Corte costituzionale, sentenza del 12 luglio 1979 n. 98

composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente – Prof. EDOARDO VOLTERRA – Prof. GUIDO ASTUTI – Dott. MICHELE ROSSANO – Prof. LEOPOLDO ELIA – Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN – Avv. ORONZO REALE – Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – Avv. ALBERTO MALAGUGINI – Prof. LIVIO PALADIN – Dott. ARNALDO MACCARONE – Prof. ANTONIO LA PERGOLA – Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,

 ha pronunciato la seguente

 SENTENZA

 nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile) e dell’art. 454 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1976 dal tribunale di Livorno, nel procedimento civile vertente tra Lubrano di Scampamorte Riccardo e l’ufficiale di stato civile di Livorno, iscritta al n. 525 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 253 del 22 Settembre 1976.

 Udito nella camera di consiglio del 17 maggio 1979 il Giudice relatore Oronzo Reale.

 Ritenuto in fatto:

 Con ordinanza emessa in data 12 febbraio 1976, il tribunale di Livorno sollevava questione incidentale di legittimità costituzionale degli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile), e dell’art. 454 del codice civile, in relazione agli artt. 2 e 24 della Costituzione.

 Il detto tribunale era stato adito da tal Lubrano di Scampamorte Riccardo, il quale chiedeva di sentir dichiarare che, contrariamente alle risultanze del registro degli atti di nascita, nel quale egli era iscritto come persona di sesso maschile, esso attore era appartenente al sesso femminile; con conseguente ordine all’ufficiale di stato civile di Livorno di provvedere alle rettificazioni occorrenti.

 A sostegno delle proprie richieste, il Lubrano aveva esposto sostanzialmente due circostanze: l’aver egli, sin dalla prima infanzia, manifestato, in contrasto con le sue caratteristiche fisiche, tipicamente mascoline, una personalità psicologicamente femminile, esplicantesi in tendenze, attitudini e comportamenti propri di quel sesso; l’essersi, in prosieguo di tempo, sottoposto ad intervento chirurgico, eseguito a Casablanca, mediante il quale era stata praticata la castrazione e la rimozione del pene, con costituzione plastica di una vagina. Tutto ciò avrebbe reso possibile che egli, nell’ambiente familiare e sociale, fosse da tutti accettato come donna.

 Veniva disposta ed espletata consulenza medico-legale, le cui risultanze possono essere così riassunte: prima dell’intervento chirurgico di cui si è detto il Lubrano possedeva “tutti gli attributi somatici del sesso maschile”, cosa questa del resto confermata dalle determinazioni del sesso cromosomico. In particolare, allo stato, trattasi di soggetto dotato di “robusta costituzione scheletrica di tipo maschile”, recante al volto “minute tracce cicatriziali puntiformi riferibili a depilazione, con accenno a residua peluria al labbro superiore”.

 Per ciò che attiene agli organi genitali, si ebbe a rilevare che l’atto operatorio (praticato nel 1970) aveva comportato la trasformazione dei genitali esterni mediante asportazione dei testicoli e la costituzione di una pseudo vagina, previa rimozione dei corpi cavernosi del pene, in grado di consentire la copula, mentre non v’è traccia di “alcun organo o formazione che ricordi l’utero”.

 Peraltro, l’aspetto fisico esterno è attualmente tipicamente femminile, anche per effetto di depilazione e dell’azione di ormoni sulle mammelle.

 La relazione tecnica, sotto il profilo psichico, ha posto in chiara luce come ci si trovi di fronte a un caso di “transessualismo”, nel quale cioè nel soggetto è operante una profonda convinzione di appartenere al sesso opposto, con rifiuto degli attributi del sesso fisico di appartenenza, che sono sentiti come fonte di disgusto, ed una aspirazione ad essere inserito ed accettato nella società come persona di sesso opposto; e ciò a differenza degli omosessuali.

 Dagli esami psico-diagnostici emerge una personalità affettivamente coartata, immatura, labile, ansiosa, ma “conformizzata al ruolo culturale femminile”.

 La detta consulenza concludeva affermando che “la funzione di determinazione del sesso”, in casi di transessuale sottoposto ad intervento chirurgico, deve essere attribuita “ai caratteri esterni ed all’orientamento psichico, perché nella vita di relazione, principale espressione dell’attività umana, la differenza di sesso è data soprattutto dagli attributi esterni della persona, gli unici che consentono immediatamente di affermare se un determinato soggetto appartiene a un sesso oppure all’altro”.

 Su questa base medico-legale e di fatto, il tribunale ricordava come talvolta i giudici di merito avessero affermato che doveva essere riconosciuto giuridicamente il cambiamento di sesso quando, ancorché il mutamento dei caratteri sessuali fosse stato conseguenza di interventi medici e chirurgici, risultassero prevalenti, nel loro complesso, gli elementi del sesso diverso rispetto all’originale, sussistendo l’esigenza di adeguare il più possibile il sesso legale con quello reale.

 Peraltro, lo stesso tribunale evidenziava anche che la giurisprudenza della Corte di cassazione era chiaramente orientata in senso contrario all’accoglimento di istanze del genere. Secondo la Suprema Corte infatti, nessuna norma consentirebbe nel nostro ordinamento giuridico il riconoscimento legale della condizione sessuale femminile (con la conseguente annotazione nei registri dello stato civile) nel caso di soggetto già appartenente con certezza al sesso maschile, pur se psichicamente orientato dalla nascita come femminile, che, attraverso un’operazione di castrazione e di plastica, abbia assunto caratteri genitali esterni apparentemente femminili.

 Tale conclusione viene motivata in base alla considerazione che gli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238, prevedono l’eventuale rettificazione di un atto di nascita solo nell’ipotesi di errore materiale ricadente sull’identificazione sessuale della persona, dovuto ad erronea dichiarazione del denunziante, o a errore di scritturazione in cui sia incorso l’Ufficiale di stato civile nella redazione dell’atto.

 Peraltro, mentre nel contenuto precettivo delle norme in questione si fa rientrare anche l’ipotesi in cui intervengano modificazioni dei caratteri sessuali a seguito di evoluzione naturale, che rivelino una realtà sessuale diversa da quella accertata al momento del generico esame fatto alla nascita, si esclude che tra le ipotesi di errore sia compreso il caso di “modificazioni artificiali di un sesso definitivo” in ragione del fatto che in siffatta ipotesi l’accertamento effettuato al momento della nascita corrispondeva alla realtà; sicché non vi fu “quel contrasto tra apparenza e realtà che è il presupposto dell’errore”.

 Il Collegio remittente ritiene di dover condividere a pieno la suesposta interpretazione, siccome pienamente corrispondente al significato logico-letterale delle norme in questione; da ciò scaturirebbe come ovvia conseguenza che la domanda del Lubrano dovrebbe essere respinta.

 Passando però ancora in rassegna gli elementi di fatto addotti dall’attore a sostegno della sua domanda, il tribunale ritiene che emerga chiaramente come il Lubrano, sommerso da una grave situazione di conflitto agitantesi in lui fin dai suoi primi anni di vita, abbia obbedito a profonde ragioni, conseguite a una meditata analisi della sua identità sessuale (significativo il diario tenuto dall’attore, versato in atti), nel sottoporsi alla ricordata operazione.

 Da ciò deriverebbe che il diritto fatto valere dall’attore, e cioè quello alla identità sessuale, sia da annoverare come “diritto della personalità e quindi tra i diritti fondamentali ed inviolabili che l’art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce a tutti”. Tanto premesso, appare ingiusto, sotto il profilo sostanziale, che da parte dell’ordinamento non venga prevista tutela alcuna per la soluzione di un così grave problema, mentre lo stesso Collegio non ritiene manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238, e dell’art. 454 del codice civile, con riferimento agli artt. 2 e 24 della Costituzione, nella parte in cui, secondo l’interpretazione costante della Corte di cassazione, non ricomprendono nella tutela da dette norme accordata il diritto di ottenere la eventuale rettificazione dell’atto di nascita “nell’ipotesi di modificazioni artificiali di un sesso che facciano perdere ad un individuo le caratteristiche peculiari maschili ed acquistare quelle femminili esterne, qualora le modificazioni stesse trovino corrispondenza in una originaria, indiscutibile, personalità psichica di natura femminile”.

 L’ordinanza è stata ritualmente notificata e comunicata.

 Di fronte a questa Corte non vi è stata costituzione di parti né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

 Considerato in diritto:

 1. – Come si evince dalla narrativa, la Corte è chiamata a decidere se siano in contrasto con gli artt. 2 e 24 della Costituzione gli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238, e 454 del codice civile in quanto, secondo la costante interpretazione della Cassazione (che il giudice a quo condivide), escludono il diritto alla rettificazione dell’atto di nascita e alla attribuzione del sesso femminile “nell’ipotesi di modificazioni artificiali di un sesso che facciano perdere ad un individuo le caratteristiche peculiari maschili ed acquistare quelle femminili esterne, qualora le modificazioni stesse trovino corrispondenza in una originaria, indiscutibile, personalità psichica di natura femminile”.

 Lo stesso tribunale di Livorno, nell’ordinanza con la quale ha sollevato le dette questioni di legittimità costituzionale, riferisce che, dall’accertamento dei consulenti da esso tribunale nominati “è risultato che l’attore, prima dell’intervento chirurgico eseguito a Casablanca nel 1970, possedeva tutti gli attributi somatici del sesso maschile, ma una personalità psichica femminile e che l’atto operatorio aveva comportato la trasformazione dei genitali esterni mediante asportazione dei testicoli e la costituzione di una pseudo-vagina, previa rimozione dei corpi cavernosi del pene, in grado di consentire la copula assumendo un aspetto fisico esterno tipicamente femminile”.

 L’oggetto della garanzia costituzionale che, secondo il giudice a quo, le impugnate norme del codice civile e della legge sullo stato civile avrebbero violato, sarebbe il diritto alla “identità sessuale” quale altro fra i diritti inviolabili dell’uomo enunciati nell’art. 2 della Costituzione e tutelabili in giudizio in virtù dell’art. 24 della stessa.

 Rimangono dunque fuori dal thema decidendam la questione della (incontestata) libertà sessuale dell’attore nel giudizio a quo, e anche, quanto meno direttamente, la questione della liceità civile e penale dell’intervento chirurgico da lui subi’to a Casablanca.

 2. – Così delimitata la materia, la Corte ritiene che le norme costituzionali invocate non pongano fra i diritti inviolabili dell’uomo quello di far riconoscere e registrare un sesso esterno diverso dall’originario, acquisito con una trasformazione chirurgica per farlo corrispondere a una originaria personalità psichica.

 Posto, infatti, nei suoi termini reali, e perciò impropriamente definito come relativo al riconoscimento della “identità sessuale”, il problema, che non coinvolge, come si è detto, la libertà del comportamento sessuale, può suscitare in Italia, come in altri Paesi, l’attenzione del legislatore sulle sue possibilità di soluzione e i relativi limiti in ordine al matrimonio, che la Costituzione definisce fondamento della famiglia come “società naturale”, ma non può essere risolto in termini di costituzionalità delle norme impugnate.

 Infatti, nella costante interpretazione della Corte, l’invocato art. 2 della Costituzione, nel riconoscere i diritti inviolabili dell’uomo, che costituiscono patrimonio irretrattabile della sua personalità, deve essere ricollegato alle norme costituzionali concernenti singoli diritti e garanzie fondamentali (sentenze nn. 11/1956, 29/1962, 1, 29 e 37/1969, 102 e 238/1975), quanto meno nel senso che non esistono altri diritti fondamentali inviolabili che non siano necessariamente conseguenti a quelli costituzionalmente previsti.

 Ora dalla Costituzione non è possibile desumere una tutela di quel diritto cui richiamavasi l’attore in giudizio e che il giudice a quo – riconoscendolo sprovvisto di tutela nella legge ordinaria – ha ritenuto potesse essere compreso fra i diritti inviolabili dell’uomo.

 3. – Ne consegue la infondatezza del richiamo non solo all’art. 2, ma anche all’art. 24 della Costituzione: il quale ultimo garantisce la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti e interessi legittimi e non può quindi essere utilmente invocato dove si tratti, come nella specie, non della (incontestata) possibilità di azione, ma dell’esistenza o inesistenza del diritto sostanziale.

 per questi motivi

 LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 165 e 167 del r.d.l. 9 luglio 1939, n. 1238, e 454 del codice civile sollevata, con riferimento agli artt. 2 e 24 della Costituzione, dal tribunale di Livorno con l’ordinanza di cui in epigrafe.

 Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1979.

 F.to: LEONETTO AMADEI – EDOARDO VOLTERRA – GUIDO ASTUTI – MICHELE ROSSANO – LEOPOLDO ELIA – GUGLIELMO ROEHRSSEN – ORONZO REALE – BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI – ALBERTO MALAGUGINI – LIVIO PALADIN – ARNALDO MACCARONE – ANTONIO LA PERGOLA – VIRGILIO ANDRIOLI.

 GIOVANNI VITALE – Cancelliere