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Il Tribunale Costituzionale portoghese si pronuncia sulla gestazione per altri

Il 24 aprile 2018, il Tribunale costituzionale del Portogallo ha depositato l’attesa decisione sulla recente legge di riforma della disciplina della procreazione medicalmente assistita che ha introdotto, tra l’altro, la gestazione per altri nell’ordinamento portoghese. La decisione, peraltro, si occupa anche di altri aspetti importanti, su tutti l’anonimato dei donatori, nella loro relazione con il diritto del nato all’identità personale e alla conoscenza delle proprie origini.
Si tratta della prima decisione di una Corte costituzionale europea che affronta direttamente la legittimità costituzionale della gestazione per altri, che viene inquadrata – assai significativamente – nella cornice del principio del rispetto della dignità umana, declinata nella sua dimensione di libertà di autodeterminarsi.
Una vera e propria sentenza-trattato (corredata da numerose opinioni concorrenti e dissenzienti, che arricchiscono ulteriormente la decisione), che fa ampio ricorso all’argomento comparativo (confrontandosi con le esperienze di altri ordinamenti) e a contenuti normativi di fonte internazionale e sopranazionale, mantenendo tuttavia la Costituzione portoghese – e la centralità del principio dignità da essa riconosciuto in più luoghi (ed anche come limite interno della disciplina della p.m.a., all’art. 67, comma 2) – come centro pulsante di un parametro di giudizio pure assai aperto agli apporti “esterni”.
Proprio l’autodeterminazione della donna – nel suo legame irrinunciabile con la dignità – è il perno attorno a cui ruota tutta la decisione.
In particolare, è proprio grazie al nesso dignità-autodeterminazione che la GPA – in sé considerata – è ritenuta non contrastante con la Costituzione portoghese: la scelta di portare a termine una gravidanza per altri – segno di solidarietà attiva nell’altrui progetto procreativo, come sottolinea il Tribunale – rientra infatti nella capacità della donna di autodeterminarsi, dando libero svolgimento alla propria personalità. Affinché tale autodeterminazione sia effettiva è tuttavia necessario, ritiene il Tribunale, che il diritto intervenga a disciplinare con attenzione le relazioni implicate dal fenomeno.
Per questo, dalla concezione esigente dell’autodeterminazione della donna (e delle altre parti coinvolte) discendono alcune importanti dichiarazioni di incostituzionalità, relative in particolare:
a) all’assenza del diritto al ripensamento, nel suo intreccio anche con il diritto ad interrompere la gravidanza;
b) conseguentemente, all’automatica previsione dell’attribuzione al nato dello status di figlio dei genitori intenzionali (è censurato l’automatismo, proprio perché non contempla l’eventualità del ripensamento della donna);
c) sempre conseguentemente, di una serie di previsioni che – a detta della Corte – non disciplinano con sufficiente dettaglio (e soprattutto, rinviando alla fonte regolamentare e non a quella legislativa) i contenuti dell’accordo tra la gestante e i genitori intenzionali.
(Angelo Schillaci)