Corte di Cassazione, Ufficio del massimario e del ruolo, Relazione tematica n. 78 del 22 settembre 2011

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO Relazione tematica n. 78/2011 Famiglia – matrimonio – contratto all’estero – in genere – Matrimonio contratto in Olanda tra cittadini italiani dello stesso sesso – Trascrizione in Italia – Rifiuto da parte dell’ufficiale di stato civile Impugnazione (autore CIRILLO), 2011.

 

1. Premessa.
Due cittadini italiani, entrambi di sesso maschile, hanno contratto matrimonio in Olanda, Paese la cui legislazione consente il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Successivamente, essi hanno proposto domanda al Comune di Latina affinché si procedesse alla trascrizione di tale matrimonio nei registri dello stato civile italiano.
Dopo aver richiesto il parere al Ministero dell’interno, l’Ufficiale di stato civile del predetto Comune si è rifiutato di procedere alla trascrizione, e gli interessati hanno proposto reclamo avverso tale diniego al competente tribunale.
Tanto il Tribunale di Latina quanto la Corte d’appello di Roma hanno respinto il reclamo, confermando l’impossibilità di procedere alla trascrizione di un simile matrimonio.
Avverso il decreto della Corte d’appello gli interessati hanno proposto ricorso per cassazione e il Presidente della Prima Sezione Civile di questa Corte ha chiesto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo di predisporre una relazione che affronti i seguenti aspetti:
1) natura e funzioni della trascrizione e poteri di controllo dell’ufficiale di stato civile; 2) natura ed efficacia nel nostro ordinamento del matrimonio tra omosessuali celebrato all’estero; 3) presupposti e limiti di applicabilità dell’art. 65 della legge 31 maggio 1995, n. 218, con particolare riferimento all’ordine pubblico internazionale; 4) normativa comunitaria e internazionale in materia di matrimoni tra omosessuali; 5) compatibilità con i principi costituzionali dell’interpretazione contraria alla trascrizione. 2. La sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale. Ai fini di un corretto inquadramento della delicata materia, è opportuno prendere le mosse da due fondamentali sentenze – entrambe del 2010, l’una della Corte costituzionale e l’altra della Corte europea dei diritti dell’uomo – le quali si sono occupate del matrimonio tra persone dello stesso sesso.
La Corte costituzionale si è pronunciata in argomento con la sentenza n. 138 del 20101 (All. 5), poi ribadita dall’ordinanza n. 276 del 2010 (All. 6).
In quell’occasione la Corte era stata chiamata a scrutinare, in riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, la legittimità costituzionale di una serie di disposizioni del codice civile (artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis e 156-bis) che, secondo i giudici a quibus, erano di ostacolo alla possibilità di ammettere il matrimonio tra persone dello stesso sesso; nella specie, i giudici rimettenti dovevano decidere altrettanti reclami proposti avverso gli atti con i quali due diversi ufficiali di stato civile si erano rifiutati di dare corso alle pubblicazioni di matrimonio, trattandosi di richiesta proveniente da persone omosessuali. Le due ordinanze di rimessione, sebbene provenienti da giudici diversi, prospettavano censure e svolgevano argomentazioni in gran parte coincidenti. La decisione della Corte si snoda lungo direttrici diverse, pervenendo a diversi esiti in riferimento ai singoli parametri costituzionali invocati. La questione, infatti, viene dichiarata inammissibile in riferimento all’art. 2 Cost.; tuttavia la Corte osserva che per “formazione sociale” ai sensi di tale parametro deve intendersi “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. Pertanto, nell’escludere che l’aspirazione a tale riconoscimento possa essere realizzata solo con l’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio, la Corte conclude lo scrutinio relativo all’art. 2 Cost. con un rinvio al legislatore, al quale spetta, “nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette”.
Diverso esito, invece, si verifica in riferimento agli artt. 3 e 29 Cost., riguardo ai quali la Corte dichiara la questione non fondata, con argomentazioni riassumibili come segue. I concetti di famiglia e
matrimonio non possono ritenersi cristallizzati con riferimento all’epoca di entrata in vigore della Costituzione; tuttavia, l’interpretazione di questa “non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata”. La questione delle unioni omosessuali non fu oggetto di discussione in sede di Assemblea costituente, benché “la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta”, il che porta la Corte a concludere che i Costituenti, nel momento in cui scrissero la Carta fondamentale, avevano presente la nozione di matrimonio definita nel codice civile allora (ed ancora oggi) vigente, il quale stabilisce che il matrimonio può aver luogo solo tra persone di sesso diverso. Le unioni omosessuali, quindi, “non possono essere ritenute omogenee al matrimonio”; incidentalmente, anzi, la Corte rileva che non può pervenirsi a diversa conclusione neppure alla luce delle norme contenute nella legge 14 aprile 1982, n. 164, sulla rettificazione di sesso, perché il transessuale è ammesso al matrimonio dopo l’avvenuto intervento di modificazione del sesso, il che “costituisce semmai un argomento per confermare il carattere eterosessuale del matrimonio”.
Ulteriori e diverse argomentazioni, infine, vengono poste dalla sentenza per dichiarare inammissibile la questione in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione. Tale parametro, come si intuisce, era utilizzato dai giudici remittenti per introdurre un richiamo alla normativa sovranazionale e, specificamente, agli artt. 8, 12 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, ed agli artt. 7, 9 e 21 della Carta di Nizza, nota come Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A questo proposito la Corte – dopo aver ricordato che, secondo l’art. 6, comma 1, del Trattato sull’Unione europea nel testo consolidato a seguito delle modifiche introdotte col Trattato di Lisbona, le norme della Carta di Nizza hanno ormai lo stesso valore giuridico dei trattati – pone a confronto l’art. 12 della CEDU con l’art. 9 della Carta di Nizza. È indubbio che, mentre la prima disposizione riconosce il diritto di contrarre matrimonio agli uomini e alle donne in età maritale, la seconda, più recente, dispone che il diritto di sposarsi e quello di costituire una famiglia sono garantiti dalle leggi nazionali che ne
disciplinano l’esercizio; ne consegue che, pur essendo scomparso il riferimento alla diversità di sesso, è pacifico – secondo la Corte – che la citata normativa “non impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna”, ambito che rimane affidato all’esclusiva discrezionalità dei legislatori nazionali; di qui
l’inammissibilità della questione in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., poiché il citato art. 9 non vieta ne’ impone il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso. 3. La sentenza 24 giugno 2010 della Corte europea dei diritti dell’uomo.
La sentenza costituzionale appena richiamata viene depositata il 15 aprile 2010.
Poco più di due mesi dopo, ossia il 24 giugno 2010, la Corte di Strasburgo deposita una pronuncia2 (All. 8 e 9) che, allo stato, costituisce un punto di riferimento importante come quello della sentenza italiana. Dato il breve intervallo di tempo, è ragionevole supporre che i giudici europei abbiano avuto la possibilità di leggere e di valutare la motivazione della pronuncia della Corte costituzionale italiana, considerazione che trova indiretta conferma nel fatto che la Corte europea in qualche modo riprende e conferma le argomentazioni dell’altra.
Il caso, ovviamente, era diverso. Si trattava, qui, di due cittadini austriaci, entrambi di sesso maschile, che lamentavano dinanzi alla Corte EDU la discriminazione esistente in loro danno a causa dell’impossibilità di contrarre matrimonio o di fare riconoscere dalla legge, in altro modo, la loro unione. Va inoltre rilevato – allo scopo di inquadrare con maggiore esattezza la vicenda nel suo effettivo contesto – che, nelle more tra la proposizione del ricorso e la decisione, era entrata in vigore la legge austriaca che riconosce la possibilità di registrare le unioni civili anche tra persone dello stesso sesso (la Corte definisce questa legge come Austrian Registered Partnership Act, entrato in vigore il 1 gennaio 2010).
La sentenza esordisce rilevando (punti 24-25) che nel testo dell’art. 9 della Carta di Nizza non c’è alcun riferimento espresso all’uomo e alla donna, sicché deve riconoscersi che non vi sono ostacoli ad ammettere il matrimonio tra persone dello stesso sesso;
non vi è tuttavia – essa aggiunge – alcuna esplicita previsione nel senso che le legislazioni nazionali debbano facilitare simili matrimoni. Al momento attuale, anzi, nell’ambito dei quarantasette Stati che hanno aderito alla Convenzione, soltanto sei riconoscono la possibilità di contrarre matrimonio alle persone dello stesso sesso (Belgio, Olanda, Norvegia, Portogallo, Spagna e Svezia), mentre altri tredici Stati, pur non riconoscendo tale possibilità, hanno approvato varie forme di legislazione che consentono alle coppie omosessuali di registrare la loro unione (fra i quali appunto l’Austria, nonché la Francia e la Germania); simili legislazioni, peraltro, sono quasi tutte dell’ultimo decennio.
Ciò premesso, la sentenza precisa essere questa la prima volta nella quale la Corte è chiamata ad affrontare la questione, rilevando che alcuni utili principi possono essere tratti dalle precedenti pronunce in tema di transessuali (punto 50). Quindi, ribadendo che c’è una differenza (da ritenere voluta) tra l’art. 12 della Convenzione e l’art. 9 della Carta di Nizza – nel senso, già prima ricordato, dell’eliminazione del riferimento alla diversità di sesso – la Corte perviene ad una prima fondamentale conclusione (punti 60-63), ossia che nessuna delle due norme appena richiamate impone agli Stati membri l’adozione di una legge che consenta il matrimonio tra omosessuali; in motivazione, anzi, si dice proprio che “l’art. 9 della Carta lascia decidere agli Stati se permettere o meno i matrimoni omosessuali”3; ne consegue che non c’è alcuna violazione dell’art. 12 della Convenzione nel fatto che la legge nazionale non consenta simile matrimonio. Analogamente, poi, la Corte osserva che il diritto degli omosessuali a contrarre matrimonio non può farsi discendere neppure dagli artt. 8 e 14 della Convenzione, i quali sanciscono rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata ed il divieto di discriminazione per qualsiasi ragione, anche fondata sul sesso.
La riflessione sugli artt. 8 e 14 della Convenzione, inoltre, conduce la Corte ad una nuova e significativa affermazione – l’unica, forse, leggermente più “avanzata” rispetto a quelle contenute nella sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale – e cioè che anche la convivenza omosessuale può essere considerata come una famiglia. Fino ad oggi – rileva la sentenza
(punti 92-94) – la relazione omosessuale ha avuto un suo rilievo solo in quanto manifestazione della “vita privata”; oggi siffatta limitazione appare superata, per cui una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto rientra nella nozione di “vita familiare”, come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella medesima situazione.
Nella parte finale della motivazione, poi, la sentenza affronta lo specifico tema della legislazione austriaca sulle convivenze registrate, affermando, tra l’altro, che il legislatore austriaco non può essere biasimato per non aver introdotto la legge sulle unioni registrate in un momento precedente (punto 106). 4. Uno sguardo panoramico sulla legislazione europea che ammette il matrimonio tra persone omosessuali e che riconosce i patti civili di solidarietà e di convivenza.
Oltre alle norme fondamentali di cui agli artt. 8, 12 e 14 della Convenzione ed all’art. 9 della Carta di Nizza – cui è da aggiungere anche l’art. 21 di quest’ultima, in tema di non discriminazione – le Istituzioni europee sono intervenute con altri atti di grande importanza sull’argomento.
Già la Risoluzione del Parlamento europeo 8 febbraio 1994 (sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità europea), oltre ad invitare gli Stati membri ad abolire tutte le disposizioni di legge che criminalizzano e discriminano i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso, chiedeva alla Commissione di presentare una proposta di raccomandazione sulla parità di diritti per gli omosessuali, la quale avrebbe dovuto, fra l’altro, cercare di porre fine “agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero ad un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni”. Successivamente, il Parlamento europeo torna sull’argomento con altre Risoluzioni, come quella dell’8 aprile 1997 sul rispetto dei diritti dell’uomo nell’Unione europea, quella del 17 settembre 1998 sulla parità dei diritti per gli omosessuali nell’Unione europea e quella del 16 marzo 2000, nella quale (punto 57) si sollecitano gli Stati membri che non vi abbiano ancora provveduto a modificare la propria legislazione al fine di riconoscere legalmente la convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso. Più di recente, poi, la Risoluzione del Parlamento europeo 14 gennaio 2009 (sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea 2004-2008) ribadisce (al punto 75) l’invito agli Stati membri a riconoscere le norme adottate da altri Stati in tema di legislazione relativa alle coppie dello stesso sesso.
Quanto alla legislazione dei singoli Stati europei, la situazione descritta dalla Corte di Strasburgo nella sentenza sopra menzionata è ancora attuale; infatti solo una minoranza costituita da sei Stati ha introdotto il matrimonio omosessuale (fra i quali la Norvegia, che non fa parte dell’Unione europea), mentre numerosi altri – sulla scia della Francia, che ha regolato i c.d. PACS già nel 1999 – hanno ammesso gli omosessuali alla diversa tutela costituita dal riconoscimento delle unioni registrate4. In particolare, il matrimonio è consentito in Belgio, tramite una modifica del codice civile introdotta dalla legge 13 febbraio 2003, n. 36, peraltro in qualche modo anticipata dalla legge 23 novembre 1998, che aveva riconosciuto l’istituto della coabitazione legale;
in Olanda, nella quale la legge 21 dicembre 2000, n. 9, ha modificato l’art. 30 del codice civile prevedendo che il matrimonio può essere contratto tra due persone di sesso diverso ovvero del medesimo sesso; in Spagna, tramite la più recente e nota legge n. 13 del 2005, entrata in vigore il 3 luglio 20055; in Norvegia, in Svezia e, a partire dallo scorso anno, anche in Portogallo. La vicenda portoghese merita qualche considerazione in più, perché sulla questione del matrimonio omosessuale vi sono state due pronunce del Tribunale costituzionale, solo in apparenza contraddittorie. In un primo tempo, infatti, con la sentenza n. 359 del 2009 – pronunciata quando nell’ordinamento giuridico portoghese non era previsto il matrimonio tra persone dello stesso sesso – il Tribunale costituzionale aveva escluso che il riconoscimento di tale istituto fosse da considerare imposto sulla base della Costituzione vigente; nel successivo mese di febbraio 2010 è stata approvata una legge di segno opposto, cioè una legge che consente il matrimonio tra persone omosessuali. A questo punto il Presidente della Repubblica, contrario alla modifica, ha adito il Tribunale costituzionale prima di procedere alla promulgazione, secondo lo schema del giudizio di legittimità costituzionale preventivo previsto in quell’ordinamento; e la risposta del Tribunale costituzionale, resa con la sentenza 8 aprile 2010, n. 121, è stata favorevole alla legge, sicché il Presidente ha poi proceduto alla relativa promulgazione6.
Tuttavia, come si diceva in precedenza, la maggioranza degli Stati europei che ha regolato il fenomeno si è fermata ad una gradino precedente, ossia quello delle unioni civili registrate. Da un punto di vista cronologico, la prima ad ammettere e regolare la registrazione delle unioni omosessuali è stata la Danimarca, con la legge 7 giugno 1989, n. 372, ma la legislazione che ha costituito una sorta di modello e di impulso è stata quella francese (legge 15 novembre 1999, n. 944), che, modificando il codice civile, ha istituito il pact civil de solidaritè, definito come un contratto tra due persone di sesso diverso o del medesimo sesso, finalizzato ad organizzare la loro vita comune7. Analogamente, anche la Germania ha provveduto a regolare tali unioni con una legge del febbraio 2001, poi modificata nel 2004, intitolata significativamente come legge sulla cessazione delle discriminazioni delle unioni omosessuali; essa, peraltro, pone limiti ben precisi affinché possa parlarsi di convivenza ammessa alla registrazione, esigendo una dichiarazione reciproca affiancata dall’indicazione relativa al regime patrimoniale prescelto. Sulla stessa linea si pongono anche l’Austria, la Svizzera, l’Islanda e la Finlandia8.
5. Il matrimonio contratto all’estero nel nostro ordinamento. Riferimenti giurisprudenziali. La particolarità del matrimonio e della convivenza omosessuale.
Giunti a questo punto, ci si può accostare al problema specifico oggi all’esame della Corte, ossia quello della trascrizione di un matrimonio (tra omosessuali) celebrato all’estero9. Il quadro normativo che regola la materia è contenuto, innanzitutto, nel codice civile, i cui artt. 115 e 116 disciplinano le due situazioni speculari del matrimonio del cittadino all’estero e del matrimonio dello straniero in Italia; a queste due disposizioni fondamentali si affiancano gli artt. 27 e 28 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), che regolano le condizioni per contrarre il matrimonio e la forma del matrimonio, nonché gli artt. 64 e 65 della stessa legge, sui quali ci si soffermerà in seguito, a proposito del c.d. limite dell’ordine pubblico internazionale. Sono rilevanti, inoltre, alcune disposizioni del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, che contiene il regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile: l’art. 16, relativo al matrimonio celebrato all’estero, l’art. 63, comma 2, lettera c), che prevede la possibilità di trascrivere negli archivi dello stato civile gli atti dei matrimoni celebrati all’estero, nonché l’art. 110 che, abrogando il secondo comma dell’art. 115 cod. civ., ha soppresso la formalità della pubblicazione nella Repubblica per i matrimoni celebrati all’estero. Il nostro ordinamento, infine, in virtù della peculiarità dei rapporti esistenti con la Santa Sede, conosce anche l’istituto del matrimonio religioso, che può assumere effetti civili con l’atto della trascrizione (art. 8 della legge 25 marzo 1985, n. 121, di attuazione delle modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929 apportate con gli accordi di Villa Madama); si tratta, però, di una previsione speciale non attinente al caso in questione. Ai fini della vicenda oggi in esame assume rilievo la disciplina del matrimonio degli italiani all’estero, perché i due soggetti che hanno avanzato domanda di trascrizione del matrimonio da loro celebrato in Olanda sono entrambi cittadini italiani. È parimenti innegabile, come evidenziato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 138 del 2010, che una serie cospicua di norme – sia all’interno del codice civile che nel d.P.R. n. 396 del 2000 – dimostrano senza possibilità di dubbio che l’ordinamento nazionale concepisce l’istituto del matrimonio soltanto come l’unione tra due persone di sesso diverso10. Ciò premesso ai fini del quadro normativo, è opportuno soffermarsi sull’applicazione concreta che l’istituto del matrimonio all’estero ha avuto nella nostra giurisprudenza.
La Corte di cassazione ha già da molto tempo affermato il principio per cui il matrimonio contratto all’estero è valido
indipendentemente dalle formalità relative alla pubblicazione ed alla trascrizione nei registri di stato civile; in tal senso è la sentenza 14 febbraio 1975, n. 569 (rv. 373876) (All. 11), poi ripresa dalla sentenza 28 aprile 1990, n. 3599 (rv. 466923) (All. 14), la quale precisa che la trascrizione ha, in questo caso, natura certificativa e di pubblicità, non costitutiva, in ciò differenziandosi rispetto al matrimonio concordatario che è valido in Italia “solo per effetto della sua trascrizione nei registri dello stato civile, trascrizione che ha perciò (…) valore costitutivo”. È interessante notare che la sentenza n. 3599 avverte il possibile rischio derivante dal fatto che un matrimonio contratto in Italia sia trascritto prima della trascrizione del matrimonio celebrato all’estero, ma afferma che questa situazione “non dà vita (…) ad un conflitto tra registrazioni da risolversi col criterio della priorità temporale, bensì ad una successione di matrimoni, il secondo dei quali nullo per il vincolo preesistente”; tutto questo per ribadire che il matrimonio contratto all’estero ha una sua validità in sè, a prescindere dalla trascrizione. L’affermazione della immediata validità di tale matrimonio e della natura certificativa della trascrizione viene ripresa anche in seguito nelle sentenze 17 settembre 1993, n. 9578 (rv. 483779) (All. 15), e 19 ottobre 1998, n. 10351 (rv. 519862) (All. 16); queste ulteriori pronunce sono ugualmente importanti perché aggiungono un altro importante tassello, ossia che siffatto matrimonio è valido a condizione che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato e alla capacità delle persone previsti nel nostro ordinamento. Si tratta, comunque, di sentenze emesse nel quadro normativo antecedente la riforma del diritto internazionale privato di cui alla citata legge n. 218 del 1995.
Sollecitata dalla molteplicità della casistica, la giurisprudenza giunge a teorizzare l’esistenza di un vero e proprio principio del favor matrimonii, da intendere – secondo la sentenza 2 marzo 1999, n. 1739 (rv. 523753) (All. 17) – nel senso che “l’atto non perde validità se non sia stato impugnato per una delle ragioni indicate negli artt. 117 e seguenti cod. civ. (…) e non sia intervenuta una pronuncia di nullità o di annullamento”. Si tratta della c.d. validità interinale del matrimonio contratto all’estero, ammessa dalla sentenza ora richiamata per risolvere il delicato problema della possibilità di riconoscere un qualche effetto nel nostro ordinamento ai matrimoni contratti nei Paesi nei quali operano i principi della poligamia e del ripudio, previsti dal diritto islamico. Nel caso oggetto di quella pronuncia, infatti, una cittadina somala aveva contratto matrimonio in Somalia con un cittadino italiano e, alla morte del marito, aveva chiesto di poter procedere al sequestro conservativo di alcuni beni del coniuge, a fini di successione; le controparti avevano eccepito che tale matrimonio, contratto secondo il diritto islamico, non poteva avere efficacia in Italia, benché trascritto. Giunto il caso all’esame della Corte di cassazione, essa, con la citata sentenza, rileva che, pur essendo la poligamia e il ripudio contrari all’ordine pubblico interno e al buon costume, il matrimonio contratto secondo tali regole è valido nel nostro ordinamento fino a quando non se ne deduca la nullità e non intervenga una pronuncia sul punto, a condizione che esso sia avvenuto nel rispetto delle forme previste dalla lex loci e che sussistano i requisiti sostanziali di stato e capacità delle persone11. Sulla scia di questa si pone anche la successiva sentenza 13 aprile 2001, n. 5537 (rv. 545918) (All. 19), ove si ribadisce che “nell’ipotesi in cui manchino i requisiti sostanziali relativi allo stato e alla capacità delle persone previsti dalla legge italiana, l’atto di matrimonio non perde la sua validità fino a quando non sia impugnato per una delle ragioni previste dall’art. 117 cod. civ. e non sia intervenuta una pronuncia di nullità o di annullamento”12.
Ai fini della presente vicenda, peraltro, sono di specifico interesse le pronunce che, sempre occupandosi dell’efficacia in Italia dei matrimoni contratti all’estero, individuano tra i requisiti minimi di validità quello della diversità di sesso tra i coniugi.
Un’affermazione in tal senso si trova già nella sentenza 20 maggio 1976, n. 1808 (rv. 380593) (All. 12), la quale – pur occupandosi degli effetti del matrimonio contratto da entrambi i coniugi nella consapevolezza della sua invalidità (art. 128, quarto comma, cod. civ.), e perciò non di un matrimonio contratto all’estero – rileva che quegli effetti sono da ritenere esclusi solo in presenza di un matrimonio inesistente; e tale deve ritenersi quello in cui manchi la realtà naturalistica della fattispecie, costituita dalla presenza di due persone di sesso diverso. L’argomento ritorna successivamente, in relazione ad una particolare vicenda di matrimonio contratto all’estero, nella sentenza 22 febbraio 1990, n. 1304 (rv. 465452) (All. 13). Questa pronuncia, nel ribadire le argomentazioni già viste a proposito dell’immediata validità del matrimonio a prescindere dalla trascrizione, precisa che il giudice italiano, ove sia chiamato a verificare la validità del matrimonio contratto all’estero, “deve innanzi tutto accertare che esso non sia inesistente per mancanza dei requisiti minimi essenziali, avendo presente che sono causa d’inesistenza del matrimonio la mancanza dei requisiti formali della celebrazione, del consenso degli sposi (e, ovviamente, della loro diversità di sesso)”; e aggiunge che “l’inesistenza va ravvisata nella mancanza della realtà naturalistica della fattispecie, i cui requisiti minimi sono costituiti dalla presenza di due persone di sesso diverso, manifestanti la volontà matrimoniale all’ufficiale celebrante”. Simile affermazione è testualmente ripresa dalla sentenza 9 giugno 2000, n. 7877 (rv. 537445) (All. 18), in presenza di una fattispecie totalmente diversa13.
È da menzionare, infine, la recente sentenza 17 marzo 2009, n. 6441 (rv. 607482) (All. 20), relativa al ricongiungimento familiare tra conviventi omosessuali. In questo caso, un cittadino italiano ed un cittadino neozelandese, entrambi di sesso maschile, avevano ottenuto in Nuova Zelanda il riconoscimento della loro qualità di “partner de facto”; su tale base, il neozelandese aveva chiesto alle autorità italiane la conversione del proprio titolo di soggiorno in Italia in permesso per motivi familiari. Dichiarata dal questore irricevibile l’istanza, l’interessato si era rivolto al giudice e, mentre il tribunale aveva accolto il suo reclamo, la corte d’appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva respinto la domanda.
Chiamata a pronunciarsi sul relativo ricorso, la Corte di cassazione lo rigetta con una motivazione che si snoda lungo i seguenti passaggi. Dopo aver rilevato che, alla luce della giurisprudenza costituzionale, l’esclusione dal novero dei “familiari” (ai sensi degli artt. 29 e 30 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) dei soggetti conviventi e legati da una stabile relazione affettiva non può dirsi in contrasto con gli artt. 2, 3 e 29 Cost., la sentenza – in un certo senso anticipando alcune affermazioni che saranno poi confermate dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle due fondamentali pronunce richiamate in apertura – rileva che la nozione di familiare non può essere ampliata neppure sulla base dell’art. 12 della Convenzione o dell’art. 9 della Carta di Nizza. Infatti, se è vero “che la formulazione del citato art. 9 da un lato conferma l’apertura verso forme di relazioni affettive di tipo familiare diverse da quelle fondate sul matrimonio e, dall’altro, non richiede più come requisito necessario per invocare la garanzia dalla norma stessa prevista la diversità di sesso dei soggetti del rapporto, resta fermo che anche tale disposizione, così come l’art. 12 CEDU, rinvia alle leggi nazionali per la determinazione delle condizioni per l’esercizio del diritto, con ciò escludendo sia il riconoscimento automatico di unioni di tipo familiare diverse da quelle previste dagli ordinamenti interni che l’obbligo degli Stati membri di adeguarsi al pluralismo delle relazioni familiari, non necessariamente eterosessuali”.
Anche questa sentenza, quindi, rimanda all’intervento del legislatore ogni ulteriore possibilità di riconoscimento per le unioni diverse da quelle familiari, eventualmente anche di tipo omosessuale14.
6. Il problema della trascrizione e i poteri dell’ufficiale di stato civile.
In riferimento al problema della trascrizione del matrimonio celebrato all’estero, è bene ricordare che l’art. 73 della legge n. 218 del 1995 di riforma del sistema del diritto internazionale privato ha, tra l’altro, abrogato gli artt. 796-805 cod. proc. civ., che regolavano l’efficacia delle sentenze straniere e l’esecuzione di altri atti di autorità straniere; sicché, venuto meno il giudizio di delibazione, la corrispondente disciplina è ora contenuta negli artt. 64-71 della legge citata e, ai fini che interessano nell’odierna questione, negli artt. 64 e 65. Il disegno di semplificare al massimo l’ingresso nel nostro ordinamento di atti e provvedimenti stranieri perseguito con tale riforma si coniuga con la riforma della legislazione sullo stato civile di cui al d.P.R. n. 396 del 2000, la quale demanda ad un diverso soggetto, cioè l’ufficiale di stato civile, alcuni significativi poteri di controllo. Per quanto riguarda i matrimoni contratti all’estero, sono di particolare importanza, come si accennava già nel paragrafo precedente, gli artt. 16 e 63 del d.P.R. n. 396 del 2000: il primo prevede le modalità di celebrazione del matrimonio all’estero (dinanzi all’autorità diplomatica o consolare competente, oppure davanti all’autorità locale, secondo le leggi del luogo); il secondo ammette la possibilità di trascrizione dei matrimoni celebrati all’estero [art. 63, comma 2, lettera c)]15. Gli artt. 95 e ss. del decreto in esame delineano, infine, la procedura da seguire da parte di chi intenda opporsi al rifiuto dell’ufficiale di stato civile di eseguire una trascrizione (com’è avvenuto nel caso di specie).
Che i compiti affidati all’ufficiale di stato civile siano di particolare delicatezza risulta, indirettamente, anche dal fatto che il Ministero dell’interno è intervenuto in più occasioni, con proprie circolari, dando precise istruzioni in tema. Poco dopo l’entrata in vigore del d.P.R. sopra citato, infatti, con circolare n. 2 del 26 marzo 2001 il Ministero provvede a fornire numerosi chiarimenti sulle novità introdotte, precisando, per quanto oggi interessa, che, mentre deve ritenersi trascrivibile il matrimonio celebrato secondo il rito islamico tra un cittadino italiano ed uno di religione islamica, “non è trascrivibile il matrimonio celebrato all’estero tra omosessuali, di cui uno italiano, in quanto contrario alle norme di ordine pubblico”. Quest’affermazione viene ribadita nella più recente circolare 18 ottobre 2007, n. 55, del medesimo Ministero, ove, nel confermare la contrarietà all’ordine pubblico del matrimonio omosessuale, si richiama l’attenzione degli ufficiali di stato civile “affinché al momento di trascrivere un matrimonio contratto all’estero da un cittadino pongano particolare cura nella verifica che i due sposi siano di sesso diverso”; ciò in quanto, evidentemente, il problema sta diventando di crescente attualità. La giurisprudenza richiamata nel paragrafo precedente, d’altra parte, pur avendo riconosciuto la natura solo certificativa della trascrizione in relazione ai matrimoni celebrati all’estero, ha anche insegnato – come si è visto – che il giudice è tenuto comunque a verificare l’esistenza dei requisiti minimi perché un matrimonio possa dirsi tale, fra i quali c’è quello della diversità di sesso. Ne consegue che il controllo che l’ufficiale di stato civile è tenuto a compiere in un caso come quello odierno è più penetrante ed assume una sorta di funzione di blocco all’ingresso in Italia di matrimoni che non sono tali nel nostro ordinamento; in altri termini, cioè, il matrimonio contratto all’estero del quale venga rifiutata la trascrizione è un matrimonio che non esiste nel nostro ordinamento16. 7. Il limite dell’ordine pubblico internazionale.
Nel nostro sistema di diritto internazionale privato il limite dell’ordine pubblico è stato sempre previsto ed inteso come una sorta di confine estremo oltre il quale l’ordinamento interno non può aprirsi all’applicazione del diritto straniero17. Già l’art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale disponeva che “in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente (…) possono avere effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Abrogata tale disposizione dall’art. 73 della legge n. 218 del 1995, il limite ricompare, con le dovute modifiche, anche nel sistema vigente: da un lato l’art. 16, comma 1, della legge n. 218 stabilisce che la legge straniera “non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico”18;
l’art. 64 della medesima, nel fissare la regola generale secondo cui la sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento, pone tra le condizioni che le disposizioni della stessa non producano effetti contrari all’ordine pubblico; il successivo art. 65 – nel riconoscere effetto in Italia ai provvedimenti stranieri in materia di capacità delle persone e di rapporti di famiglia – pone la condizione che essi “non
siano contrari all’ordine pubblico e siano stati rispettati i diritti essenziali della difesa”; in materia di stato civile, l’art. 18 del d.P.R. n. 396 del 2000 vieta la trascrizione di atti formati all’estero qualora siano contrari all’ordine pubblico. Lo stesso ordinamento dell’Unione europea prevede tra l’altro, proprio in materia matrimoniale, che la decisione di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio non sia riconosciuta “se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto” [art. 22, lettera a), del Regolamento CE del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201/2003].
La produzione giurisprudenziale in tema di corretta interpretazione di tale limite è piuttosto ampia e va richiamata nelle sue linee fondamentali, tenendo presente che sono il diritto di famiglia ed il
diritto del lavoro le materie nelle quali si riscontra il maggior numero di pronunce.
Costituisce principio consolidato – ritenuto valido sia nella vigenza dell’art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale che nell’attuale sistema di cui alla legge n. 218 del 1995 – che la nozione di ordine pubblico interno non coincide con quella di ordine pubblico internazionale: mentre il primo “consiste nel complesso delle norme che, in quanto dirette a disciplinare interessi di carattere generale, non sono derogabili da atti di autonomia privata”, il secondo “va identificato con i principi fondamentali che caratterizzano l’ordinamento in un determinato momento storico e trovano la loro espressione nei principi costituzionali e in quelli contenuti nelle convenzioni o nelle dichiarazioni internazionali comuni a tutti gli Stati, che impediscono, in caso di contrasto, l’applicazione della legge straniera” (sentenza 10 marzo 1995, n. 2788, rv. 491054) (All. 22). Un’affermazione del tutto simile si trova nella sentenza 6 dicembre 2002, n. 17349 (rv. 559033) (All. 24), la quale ha modo di chiarire, in relazione alla norma dell’art. 64, lettera g), della legge n. 218 del 1995, che il concetto di ordine pubblico interno non si identifica con quello di ordine pubblico internazionale. La successiva sentenza 26 novembre 2004, n. 22332 (rv. 578134) (All. 26), nel ribadire tali affermazioni, sostiene che i principi di ordine pubblico internazionale si identificano “nei principi fondamentali della nostra Costituzione, o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono all’esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, o che informano l’intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti dell’intero assetto ordinamentale”. Sulla stessa linea si pongono numerose altre pronunce, quali le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4040 (rv. 587258) (All. 27), 4 maggio 2007, n. 10215 (rv. 597250) (All. 29), 19 luglio 2007, n. 16017 (rv. 598377) (All. 30), tutte in materia di lavoro. Scorrendo le motivazioni di queste sentenze, si comprende come il limite dell’ordine pubblico internazionale sia stato utilizzato per consentire o meno l’applicazione della legge straniera a seconda della gravità del vulnus all’ordinamento interno che da tale applicazione sarebbe derivata: e così, a titolo di esempio, si è detto che sarebbe inapplicabile la legge straniera che non preveda alcuna tutela contro il licenziamento ingiustificato, mentre analoga inapplicabilità non sussiste per una legislazione che escluda il trattamento di fine rapporto o le mensilità aggiuntive19. Nella delicata materia dei rapporti di famiglia, il limite in
questione è stato utilizzato con le medesime finalità. Già la sentenza 24 novembre 1989, n. 5074 (rv. 464330) (All. 21), emessa nella vigenza del giudizio di delibazione delle sentenze straniere, osservava che una sentenza di divorzio riguardante cittadini stranieri poteva essere delibata a condizione che fosse stata pronunciata per cause obiettive e predeterminate, non lesive dei principi comuni alle nazioni di civiltà affine ed intesi alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo20. Assai più di recente, la sentenza 28 maggio 2004, n. 10378 (rv. 573282) (All. 25), affrontando un problema simile, rileva che è un segno caratteristico della riforma di cui alla legge n. 218 del 1995 il superamento degli ostacoli esistenti al fine di dare ingresso nel nostro ordinamento a pronunce espressione del potere giurisdizionale di altri Stati nazionali. In relazione alla pronuncia di divorzio, ciò significa che non può, di per sè, “essere ritenuta contraria all’ordine pubblico italiano una sentenza di scioglimento del matrimonio resa dal giudice straniero fra cittadini italiani facendo applicazione del diritto straniero, per il solo fatto che il matrimonio sia stato sciolto con procedure e per ragioni e situazioni non identiche a quelle contemplate dalla legge italiana, costituendo in realtà profilo di ordine pubblico solo la necessità che lo scioglimento del matrimonio venga pronunciato all’esito di un rigoroso accertamento – condotto nel rispetto dei diritti di difesa delle parti, e sulla base di prove non evidenzianti dolo o collusione delle parti – dell’irrimediabile disfacimento della comunione familiare il quale costituisce l’unico inderogabile presupposto delle varie ipotesi di divorzio previste dall’art. 3 della legge n. 898/70″21.
Molto interessanti sono, poi, le sentenze 8 marzo 1999, n. 1951 (rv. 523930) (All. 23), e 28 dicembre 2006, n. 27592 (rv. 593611) (All. 28), in tema di riconoscimento del figlio naturale. Nel primo caso, la Corte ritiene in contrasto con l’ordine pubblico internazionale l’applicazione dei principi del diritto marocchino che non consente il riconoscimento del figlio naturale, punendo addirittura con sanzione penale la donna che ha concepito un figlio al di fuori del matrimonio; nel secondo, analogamente, si è ritenuto che non potesse trovare applicazione la norma del diritto egiziano (pure di matrice islamica) che preclude al padre di riconoscere il figlio nato da una relazione extraconiugale, in quanto in quell’ordinamento la paternità presuppone la c.d. “liceità” del rapporto dal quale il concepimento scaturisce. In entrambi i casi, il ritenuto contrasto si è tradotto nell’applicazione del diritto interno, con chiusura alla possibile applicazione del diritto straniero22. 8. Conclusioni.
L’estrema delicatezza della materia in questione impone grande cautela nelle conclusioni.
Credo, tuttavia, che da quanto detto fin qui possano individuarsi alcuni punti fermi utili ai fini di un approccio il più possibile oggettivo con il problema che è all’esame della Corte di cassazione. Un primo punto, di carattere generale, riguarda l’aspetto della trascrizione.
A questo proposito, è opportuno rilevare che la decisione che verrà assunta nella presente vicenda potrebbe avere conseguenze e ripercussioni più generali. Il nostro ordinamento – come si è visto in precedenza – è oggi, per ragioni facilmente intuibili, assai più aperto che in passato all’ingresso di sentenze e atti provenienti da altri ordinamenti: ciò, se da una parte giova al disegno di un’Europa unita e, in generale, alla costruzione di un mondo in cui le barriere geografiche contino sempre di meno, rende maggiore il rischio che in Italia assumano efficacia atti o pronunce provenienti da ordinamenti molto diversi dal nostro. Occorre pertanto una chiara consapevolezza del fatto che non ci si può limitare a pensare al caso di specie; oggi il problema è quello della trascrizione del matrimonio omosessuale contratto in Olanda, ma in un futuro non lontano un problema analogo potrà porsi in relazione ad altre situazioni.
Un secondo punto da mettere in evidenza riguarda il limite dell’ordine pubblico internazionale.
Nel precedente paragrafo ci si è soffermati a ricostruire la giurisprudenza sull’argomento. In realtà, però, non pare che tale limite possa assumere rilievo nel caso in esame, nel quale i soggetti che chiedono la trascrizione del matrimonio sono entrambi cittadini italiani. Come è stato notato da autorevole dottrina23, infatti, poiché, alla luce dell’art. 115, primo comma, cod. civ., coordinato con l’art. 27 della legge n. 218 del 1995, è alla legge italiana che deve farsi capo per stabilire la normativa regolatrice di questo rapporto, il limite dell’ordine pubblico internazionale rimane estraneo nella fattispecie. Come si è già accennato, infatti, in tanto ha senso richiamare tale istituto in quanto nella specie si tratti di applicare la legge straniera, perché è solo in una situazione del genere che ci si deve interrogare sulla compatibilità di questa rispetto al nostro ordinamento. Qualora debba applicarsi la legge italiana, invece, ogni discussione sull’argomento rimane estranea; ed anche la dottrina internazionalistica è concorde nel riconoscere che il limite dell’ordine pubblico internazionale entra in gioco soltanto quando i criteri di collegamento rimandano all’applicazione della legge straniera24. Tutte le pronunce giurisprudenziali richiamate nel paragrafo precedente, del resto, si pongono il problema del superamento o meno di tale limite in quanto i criteri di collegamento rimandavano, nelle relative fattispecie, alla legge straniera. E, d’altra parte, ove anche così non fosse, non dovrebbe dimenticarsi l’art. 17 della legge n. 218 del 1995 (Norme di applicazione necessaria), secondo cui è fatta salva “la prevalenza sulle disposizioni che seguono delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera”25. In relazione al problema in esame, perciò, ove si dovesse condividere la valutazione compiuta dalla Corte d’appello di Roma in termini di inesistenza del matrimonio in questione secondo la legge nazionale, verrebbe a risultare con ogni probabilità priva di rilievo la problematica sull’ordine pubblico internazionale. L’ultimo punto sul quale è opportuno trarre qualche conclusione riguarda il problema della configurabilità o meno di una violazione costituzionale nel caso di accoglimento dell’interpretazione contraria alla trascrizione del matrimonio omosessuale contratto all’estero.
Allo stato attuale, tanto la giurisprudenza costituzionale quanto quella della Corte europea dei diritti dell’uomo sono concordi nel ritenere che non c’è alcun obbligo per gli Stati che hanno recepito la Convenzione dei diritti dell’uomo di introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso; tale obbligo – come si è visto – non discende ne’ dalla nostra Costituzione, ne’ dalla Convenzione, ne’ dalla Carta di Nizza, oggi dotata della stessa efficacia dei Trattati che fondano l’Unione europea. C’è invece, in questa materia, una sorta di rimessione al legislatore, da intendere nel senso che le singole legislazioni nazionali hanno facoltà di riconoscere o meno il matrimonio omosessuale. Tuttavia, sia la Corte costituzionale che la Corte di Strasburgo hanno ammesso che la convivenza tra persone dello stesso sesso – ove caratterizzata dai necessari connotati di stabilità – può dare luogo ad una formazione sociale rilevante e, come tale, meritevole di tutela, indipendentemente dal fatto che a detta formazione si riconosca il carattere distintivo della “famiglia”. Il percorso che si prospetta
aperto al legislatore, dunque, è quello del riconoscimento di tali unioni nel quadro di un generale intervento sulle unioni di fatto, a prescindere dal nome che si vorrà dare a simili formazioni sociali. È vero, come qualche autorevole studioso ha notato a proposito della sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale26, che l’apertura ivi contenuta verso una possibile regolazione legislativa dei c.d. patti di convivenza (o unioni registrate) non è affiancata da alcuna sorta di “monito” nei confronti del legislatore in caso di inerzia da parte sua, sicché non può farsi alcuna previsione ne’ sul se ne’ sul quando tale riconoscimento realmente avverrà;
tuttavia, la scelta della tecnica di motivazione della sentenza (che, si ribadisce, è di inammissibilità in riferimento all’art. 2 Cost.) rientra in una valutazione di opportunità che la Corte ha compiuto e che non mi sembra possa togliere validità al contenuto di quanto affermato.
È indubbio, d’altra parte, che la sentenza costituzionale neghi che l’unione omosessuale possa rientrare nella nozione di “matrimonio” ai sensi dell’art. 29 Cost., tanto che la questione è stata dichiarata non fondata in relazione a detto parametro. Tuttavia, in considerazione del continuo evolversi dei costumi di ciascun popolo, l’approdo al quale la Corte costituzionale è giunta non può, di per sè, essere considerato immutabile, quanto, invece, espressione della situazione attuale del nostro Paese, alla luce della normativa vigente. Emblematica, a questo proposito, è la vicenda della legislazione sul transessualismo, materia nella quale la giurisprudenza costituzionale ha assunto, a distanza di pochi anni, atteggiamenti solo apparentemente opposti, da considerare, in realtà, il frutto del mutamento legislativo in detta materia27. Com’è noto, infatti, la questione di legittimità costituzionale dell’omessa previsione della possibilità di ottenere la rettificazione dell’atto di nascita, con conseguente attribuzione del sesso femminile, nel caso di modificazione artificiale del sesso fu posta alla Corte prima dell’entrata in vigore della legge n. 164 del 1982; in quell’occasione, con la sentenza n. 98 del 1979 (All. 2), la Corte la dichiarò non fondata, non ritenendo che potesse rientrare tra i diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost. anche quello al riconoscimento dell’intervenuta modificazione del sesso. Una volta approvata, però, la legge n. 164 del 1982, fu posta all’esame della Corte la medesima questione di legittimità costituzionale, questa volta a termini “inversi”; ed anche questa volta la decisione, assunta con la sentenza n. 161 del 1985 (All. 3), fu di non fondatezza (e, in parte, di inammissibilità), non ravvisandosi alcuna violazione dei principi costituzionali nella previsione della possibilità della rettificazione di attribuzione di sesso. La vicenda ora rammentata è indice del fatto che – con ogni probabilità – esistono materie nelle quali le scelte di fondo spettano immancabilmente al legislatore, senza che la giurisprudenza possa arrivare ad anticiparne le tappe. E, d’altra parte, il fatto che non sia incostituzionale una certa regolazione di una data materia non implica, di per sè ed automaticamente, che debba invece esserlo un’eventuale regolazione successiva di segno contrario28. Non sembra, del resto, che la legislazione in tema di
transessualismo consenta di pervenire ad una diversa conclusione. Com’è noto, infatti, la norma dell’art. 3, n. 2), lettera g), della legge 1 dicembre 1970, n. 898 – secondo cui il divorzio può essere domandato se è passata in giudicato la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge n. 164 del 1982 – è stata interpretata da qualcuno nel senso che, trattandosi di procedimento a domanda, potrebbe astrattamente verificarsi che due persone dello stesso sesso rimangano coniugate perché nessuna delle due ha chiesto lo scioglimento del matrimonio dopo il mutamento di sesso da parte dell’altro29. Ora – prescindendo dal fatto che la sentenza della Corte costituzionale, come si ricordava nel paragrafo 2, ha affermato che la possibilità che la persona che ha mutato il proprio sesso venga ammessa al matrimonio è un’indiretta conferma del fatto che la diversità di sesso continua ad essere un presupposto imprescindibile del matrimonio – resta che l’opinione dottrinale sopra ricordata non è affatto generale30; e, comunque, non si può da un caso limite trarre un’eccezione che finisca col costituire la regola per la generalità dei casi.
È esatto che la giurisprudenza costituzionale ha ribadito in molte occasioni che il diritto di contrarre matrimonio è da considerare un diritto fondamentale31, ma ciò non consente di dedurre che esso possa esercitarsi con modalità le quali, secondo la legge, non abbiano il contenuto minimo perché possa parlarsi di matrimonio. Alla luce delle precedenti considerazioni, pertanto, pare potersi affermare, in risposta al relativo quesito posto dalla Prima Sezione Civile, che l’interpretazione contraria alla trascrizione di un matrimonio omosessuale contratto all’estero non sia in evidente contrasto con alcun principio costituzionale; diversamente, invece, l’interpretazione favorevole alla trascrizione porrebbe seri dubbi di legittimità costituzionale, in considerazione alla diversa situazione che verrebbe a crearsi tra cittadini italiani residenti in Italia e cittadini italiani all’estero.
(Red. Francesco M. Cirillo)
Il direttore
(Mario Rosario Morelli)
INDICE
Riferimenti normativi (All. 1)
Normativa nazionale:
codice civile, artt. 115, 116
legge 14 aprile 1982, n. 164
legge 25 marzo 1985, n. 121, art. 8
legge 31 maggio 1995, n. 218, artt. 14-17, 27-28, 64-65 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, artt. 15-20, 54-64, 95-100 circolare del Ministero dell’interno 26 marzo 2001, n. 2 circolare del Ministero dell’interno 18 ottobre 2007, n. 55 Normativa europea:
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, artt. 8, 12 e 14
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza), artt. 7, 9 e 21
Regolamento CE del Consiglio 27 novembre 2003, n. 2201/2003, art. 22 Risoluzione del Parlamento europeo 8 febbraio 1994 sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità europea
Risoluzione del Parlamento europeo 8 aprile 1997 sul rispetto dei diritti dell’uomo nell’Unione europea
Risoluzione del Parlamento europeo 17 settembre 1998 sulla parità dei diritti per gli omosessuali nell’Unione europea Risoluzione del Parlamento europeo 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani nell’Unione europea (v. punto 57)
Risoluzione del Parlamento europeo 14 gennaio 2009 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2004-2008) Giurisprudenza costituzionale
sentenza n. 98 del 1979 (All. 2)
sentenza n. 161 del 1985 (All. 3)
sentenza n. 445 del 2002 (All. 4)
sentenza n. 138 del 2010 (All. 5)
ordinanza n. 276 del 2010 (All. 6)
sentenza n. 245 del 2011 (All. 7)
Giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Sentenza 24 giugno 2010 (Schalk e Kopf), testo inglese, in Nuova giurisprudenza civile commentata 2010 I, 1137, con nota di WINKLER, Le famiglie omosessuali nuovamente alla prova della Corte di
Strasburgo, in Nuova giurisprudenza civile commentata 2010, I, 1137 (All. 8)
Sentenza 24 giugno 2010 (Schalk e Kopf), testo italiano (traduzione non originale a cura del Ministero della giustizia (All. 9) Giurisprudenza non italiana:
Tribunale costituzionale del Portogallo, sentenza 8 aprile 2010, n. 121, in Foro italiano 2010, IV, 272 (abstract in lingua italiana), con nota di PASSAGLIA, Matrimonio ed unioni omosessuali in Europa:
una panoramica (All. 10)
Giurisprudenza ordinaria
Sull’efficacia dei matrimoni contratti all’estero:
Cass., 14 febbraio 1975, n. 569 (rv. 373876) (All. 11) Cass., 20 maggio 1976, n. 1808 (rv. 380593) (All. 12)
Cass., 22 febbraio 1990, n. 1304 (rv. 465452) (All. 13) Cass., 28 aprile 1990, n. 3599 (rv. 466923) (All. 14)
Cass., 17 settembre 1993, n. 9578 (rv. 483779) (All. 15) Cass., 19 ottobre 1998, n. 10351 (rv. 519862) (All. 16) Cass., 2 marzo 1999, n. 1739 (rv. 523753) (All. 17)
Cass., 9 giugno 2000, n. 7877 (rv. 537445) (All. 18)
Cass., 13 aprile 2001, n. 5537 (rv. 545918) (All. 19)
Cass., 17 marzo 2009, n. 6441 (rv. 607482) (All. 20)
In tema di ordine pubblico internazionale:
Cass., 24 novembre 1989, n. 5074 (rv. 464330) (All. 21) Cass., 10 marzo 1995, n. 2788, (rv. 491054) (All. 22)
Cass., 8 marzo 1999, n. 1951 (rv. 523930) (All. 23)
Cass., 6 dicembre 2002, n. 17349 (rv. 559033) (All. 24) Cass., 28 maggio 2004, n. 10378 (rv. 573282) (All. 25) Cass., 26 novembre 2004, n. 22332 (rv. 578134) (All. 26) Cass., 23 febbraio 2006, n. 4040 (rv. 587258) (All. 27) Cass., 28 dicembre 2006, n. 27592 (rv. 593611) (All. 28) Cass., 4 maggio 2007, n. 10215 (rv. 597250) (All. 29)
Cass., 19 luglio 2007, n. 16017 (rv. 598377) (All. 30) Sul limite dell’ordine pubblico in riferimento alla delibazione di sentenze dei tribunali ecclesiastici declaratorie di nullità del matrimonio religioso trascritto:
Cass., 5 maggio 1998, n. 4500 (rv. 515084) (All. 31)
Cass., 28 gennaio 2005, n. 1822 (rv. 579711) (All. 32) Cass., 2 agosto 2007, n. 16999 (rv. 598638) (All. 33)
Cass., S.U., 18 luglio 2008, n. 19809 (rv. 604843) (All. 34) Cass., 15 gennaio 2009, n. 814 (rv. 606097) (All. 35)
Cass., 20 gennaio 2011, n. 1343 (rv. 616119) (All. 36) Ulteriore giurisprudenza di interesse:
Cass., 7 giugno 1993, n. 6363 (rv. 482701) (All. 37)
Riferimenti dottrinali essenziali:
note alla sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale:
COLAIANNI, Matrimonio omosessuale e Costituzione, in Corriere giuridico 2010, 845-854 (All. 38)
FIORINI, Un ulteriore ritardo nel varo di regole ad hoc rallenta il processo di integrazione europea, in Guida al diritto – Il sole 24 ore 2010, n. 19, 22-26 (All. 39)
GATTUSO, La Corte costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, in Famiglia e diritto 2010, 656-666 (All. 40)
PALERMO, Uguaglianza e tradizione nel matrimonio: dall’adulterio alle unioni omosessuali, in Nuova giurisprudenza civile commentata 2010, II, 537-555 (All. 41)
PEZZINI, Il matrimonio same sex si potrà fare. La qualificazione della discrezionalità del legislatore nella sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, in Giur. cost. 2010, 2715- 2727 (All. 42)
PINARDI, La Corte, il matrimonio omosessuale ed il fascino (eterno?) della tradizione, in Nuova giurisprudenza civile commentata 2010, II, 527-536 (All. 43)
ROMBOLI, Il diritto “consentito” al matrimonio ed il diritto “garantito” alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice “troppo” e “troppo poco”, in Giur. cost. 2010, 1629-1642 (All. 44)
TONDI DELLA MURA, Le coppie omosessuali fra il vincolo (elastico?) delle parole e l’artificio della “libertà”, in Dir. fam. e delle persone 2011, 3 (All. 45)
note alla sentenza 24 giugno 2010 della Corte di Strasburgo:
CONTE, Profili costituzionali del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali alla luce di una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Corriere giuridico 2011, 573-578 (All. 46) CONTI, Convergenze (inconsapevoli o … naturali) e contaminazioni tra giudice nazionali e Corte EDU: a proposito del matrimonio di coppie omosessuali, in Corriere giuridico 2011, 579-587 (All. 47) REPETTO, Il matrimonio omosessuale al vaglio della Corte di Strasburgo, ovvero: la negazione “virtuosa” di un diritto, pubblicata nel sito web dell’Associazione italiana dei costituzionalisti (All. 48)
note alla sentenza n. 6441 del 2009 della Corte di cassazione:
ACIERNO, Ricongiungimento familiare per le coppie di fatto: la pronuncia della Cassazione, in Famiglia e diritto 2009, 454 (All. 49)
CALÒ, La Cassazione e le convivenze omosessuali fra diritto e (discriminazione a) rovescio, in Foro italiano 2009, I, 2076 (All. 50)
NASCIMBENE, Unioni di fatto e matrimonio tra omosessuali. Orientamenti del giudice nazionale e della Corte di giustizia, in Corriere giuridico 2010, 101-107 (All. 51)
Note di commento ai provvedimenti del Tribunale di Latina e della Corte d’appello di Roma emessi nell’odierno giudizio:
BILOTTA, Matrimonio (gay) all’italiana, in La nuova giurisprudenza civile commentata 2006, 91 e ss. (All. 52)
BONINI BARALDI, Il matrimonio fra cittadini italiani dello stesso sesso contratto all’estero non è trascrivibile: inesistente, invalido o contrario all’ordine pubblico?, in Famiglia e diritto
2005, 418 e ss. (All. 53)
CAVANA, Sulla intrascrivibilità dell’atto di matrimonio validamente contratto all’estero da persone dello stesso sesso, in Il diritto di famiglia e delle persone 2005, 1268 e ss. (All. 54)
CORBETTA, Trascrizione del matrimonio tra cittadini italiani dello stesso sesso contratto all’estero e diritto internazionale privato, in Diritto, immigrazione e cittadinanza 2006, 36 (All. 55) ORLANDI, Matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso e sua efficacia giuridica in Italia, in Giurisprudenza di merito 2005, 2292 e ss. (All. 56)
SCHLESINGER, Matrimonio tra individui dello stesso sesso contratto all’estero, in Famiglia e diritto 2005, 415 e ss. (All. 57)
SESTA, Il matrimonio estero tra due cittadini italiani dello stesso sesso è trascrivibile in Italia?, in Famiglia e diritto 2007,
169-172 (All. 58)
Sull’argomento in generale:
AUTORINO STANZIONE (a cura di), Il diritto di famiglia, V, Torino,
2007, 25-40 (All. 59)
BALESTRA, L’evoluzione del diritto di famiglia e le molteplici
realtà affettive, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 2010, 1105-1134 (All. 60)
MONTAGNOLI, Sul rifiuto dell’ufficiale di stato civile di effettuare le pubblicazioni per un matrimonio tra omosessuali (nota ad App. Brescia, 2 luglio 2009, n. 69), in Rassegna dell’Avvocatura dello Stato 2010, 311-322 (All. 61)
PEDRAZZA GORLERO – FRANCO, La deriva concettuale della famiglia e
del matrimonio; note costituzionali, in Diritto pubblico 2010, 273-298 (All. 62)
PUTTI, Nuovi modelli di relazioni familiari tra prospettive di apertura ed esigenze di confronto, in Il diritto di famiglia e delle
persone 2009, I, 826-883 (All. 63)
Sul matrimonio dell’italiano all’estero e dello straniero in Italia:
COSCIA e VELLANO, Il matrimonio del cittadino italiano all’estero e del cittadino straniero in Italia, in Il nuovo diritto di famiglia a
cura di Ferrando, Bologna, 2007, 469-494 (All. 64)
NASCIMBENE, Il matrimonio del cittadino italiano all’estero e dello straniero in Italia, in Il diritto di famiglia a cura di Cattaneo e
Bonilini, I, Torino, 2007, 189-217 (All. 65)
In materia di ordine pubblico internazionale:
CAFARI PANICO, Lo straniero e l’ordinamento dello stato civile, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale 2007, 921-946 (All. 66)
CONTALDI, voce Ordine pubblico, in Diritto internazionale privato a cura di Baratta, Milano, 2010, 273-288 (All. 67)
LOTTI, L’ordine pubblico internazionale, Milano, 2005 (All. 68) MOSCONI-CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale, Torino, 2010, 246-269, 321-330 (All. 69)
Sui poteri dell’ufficiale di stato civile:
STANZIONE (a cura di), Il nuovo ordinamento dello stato civile, Milano 2001, 58-82, 255-271 (All. 70)
1 La sentenza ha ricevuto molte note di commento. Senza nessuna pretesa di completezza, si possono indicare: ROMBOLI, Il diritto “consentito” al matrimonio ed il diritto “garantito” alla vita familiare per le coppie omosessuali in una pronuncia in cui la Corte dice “troppo” e “troppo poco”, in Giur. cost. 2010, 1629-1642 (All. 44); PEZZINI, Il matrimonio same sex si potrà fare. La qualificazione della discrezionalità del legislatore nella sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale, in Giur. cost. 2010, 2715- 2727 (All. 42); TONDI DELLA MURA, Le coppie omosessuali fra il vincolo (elastico?) delle parole e l’artificio della “libertà”, in Dir. fam. e delle persone 2011, 3 (All. 45); GATTUSO, La Corte costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, in Famiglia e diritto 2010, 656-666 (All. 40); COLAIANNI, Matrimonio omosessuale e Costituzione, in Corriere giuridico 2010, 845-854 (All. 38); PINARDI, La Corte, il matrimonio omosessuale ed il fascino (eterno?) della tradizione, in Nuova giurisprudenza civile commentata 2010, II, 527-536 (All. 43); PALERMO, Uguaglianza e tradizione nel matrimonio: dall’adulterio alle unioni omosessuali, in Nuova giurisprudenza civile commentata 2010, II, 537-555 (All. 41); FIORINI, Un ulteriore ritardo nel varo di regole ad hoc rallenta il processo di integrazione europea, in Guida al diritto – Il sole 24 ore 2010, n. 19, 22-26 (All. 39).
2 La sentenza, nota come sentenza Schalk e Kopf, è pubblicata nell’originale in lingua inglese in Nuova giurisprudenza civile commentata 2010, I, 1137, con nota di WINKLER, Le famiglie
omosessuali nuovamente alla prova della Corte di Strasburgo, nonché, in versione italiana, nel sito Italgiure web della Corte di cassazione (la traduzione, non ufficiale, è a cura del Ministero della giustizia). Anche qui le note di commento non mancano; si vedano, tra le altre: REPETTO, Il matrimonio omosessuale al vaglio della Corte di Strasburgo, ovvero: la negazione “virtuosa” di un diritto, pubblicata nel sito web dell’Associazione italiana dei costituzionalisti (All. 48); CONTE, Profili costituzionali del riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali alla luce di una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Corriere giuridico 2011, 573-578 (All. 46); CONTI, Convergenze (inconsapevoli o … naturali) e contaminazioni tra giudice nazionali e Corte EDU:
a proposito del matrimonio di coppie omosessuali, in Corriere giuridico 2011, 579-587 (All. 47).
3 L’argomento viene ripreso anche più avanti, nei punti 105 e 108 della motivazione.
4 Per un inquadramento generale della normativa europea ed extraeuropea sull’argomento si possono indicare, fra gli altri, AUTORINO STANZIONE (a cura di), Il diritto di famiglia, V, Torino,
2007, 25-40 (All. 59); PEDRAZZA GORLERO-FRANCO, La deriva concettuale della famiglia e del matrimonio; note costituzionali, in
Diritto pubblico 2010, 273-298 (All. 62), dove, prendendo spunto dalla vicenda oggi all’esame della Corte di cassazione, si traccia una rapida sintesi della normativa di altri Paesi (282 e ss.);
PUTTI, Nuovi modelli di relazioni familiari tra prospettive di apertura ed esigenze di confronto, in Il diritto di famiglia e delle
persone 2009, I, 826-883 (All. 63), che contiene una ragionata e completa sintesi della situazione esistente.
5 V. PUTTI, op. cit., 854-860, ove sono ricostruite anche le principali tappe che hanno condotto all’approvazione della legge. 6 La vicenda è ricostruita da PASSAGLIA, Matrimonio ed unioni omosessuali in Europa: una panoramica, in Foro italiano 2010, IV, 273 e ss. (All. 10), in nota alla sentenza n. 121 del 2010 del Tribunale costituzionale portoghese, della quale è pubblicata una piccola sintesi di motivazione in italiano. Il testo integrale della pronuncia può leggersi, in lingua portoghese, nel sito www.tribunalconstitucional.pt, sotto la voce acord os. 7 V. in argomento AUTORINO STANZIONE, op. cit., 34 e ss.; PUTTI, op. cit., 860 e ss.
8 I limiti di questo scritto non consentono di dilungarsi nell’analisi della legislazione dei singoli Stati, come pure di affrontare il problema delle scelte compiute in questa materia in altre parti del mondo. Nella complessa realtà degli Stati Uniti d’America, ad esempio, solo alcuni Stati hanno aperto al matrimonio tra gli omosessuali, come l’Iowa, il New Hampsire, il Massachuttes, il Connecticut ed il Vermont. È del giugno 2011 la notizia, di fonte giornalistica, che anche lo Stato di New York ha liberalizzato i matrimoni tra omosessuali.
9 Per un quadro generale sugli istituti del matrimonio dell’italiano all’estero e dello straniero in Italia si possono leggere, tra gli altri, NASCIMBENE, Il matrimonio del cittadino italiano all’estero e dello straniero in Italia, in Il diritto di famiglia a cura di
Cattaneo e Bonilini, I, Torino, 2007, 189-217 (All. 65), nonché COSCIA e VELLANO, Il matrimonio del cittadino italiano all’estero e del cittadino straniero in Italia, in Il nuovo diritto di famiglia a
cura di Ferrando, Bologna, 2007, 469-494 (All. 64).
10 Militano con chiarezza in tal senso, tra gli altri, gli artt. 107 e 108 cod. civ., i quali prevedono la dichiarazione delle parti di prendersi rispettivamente “in marito e in moglie”, con una disposizione che è ribadita dall’art. 64, comma 1, lettera e), del d.P.R. n. 396 del 2000; gli artt. 143 e 143-bis cod. civ., dove si parla di marito e di moglie; l’art. 156-bis cod. civ. in tema di uso del cognome da parte della moglie; l’art. 235 cod. civ. in tema di azione di disconoscimento di paternità, dove pure ritorna il riferimento al marito e alla moglie, nonché l’art. 262 cod. civ. a proposito del cognome del figlio naturale riconosciuto. 11 Sul principio del favor matrimonii in relazione ad ordinamenti molto diversi dal nostro v. NASCIMBENE, op. cit., 196. 12 Nel caso oggetto di questa pronuncia, una cittadina dominicana si era sposata con un cittadino italiano a Santo Domingo; a seguito della trascrizione, poiché il marito risultava già sposato nel nostro Paese, era stata promossa l’azione penale per il reato di bigamia. La cittadina dominicana, però, sulla base del matrimonio celebrato all’estero aveva richiesto un permesso di soggiorno in Italia per motivi familiari, rifiutato dal Questore; e poiché il Prefetto aveva anche emesso un decreto di espulsione, la donna l’aveva impugnato davanti al Tribunale, che aveva confermato il provvedimento espulsivo. La Corte di cassazione, con la sentenza ora richiamata, accoglie il ricorso e cassa la sentenza del Tribunale, decidendo nel merito nel senso di annullare il decreto di espulsione sulla base della motivazione sopra sintetizzata.
13 In questo caso, infatti, si trattava di un matrimonio contratto da un cittadino israeliano con una cittadina italiana e celebrato davanti ad un rabbino (in Italia) senza il rispetto delle formalità previste nel nostro ordinamento per il matrimonio davanti ai ministri di un culto diverso da quello cattolico. La Corte d’appello aveva ritenuto che tale matrimonio potesse essere trascritto in Italia e la sentenza della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, evidenziando che un simile matrimonio è da ritenere certamente nullo, ma non inesistente, non potendosi negare la sussistenza dei requisiti minimi essenziali.
14 La sentenza è annotata, fra gli altri, da NASCIMBENE, Unioni di fatto e matrimonio tra omosessuali. Orientamenti del giudice nazionale e della Corte di giustizia, in Corriere giuridico 2010, 101-107 (All. 51); CALÒ, La Cassazione e le convivenze omosessuali fra diritto e (discriminazione a) rovescio, in Foro italiano 2009, I, 2076 (All. 50); ACIERNO, Ricongiungimento familiare per le coppie di fatto: la pronuncia della Cassazione, in Famiglia e diritto 2009,
454 (All. 49).
15 In generale, v. MEOLI, Della registrazione relativa agli atti di matrimonio, in STANZIONE (a cura di), Il nuovo ordinamento dello stato civile, Milano, 2001, 255-271 (All. 70).
16 Può essere utile richiamare, al riguardo, la sentenza 7 giugno 1993, n. 6363 (rv. 482701) (All. 37), benché avente ad oggetto una situazione del tutto diversa da quella odierna e, inoltre, relativa ad un contesto normativo diverso da quello attuale. In quel caso si discuteva dell’efficacia nel nostro ordinamento di un certificato di morte rilasciato dall’ufficiale di stato civile italiano sulla base della trascrizione di un atto di morte formato all’estero. La sentenza rileva che l’efficacia giuridica “degli atti di stato civile iscritti negli appositi registri si estende a quelli formati all’estero e poi trascritti nei suddetti registri, dato che, con la trascrizione e nel momento in cui essa avviene, l’atto stesso è recepito nell’ordinamento giuridico italiano”.
17 In tal senso v., tra gli altri, LOTTI, L’ordine pubblico internazionale, Milano, 2005, 42 (All. 68); CONTALDI, voce Ordine pubblico, in Diritto internazionale privato a cura di Baratta, Milano, 2010, 273 (All. 67), il quale parla di “meccanismi di salvaguardia nei confronti dell’ingresso indiscriminato di disposizioni provenienti da altri ordinamenti”.
18 L’art. 16, comma 2, innovando rispetto al passato, si pone il problema di stabilire quale legge debba essere applicata in caso di contrarietà all’ordine pubblico della legge straniera, disponendo che si applichi la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti e, in mancanza, quella italiana. V. sul punto MOSCONI-CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale, Torino, 2010, 259-260 (All. 69).
19 Interessante è, a questo riguardo, l’ampia ricostruzione compiuta nella citata sentenza n. 22332 del 2004.
20 La sentenza, inoltre, precisa che la valutazione circa il possibile contrasto con l’ordine pubblico – da compiere alla luce dell’art. 797, n. 7, cod. proc. civ., all’epoca vigente – è differente a seconda che le parti in causa siano cittadini italiani ovvero, come nella specie, entrambi stranieri, perché nel secondo caso l’ordine pubblico da considerare è quello internazionale. 21 È appena il caso di notare, per completezza, che il limite dell’ordine pubblico si trova frequentemente richiamato in giurisprudenza anche a proposito del giudizio di delibazione delle sentenze dei tribunali ecclesiastici in materia di nullità dei matrimoni religiosi trascritti. Tuttavia, secondo l’insegnamento contenuto nella sentenza delle Sezioni Unite 18 luglio 2008, n. 19809 (rv. 604843) (All. 34), in virtù della particolarità degli accordi intercorsi tra lo Stato italiano e la Santa Sede, l’abrogato art. 797 cod. proc. civ. è divenuto parte della convenzione, con la conseguenza che esso continua ad applicarsi, come regola speciale, rispetto al generale criterio di collegamento di cui all’art. 64 della legge n. 218 del 1995. Ne consegue che il relativo giudizio è rimasto, in sostanza, un giudizio di delibazione nel senso di cui alle abrogate norme del codice di rito, sicché l’ordine pubblico al quale il giudice deve fare riferimento è solo quello “italiano” e non anche quello “internazionale”. La sentenza, peraltro, ha cura di precisare che la violazione dell’ordine pubblico rilevante ai fini dell’efficacia delle sentenze ecclesiastiche è da considerare “in rapporto alla “specificità” dell’ordinamento canonico di cui al protocollo addizionale, e quindi la delibazione va negata soltanto se i giudici ecclesiastici abbiano dato rilievo a valori assolutamente incompatibili con quelli cogenti allo stesso fine, per la fattispecie cui la pronuncia si riferisce”. In concreto, la giurisprudenza ha negato ingresso a pronunce declaratorie di nullità in palese violazione con principi fondamentali del nostro ordinamento: v., tra le pronunce più recenti, Cass., 2 agosto 2007, n. 16999 (rv. 598638) (All. 33), Cass., 15 gennaio 2009, n. 814 (rv. 606097) (All. 35) e Cass., 20 gennaio 2011, n. 1343 (rv. 616119) (All. 36), quest’ultima in tema di convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio.

22 In particolare la sentenza n. 27592 del 2006, dopo aver ribadito la tradizionale distinzione tra ordine pubblico interno e ordine pubblico internazionale, afferma che il riconoscimento del figlio naturale costituisce un diritto primario del genitore, sicché non può darsi ingresso ad un ordinamento che nega in toto tale facoltà.

23 V. SCHLESINGER, Matrimonio tra individui dello stesso sesso contratto all’estero, in Famiglia e diritto 2005, 417 (nota di
commento al provvedimento emesso dal Tribunale di Latina nel procedimento oggi in esame) (All. 57), il quale lucidamente osserva che “se ai sensi dell’art. 115 c.c. e dell’art. 27 della legge n. 218/1995 il cittadino italiano è soggetto alle disposizioni contenute nel codice civile e le condizioni per contrarre matrimonio sono regolate anch’esse dalla legge italiana, e solo da questa, quando proprio questa sia comune ad entrambi i nubendi, non v’è ragione di dubitare che, benché contratto all’estero, il supposto “matrimonio” di cittadini italiani dello stesso sesso non può che restare “inesistente””, senza bisogno di “affrontare la delicata problematica volta a stabilire se e quando un atto sia da valutare contrario all’ordine pubblico”.
Sulla stessa linea sono anche CORBETTA, Trascrizione del matrimonio tra cittadini italiani dello stesso sesso contratto all’estero e diritto internazionale privato, in Diritto, immigrazione e cittadinanza 2006, 36 (All. 55); SESTA, Il matrimonio estero tra due cittadini italiani dello stesso sesso è trascrivibile in Italia?, in Famiglia e diritto 2007, 171 (nota al provvedimento della Corte d’appello di Roma impugnato nel ricorso odierno) (All. 58). 24 In tal senso v. LOTTI, op. cit., 43, 55, 57-60, ove si osserva che l’art. 16 della legge n. 218 del 1995 è “una clausola di esclusione della normativa di provenienza esterna che, altrimenti, sarebbe richiamata dalla norma di conflitto rilevante nel caso concreto”; MOSCONI-CAMPIGLIO, op. cit., 257; CAFARI PANICO, Lo straniero e l’ordinamento dello stato civile, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale 2007, 933-935 (All. 66).

25 Secondo MOSCONI-CAMPIGLIO, op. cit., 265-266, in tale categoria dovrebbero rientrare anche le norme sugli impedimenti matrimoniali di cui agli artt. 85-89 cod. civ. e, sia pure implicitamente, il fatto che il matrimonio possa considerarsi tale solo se contratto tra persone di sesso diverso.
26 Cfr. in proposito ROMBOLI, op. cit., 1640-1641; COLAIANNI, op. cit., 851; PINARDI, op. cit., 350, il quale rileva come il riconoscimento per cui le unioni omosessuali rientrano tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost. implica una sorta di vincolo per il Parlamento a legiferare in tal senso, perché l’esistenza di un diritto oggi “riconosciuto” implica che, in futuro, esso dovrà essere anche “garantito”.
27 Questo precedente è ricordato anche da ROMBOLI, op. cit., 1639-1640.
28 La vicenda, ricordata nel precedente paragrafo 4, delle due sentenze – solo apparentemente contraddittorie – emesse dal Tribunale costituzionale portoghese proprio nella materia del matrimonio omosessuale, conferma che la scelta del legislatore è stata avallata dal giudice delle leggi in entrambi i casi. 29 In tal senso v. BILOTTA, Matrimonio (gay) all’italiana, in La nuova giurisprudenza civile commentata 2006, 95 (nota di commento al provvedimento emesso dal Tribunale di Latina nel procedimento oggi in esame) (All. 52).
30 In senso contrario, infatti, v. CAVANA, Sulla intrascrivibilità dell’atto di matrimonio validamente contratto all’estero da persone dello stesso sesso, in Il diritto di famiglia e delle persone 2005,
1273, nota 6, con ulteriori richiami di dottrina (nota di commento al provvedimento emesso dal Tribunale di Latina nel procedimento oggi in esame) (All. 54).
31 V., tra le altre, la sentenza n. 445 del 2002 (All. 4) e, da ultimo, la sentenza n. 245 del 2011 (All. 7).