Tribunale di Catania, sentenza del 2 luglio 2008

nella causa civile iscritta al n. 532/2002 R.G.

promossa da

M. , nato a Catania il xxx, elett. Domicilio. in Catania, via xxx presso lo studio dell’avv. Giuseppe Lipera che lo rappresenta e difende per procura a margine della comparsa di costituzione di nuovo procuratore depositata in data 1/6/2005.

ATTORE

Contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’avvocatura distrettuale di Catania, con sede in Via Vecchia Ognina, domiciliataria

CONVENUTO

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’avvocatura distrettuale di Catania, con sede in Via Vecchia Ognina, domiciliataria.

CONVENUTO

Precisate le conclusioni all’udienza in data 04/07/2007, la causa veniva assunta in deliberazione ed indi decisa in esito al decorso, in data 07/11/2007, dei termini di cui all’art. 190 bis c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica, sospesi durante il periodo feriale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione, quivi di seguito fotostaticamente riprodotta, notificata per entrambi in data 25/1 /2002 M. conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Catania, il Ministero dei Trasporti ed il Ministero della Difesa:

(…)

Parte attrice provvedeva quindi alla tempestiva iscrizione della causa a ruolo in data 31/1/2002, mentre nessuno dei convenuti riteneva di costituirsi in giudizio.

In esito alla scansione processuale dal codice di rito prescritta e da parte attrice istata, venivano precisate le conclusioni alla udienza in data 31/5/2004. Indi, con ordinanza emanata in data 12/13 ottobre 2004, quivi di seguito fotostaticamente riprodotta, il Giudice Istruttore all’epoca assegnatario del processo, dott. La Mantia, restituiva la causa in istruzione:

(…)

In data 20/6/2005 si costituivano in giudizio i convenuti Ministero dei Trasporti e della Difesa con unica “memoria” quivi di seguito fotostaticamente riprodotta:

(…)

Acquisita la documentazione dalle parti prodotta, il nuovo giudice istruttore, odierno estensore, con il proprio provvedimento emanato in data 7-8/3/2006 invitava tra l’altro le parti a precisare le conclusioni alla udienza in data 4/7/2007 in esito alla quale, assunta la causa in deliberazione la decideva in esito al decorso, in data 7/11/2007, del termini dì cui all’art. 190 bis cpc per il deposito delle comparse conclusionali e memorie di replica, sospesi durante il periodo feriale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

All’uopo di sgomberare immediatamente il campo da possibili suggestioni argomentative, và qui ribadito in incipit quanto già evidenziato con il proprio complesso provvedimento emanato in data 7/8 marzo 2006, id est che, quella di cui al presente procedimento, è causa di “risarcimento del danno morale subito dall’attore” a causa dei comportamenti tenuti dalle amministrazioni convenute in violazione di legge nonché di diritti costituzionalmente protetti quale quello a non subire discriminazione sessuale, e dunque, di norme precettive della Costituzione della Repubblica istitutive di diritti che si assumono violati, e che il “danno morale” conseguente alle ingiuste lesioni di un interesse inerente alla persona costituzionalmente garantito “non è soggetto, ai fini della risarcibilità, al limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 cpc e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacchè il rinvio ai casi in cui la legge consente la separazione del danno non patrimoniale, ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, ove si consideri che il riconoscimento, nella costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica, implicitamente ma necessariamente ne esige la tutela, ed, in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale (Cass., 31 maggio 2003, n. 8828).

Tanto premesso, deve ora evidenziarsi che è rimasto accertato In giudizio che, l’odierno attore, M. , avendo proposto ricorso in data 16/3/2001 avverso la ritenuta “idoneità” al servizio militare, in occasione della visita “di leva” presso l’ospedale Militare di Augusta ove è stato trattenuto dal 5 al 6 giugno 2001, ha dichiarato dì essere omosessuale, avendo peraltro prodotto relazione psicologica del Servizio di psicologia USL 3 di Catania prot. n. 326/RAOI del 22/3/2001 nella quale si legge testualmente “al colloquio il ragazzo dichiara di essere omosessuale”; in particolare dalle “note cliniche” di cui al diario clinico del ricovero presso il detto Ospedale Militare risulta testualmente che il M. “Mette in atto atteggiamenti seduttivi. Durante il colloquio si atteggia a donna, ritocca il trucco, sorride spesso. Afferma di non poter effettuare il servizi di leva perché le “sue esigenze di privacy non verrebbero rispettate in un contesto di uomini”. Afferma di “vivere bene ” il suo “essere donna psicologico” in un “corpo da uomo “, di sentirsi accettato dall’ambiente familiare”. Lo stesso, definito nelle medesime note cliniche “soggetto lucido, collaborante” con “tratti di immaturità e di narcisismo” e risultato “all’esame psichico non turbe del pensiero e della percezione”, è stato “riformato ai sensi dell’art. 16/I del D.M. n. 114 del 4/4/2000” con esonero permanente dal servizio militare per “disturbo dell’identità sessuale

Orbene Marinferm di Augusta ha inviato l’esito dell’accertamento sanitario allo Ufficio Provinciale della motorizzazione civile di Catania, comunicando che il M.”è risultato non essere in possesso dei requisiti di idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta di automezzi”.

Orbene, con il provvedimento n. 1195 del 19/9/2001, “vista la comunicazione n. 0007791 del 12/6/01 Osp. M Aug. In data 19/9/2001, dalla quale risulta che la S. V, il giorno 6/5/2001 non in possesso dei requisiti d’idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta di automezzi” e “considerato che il suddetto comportamento di guida (sic)fa sorgere dubbi sulla persistenza nella S. V. dei requisiti di idoneità psicofisica prescritti per possesso della patente di guida”, l’Ufficio Provinciale della Motorizzazione civile di Catania ha disposto, ai sensi dell’art. 128 d.lgvo. n. 285/1992, “la revisione della patente di guida” dell’ odierno attore “mediante un nuovo esame di idoneità psico-fisica”.

Prima di dar conto degli esiti giurisdizionali amministrativi di siffatto provvedimento, ritiene il Giudice di quivi di seguito trascrivere le norme di riferimento:

art. 128 d. Igvo 30/4/1992, n. 285

l. Gli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri , nonché il prefetto nei casi previsti dall’art. 187, possono disporre che siano sottoposti a visita medica presso la commissione medica locale di cui all’art. 119, comma 4, o ad esame di idoneità i titolari di patente di guida qualora sorgano dubbi sulla persistenza nei medesimi dei requisiti fisici e psichici prescritti o dell’idoneità tecnica. L’esito del/a visita medica o dell’esame di idoneità sono comunicati ai competenti uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri per gli eventuali provvedimenti di sospensione o revoca della patente,

2. Chiunque circoli senza essersi sottoposto agli  accertamenti o esami     previsti dal comma l è soggetto alla sanzione amministrativa  del pagamento di una somma da Euro 74 a Euro 296. Alla stessa sanzione soggiace chiunque circoli nonostante sia stato dichiarato, a seguito dell’accertamento sanitario effettuato ai sensi del comma 1, temporaneamente inidoneo alla guida.

3. Dalle violazioni suddette consegue la sanzione amministrativa accessoria del ritiro della patente, secondo le norme del Capo I, Sezione II, del Titolo VI “

art. 119 a linea d. lgvo 30/4/1992, n. 285

“Non può ottenere la patente di guida o l’autorizzazione ad esercitarsi alla guida di cui all’art. /22, comma 2, chi sia affetto da malattia fisica o psichica, deficienza organica o minorazione psichica, anatomica o funzionale tale da impedire di condurre con sicurezza veicoli a motore, “

È ora venuto il momento di dar conto delle statuizioni del Giudice Amministrativo adito dall’odierno attore con ricorso cautelare e di merito avverso il superiore provvedimento.

Orbene, già con la propria ordinanza in data 11/16-1-2002 il TAR per la Sicilia, sez. dist. di Catania “anche tenendo conto del grave pregiudizio morale che da esso consegue in danno del ricorrente” sospendeva l’impugnato provvedimento n. 1195/19 del 19/9/2001; indi, con sentenza emanata in data 28/10-7/12/2005, riconosciuto “che il provvedimento impugnato è affetto dai vizi di violazione di legge denunciati” accoglieva il ricorso per l’annullamento dello stesso, condannando l’Amministrazione alle spese del giudizio. Evidenziava, del tutto condivisibilmente, in detta sentenza il Giudice Amministrativo, che, posto il contenuto degli artt. 128 e 119 del d. lgvo 30/4/1992, n. 285, “a sua volta, l’art. 320 del d.p.r. 16/12/1992, n. 495, recante il regolamento di esecuzione del codice della strada, nello specificare quali siano le malattie invalidanti, alla lettera E. Malattie Psichiche, elenca “malattie, traumatismi, postumi di interventi chirurgici sul sistema nervoso centrale o periferico o colpiti da ritardo mentale grave o che soffrono di psicosi o di turbe della personalità, quando tali condizioni non siano compatibili con la sicurezza della guida (etc’)”. Osserva il Collegio che l’omosessualità non rientra nella categoria di “malattia psichica” e, pertanto, non è inclusa in alcuna delle ipotesi considerate dal richiamato art. 320 del regolamento dì esecuzione del codice della strada. Questo TAR ha avuto già modo di affermare, in seno al! ‘ordinanza cautelare n. 159/2002, che le preferenze sessuali di un individuo non rientrano in nessuna delle nozioni della scienza medica che la norma prende in considerazione ai fini della capacità di guida e non rappresentano meno che mai “malattia psichica”, Nella memoria di costituzione in giudizio l’Amministrazione afferma – sì come d’altronde nella comparsa di pur tardiva costituzione nel presente giudizio dinnanzi al Tribunale Ordinario – che non in considerazione del semplice accertamento dell’omosessualità è stato adottato il provvedimento impugnato, ma per le “situazioni cliniche di sofferenza psichica” che emergevano dalla relazione prodotta dall’interessato a sostegno della richiesta di riforma dal servizio militare (ai sensi dell’art. 16 lettera i), nonché dall’esito della visita cui era stato sottoposto presso Marinferm di Augusta, nell’ambito del procedimento volto all’’accertamento della inidoneità alla prestazione del servizio militare. Afferma pertanto l’Amministrazione che il provvedimento impugnato è scaturito dalla riscontrata sussistenza di “patologie di tipo psichico “, (non meglio specificate ed individuate nominativamente) e non in considerazioni di valutazioni inerenti la mera sfera sessuale del ricorrente, Tale precisazione (integrazione) in giudizio della motivazione del provvedimento, quand’anche si voglia considerare ammissibile, non è tuttavia idonea a salvare il provvedimento dai vizi denunziati,.

Ammesso che l’Amministrazione si sia determinata ad adottare il provvedimento non in funzione dell’omosessualità del ricorrente, ma delle problematiche psichiche evidenziate nelle visite mediche, cui si fa riferimento nella difesa dell’Amministrazione, va osservato quanto segue. Le “turbe psichiche” o “della personalità” che la norma riportata prende in considerazione ai fini della idoneità alla guida devono essere di tal fatta da generare condizioni “non compatibili con la sicurezza della guida”. Al di là della facile constatazione che non è data riscontrare, alla lettura degli atti, alcuna “malattia psichica” specificamente individuata, invero, le affermazioni cosi generiche dell’Amministrazione non sono in alcun modo supportate dalla documentazione in atti. La relazione del servizio di psicologia della Azienda USL di Catania n. 3 del 22/3/2001, prodotta dallo stesso interessato all’Autorità militare a sostegno della richiesta di riforma dal servizio militare, evidenzia testualmente: “alla visita psicologica un atteggiamento collaborativi ed adeguato al contesto d’esame: Buone e integre appaiono le funzioni cognitive e la capacità di relazionarsi in maniera non difensiva. AL COLLOQUIO si evidenzia un funzionamento psichico consono all’età adolescenziale: emergono spunti critici ed oppositivi verso alcune regole e norme sociali; tendenza alla semplificazione dì alcuni aspetti della realtà sia interna che esterna ed alla formulazione di giudizi a volte dicotomici. Emergono ancora una positiva autoaccettazione, tuttavia molto centrata sulla propria corporeità prevalentemente in maniera estetica e limitate capacità introspettive.

All’esame psicodiagnostica si documentano capacità cognitive nella norma e pensiero sufficientemente mobile e fluido. Sul versante emotivo si evidenzia un ‘affettività non ancora matura e adattata con possibili tratti di impulsività. L’affettività più profonda rivela sentimenti di fragilità ed insicurezza e timori, non consapevoli, di contatto con l’ambiente, che il soggetto tende a fronteggiare attraverso l’ipervalutazione narcisistica di sé ed attraverso un iperattivismo forse compensatorio a timori depressivi. In conclusione, dall’anamnesi, dal colloquio e dalle risultanze psicodiagnostiche emerge come il vissuto del ragazzo rispetto all’ambiente esterno sia quello di un contenitore accettante, protettivo ed aproblematico. Se ciò lo ha aiutato a vivere serenamente la propria identità sessuale, si ritiene che l’impatto con ambienti e modi di pensare differenti dal vissuto esperienziale del soggetto potrebbe anche a causa della sua insicurezza e non piena maturità affettiva non essere adeguatamente fronteggiato e causare problematiche disadattative di tipo depressivo”. Le conclusioni della relazione medica della Azienda USL n. 3 non evidenziano, dunque, una “malattia psichica “, come richiedono le norme sopra richiamate ai fini della incapacità di guida e neppure quel  “quadro psicologico grave” di cui l’Amministrazione nella memoria di costituzione in giudizio. Tutt’al più, nella parte finale della relazione medica, compare qualche perplessità riguardo “la maturità affettiva” del ricorrente che potrebbe dar luogo a “problematiche di disadattamento all’ambiente “, che, in quanto tali, se possono assumere una qualche rilevanza ai fini della valutazione concernente l’idoneità del soggetto a prestare servizio di leva e, dunque, ad integrarsi e re/azionarsi in un ambiente esclusivamente maschile, per giunta con regole comportamentali proprie e caratteristiche della vita militare) nessuna rilevanza possono assumere quelle stesse problematiche rispetto alla valutazione della “idoneità” alla guida di un autoveicolo, che notoriamente non richiede alcun tipo di capacità affettivo-relazionale. Si aggiunga cha dal diario clinico dell’Ospedale Militare di Augusta si legge: “(omissis) All’esame psichico non turbe del pensiero e della percezione. Diagnosi: disturbo dell’identità sessuale”, Dunque, in modo chiaro, neppure da tale accertamento clinico, risulta alcuna patologia di tipo psichico”.

Ciò posto rileva il Giudice che i comportamenti tenuti dall’Amministrazione appaiono in evidente discriminazione sessuale del M. e in evidente dispregio dei principi costituzionali, immediatamente precettivi, a tenore dei quali art. 2 “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; art. 3 a linea “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” postocchè, inoltre, art. 3 cpv “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Ergo, l’art. 3 Cost. protegge l’individuo da qualunque discriminazione legata all’orientamento sessuale; cfr. anche gli artt. 8 e 14 della convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, nonché la risoluzione del parlamento europeo del 8 febbraio 1994 sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità; con detta risoluzione il Parlamento europeo, ha consacrato il fine della progressiva equiparazione, sotto ogni aspetto della vita economica e sociale, degli individui omosessuali, con l’intento di perseguire formalmente l’obiettivo della sostanziale eguaglianza delle persone, indipendentemente dalle loro inclinazioni sessuali e in linea alta condanna di ogni discriminazione in ragione di sesso, lingua, religione, ceto sociale, ecc. Con sentenza pronunciata a Strasburgo il 21 dicembre 1999 (caso Salgueiro da Silva Mouta) la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sanzionato il Portogallo, ritenendo che il diniego da parte dei giudici portoghesi di affidare il figlio al genitore omosessuale costituisse discriminazione e violasse gli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Deve poi considerarsi che, come è stato detto “l’omosessualità infatti, e beninteso, è una condizione personale, e non certo una patologia, cosi come le condotte\relazioni omosessuali non presentano, di per sé, alcun fattore di rischio o di disvalore giuridico, rispetto a quelle eterosessuali.” L’omosessualità si pone – ai fini che qui interessano – in termini non diversi dalle opzioni politiche, culturali e religiose, che pure, ai detti fini, sono di per sé irrilevanti; e ciò è tanto più vero in relazione ad una Amministrazione dello Stato che, nella sua massima articolazione Repubblicana ha il compito, specificamente assegnatogli dalla Costituzione, di “rimuovere gli ostacoli di ordine sociale” e, tra questi, le antiche prevenzioni verso l’omosessualità, “che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Come invero affermato anche recentissimamente dalla Suprema Corte “è del tutto condivisibile l’affermazione … secondo la quale l’omosessualità và riconosciuta “come condizione dell’uomo degna di tutela, in conformità ai precetti costituzionali”, assunto da cui discende che la libertà sessuale va “intesa anche come libertà di vivere senza condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze sessuali” in quanto espressione del diritto alla realizzazione della propria personalità, tutelato dall’art 2 Cost:” (così, in termini, Cass., 25 luglio 2007, n. 16417).

Siffatti comportamenti di entrambe le amministrazioni – quella della Difesa per avere Marinferm di Augusta inviato l’esito dell’accertamento sanitario e relativa documentazione allo Ufficio Provinciale della motorizzazione civile di Catania, comunicando che il M. “è risultato non essere in possesso dei requisiti di idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta di automezzi”, e quella dei Trasporti per avere l’Ufficio Provinciale della Motorizzazione civile di Catania con il provvedimento n. 1195 del 19/9/200 l, “vista la comunicazione n. 0007791 del 12/6/01 Osp. M. Aug. In data 19/9/2001, dalla quale risulta che la S. V, il giorno 6/5/2001 non in possesso dei requisiti d’idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta di automezzi” e “considerato che il suddetto comportamento di guida (sic)fa sorgere dubbi sulla persistenza nella S. V. dei requisiti di idoneità psicofisica prescritti per possesso della patente di guida”, disposto, ai sensi dell’art. 128 d.lgvo. n. 285/1992, “la revisione della patente di guida” dell’ odierno attore “mediante un nuovo esame di idoneità psico-fisica” – ove pur non dolosi, certamente e gravissimamente colposi, dal momento che non è affatto vero che il M. era risultato, all’esito del ricovero presso l’Ospedale militare di Augusta, “non in possesso dei requisiti di idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta di automezzi” e che, entrambi i “provvedimenti” sopra mentovati sono affatto privi di qualsivoglìa specifica motivazione, accedendo, dunque, direttamente a quell’esito diagnostico di “disturbo della identità sessuale” formulato dall’Ospedale Militare di Augusta ed alla stregua del quale il M. è stato riformato – hanno cagionato al M. un grave danno costituito dalla grave sofferenza morale (l’esistenza di “grave pregiudizio morale” che dall’impugnato provvedimento n. 1195/19 de] 19/9/2001 “consegue in danno del ricorrente”, specificamente riconosce il TAR già con la propria ordinanza in data 11/16- I -2002 di sospensione dello stesso) cagionata dalla umiliante discriminazione subita proprio da parte dell’Amministrazione che, al contrario, attesi la sua soggezione alla legge ed i suoi doveri di “imparzialità”, ha, anzitutto il dovere di agire nel pieno rispetto della prima e nello assoluto diniego di ogni discriminazione, ed indi, nella sua massima articolazione Repubblicana, il compito, specificamente assegnatogli dalla Costituzione, di “rimuovere gli ostacoli di ordine sociale” e, tra questi, le antiche prevenzioni verso l’omosessualità, “che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Il comportamento delle due Amministrazioni ha, invero, gravemente offeso ed oltraggiato la personalità del M. in uno dei suoi aspetti più sensibili ed ha in più indotto nello stesso un grave sentimento di sfiducia nei confronti dello Stato, percepito non soltanto come “abbandonico”, ma, vieppiù, come vessatorio nella deprivazione di una particolarissima occasione per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno.

Alla difesa delle Amministrazioni convenute che, nella propria comparsa di risposta depositata in data 20/6/2005, ha ritenuto di affermare che “la nota della Motorizzazione civile di Catania che invita il M. a proporre istanza per essere sottoposto a visita da parte della competente Commissione” (all’uopo di evitare equivoci terminologici deve rammentare il Giudice che trattasi del provvedimento n. 1195 del 19/9/2001, con il quale, “vista la comunicazione n. 0007791 del 12/6/01 Osp M. Aug. In data 19/9/2001, dalla quale risulta che la S. V, il giorno 6/5/2001 non in possesso dei requisiti d’idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta di automezzi” e “considerato che il suddetto comportamento di guida (sic)fa sorgere dubbi sulla persistenza nella S. V dei requisiti di idoneità psicofisica prescritti per possesso della patente di guida”, l’Ufficio Provinciale della Motorizzazione civile di Catania ha disposto, ai sensi dell’art. 128 d.lgvo. n. 285/1992, “la revisione della patente di guida” dell’odierno attore “mediante un nuovo esame di idoneità psico-fisica”) “non ha avuto alcun effetto concreto. L’attore non ha mai avanzato istanza per la sottoposizione a visita, non è mai stato visitato, e, soprattutto, ha sempre conservato la patente di guida, di cui è ancora oggi in possesso”, risulta documentalmente smentita dalla produzione in giudizio da parte del M. di copia del “certificato medico” della Commissione Medica Locale di Catania patenti di guida per Revisione M.C.T.C. rilasciato il 12/11/2001 dal quale risulta non soltanto che il M. si è sottoposto a visita come prescritto con il superiore provvedimento, ma che lo stesso è stato riconosciuto idoneo solo “per anni uno”, pur in assenza di patologie od anche semplici disturbi fisici o psichici, invero non risultanti dal detto certificato nel quale persino le “reazioni della personalità” vengono definite “normali”, ed Id assenza di qualsivoglia motivazione; che, dunque, per relationem, deve ritenersi il “disturbo della identità sessuale” quivi divenuto cronologicamente limitativo della idoneità alla guida.

Né sarà inutile rammentare alla difesa delle Amministrazioni convenute il sopratrascritto disposto di cui all’ art. 128 d. lgvo 30/4/1992, n. 285

“1.         gli uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri, nonché il prefetto nei casi previsti dall’art. 187 possono disporre che siano sottoposti a visita medica presso la commissione medica locale di cui all’art. 119. Comma 4, o ad esame di idoneità i titolari di patente di guida qualora sorgano dubbi sulla persistenza nei medesimi de i requisiti fisici e psichici prescritti o dell’idoneità tecnica. L ‘esito della visita medica o dell’esame di idoneità sono comunicati ai competenti uffici competenti del Dipartimento per i trasporti terrestri per gli eventuali provvedimenti di sospensione o revoca della patente.

. 2. Chiunque circoli senza essersi sottoposto agli accertamenti o esami previsti dal comma l è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da Euro 74 a Euro 296. Alla stessa sanzione soggiace chiunque circoli nonostante sia stato dichiarato, a seguito dell’accertamento sanitario effettuato ai sensi del comma 1, temporaneamente inidoneo alla guida.

3. Dalle violazioni suddette consegue la sanzione amministrativa accessoria del ritiro della patente, secondo le norme del Capo l, Sezione Ii, del Titolo VI

Ergo il M. è stato costretto dalla forza cogente del superiore provvedimento, gravemente sanzionato, n. 1195 del 19/9/2001, con il quale, “vista la comunicazione n. 0007791 del 12/6/01 Osp. M Aug. in data 19/9/2001, dalla quale risulta che la S. V, il giorno 6/5/2001 non in possesso dei requisiti d’idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta di automezzi” e “considerato che il suddetto comportamento di guida (sic) fa sorgere dubbi sulla persistenza nella S. V dei requisiti di idoneità psicofisica prescritti per possesso della patente di guida“, l’Ufficio Provinciale della Motorizzazione civile di Catania ha disposto, ai sensi dell ‘art. 128 d.lgvo. n. 285/1992, “la revisione della patente di guida” dell’odierno attore “mediante un nuovo esame di idoneità psico­ fisica”, a sottoporsi al mortificante, illegittimo e discriminante controllo di idoneità alla guida, al quale pure, nel rispetto delle regole, non ha ritenuto di sottrarsi, come affatto infondatamente e contro il vero affermato dalle Amministrazioni convenute nella loro comparsa di risposta nel presente procedimento depositata il 20/5/2005.

Ed, ancora una volta, ha subito il mortificante, illegittimo e discriminante comportamento dell’Amministrazione che, lo stesso, ha riconosciuto idoneo solo “per anni uno”, pur in assenza di patologie od anche semplici disturbi fisici o psichici, invero non risultanti dal detto certificato nel quale persino le “reazioni delta personalità” vengono definite “normali”, ed in assenza di qualsivoglia motivazione; che, dunque, per relationem, deve ritenersi il “disturbo della identità sessuale” quivi divenuto cronologicamente limitativo della idoneità alla guida.

Un ultimo profilo deve essere esaminato, premettendo il testo delle norme di riferimento:

art. 1 legge 31/12/] 996, n. 675 “Finalità e definizioni.

1. La presente legge garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonchè della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale; garantisce altresì i diritti delle persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione.

2. Ai fini della presente legge si intende:

a) Per “banca di dati”, qualsiasi complesso di dati personali, ripartito in una o più unità dislocate in uno o più siti, organizzato secondo una pluralità di criteri determinati tali da facilitarne il trattamento;

b) per “trattamento”, qualunque operazione o complesso di operazioni, svolti con o senza l’ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati:

c) per “dato personale”, qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale;

d) per “titolare”, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo cui competono le decisioni in ordine alle finalità ed alle modalità del trattamento di dati personali, ivi compreso il profilo della sicurezza;

e) per “responsabile”, la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione od organismo preposti dal titolare al trattamento di dati personali;

j) per “interessato”, la persona fisica, la persona giuridica, l’ente o l’associazione cui si riferiscono i dati personali;

g) per “comunicazione”, il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall’interessato, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione;

h) per “diffusione”, il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa disposizione o consultazione;

i) per “dato anonimo “, il dato che 111 origine, o a seguito di trattamento, non può essere associato ad un interessato identificato o identificabile;

I) per “blocco’~, la conservazione di dati personali con sospensione temporanea di ogni altra operazione del trattamento;

m) per “Garante”, l’autorità istituita ai sensi dell’art. 30.”

1. I dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere; religioso, filosofico, politico o sindacale, nonchè i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante.

2. Il Garante comunica la decisione adottata sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni, decorsi i quali la mancata pronuncia equivale a rigetto. Con il provvedimento di autorizzazione, ovvero successivamente, anche sulla base di eventuali verifiche. il Garante può prescrivere misure e accorgimenti a garanzia dell’interessato, che il titolare del trattamento è tenuto ad adottare.

3. Il trattamento dei dati indicati al comma l da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale siano specificati i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le rilevanti finalità di interesse pubblico perseguite.

4. I dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale possono essere oggetto di trattamento previa autorizzazione del Garante, qualora il trattamento sia necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni di cui all’art 38 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 e successive modificazioni, o, comunque, per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto di rango pari a quello dell’interessato, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Il Garante prescrive le misure e gli accorgimenti di cui al comma 2 e promuove la sottoscrizione di un apposito codice di deontologia e di buona condotta secondo le modalità di cui all’art. 31, comma 1. lettera h). Resta fermo quanto previsto dall’art. 43, comma 2.”

art. 27 – Trattamento da parte di soggetti pubblici.

1. Salvo quanto previsto al comma 2, il trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti.

2. La comunicazione. e la diffusione a soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, dei dati trattati sono ammesse quando siano previste da norme di Legge o di regolamento, o risultino comunque necessarie per lo svolgimento delle funzioni istituzionali. In tale ultimo caso deve esserne data previa comunicazione nei modi di cui all’art. 7, commi 2 e 3 al Garante che vieta, con provvedimento motivato, la comunicazione o la diffusione se risultano violate le disposizioni della presente legge.

3. La comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento.

4. f criteri di. organizzazione delle amministrazioni pubbliche dì cui all’art. 5 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, sono attuati nel pieno rispetto delle disposizioni della presente legge.”

Orbene, i descritti comportamenti dell’Amministrazione gravemente violano anche il combinato disposto di siffatte norme dal momento che, come detto, non è affatto vero che il M. era risultato, all’esito del ricovero presso l’Ospedale militare di Augusta, “non in possesso dei requisiti di idoneità psicofisica legalmente richiesti per la condotta di automezzi” .

Per non mancare, poi – pur attesa l’evidenza lapalissiana della presente fattispecie – d’argomentazione in punto di responsabilità aquiliana della Pubblica Amministrazione, basterà evidenziare che, già con la propria sentenza n. 500 resa a Sezioni Unite in data 22/7/1999 la Suprema Corte rilevava che “È noto che l’opinione tradizionale, formatasi dopo l’entrata in vigore del codice civile del 1942, secondo la quale la responsabilità aquiliana si configura come sanzione di un illecito, si fonda sulle seguenti affermazioni: l’art. 2043 c.c. prevede l’obbligo del risarcimento del danno quale sanzione per una condotta che si qualifica come illecita, sia perché contrassegnata dal/a colpa del suo autore, sia perché lesiva di una posizione giuridica della vittima tutelata erga omnes da altra norma primaria; l’ingiustizia menzionata dall’art. 2043 c.c. è male riferita al danno, dovendo piuttosto essere considerala attribuito della condotta, ed identificata con l’illiceità. da intendersi nel duplice senso suindicato; la responsabilità aquiliana (*) postula quindi che il danno inferto presenti la duplice caratteristica di essere contra ius, e cioè lesivo di un diritto soggettivo (assoluto), e non iure, e cioè derivante da un comportamento non giustificato da altra norma. In senso contrario, aderendo ai rilievi critici che la dottrina assolutamente prevalente ha mosso alle suindicate affermazioni, può tuttavia osservarsi, per un verso, che non emerge dal tenore letterale dell’art 2043 c.c, che oggetto della tutela risarcitoria sia esclusivamente il diritto soggettivo (e tantomeno il diritto assoluto, come ha convenuto la giurisprudenza di questa S. C. con la sentenza n. 174-71, con orientamento divenuto poi costante); per altro verso, che la scissione della formula “danno ingiusto”, per riferire l’aggettivazione alla condotta, costituisce indubbia forzatura della lettera della norma, secondo la quale l’ingiustizia è requisito del danno. Non può negarsi che nella disposizione in esame risulta netta la centralità del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia “ingiusto”, mentre la colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata da dolo o colpa) attiene all’imputabilità della responsabilità.

L’area della risarcibilità non è quindi definita da altre norme recanti divieti e quindi costitutive di diritti (con conseguente tipicità dell’illecito in quanto fatto lesivo di ben determinate situazioni ritenute dal legislatore meritevoli di tutela), bensì da una clausola generale, espressa dalla formula “danno ingiusto “. In virtù della quale è risarcibile il danno che presenta le caratteristiche dell’ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, da ravvisarsi nel danno inferto in difetto di una causa di giustificazione (non iure), che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento (altra opinione ricollega l’ingiustizia del danno alla violazione del limite costituzionale di solidarietà, desumibile dagli artt. 2 e 41, comma 2, Cost., in riferimento a preesistenti situazioni del soggetto danneggiato giuridicamente rilevanti, e sotto tale ultimo profilo le tesi sostanzialmente convergono). Ne consegue che la norma sulla responsabilità aquiliana non è norma (secondaria), volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme (primarie), bensì norma (primaria) volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui,

In definitiva, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana (*) non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione alla ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante. Quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori: caratteristica del fatto illecito delineato dall’art. 2043 c.c. inteso nei sensi su indicati come norma primaria di protezione, è infatti la sua atipicità. Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela ex art. 2043 C.C., è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, poiché solo la lesione di un interesse siffatto può dare luogo ad un “danno ingiusto”, ed a tanto provvederà istituendo un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell’interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell’interesse che il comportamento lesivo dell’autore del fatto è volto a perseguire. al fine di accertare se il sacrificio dell’interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell’autore della condotta, in ragione della sua prevalenza.

Comparazione e valutazione che, è bene precisarlo, non sono rimesse alla discrezionalità del giudice, ma che vanno condotte alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensità, l’ordinamento assicura tutela all’interesse del danneggiato, con disposizioni specifiche (così risolvendo in radice il conflitto, come avviene nel caso di interesse protetto nella forma del diritto soggettivo, soprattutto quando si tratta di diritti costituzionalmente garantiti o di diritti della personalità), ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili (diversi dalla tutela risarcitoria}, manifestando così una esigenza di protezione (nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse è affidata alla decisione del giudice, che dovrà stabilire se si è verificata una rottura del “giusto” equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo mediante il risarcimento). In particolare, nel caso (che qui interessa) di conflitto tra interesse individuale perseguito dal privato ed interesse ultra individuale perseguito dalla P.A., la soluzione non è senz’altro determinata dalla diversa qualità dei contrapposti interessi, poiché la prevalenza dell’interesse ultraindividuale con correlativo sacrificio di quello individuale, può verificarsi soltanto se l’azione amministrativa è conforme ai principi di Legalità e di buona amministrazione, e non anche quando è contraria a tali principi (ed è contrassegnata, oltre che da illegittimità, anche dal dolo o dalla colpa, come più avanti si vedrà). 9. Una volta stabilito che la normativa sulla responsabilità aquiliana ha funzione dì riparazione del “danno ingiusto”, e che è ingiusto il danno che l’ordinamento non può tollerare che rimanga a carico della vittima, ma che va trasferito sull’autore del fatto, in quanto lesivo di interessi giuridicamente rilevanti, quale che sia la loro qualificazione formale, ed in particolare senza che assuma rilievo determinante la loro qualificazione in termini di diritto soggettivo, risulta superata in radice, per il venir meno del suo presupposto formale, lo tesi che nega la risarcibilità degli interessi legittimi quale corollario della tradizionale lettura dell’art. 2043 c. c. La lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse (non di mero fatto ma) giuridicamente rilevante, rientra infatti nella fattispecie della responsabilità aquiliana solo al fini della qualificazione del danno come ingiusto. Ciò non equivale certamente ad affermare la indiscriminata risarcibilità degli interessi legittimi come categoria generale. Potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. In altri termini, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accede per le missioni si presentò capito re alla tutela risarcitoria si è x art. 2043 c.c. poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo.

Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all’illegittimo esercizio del potere. Così confermando, nel risultato al quale si perviene, il precedente orientamento, qualora il detto interesse sia tutelato nelle forme del diritto soggettivo, ma ampliandone la portata nell’ipotesi in cui siffatta forma di tutela piena non sia ravvisabile e tuttavia l’interesse risulti giuridicamente rilevante nei sensi su indicati. Circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovrà invece vagliarsi la consistenza della protezione che l’ordinamento riserva alle istanze di ampliamento del! sfera giuridica del pretendente. Valutazione che implica un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tute/abile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio dì normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta. 10. Occorre ora chiedersi quali conseguenze comporta la nuova lettura della normativa sulla responsabilità aquiliana In tema di riparto di giurisdizione.

La questione, dovendo La Corte pronunciarsi nell’ambito di un giudizio pendente alla data del 30.6.1998, va esaminata con riferimento alla disciplina vigente, in tema di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, che ha introdotto le già richiamate significative innovazioni circa il criterio di riparto. La nuova normativa trova infatti applicazione, secondo quando prevede la disciplina transitoria dettata dall’art. 45, comma 18, in relazione alle controversie di cui agli artt. 33 e 34 instaurate a partire dal 1. 7.1998, mentre resta ferma la giurisdizione prevista dalla precedente normativa per i giudizi pendenti alla data del 30.6.1998.

Ora, ritengono queste S.U. che, alla stregua della nuova lettura dell’art. 2043 c.c., va senz’altro confermato, con le necessarie precisazioni, l’indirizzo secondo il quale non dà luogo a questione di giurisdizione, ma attiene al merito, la contestazione circa la risarcibilità degli interessi legittimi.

Deve infatti ribadirsi, ai fini del giudizio sulla giurisdizione, in relazione ai giudizi pendenti alla data del 30.6.1998: a) che l’azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene è proposta davanti al giudice ordinario, quale giudice al quale spetta, in linea di principio (secondo il previgente ordinamento), la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo, poiché tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che è distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto (che può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo, nelle sue varie configurazioni correlate alle diverse forme della protezione, o di interesse comunque rilevante per l’ordinamento): b) che stabilire se la fattispecie di responsabilità della P.A. per atti o provvedimenti illegittimi dedotta in giudizio sia riconducibile nel paradigma dell’art. 2043 C.C., secondo la nuova lettura, costituisce questione di merito, atteso che l’eventuale incidenza della lesione su una posizione dì interesse legittimo non deve essere valutata ai fini della giurisdizione, bensì ai fini della qualificazione del danno come ingiusto, in quanto lesivo di un interesse giuridicamente rilevante; c) che una questione di giurisdizione è configurabile soltanto se sussiste, in relazione alla materia nella quale è sorta la fattispecie, una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, estesa alla cognizione dei diritti patrimoniali conseguenziali, e quindi delle questioni relative al risarcimento dei danni (ipotesi che non si ravvisa nel caso in esame, poiché, pur vigendo, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 10 del 1977, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di diniego di concessione edilizia, tale giurisdizione non è estesa ai diritti patrimoniali conseguenziali in ragione del limite posto dall’art. 7 della legge n. 1034 del 1971). 11. Per quanto concerne, invece, il merito della pretesa, la nuova lettura dell’art. 2043 c.c. alla quale queste S. U. sono pervenute, impone di fornire a/cune precisazioni circa i criteri ai quali deve attenersi il giudice di merito. Qualora sia stata dedotta davanti al giudice ordinario una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione pubblica, il detto giudice, onde stabilire se la fattispecie concreta sia o meno riconducibile nello schema normativa delineato dall’art. 2043 C.C., dovrà procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) in primo luogo, dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) procederà quindi a stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla. sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, che può essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), ovvero nelle forme dell’interesse legittimo (quando, cioè, questo risulti funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poiché è la lesione dell’interesse al bene che rileva ai fini in esame, o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma) giuridicamente rilevante (in quanto preso m considerazione dall’ordinamento a fini diversi da quelli risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto); c) dovrà inoltre accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali. se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della P.A.; d) provvederà, infine, a stabilire se il delta evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della P.A.; la colpa (unitamente al dolo) costituisce infatti componente essenziale della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 C.C.; e non sarà invocabile, ai fini dell’accertamento della colpa, il principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo, poiché tale principio, enunciato dalla giurisprudenza di questa S. C con riferimento all’ipotesi di attività illecita, per lesione di un diritto soggettivo, secondo la tradizionale interpretazione dell’art. 2043 c.c. (sent. n. 884-61; n. 814- 67: n. 16-78; n. 5361-84; n. 3293-94; n. 6542-95), non è conciliabile con la più ampia lettura della suindicata disposizione, svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo; l’imputazione non potrà quindi avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità dell’azione amministrativa, ma il giudice ordinario dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata al solo accertamento dell’illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri nella negligenza o imperizia), ma della P.A. intesa come apparato (in tal senso, v. sento n. 5883-91) che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità.

Rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, può svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata infatti in passato costantemente affermata per l’evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all’emersione del diritto soggettivo, e quindi all’accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo. E l’autonomia tra le due giurisdizioni risulta ancor più netta ave si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l’applicazione. da parte del giudice ordinario, ai fini di cui all’art. 2043 C.C., di un criterio di imputazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all’accertamento della colpa, dell’azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto. Qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l’illegittimità dell’azione amministrativa (a differenza di quanto è avvenuto nel procedimento in esame) non sia stata previamente accertata e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potrà quindi svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l’illecito, poiché l’illegittimità dell’azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 2043 c. c.”. Ritiene poi utile il Giudice dar conto, in massima, di ulteriori recentissimi pronunciamenti sul punto così’ della Corte Nomofilattica, come del Giudice Amministrativo:

“La domanda risarcitoria nei confronti della p.a. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica proposta prima dell’entrata in vigore del d.lg. n. 80 del 1998, rientra nella giurisdizione del g.o. anche se venga dedotta la lesione di un interesse legittimo che, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può esser fonte di responsabilità aquiliana e, quindi, dar luogo al risarcimento del danno ingiusto. L’ingiustizia, però, non può considerarsi “in re ipsa” nel/a sola illegittimità dell’esercizio della funzione amministrativa, dovendo invece il giudice procedere, in ordine successivo, anche ad accertare se: a) sussista un evento dannoso; b) l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) l’evento dannoso sia riferibile, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, ad una condotta della p.a.; d) l’evento dannoso sia imputabile a responsabilità della p.a., basata non soltanto sul mero dato obiettivo dell’illegittimità del provvedimento, ma su di una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa o del dolo” (così, Cass., 17/10/2007, n. 21850);

Nel caso in cui venga introdotta, avanti al go., una domanda risarcitoria, ai sensi dell’art. 2043 c.c., nei confronti della p.a. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, il giudice deve procedere. in ordine successivo, alle seguenti indagini: a) in primo luogo, deve accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) deve, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dal/a qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) deve, inoltre, accertare, sotto il profilo causale. facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della p.a.; d) infine, deve verificare se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della p.a., considerando che tale imputazione non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo dell’illegittimità del provvedimento, richiedendosi, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana.”. (così, Cass., 15/3/2007, n. 6005);

“II giudice ordinario, davanti a cui sia stata introdotta una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della p.a. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, deve procedere alle seguenti indagini: a.) in primo luogo, accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire, poi, se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) accertare, inoltre, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della p.a.; d) accertare, infine, se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della p.a., non soltanto sulla base del dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, ma anche sulla base del requisito soggettivo del dolo o della colpa, configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa e che costituiscono limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.” (così, Cass., 22/12/2006, n. 27498);

La condanna al risarcimento dei danni richiede l’accertamento dei presupposti per verificare la fondatezza della relativa pretesa (lesione della situazione giuridica soggettiva, colpa o dolo, danno patrimoniale e nesso causale tra l’illecito ed il pregiudizio), secondo i principi che peraltro preesistevano al trasferimento nell’orbita della giurisdizione del giudice amministrativo, infatti il risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, laddove tale danno discenda da un’attività provvedimentale, non può prescindere dall’accertamento della colpa dell’amministrazione responsabile, da accertarsi mediante una penetrante indagine riferita non già all’elemento soggettivo del singolo funzionario agente, bensì alla p. a. intesa come apparato; purtuttavia la colpa dell’amministrazione deve essere valutata tenendo conto dei vizi che inficiano il provvedimento e, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, della gravità delle violazioni imputabili all’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti di giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento.” (così, TAR Sicilia – Catania, 17/5/2007, n. 846);

“È ormai pacifica la risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi, in presenza non solo di intervenuto riconoscimento dell’illegittimità dell’atto lesivo, ma di circostanze ulteriori, quali l’effettiva sussistenza della lesione (patrimoniale o anche non patrimoniale), la colpa o il dolo dell’amministrazione – rapportata agli specifici doveri dell’amministrazione stessa, in un’accezione più restrittiva di quella desumibile dall’art. 2043 c. c. – ed il nesso di causalità fra i primi due elementi.” (così, TAR Lazio – Roma, 7/6/2007, n. 5248);

“Il privato, ancorché onerato, ai fini del risarcimento del danno derivante dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo, della dimostrazione della “colpa” dell’Amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette – quali la gravità della violazione, qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto, il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata. l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento; cosicché, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’amministrazione l’allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, cosi come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sento n. 500 del 1999, apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’Amministrazione.“( così, Consiglio Stato, 20/3/2007, n. 1346);

“A i fini del risarcimento del danno derivante dalla lesione degli interessi legittimi, quanto all’elemento soggettivo non è richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della P.A.; infatti, pur non essendo configurabile, in mancanza di una espressa previsione normativa, una generalizzata presunzione relativa di colpa dell’Amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole, possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice di cui all’art. 2727 C.C., desunta dalla singola fattispecie: il privato danneggiato può, quindi, invocare l’illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile.” (così, Consiglio Stato, 9/3/2007, n. 1114);

“Dopo che è intervenuto l’annullamento del provvedimento lesivo, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno deve valutarsi lo sussistenza dell’elemento psicologico della colpa; infatti, la responsabilità patrimoniale della p.a. conseguente all’adozione di provvedimenti illegittimi deve essere inserita nel sistema delineato dagli artt. 2043 ss. c.c. in base al quale l’imputazione non può avvenire sulla base del mero dalo oggettivo dell’illegittimità del provvedimento, dovendo verificarsi che la predetta adozione (e l’esecuzione dell’atto impugnato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi” (così, Consiglio Stato, 6/3/2007, n. 1049).

E ciò, basti.

Alla stregua di tutti gli elementi sin qui evidenziati ritiene il Giudice giusto ed equo determinare il danno morale cagionato al M. dai gravissimi comportamenti del personale dell’Amministrazione della Difesa e dell’ Amministrazione dei Trasporti nella misura di euro 100.000,00. Per la qual somma, dunque, và pronunziata solidal condanna di entrambe le Amministrazioni dello Stato convenute. Invero, come chiarito dalla Corte Nomofilattica alla stregua del peraltro chiaro disposto dell’art. 2055 cc “la norma dell’art. 2055 primo comma cc, stabilendo la responsabilità solidale di tutti i soggetti cui sia imputabile il fatto dannoso, mira non ad alleviare la responsabilità dei concorrenti nella produzione del danno ma a rafforzare la garanzia del danneggiato, consentendogli di rivolgersi per l’intero risarcimento a ciascuno dei soggetti responsabili senza doverli perseguire tutti pro quota; in particolare, la persona danneggiata in conseguenza di un fatto illecito imputabile a più persone legate dal vincolo della solidarietà” “può pretendere la totalità della prestazione risarcitoria anche da una sola delle persone coobbligate, mentre la diversa gravità delle rispettive colpe di costoro c l’eventuale diseguale efficienza causale di esse può avere rilevanza soltanto ai fini della ripartizione interna del peso del risarcimento tra i corresponsabili; il Giudice del merito adito dal danneggiato può e deve pronunziarsi sulla graduazione delle colpe solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri, o comunque, in vista del regresso, abbia chiesto tale accertamento in funzione della ripartizione interna (Cass., 3/3/1997, n. ] 869; Cass., 4/3/1993, n. 2605).

Peraltro, a tenore del disposto di cui al terzo comma dell’art. 2055 cc “Nel dubbio, le singole colpe si presumono eguali”.

Su tal somma, con decorrenza dalla data della presente sentenza sono     dovuti al M. gli interessi al saggio legale attesocchè “la liquidazione determina la trasformazione dell’obbligazione risarcitoria da obbligazione di valore in obbligazione di valuta, che la sentenza rende esigibile, sicché sulla somma risultante dalla liquidazione sono dovuti dalla data della sentenza, gli interessi al saggio legale” (CASS, 9/01/1996, n. 83. Nello stesso senso, fra le altre, CASS, 6/11/1996, n .9648; CASS. 17/10/1994, n. 8464; CASS, 14/12/1991. n.13508; CASS, 26/10/1992, n.11616).

Le spese seguono la soccombenza delle convenute Amministrazioni della Difesa e dei Trasporti e si liquidano in favore dell’attore M. – in mancanza di nota spese ed alla stregua della attività difensiva concretamente espletata, ed applicati, il principio a tenore del quale ai diritti vanno applicate le tariffe vigenti al momento delle relative prestazioni (Cass.,22/11/1988,n.6275; Cass.,10/711987, n.6033; Cass., 14/1/1977, n. 180; Cass., 7/12/1973, n.3319) ed il principio a tenore del quale il rimborso forfetario delle spese generali sull’importo degli onorari e dei diritti (in atto nella misura dei 12,50% ex art.14 Tariffa forense approvata con d.m.g. n.127/2004 cit.) và liquidato solo se ne sia stata fatta specifica richiesta, mancante nella fattispecie sub Judice (Cass., n.1637/1999; Cass., n.13742/1992) – nella complessiva misura di euro 10.752,44 di cui euro 1938,15 per diritti, euro 8.500,00 per onorario, euro 314,29 per spese.

PTM

Il Giudice, definitivamente pronunciando,

condanna i convenuti Ministero della difesa e Ministero dei Trasporti, in solido, al pagamento in favore dell’attore M. della somma di euro 100.000,00 a titolo di risarcimento del danno morale dallo stesso subito, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza, giusta quanto in parte motiva.

Condanna i convenuti Ministero della difesa e Ministero dei Trasporti, in solido, al rimborso in favore di parte attrice delle spese del processo che liquida in complessivi euro 10.752,44 come analiticamente in parte motiva.

Così deciso in Catania il 29/1/2008.

Il Giudice

Ezio Cannata Baratta