Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, decreto del 27 maggio 2008

Decreto 27 maggio 2008

(pres. D. Blasco – rel. Teresa Chiodo)

Il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, riunito in camera di consiglio nelle persone

1) Dott. Domenico Blasco Presidente

2) Dott.ssa Teresa Chiodo Giudice relatore

3) Dott. Francesco Eboli Giudice onorario

4) Dott. Franca Sammarro Giudice onorario

ha pronunciato il seguente

DECRETO

nel procedimento n. *** sul ricorso proposto da S.B.B., nella qualità di genitore esercente la potestà genitoriale, per l’affidamento esclusivo del minore S.C., nato il *** e la regolamentazione della facoltà di visita e di prelievo da parte del padre dello stesso minore.

OSSERVA

Con ricorso depositato in data 20.11.2006, presso il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, la ricorrene chiede l’affidamento esclusivo del figlio, con conseguente regolamentazione delle modalità di visita in favore del padre. Riferisce che da una relazione sentimentale intercorsa tra l’istante e il sig. S. nasceva il piccolo C., riconosciuto da entrambi i genitori naturali, tra i quali si instaurava una stabile convivenza more uxorio durata circa quattro anni ed interrottasi nel corso dell’anno 2001. Successivamente all’interruzione della relazione, la madre ed il piccolo si trasferivano in altra località, però sempre nella medesima provincia (…). La S. manifesta, dunque, la propria preoccupazione per l’assenza di un regime che regolamenti il diritto di visita del padre naturale, preso atto della sua condotta di vita (la ricorrente assume che sia affetto da etilismo) e dei suoi precedenti penali (condannato, tra l’altro, per omicidio). Tanto sopra premesso, la ricorrente chiede l’affidamento esclusivo del minore, con domiciliazione del medesimo presso l’abitazione della madre, in *** e regolamentazione del diritto di visita e prelievo in favore del padre (con facoltà di visita “protetta”: con assistenza, cioè, dei servizi sociali).

All’udienza del 31.01.2007, si costituiva il resistente che contrastava l’avversa pretesa e concludeva per l’affido condiviso. Nella medesima udienza, veniva ascoltata la ricorrente la quale si riportava alle richieste contenute nell’atto

introduttivo del giudizio, formulando una richiesta integrativa concernente la determinazione della misura del contributo economico dovuto dal padre per il mantenimento del figlio minore.

Nel corso dell’istruttoria, venivano acquisite le relazioni redatte, rispettivamente, dal Comando dei C.C. di *** e dai Servizi Sociali incaricati dal Giudice istruttore.

Con proprio atto del 18.12.2007, il Pubblico Ministero concludeva esprimendo parere contrario all’accoglimento del ricorso avanzato dalla ricorrente.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La regolamentazione della potestà genitoriale, nell’interesse dei figli minori, trova, oggi, la sua disciplina legale nel formante legislativo messo a regime dalla legge n. 54 dell’8 febbraio 2006. Le disposizioni della normativa de qua si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati laddove, si aggiunge in dottrina, il figlio sia nato in “costanza” della convivenza, trovando, altrimenti, applicazione – in via residuale – il regime ex art. 317-bis c.c..

Nel caso di specie, alla luce dei dati storici versati in atti, deve trovare applicazione il regime giuridico di nuovo conio: il piccolo c, infatto, è nato (1998) da genitori non legati da matrimonio, mentre gli stessi convivevano more uxorio (1997 – 2001).

La premessa maggiore che precede, conduce a dover ritenere che, nello spirito della nuova legislazione, l’affidamento esclusivo costituisca l’eccezione alla regola generale individuata nell’affido cd. condiviso. Ed, infatti, il giudice “valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati”.

1. La riforma – come precisa la Dottrina – ribadisce e amplia il principio della bigenitorialità, intesa quale diritto del figlio ad un rapporto completo e stabile con entrambi i genitori, e ciò anche laddove la famiglia attraversi la fase patologica della separazione o del divorzio dei coniugi. Tale principio è stato introdotto già da tempo nel nostro ordinamento con la l. n. 176/1991 di ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale di New York del 20.11.1989 sui diritti dei minori. Successivamente nella Risoluzione dell’Unione europea per una Carta europea dei diritti del fanciullo (1992) si stabilisce, fra l’altro, che il fanciullo, in caso di separazione o divorzio dei genitori, ha il “diritto di mantenere contatti diretti e permanenti con i due genitori”. Infine, parte della dottrina osserva che la nuova legge “sconvolge il quadro relativo all’affidamento della prole, invertendone i criteri”: basti pensare al riferimento alla parola “genitori” anziché “coniugi”, in linea col panorama comunitario e con quanto previsto dal Regolamento CEE n. 2201/03 in vigore dal 1.3.2005 in tema di responsabilità genitoriale; in proposito vi è chi ha affermato che l’uso del termine genitori, in luogo del precedente coniugi focalizza immediatamente il centro di interesse della norma, nel tentativo, ancora da verificare in concreto, di consentire al figlio di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. E’, quindi, oggi pacifica la preferenza accordata dal legislatore per l’affidamento condiviso (una delle principali novità introdotte): ciò non toglie, tuttavia, che il legislatore ha mantenuto, quale valvola di sicurezza del sistema, l’ipotesi dell’affidamento esclusivo qualora ritenga che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. Ordine logico-giuridico assume, dunque, la verifica dei presupposti per disporre un affidamento di tipo condiviso che, invero, si traduce in una verifica a-contrario: il giudice, cioè, deve muovere dall’affido in condivisione e, se del caso, illustrare argomenti che lo hanno spinto a disattenderlo (nell’interesse del minore) optando per l’esclusività dell’affidamento. Ed, infatti, “il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”.

2. I tratti di novità del regime di nuova introduzione e la sua giovane età introducono dubbi in sede di applicazione in ordine agli effettivi e concreti presupposti per l’affidamento monogenitoriale. Taluni, in dottrina, ritengono che, perché sussista la contrarietà all’interesse del minore – giustificativo dell’affido esclusivo – non sia sufficiente la sola intollerabilità reciproca tra i genitori, ma qualcosa di più profondo, essendo evidente che se bastasse invocare l’esistenza di un contrasto tra i genitori verrebbe totalmente frustrata la volontà della legge, certo essendo che non esiste, in pratica, separazione personale dei coniugi non accompagnata da dissapori reciproci tra loro. Deve dunque sussistere, secondo tale dottrina, una situazione di fatto che per la sua oggettiva gravità sconsigli l’affidamento condiviso, ancorché non sia necessario il sussistere delle condizioni per l’adozione di provvedimenti di cui agli artt. 330 e 333 c.c.. Si sostiene, inoltre, che l’esclusione dall’affidamento condiviso possa avvenire solo per carenze di un genitore e non per una esasperata litigiosità fra i genitori, dato che altrimenti sarebbe fin troppo facile pervenire all’affidamento monogenitoriale. Nello stesso senso si afferma, perciò, che debbano esistere dei fatti dimostrabili.

Facendo buon governo dei principi di diritto sin qui richiamati, reputa questo Giudice che, nel caso in esame, sussistano valide ragioni per disattendere la scelta prioritaria dell’affidamento condiviso.

2.1. Un primo argomento che milita verso siffatta soluzione, è offerto dalla relazione depositata dai C.C. interpellati dal Tribunale, i quali hanno introitato nel giudizio elementi alquanto significativi. Emerge, quindi, che lo S. ha riportato condanne per porto e detenzione illegale di armi, resistenza a pubblico ufficiale e, anche, omicidio; emerge, altresì, come durante la convivenza si sia reso necessario l’intervento della forza pubblica per violenti litigi. Il comandante sottoscrittore ha, poi, affermato che il sig. S. “risulta di cattiva condotta morale e civile”. Siffatti dati e, in specie, l’ultimo grimaldello, conducono, in primis, a dover ritenere quanto meno dubbio e, perciò, da non escludere, l’etilismo del resistente o, se non altro, il suo rapporto patologico con l’alcool. Ed, invero, nell’interesse del proprio figlio, bene avrebbe fatto lo S. a produrre in giudizio un esame del sangue da cui fosse possibile valutare la presenza di alcool in quel momento specifico, allegando, anche, altri indici sanguinei (es. le transaminasi) da cui, generalmente, è possibile rilevare se il soggetto abbia o meno continuato a bere nell’arco di un periodo di tempo considerevole.

Né risulta utile, in argomento, quanto scritto dai servizi sociali, secondo i quali lo S. “non fa più uso di bevande alcoliche”. Ed, infatti, l’affermazione non è supportata da alcun elemento medico-legale o scientifico atto a rendere credibile o, comunque, attendibile l’assunto, soprattutto laddove si tenga presente del brevissimo periodo di osservazione e delle condizioni rebus sic stantibus. Più credibili, a parità di piattaforma probatoria, le dichiarazioni della ricorrente che, almeno, ha alle spalle un maggior periodo osservazionale. Conclusioni, peraltro, che trovano riscontro nel quadro disegnato dai C.C..

2.2. Altro indice da non sottovalutare è quello ricavabile dalla relazione dei servizi sociali del 22 marzo 2007. Ascoltato dagli operatori professionali, infatti, lo S ha reso talune dichiarazioni che, univocamente, ne offrono una immagine di genitore “immaturo” e “pericoloso” dal punto di vista educativo. In particolare, il resistente riferisce di essere d’accordo affinché “il figlio continui a stare con la mamma purché quest’ultima eviti frequentazioni con persone omosessuali e drogati”. Quanto ai “drogati” è paradossale che proprio lo S., con i suoi precedenti penali e l’etilismo – afferma questi – “ormai alle spalle”, esprima disistima per soggetti che versano in condizioni di dipendenza da stupefacenti. Ed, invero, proprio la sua esperienza dovrebbe trasformarsi in un bagaglio di grande valore al servizio del figlio, se non altro per trasmettere l’importanza della rieducazione e della socialità e, prima di tutto, il disprezzo verso ogni forma di emarginazione sociale. Quanto alla seconda categoria di soggetti banditi (“le persone omosessuali”), la dichiarazione non può che destare serie preoccupazioni poiché reca con sé una forte valenza discriminatoria ed offensiva (già l’associazione: “drogati ed omossessuali”). Trattasi, sicuramente, di una condotta che dovrebbe essere estranea al genitore, il quale deve educare il figlio verso la tolleranza, la cultura della diversità e l’avversione verso ogni forma di odio razziale, motivo di censura non solo nelle sedi civili ma anche penali. Proprio di recente, peraltro, la giurisprudenza di merito, dinnanzi ad atteggiamenti del genere, da parte di uno dei genitori, ha “bocciato” l’affido condiviso. Il Tribunale di Napoli, con provvedimento del 28 giugno 2006, in particolare, ha confermato l’affidamento in via esclusiva di un minore alla moglie, a fronte della radicale, quanto ingiustificata negazione della idoneità genitoriale di quest’ultima da parte del marito, il quale l’aveva infondatamente accusata di aver avuto rapporti omosessuali, con atteggiamento fortemente diseducativo per il minore. Meraviglia, invero, che la relazione dei servizi sociali non abbia tenuto conto dei diversi indici sin qui segnalati oltre ai fatti storici pacifici agli atti, rivelandosi essere, così, un documento da cui dover prendere le distanze.

2.3. Elemento ulteriormente indicativo delle conclusioni qui rassegnate è quello per cui, tra l’altro, lo S. è stato condannato per omicidio a dodici anni di detenzione in carcere: trattasi di un delitto ad altissimo contenuto offensivo che non può essere sottaciuto nell’interesse del minore. Certo è che con la pena il reo sconta il suo debito verso la collettività e, dunque, il reato commesso non può costituire un “marchio di infamia”; ciò non toglie, però, che la circostanza, valutata con altri indici, può indurre il giudice a formulare una prognosi orientata verso la precauzione.

Appare, allo stato, opportuno disporre un affidamento monogenitoriale, salva la facoltà dello S., se del caso, di ricorrere per una modifica delle condizioni di affido laddove scemati completamenti i dubbi circa la sua condotta civile e maturata la sua responsabilità in quanto genitore.

Va disatteso, conclusivamente, anche il parere reso dal Pubblico Ministero, invero, non condivisibile laddove esclude la eventualità di condotte incompatibili con l’esercizio di un adeguato ruolo genitoriale, sulla base della relazione dei S.S. e delle dichiarazioni dello stesso S., così trascurando i profili sin qui evidenziati ed ignorando la pur pregiata relazione dei C.C..

3. Circa la scelta del genitore affidatario, occorre rilevare che, in materia di affidamento della prole, il giudice deve attenersi al criterio fondamentale di cui all’art. 155 comma 1 c.c., dell’interesse esclusivo della prole, per cui è tenuto a privilegiare quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo – nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante – i danni derivanti dalla disgregazione familiare e ad assicurare il miglior sviluppo possibile della personalità del minore in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le esigenze materiali, morali affettive e psicologiche di cui egli è portatore, tenendo altresì presente anche le specifiche situazioni dell’ambiente in cui i minori andranno a vivere dopo la separazione. In tal caso, il giudice è tenuto a fare una più attenta e delicata valutazione la quale tenga conto del fatto che le condizioni di vita esistenti prima della separazione devono, in linea di massima e salvo controindicazioni specifiche, perdurare anche dopo, onde evitare ai minori, oltre il trauma della divisione familiare, anche quello del distacco dal luogo di residenza e dalle persone con cui hanno sempre convissuto. Sotto questo profilo, considerato che il minore in oggetto sin dal momento della cessazione della convivenza tra i propri genitori ha sempre convissuto e tuttora convive con la propria madre, alla quale nessuna censura può essere mossa, né sotto l’aspetto della personalità né sotto l’aspetto della sana crescita, educazione ed istruzione dei figli minori, non vi è alcun motivo per modificare l’attuale regime di affido che, peraltro, corrisponde sostanzialmente alla decisione concordata da entrambe le parti al momento della disgregazione dell’unità familiare.

4. Occorre regolamentare il diritto di visita dello S..

In presenza della conflittualità che ha portato al presente giudizio, non appare opportuno che i diritti di visita e di prelievo venganovolta in volta liberamente determinatidalle parti: questi, pertanto, dovranno essere esercitati nei limiti circoscritti indicati in dispositivo. In prosieguo, solo ed esclusivamente laddove la ricorrente presti il consenso, la regolamentazione potrà essere modificata secondo un prudente apprezzamento che tenga conto dell’insopprimibile esigenza di non privare i figli, per quanto è possibile, di entrambe le figure genitoriali, fermo restando che, in quest’opera di concreta regolamentazione dei rapporti genitori-figli, le parti, ove ricorrano motivi di conflittualità, dovranno farsi assistere dall’attività mediatrice dei servizi sociali. Il padre ha, in ogni caso, facoltà di intrattenere con i minori un intenso rapporto telefonico ed epistolare, con assolutà libertà nei tempi e nei modi di esercizio di tale facoltà.

Circa la determinazione della misura del contributo economico al mantenimento del minore, tenuto conto delle condizioni economiche delle parti (lei operaria, lui addetto alla vendita di frutta), considerato il regime di affido statuito, in assenza di prove specifiche a riguardo, si reputa equo porre a carico del padre l’obbligo di corrispondere la somma di Euro 250,00 mensili da versare alla madre entro i primi cinque giorni di ogni mese, somma rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT.

P.Q.M.

– visto il parere espresso dal P.M.;

– visti gli artt. 317 bis e 737 e segg. c.p.c.

AFFIDA

il minore, S.C. alla madre, S.B.B., alla quale spetterà l’esercizio della potestà genitoriale, stabilendo che lo stesso dimori abitualmente presso la residenza materna, e fermo restando che la madre dovrà immediatamente comunicare al padre sia il luogo di residenza del minore qualora esso subisca variazioni, sia, specificatamente, tutte le condizioni di vita a questi afferenti.

FACULTIZZA

il padre a visitare il figlio C. secondo le modalità che seguono.

…omissis…

PONE

a carico del padre S. l’obbligo di corrispondere la somma di Euro 250,00 mensili da versare alla madre S.B.B. entro i primi cinque giorni di ogni mese, somma rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT.

Catanzaro, 27.05.2008

Il Giudice estensore – Il Presidente

 

One Response to Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, decreto del 27 maggio 2008

  1. […] stessa prospettiva si pone il decreto del Tribunale dei Minorenni di Catanzaro[13] che ha considerato “immaturo e pericoloso dal punto di vista educativo” l’atteggiamento […]