Tribunale di Grosseto del 3 ottobre 2019, n. 740

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE DI GROSSETO SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

dr.ssa Claudia Frosini

dr.ssa Adriana Forastiere

dr. Valerio Bello

ha pronunciato la seguente

sentenza

A., con il patrocinio dell’avv., parte elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore giusta delega in atti;

PARTE ATTRICE

e

C, con il patrocinio dell’Avv., parte elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore giusta delega in atti

PARTE CONVENUTA

nonché Pubblico Ministero presso il Tribunale

Oggetto: autorizzazione al trattamento medico-chirurgico per adeguamento di sesso e rettifica dei dati anagrafici

 

Ragioni di fatto e diritto della decisione

Con atto di citazione ex legge 164/82, ritualmente notificato alla coniuge e al Pubblico Ministero, A. (identificata nel prosieguo della presente sentenza con genere femminile) premesso: di avere fin dall’infanzia manifestato una sua natura psicologica e comportamentale tipicamente femminile pur essendo un individuo di sesso biologico maschile; di sentire soggettivamente propria l’identità sessuale femminile, vivendo con sofferenza la propria condizione con notevoli problemi nell’integrazione sociale; di avere interesse ad essere autorizzata ad un trattamento chirurgico al fine di adeguare i propri caratteri sessuali a quelli femminili; di aver iniziato nel 2015 un percorso presso il …, essendosi sottoposta a visite psicologiche e psichiatriche; di essere coniugata con C, che a sua volta da sempre ha manifestato una identità di genere maschile, pur essendo un individuo di sesso femminile e che, infatti, ha instaurato dinanzi all’intestato Tribunale un analogo procedimento di autorizzazione agli interventi chirurgici e rettifica dei dati anagrafici; ha chiesto di essere autorizzata a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei suoi caratteri sessuali maschili a quelli femminili, con ordine all’Ufficiale di Stato Civile competente di effettuare la rettificazione nel relativo registro mediante l’indicazione del nuovo sesso e del nuovo nome, sostituendo il prenome da “**” a “**”.

Si è costituita C, dichiarando di non opporsi alla predetta domanda.

Considerata la documentazione prodotta, sentite le parti, preso atto dell’intervento spiegato dal P.M., la domanda deve essere accolta.

L’attrice, ha chiesto nel 2015, l’assistenza del SAIFIP (Servizio per l’Adeguamento tra Identità Fisica e Identità Psichica) presso il Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica dell’Azienda Ospedaliera *, svolgendovi il colloquio di accoglienza in data 11.2.2015 (dr. ).

A marzo 2015 ha intrapreso e portato a termine, presso il SAIFIP, il percorso psicodiagnostico, attraverso colloqui clinici e la somministrazione della batteria di test secondo il protocollo adottato dal Servizio (dott. *, dott.ssa *).

L’indagine psichiatrica effettuata il 20.4.2015, presso l’Azienda USL, ha certificato che “Non emergono al momento disturbi della forma e del contenuto del pensiero, non alterazioni delle senso-percezioni. L’umore, apparente e riferito è in asse e non si ravvisano oscillazioni patologiche dei livelli d’ansia. In definitiva al momento, basandosi sull’osservazione clinica e

sui dati riferiti dal sig. A si può escludere la presenza di disturbi psichici” (vd. relazione Azienda ospedaliera dell’8.7.2015).

Dai colloqui e dai test è emersa una corrispondenza tra la sua condizione ed i criteri diagnostici con il quali il DSM-5 descrive la “Disforia di Genere”.

“La persona, infatti, presenta un’evidente identificazione con il sesso femminile, tale identificazione non appare legata a qualche presunto vantaggio culturale derivante dall’eventuale riattribuzione di sesso. La persona, inoltre, presenta un disagio significativo sul piano clinico, sociale e relazionale; non si riscontrano, infine, concomitanti condizioni di intersessualità né disturbi psichiatrici che potrebbero inficiare la diagnosi di DG. (…) La condizione esistenziale della persona e i bisogni da lei espressi richiedono la rettificazione chirurgica ed anagrafica ritenuta attualmente, nella letteratura e nella pratica clinica internazionale, un percorso adeguato per un soddisfacente riequilibrio psicofisico nelle perone con Disforia di Genere. La persona, dunque, appare in grado di affrontare gli interventi chirurgici che si effettuano per la riattribuzione di sesso, interventi che non presentano di per sé particolari livelli di pericolosità per la vita e la salute delle persone che le richiedono” (vd. relazione citata).

Il permanere della diagnosi di Disforia di Genere, poi, è stato certificato dal SAIFIP in data 7.3.2019. (cfr. relazione sull’Iter effettuato da **/** in relazione al percorso di adeguamento tra identità fisica e identità psichica del 7.3. 2019 a firma del Dr. *).

Va osservato, inoltre, che a giugno 2015 l’attrice ha iniziato un trattamento ormonale che ha prodotto un risultato di evidente femminilizzazione della stessa, rilevato anche dal GI in udienza e, allo stato, la presenza degli originari caratteri sessuali maschili, determina un disagio significativo sul piano clinico, sociale e relazionale, rappresentando un ostacolo al diritto del soggetto di assumere l’identità sessuale di cui lo stesso si sente portatore. Il trattamento chirurgico appare pertanto necessario per consentire al soggetto una identificazione accettabile della propria personalità. Peraltro, il convincimento del soggetto appare stabilmente orientato all’assunzione totale e definitiva del sesso maschile, come accertato dalla documentazione in atti, e non si rilevano sintomatologie apparenti né nuclei profondi di patologia psichiatrica, tali da costituire controindicazioni alla esecuzione di interventi di chirurgia plastica adattativa, come certificato dalla documentazione in atti.

Ne consegue l’accoglimento della domanda di autorizzazione a sottoporsi all’adeguamento dei propri caratteri sessuali.

Parimenti deve essere accolta la domanda di rettifica dell’atto di nascita. Dalla certificazione medica prodotta si evince che la presenza nei documenti di identità di dati anagrafici maschili a fronte di un aspetto femminile, già assunto a seguito di terapia ormonale femminilizzante, fa emergere profonde difficoltà nella vita di relazione dell’attrice. Nella relazione del SAIFIP sul punto si legge: ”considerate … le lunghe liste d’attesa (circa 3 anni) per poter effettuare gli interventi di riattribuzione di sesso in Italia, si ritiene necessario e urgente che A possa ottenere contemporaneamente sia il cambio anagrafico sia l’autorizzazione a potersi sottoporre agli interventi chirurgici. Possedere documenti al femminile, in attesa della riassegnazione chirurgica di sesso, potrà permettere ad A di vivere e sperimentarsi pienamente secondo il genere percepito, contribuendo in maniera sostanziale al suo benessere e contenendo il rischio di sviluppare psicopatologie associate”.

Al riguardo, va osservato che La Corte Costituzionale nella sentenza n.221/2015 ha ritenuto non fondata, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 14 aprile 1982, n. 164, nella parte in cui stabilisce che la rettificazione dell’attribuzione anagrafica di sesso sia realizzata in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita, a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali, in quanto un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, alla luce del rispetto dei diritti fondamentali della persona, non imporrebbe il trattamento chirurgico, per effettuare l’adeguamento dei caratteri sessuali. “Tale esclusione appare, peraltro, il corollario di un’impostazione che, in coerenza con i supremi valori costituzionali, rimette al singolo la scelta delle modalità attraverso le quali realizzare, con l’assistenza del medico e di altri specialisti, il proprio percorso di transizione, che deve comunque riguardare gli aspetti psicologici, comportamentali e fisici che concorrono a comporre l’identità di genere. Rimane così ineludibile un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. Rispetto ad esso il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale, di ausilio al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere psichico e fisico della persona. Il ricorso alla modificazione chirurgica risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in quei particolari casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. In tal senso, quindi, il trattamento chirurgico non si configura come prerequisito necessario per accedere al procedimento di rettificazione, bensì come un possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico.”

Ebbene, nel caso in esame, parte attrice ha manifestato la ferma volontà di sottoporsi al trattamento chirurgico e peraltro risulta già evidente, come anticipato, anche a prescindere dal trattamento stesso, la stabilità del conseguimento dell’identità femminile da parte della stessa, frutto di una decisione irreversibile, comprovata dalla documentazione presente in atti e dalla terapia ormonale cui la stessa si è sottoposta, che le ha già conferito un aspetto prettamente femminile.

Ne consegue la necessità, anche alla luce dei contenuti della relazione medica sopra richiamata, di autorizzare contestualmente la rettificazione dei dati anagrafici al fine di assicurare la piena tutela della salute psico-fisica dell’attrice nelle more dell’intervento.

Deve osservarsi, infine, come anticipato, che anche la coniuge C, oltre ad aderire alla presente domanda, ha proposto autonomo procedimento per la rettificazione di attribuzione di sesso dinanzi all’Intestato Tribunale.

Come emerge dagli atti, i coniugi hanno contratto matrimonio in data 06.02.2016, costituendo un’unione affettiva stabile e duratura e mantenendo intatta l’affectio coniugalis anche durante il percorso di transizione.

Le parti, infatti, hanno manifestato personalmente in udienza la volontà di restare unite nel matrimonio, sul quale la loro famiglia è fondata.

Al riguardo, deve rilevarsi che, nonostante il disposto dell’art. 4 della L. 164/1982 (secondo cui la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso), nulla osta al mantenimento del vincolo coniugale nel caso in cui entrambi i coniugi ottengano la rettificazione.

In altri termini, il diritto delle parti di conservare l’unità familiare potrebbe essere sacrificato solo alla luce di un interesse prevalente dell’ordinamento giuridico, che nella fattispecie manca.

Ed invero, la conservazione del vincolo coniugale, nella vicenda in esame, consente di salvaguardare sia l’interesse dello Stato a non vedere alterato il modello eterosessuale del matrimonio sia il diritto della coppia, costituzionalmente garantito (art. 29 co. 2 Cost.), all’unità familiare.

In particolare, riguardo al rapporto tra rettifica di sesso e precedente matrimonio, va rilevato che gli artt. 4 della L 164/1982 e 31 co. 6 d.lgs 150/2011 prevedono come conseguenza della rettifica di sesso lo scioglimento del matrimonio sul presupposto che, con il mutamento di sesso di uno dei coniugi, viene meno la diversità di sesso, requisito essenziale per l’ordinamento italiano affinché la vita di coppia si collochi all’interno del modello matrimoniale.

Non vi è alcuna disciplina espressa, invece, in merito alle conseguenze sul rapporto matrimoniale del cambiamento di sesso da parte di entrambi i coniugi.

Peraltro, tale (apparente) vuoto normativo può essere colmato attraverso una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della disciplina vigente.

La norma sopra richiamata, che prevede lo scioglimento automatico del matrimonio, come è noto, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta, comunque, ove entrambi i coniugi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore (Corte Cost. n.170/2014).

Successivamente alla sentenza, il valore attribuito dall’ordinamento alla conservazione dell’unità familiare, a prescindere dal sesso, ha trovato conferma in talune pronunce della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 8097/2015, secondo cui la declaratoria di incostituzionalità ex art. 2 cost. contenuta nella sentenza C. cost. n. 170/2014 della Corte costituzionale – sentenza additiva di principio, autoapplicativa e non meramente dichiarativa – con riferimento agli art. 2 e 4 l. n. 164 del 1982, nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso, consenta, comunque, ove entrambi i coniugi ne facciano richiesta, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, non può che comportare la rimozione degli effetti della caducazione automatica del vincolo matrimoniale, con conseguente necessario riconoscimento temporaneo, in capo alla coppia, dei diritti e doveri di cui al vincolo legittimamente contratto, fino a quando il legislatore non intervenga) e di merito, che, nel caso di mutamento di sesso di uno dei coniugi e manifestazione congiunta della volontà di mantenimento del vincolo coniugale, nel disporre la rettifica di attribuzione anagrafica di sesso di uno dei due coniugi hanno ordinato all’ufficiale dello stato civile di non procedere all’annotazione dello scioglimento del matrimonio, fino a che il legislatore non fosse intervenuto a disciplinare le unioni tra persone dello stesso sesso (cfr. Tribunale Roma sez. I, sentenza del 03/05/2016).

Il vuoto di tutela ai danni di persone coniugate delle quali l’una abbia modificato il proprio sesso, quindi, è stato temporaneamente colmato paralizzando l’effetto dello scioglimento automatico del matrimonio normativamente previsto.

Oggi, come noto, l’ordinamento non lascia sfornite di tutela tali situazioni prevedendo che alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (vd. artt. 1 co. 27, L. n. 76/2016 e art. 31 co. 4-bis D.lgs 150/2011).

Dal canto proprio, poi, l’unione civile presuppone l’identità di sesso tra le parti, tanto che l’art. 1 co. 26, L. n. 76/2016 prevede che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Ne consegue che, nel caso di rettifica di attribuzione di sesso di entrambi i coniugi, l’unico modo per tutelare il diritto all’unità familiare delle parti e dare rilievo alla volontà di non vedere annullato il pregresso vissuto della coppia è la conservazione del matrimonio, posto a base della loro famiglia, la cui tutela è interesse primariamente perseguito dall’ordinamento, che di certo esprime un favor per la conservazione del matrimonio.

Nel caso in esame, non solo permane la validità del matrimonio come atto, ma restano anche salvi i caratteri del matrimonio come rapporto, permanendo la diversità di sesso tra i coniugi.

Ad opinare diversamente, poi, si realizzerebbe una disparità di trattamento tra il caso in cui uno solo dei coniugi cambi sesso e il caso in cui entrambi ottengano la rettifica dell’attribuzione anagrafica di sesso. Invero, nel primo caso le parti potrebbero conservare una unione giuridicamente rilevante, nel secondo le parti passerebbero, contro la loro volontà, da una situazione di tutela massima (quale quella del matrimonio) ad una di assenza di tutela (non potendo il matrimonio convertirsi in unione civile).

A conferma dell’assenza di ostacoli giuridici alla permanenza del vincolo coniugale, basti considerare che le parti, una volta ottenuta la rettifica di attribuzione di sesso e determinatosi eventualmente l’effetto automatico di cessazione del vincolo matrimoniale, potrebbero sicuramente contrarre nuovo matrimonio. Peraltro, ove il dato normativo si ritenesse di stretta interpretazione e non si accedesse alla interpretazione costituzionalmente orientata che questo Collegio adotta, la soluzione di continuità tra il primo e il secondo matrimonio potrebbe produrre effetti sfavorevoli per le parti (ad esempio in materia di diritti successori) nel periodo di tempo intercorrente tra lo scioglimento del primo matrimonio e la celebrazione del secondo matrimonio.

Inoltre, subordinare la rettificazione di sesso, che contribuisce in modo significativo al benessere psico-fisico della persona trans, ad un divorzio non voluto – in mancanza dell’ostacolo giuridico rappresentato dalla sopravvenuta identità di sesso – significherebbe limitare la tutela garantita dall’art. 32 Cost e il diritto di autodeterminazione del soggetto.

In definitiva, alla luce di tutte le considerazioni svolte, deve affermarsi che la riattribuzione del genere anagrafico, nel caso in cui riguardi entrambi i coniugi, non incide sulla sostanza del rapporto matrimoniale, e, quindi, non può ripercuotersi in modo tombale sulle sorti dell’unione matrimoniale, in presenza di una precisa volontà manifestata dai coniugi di conservazione del matrimonio, sul quale la loro famiglia è fondata e che è interesse dell’ordinamento salvaguardare.

Essendo necessario attendere il passaggio in giudicato della presente sentenza e della sentenza di rettifica di attribuzione di sesso emessa nello speculare procedimento azionato dalla coniuge C. dinanzi all’Intestato Tribunale al fine di dare attuazione alla richiesta di rettifica dell’atto di matrimonio, rimettere la causa in istruttoria come da separata ordinanza.

P.Q.M.

il Tribunale di Grosseto, non definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da A, con l’intervento del P.M., così provvede:

  1. autorizza A, nato a * il *, a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali da maschili a femminili;
  2. ordina con riguardo a A, nato a * il * la rettifica degli atti di stato civile in riferimento al sesso (da maschile a femminile) e al nome (da “**” a “**”), con tutti gli adempimenti susseguenti ai sensi della legge 164 del 1982;
  3. rimette la causa in istruttoria come da separata ordinanza; spese al definitivo.

Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Grosseto, in data 18.9.2019.

IL GIUDICE ESTENSORE dr.ssa Adriana Forastiere

IL PRESIDENTE dr.ssa Claudia Frosini

Nota

La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata alla eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

 

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI GROSSETO

composto dai magistrati: dr.ssa Claudia Frosini dr.ssa Adriana Forastiere dr. Valerio Bello

Sezione civile

Presidente Giudice rel. Giudice

riunito in camera di consiglio, ha emesso la seguente

ORDINANZA

nel procedimento iscritto al n. R.G. */2018;

OSSERVA
il Tribunale, con sentenza emessa in data odierna, ha pronunciato

autorizzazione al trattamento medico-chirurgico per adeguamento di sesso e rettifica dei dati anagrafici.

Essendo necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza di rettifica di attribuzione di sesso emessa nel presente procedimento e di quella emessa nel procedimento n. */2018 (azionato dalla coniuge C) al fine di dare attuazione alla richiesta di rettifica dell’atto di matrimonio;

P.Q.M.

Rimette la causa sul ruolo ai fini dell’acquisizione della prova del passaggio in giudicato delle suddette sentenze;

fissa udienza in data *, disponendo che le parti provvedano a depositare copia autentica della sentenza di rettifica di sesso emessa nel presente procedimento e della sentenza di rettifica di sesso emessa nel procedimento n. * con attestazione del passaggio in giudicato, almeno tre giorni prima dell’udienza;

ordina all’Ufficiale dello stato civile del Comune competente di non procedere ad alcuna annotazione in merito al matrimonio fino alla definizione del presente procedimento.

Si comunichi alle parti e all’Ufficiale dello stato civile.

Grosseto, 19.9.2019

Il Presidente dr.ssa Claudia Frosini