articolo in questione potrebbe aver violato, ad un tempo, la privacy della persona offesa e – attraverso tale violazione – la reputazione della stessa.

Al riguardo la motivazione del provvedimento impugnato si rivela incoerente sia con la disposizione normativa prevista dall’art. 595 c.p., che in relazione alla esclusione dei presupposti della lesione del menzionato diritto, tutelato dal nostro ordinamento.

In tal senso devono dunque essere recepiti i rilievi del ricorrente, atteso che la sentenza pronunziata ai sensi dell’art. 425 c.p.p., risulta emessa erroneamente, escludendo l’esistenza di elementi suscettibili di verifica dibattimentale, in ordine alle ipotesi di reato ascritte sia all’autore dell’articolo di stampa, che al direttore responsabile, nelle rispettive qualità, dovendosi altresì rilevare illogicità e incongruenze del percorso seguito dal GUP nella decisione, ove ritiene applicabile, in assenza di specifici elementi, l’esimente del diritto di cronaca, la cui configurabilità presuppone l’esistenza dell’interesse pubblico – (Sez.5^ 12.1.1982, n. 4492).

In conclusione, la Corte deve pertanto pronunziare, in accoglimento del proposto gravame, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ancona.

Va disposto l’oscuramento dei dati, in quanto previsto dalla legge.

 P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ancona.

Dispone l’oscuramento dei dati.