Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione prima, sentenza del del 23 ottobre2013

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9996 del 2012, proposto da:
B., rappresentato e difeso dagli avv. Francesco De Leonardis, Flavio Guidi, con domicilio eletto presso Francesco De Leonardis in Roma, via Fulcieri Paulucci de’ Calboli 9;
contro
Ministero Degli Affari Esteri, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Gen.Le Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
– della nota del Ministero degli affari esteri, DGRI, Ufficio II, n. MAE02623912012-10-12 del 22 ottobre 2012, recante rigetto della richiesta di rilascio del passaporto diplomatico in favore del sig. J.,
nonché per l’annullamento:
– della nota dello stesso Ministero, DGRI, Ufficio IX, del 24 settembre 2012, recante rigetto della richiesta di anticipo e rimborso delle spese di viaggio e di trasporto delle masserizie da Buenos Aires a New Delhi per una persona a carico;
– della nota MAE-SEDE -5019-P/240018, del 28 settembre 2012, recante accoglimento meramente parziale della richiesta relativa all’anticipo e successivo rimborso delle spese di viaggio e di trasporto delle masserizie;
– della nota DGRI-Ufficio X, n. MAE02514682012-10-10 del 10 ottobre 2012 e della nota DGRI-Ufficio X, n. MAE02683382012-10-29 del 29 ottobre 2012, recanti rigetto delle richieste di aumento di famiglia sull’indennità di prima sistemazione e sull’indennità di servizio estero.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero Degli Affari Esteri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2013 il dott. Alessandro Tomassetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
L’odierno ricorrente è un funzionario diplomatico del Ministero degli Affari Esteri che nell’ultimo quadriennio ha prestato servizio presso l’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires come Primo Consigliere Commerciale.
Terminato il quadriennio in Argentina, il ricorrente, a partire dal 26 novembre 2012, è stato destinato a prestare servizio in India presso l’Ambasciata d’Italia a New Delhi.
La normativa vigente riconosce in favore dei funzionari diplomatici chiamati a svolgere il proprio servizio fuori dal territorio nazionale:
– il rilascio del passaporto diplomatico (D.M. n. 4668 bis/1978);
– la corresponsione di una indennità di servizio estero consistente in una integrazione dello stipendio metropolitano (D.P.R. n. 18/1967);
– la corresponsione, in occasione del trasferimento, di un anticipo e, successivamente, del rimborso delle spese di trasporto delle masserizie e dei titoli di viaggio (D.P.R. n. 18/1967).
Al fine di garantire l’unità familiare, è prevista l’estensione dei predetti benefici anche in favore dei familiari del funzionario diplomatico. In particolare:
– il passaporto diplomatico, a norma dell’art. 8 del D.M. n. 4668 bis del 30 dicembre 1978 è rilasciato anche al coniuge;
– l’art. 173 del D.P.R. n. 18/1967 espressamente prevede un aumento della indennità di servizio estero nel caso in cui il “coniuge non eserciti attività lavorativa retribuita ovvero non goda di redditi di impresa o da lavoro autonomo”;
– l’anticipo sulle spese di trasporto delle masserizie e sui titoli di viaggio e, a consuntivo, il rimborso delle stesse è riconosciuto anche in favore del coniuge.
Deduce il ricorrente che lo stesso ed il Sig. J., conviventi già a far data dal 18 aprile 2006, hanno contratto matrimonio civile secondo l’ordinamento del Regno di Spagna senza mai chiedere la trascrizione in Italia.
Posto ciò, il dott. B. provvedeva a chiedere alla Amministrazione di appartenenza di riconoscere in favore del suo compagno sia la protezione diplomatica prevista per i funzionari diplomatici ed espressamente estesa ai loro familiari, sia i benefici economici aggiuntivi connessi al trasferimento di sede.
Con i provvedimenti impugnati il Ministero degli Affari Esteri rigettava le richieste della parte ricorrente.
Deduce il ricorrente la illegittimità degli atti impugnati per violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.
Si è costituita in giudizio la Amministrazione resistente deducendo la infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
Alla udienza del 23 ottobre 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
La presente controversia concerne l’estensione dei benefici previsti dalla normativa in tema di rilascio del passaporto diplomatico e di corresponsione di indennità di servizio estero e rimborso di somme scaturenti dal trasferimento del personale diplomatico anche in favore delle unioni extraconiugali, nella specie, tra persone dello stesso sesso.
Con i primi due motivi di ricorso l’odierno deduce la illegittimità degli atti impugnati per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 18/1967 e del D.M. n. 4668 bis/1978 oltre che per disparità di trattamento.
Le censure sono infondate.
Occorre evidenziare come la normativa applicabile sia costituita dall’art. 23 L. 21 novembre 1967, n. 1185 e dall’art. 8 D.M. n. 4668-bis del 30 dicembre 1978 con riguardo al rilascio del passaporto diplomatico, dagli artt. 170 e 171 D.P.R. n. 18 del 5 gennaio 1967 per ciò che concerne la corresponsione della indennità di servizio estero e dagli artt. 190, 193 e 199 D.P.R. n. 18 del 5 gennaio 1967 per quanto riguarda la corresponsione, in occasione del trasferimento, del rimborso per le spese di trasporto delle masserizie e dei titoli di viaggio.
Secondo la richiamata normativa, tutti i benefici in oggetto sono attribuiti, oltre che al funzionario diplomatico chiamato a svolgere il proprio servizio all’estero, anche al coniuge ed ai figli dello stesso.
Nessuna previsione normativa, tuttavia, prevede l’attribuzione dei benefici alle unioni di fatto extraconiugali
Sotto tale profilo, infatti, occorre precisare che l’intervenuto matrimonio in data 13 settembre 2012 tra l’odierno ricorrente ed il Sig. J. non può esplicare effetti nell’ambito dell’ordinamento italiano in considerazione del principio secondo cui “la diversità di sesso dei nubendi è – unitamente alla manifestazione di volontà matrimoniale dagli stessi espressa in presenza dell’ufficiale dello stato civile celebrante -, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, requisito minimo indispensabile per la stessa “esistenza” del matrimonio civile come atto giuridicamente rilevante (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 1808 del 1976, 1304 del 1990 cit., 1739 del 1999, 7877 del 2000)” [Cfr. Cass., Sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184, secondo cui “La diversità di sesso dei nubendi è, dunque, richiesta dalla legge per la stessa identificabilità giuridica dell’atto di matrimonio. Proprio di qui la conseguenza, condivisa dalla giurisprudenza di questa Corte e dalla prevalente dottrina, che l’atto mancante di questo requisito comporta la qualificazione di tale atto secondo la categoria non della sua validità, ma della sua stessa esistenza. Categoria, questa dell’inesistenza (la cui prima elaborazione risale ai canonisti medioevali, i quali consideravano appunto inesistente il matrimonio contratto da persone dello stesso sesso, perchè, pur in assenza di una norma positiva, contrario al concetto “naturale” del matrimonio), che consente, sul piano pratico, di impedire il dispiegamento di qualsiasi effetto giuridico dell’atto di matrimonio, sia pure meramente interinale, a differenza dell’atto di matrimonio nullo che, invece, tali effetti può, quantomeno interinalmente, produrre (cfr. artt. da 117 a 129 c.c.). Categorizzazione, inoltre, del tutto coerente con la premessa che l’atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, mancando di un requisito indispensabile per la sua stessa identificabilità come tale secondo la fattispecie astratta normativamente prefigurata, non è previsto dall’ordinamento e quindi, in questo senso, “non esiste”. Pertanto – sul piano delle norme, di rango primario o sub- primario, applicabili alla fattispecie in prima approssimazione -, alla specifica questione, consistente nello stabilire se due cittadini italiani dello stesso sesso, i quali abbiano contratto matrimonio all’estero, siano, o no, titolari del diritto alla trascrizione del relativo atto nel corrispondente registro dello stato civile italiano, deve darsi, in conformità con i su menzionati precedenti di questa Corte, risposta negativa. Al riguardo, deve essere infine precisato che, nella specie, l’intrascrivibilità di tale atto dipende non già dalla sua contrarietà all’ordine pubblico, ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 18, – come, invece, originariamente affermato dall’ufficiale dello stato civile di Latina a giustificazione del rifiuto di trascrizione, in conformità con le menzionate circolari emanate dal Ministero dell’interno -, ma dalla previa e più radicale ragione, riscontrabile anche dall’ufficiale dello stato civile in forza delle attribuzioni conferitegli (cfr., supra, n. 2.2), della sua non riconoscibilità come atto di matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano. Ciò che, conseguentemente, esime il Collegio dall’affrontare la diversa e delicata questione dell’eventuale intrascrivibilità di questo genere di atti per la loro contrarietà con l’ordine pubblico”].
Posto, dunque, che l’unione tra l’odierno ricorrente ed il Sig. J. appare qualificabile, secondo l’ordinamento giuridico italiano, quale unione di fatto, si pone il problema di individuare una possibile estensione dei benefici normativamente previsti anche a fattispecie di convivenza more uxorio.
Sotto tale profilo, occorre rilevare come la Corte di Cassazione ha osservato che “i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se – secondo la legislazione italiana – non possono far valere nè il diritto a contrarre matrimonio nè il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, tuttavia – a prescindere dall’intervento del legislatore in materia – quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e, in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle singole fattispecie, in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o del principio di ragionevolezza”.
Mentre, dunque, non sussiste una piena equiparazione dell’unione extraconiugale a quella coniugale, vi è, tuttavia, la possibilità di ottenere il riconoscimento di determinate situazioni giuridiche in relazione alla “tutela di altri diritti fondamentali”.
Ritiene il Collegio, tuttavia, che le posizioni giuridiche soggettive richieste dall’odierno ricorrente non possano confluire nella “tutela di altri diritti fondamentali” in considerazione, da un lato, della natura economica delle prestazioni vantate e, dall’altro, della possibilità che l’unione tra la coppia si esplichi altrimenti e pur in assenza del rilascio del passaporto diplomatico che, sotto il profilo lamentato dal ricorrente, consente unicamente l’ottenimento di benefici ulteriori rispetto al normale passaporto e, comunque, non tali da assurgere a diritto fondamentale dell’individuo.
I benefici oggetto delle istanze avanzate dall’odierno ricorrente, infatti, non appaiono tali da incidere sulla “unità familiare” e, conseguentemente, da giustificarne una estensione al di fuori delle ipotesi normativamente previste.
Con una terza censura il ricorrente deduce la violazione dell’art. 3 L. n. 241/1990 in relazione al difetto di motivazione degli atti impugnati.
La censura è infondata.
Osserva il Collegio come in tutti i provvedimenti impugnati l’Amministrazione abbia pienamente assolto all’obbligo di motivazione con l’espresso riferimento alle ragioni ostative all’accoglimento delle istanze; i provvedimenti di rigetto, infatti, fanno menzione delle condizioni necessarie all’ottenimento dei benefici e della assenza, nel caso concreto, delle condizioni previste dalla normativa ai fini del relativo accoglimento.
Quanto, infine, alla censura in merito alla violazione dell’obbligo di comunicazione del preavviso di rigetto della istanza, è sufficiente rilevare che l’art. 10 – bis , L. 7 agosto 1990 n. 241, in materia di partecipazione procedimentale, non deve essere interpretato in senso formalistico, ma deve aversi riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio, nel senso che la violazione dell’obbligo di preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza è inidonea di per sé a giustificare l’annullamento di un atto, non essendo consentito, ai sensi del successivo art. 21-octies , l’annullamento dei provvedimenti amministrativi, il cui contenuto – come nella fattispecie di cui all’odierno ricorso – non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Conseguentemente e per i motivi esposti il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:
Calogero Piscitello, Presidente
Angelo Gabbricci, Consigliere
Alessandro Tomassetti, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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