Corte di cassazione, quarta sezione penale, sentenza n. 36225 del 1 ottobre 2007

…omissis…

Il ricorso non è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte, riguardo alla struttura dell’elemento soggettivo dell’aberratio ictus monolesiva, afferma che, qualora per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa esterna all’intenzione dell’agente, venga offesa una persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, l’accertamento del dolo deve essere effettuato con riferimento alla persona nei cui confronti l’offesa era diretta e non già a quella a cui la stessa è stata cagionata (Cass., Sez. VI, 27 aprile 1994; ld., 6 marzo 1984, Buccino, in Giur. it, 1985, II, 49; e, con riferimento a un caso di omicidio, Cass., 10 febbraio 1981, Mignano, in Riv. pen., 1982, 37).

Ora è indubbio che la norma dell’art. 82 c.p. prevede che il fatto-reato effettivamente realizzato sia addebitato all’agente a titolo di dolo. Secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti, il dettato normativo non farebbe che confermare un principio generale: nella misura in cui la specifica identità del soggetto passivo o, comunque, la peculiarità dell’oggetto materiale risultino irrilevanti ai fini della tipicità, altrettanto irrilevante per l’affermazione del dolo sarebbe un errore concernente quella identità e quelle peculiarità.

Nel caso in esame il reato di molestie, pur essendo di natura contravvenzionale, possiede una struttura dolosa, come evidenziano le modalità di esecuzione della condotta penalmente rilevante (“col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo”) (cfr. Cass., Sez. V, 9 gennaio 1989, n. 2766, Adamo, in Gass. pen. mass, ann., 1991, p. 1230, n. 928; e, in data più recente, Cass., Sez. I, 11 febbraio 1992, n. 2314, Gerlini, ivi, 1993, p. 1434, n. 835).

Ad avviso del Pg ricorrente, pur risultando provato che l’O. non voleva molestare il minore C. F., persona diversa da quella a cui l’offesa era diretta, in virtù del disposto dell’art. 82 c.p., egli risponde del reato di molestie come se lo avesse commesso in danno della persona che voleva offendere.

Questa conclusione non convince.

Come ha messo in evidenza di recente una parte della dottrina, non esiste un principio generale come quello dianzi enunciato, sostenendosi in contrario che l’attribuzione all’agente dell’offesa alla persona diversa non può avvenire se non in applicazione delle norme comuni sul dolo, dal momento che, data l’indifferenza dei titolari specifici dei beni tutelati, è irrilevante che si volesse offendere A, se comunque si è offeso B. Si è in particolare affermato che, benché estraneo alla fattispecie normativa, la specificità del soggetto effettivamente preso di mira dall’agente non può considerarsi del tutto irrilevante in una ricostruzione del dolo che ne esalti la concreta dimensione psicologica. Gli artt. 43 e 47 c.p., e lo stesso canone di colpevolezza, impongono una nozione di dolo come rappresentazione e volontà del fatto storico realizzato, per cui, in caso di mutamento inopinato del soggetto passivo, sarebbe possibile tutt’al più un’imputazione colposa del reato realizzato, in concorso, se del caso, con un “tentativo” rispetto al fatto voluto (soluzione alla quale si perviene nell’ordinamento tedesco, dove non esiste una norma come quella dell’art. 82 c.p.). Non considerando, insomma, la specificità del soggetto effettivamente preso di mira dall’imputato (un amico da contattare nel contesto delle sue amicizie omosessuali), l’art. 82 c.p. e la particolare situazione di errore da esso prevista finirebbero per mascherare un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in contrasto col principio di colpevolezza sancito dall’art. 27 della Costituzione.

Tale impostazione, avuto riguardo alla specificità del caso concreto, che investe un reato contravvenzionale come quello di molestie che ha una caratterizzazione squisitamente personale ed è un reato a dolo specifico, va senz’altro condivisa, essendo quanto meno discutibile che ci si trovi in presenza di un caso di aberratio ictus.

Nella vicenda in esame, peraltro, è discutibile anche l’effettivo carattere molestatore dei messaggi a contenuto pornografico inviati dal ricorrente, avuto riguardo al loro vero destinatario.

Ne deriva che il tribunale monocratico di Genova ha correttamente assolto l’O. dall’imputazione ascrittagli per mancanza di dolo e la decisione resiste alle censure proposte dal PG ricorrente, che vanno perciò respinte.

P.Q.M.

La Corte, visti gli artt. 606, 616 c.p.p., rigetta il ricorso.