Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione prima ter, sentenza del 21 gennaio 2011, n. 629

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8387 del 2005, proposto da:

B.A., rappresentato e difeso dall’avv. Gianluca Piccinni, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, situato in Roma, via G.G. Belli n. 39;

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

per l’annullamento,

previa sospensione,

quanto al ricorso introduttivo:

del decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica sicurezza n. 333D/0170366 del 27 aprile 2005, notificato il 4 giugno 2005, con il quale si dispone nei confronti del ricorrente l’accertamento dell’idoneità attitudinale psicofisica ai servizi d’istituto e la sospensione dal servizio per la durata di sei mesi, ai sensi dell’art. 6, n. 1, in relazione all’art. 4, n. 3, e 18 del D.P.R. 737/81; del verbale di notifica del 21 giugno 2005, con il quale il ricorrente veniva riconosciuto “non idoneo”; della delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina del 3 marzo 2005 nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale;

quanto ai motivi aggiunti:

del decreto n. 333D/0168300 del 30 giugno 2005, emesso dal Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, notificato il 14 settembre 2005, con il quale veniva disposta la cessazione dal servizio del ricorrente a decorrere dal 22 giugno 2005 per accertata inidoneità attitudinale ai servizi di polizia, nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e/o consequenziale;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2010 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 15 settembre 2005 e depositato il 26 settembre successivo, il ricorrente – assistente capo della Polizia di Stato – impugna il decreto n. 333D/0170366, con il quale in data 27 aprile 2005 il Capo della Polizia gli ha inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi sei a decorrere dal 20 ottobre 2003 e, nel contempo, ha disposto la sottoposizione a visita del predetto “al fine di accertare la permanenza dei requisiti attitudinali e psicofisici di cui devono essere in possesso gli appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato”, chiedendone l’annullamento.

In particolare, espone:

– di essere stato destituito dal servizio con decreto del Capo della Polizia del 20 giugno 2003;

– di aver proposto avverso tale provvedimento ricorso al TAR del Lazio (n. 9503/2003);

– che, con sentenza n. 17294 del 2004, il TAR accoglieva il ricorso;

– che, successivamente, l’Amministrazione rinnovava il procedimento, infliggendogli la sanzione della sospensione dal servizio per la durata di mesi sei, a decorrere dal 23 aprile 2003, e, contestualmente, disponendo che il medesimo venisse sottoposto a visita al fine di accertare la permanenza dei requisiti psicofisici e attitudinali;

– che, all’esito di tale visita, veniva riconosciuto “non idoneo”.

Avverso tali provvedimenti ed atti il ricorrente insorge deducendo i seguenti motivi di diritto:

1. VIOLAZIONE DELL’ART. 119 DEL T.U. 10 GENNAIO 1957 N. 3. TARDIVA RINNOVAZIONE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE – ESTINZIONE DEL PROCEDIMENTO. Il procedimento disciplinare è stato rinnovato oltre il termine di 30 gg. previsto dall’art. 119 del citato T.U., atteso che la sentenza del TAR è stata trasmessa in copia conforme al Ministero (Avvocatura dello Stato) in data 24.12.2004. Anche volendo far decorrere il termine dalla ricezione effettiva della sentenza da parte dell’Amministrazione, la rinnovazione sarebbe, comunque, tardiva, atteso che tale decisione è stata consegnata a mani dell’Avvocatura dello Stato in data 11.01.2005.

2. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 6, N. 1, IN RELAZIONE ALL’ART. 4 NN. 3 E 18 DEL D.P.R. 737/81 – INSUSSISTENZA DEI PRESUPPOSTI – ECCESSO DI POTERE PER ILLOGICITA’, PER IRRAGIONEVOLEZZA E SPROPORZIONALITA” DELLA SANZIONE DELLA SOSPENSIONE DAL SERVIZIO IRROGATA. Con la sentenza n. 17294 del 2004 il TAR Lazio, “oltre a ritenere sproporzionata la sanzione della destituzione, ha anche precisato che nella specie non troverebbe applicazione neppure l’ipotesi della sospensione dal servizio di cui all’art. 6 perché si tratta di circostanza non confermata dall’istruttoria eseguita”. Corollario di tale affermazione è che l’Amministrazione non poteva, in difetto di prove, adottare il provvedimento impugnato. Del resto, appare eccessivo sospendere dal servizio un dipendente sulla base di dichiarazioni rese da un transessuale, non confermate in sede di interrogatorio, afferenti un “isolato e presunto… rapporto occasionale”. Stante l’assenza di prove, l’unica sanzione applicabile è le deplorazione.

3. VIOLAZIONE DEL D.M. 30.06.2003 N. 198 (ART. 2) – ECCESSO DI POTERE, SOTTO IL PROFILO DEL DIFETTO DEI PRESUPPOSTI ED ERRONEA APPLICAZIONE DELLA CITATA NORMATIVA. La disposizione richiamata fa riferimento esclusivamente all’accertamento dell’idoneità fisica e psichica e, dunque, non prevede l’accertamento dell’idoneità attitudinale, previsto solo per l’accesso ai ruoli della Polizia di Stato tramite concorso.

4. VIOLAZIONE DI LEGGE E/O ECCESSO DI POTERE, SOTTO IL PROFILO DELL’OMESSA E/O INCONGRUA E/O INSUFFICIENTE MOTIVAZIONE. L’Amministrazione non ha specificato le circostanze in base alla quali “sarebbe emersa in maniera obiettiva la necessità di un nuovo giudizio di idoneità”. E’ privo di motivazione anche “il verbale di notifica del giudizio di non idoneità, atteso che dallo stesso non è dato sapere di quale o di quali requisiti attitudinali sarebbe privo il ricorrente”.

5. ECCESSO DI POTERE, SOTTO IL PROFILO DELL’ILLOGICITA” DELL’ATTO – SVIAMENTO DI POTERE.

6. ECCESSO DI POTERE, SOTTO IL PROFILO DELL’INGIUSTIZIA MANIFESTA, atteso che l’Amministrazione – abusando della sua potestà discrezionale ed eludendo la decisione del TAR – ha ugualmente raggiunto il suo scopo, “dimostrando di voler affermare ad ogni costo la propria volontà prevaricatrice”.

Con atto depositato in data 6 ottobre 2005 si è costituito il Ministero dell’Interno.

In data 20 ottobre 2005 il ricorrente ha prodotto motivi aggiunti, proposti per l’annullamento del provvedimento con il quale – in data 30 giugno 2005 – l’Amministrazione resistente ha disposto, nei di lui confronti, “la cessazione dal servizio…. a decorrere dal 22.6.2005 per accertata inidoneità attitudinale ai servizi di Polizia e, quindi, per carenza di uno dei requisiti di cui all’art. 25, comma 2, della legge 1° aprile 1981, nr. 121, a seguito degli accertamenti attitudinali effettuati nei giorni 20 e 21 giugno 2005″, deducendo – in particolare – le seguenti censure:

1. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 25, 2° COMMA, DELLA L. 1 APRILE 1981, N. 121 – VIOLAZIONE DEL D.M. 30.06.2003 N. 198 (ART. 2) – ECCESSO DI POTERE, SOTTO IL PROFILO DEL DIFETTO DEI PRESUPPOSTI, SVIAMENTO, MANIFESTA INGIUSTIZIA, CONTRADDITTORIETA” E PERPLESSITA” ED ERRONEA APPLICAZIONE DELLA CITATA NORMATIVA, atteso che gli accertamenti effettuati dall’Amministrazione non trovano alcuna giustificazione, né normativa né fattuale.

2. ECCESSO DI POTERE, SOTTO IL PROFILO DELL’INGIUSTIZIA MANIFESTA. Il comportamento dell’Amministrazione – del tutto privo di supporto giuridico – rivela la volontà di sottrarsi all’esecuzione della sentenza del TAR Lazio n. 17294/2004, con la quale veniva annullato l’originario provvedimento di destituzione dal servizio.

In data 23 novembre 2005 ed in data 24 novembre 2005, l’Amministrazione ha depositato documenti, tra cui due relazioni del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, rispettivamente del 12 ottobre 2005 e del 23 novembre 2005, il cui contenuto può essere così sintetizzato: – ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge n. 121 del 1981, i requisiti psicofisici ed attitudinali debbono sussistere per tutta la durata del rapporto di servizio, con la conseguenza che l’Amministrazione “è tenuta a verificare la permanenza di detti requisiti nel corso del suddetto rapporto”; – quanto detto trova, poi, riscontro nel D.M. n. 198 del 2003; – l’Amministrazione non poteva, dunque, esimersi dal verificare che il ricorrente “fosse ancora in possesso di adeguate doti attitudinali prima ancora di assegnarlo ad un qualsiasi servizio di polizia”; – il giudizio così espresso è insindacabile in sede di legittimità; – il procedimento disciplinare è stato riattivato nel rispetto del termine di cui all’art. 119 del D.P.R. n. 3 del 1957, atteso che la sentenza del TAR del Lazio è pervenuta all’Amministrazione in data 21 gennaio 2005; – non ricorre elusione di tale sentenza; – del resto, l’Amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale nell’apprezzare le varie ipotesi disciplinari, con valutazioni insindacabili nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per macroscopici vizi logici.

Con ordinanza n. 6798/2005, la Sezione ha accolto la domanda di sospensione dei provvedimenti impugnati, incidentalmente presentata dalla parte ricorrente.

Tale ordinanza è stata poi confermata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 1934/2006.

In data 15 giugno 2010 il ricorrente ha depositato copia della decisione con cui il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del TAR n. 17294 del 2004, di annullamento del provvedimento di destituzione dal servizio.

In data 18 giugno 2010 il ricorrente ha, poi, prodotto una memoria difensiva, con cui ha ribadito l’illegittimità dei provvedimenti impugnati perché “persecutori” nonché elusivi della sentenza n. 17294 del 2004.

Con memoria depositata in data 22 giugno 2010, l’Amministrazione ha insistito nell’affermare la legittimità del proprio operato.

Il successivo 23 ottobre 2010 il ricorrente ha depositato copia del giudizio di idoneità al servizio espresso dalla Settima Commissione Medica Ospedaliera in data 27 febbraio 2007.

Con memoria prodotta in data 10 novembre 2010, il ricorrente ha, altresì, evidenziato l’intervenuta “cessazione della materia del contendere in virtù del successivo giudizio di idoneità” di cui sopra.

All’udienza pubblica del 2 dicembre 2010 – nel corso della quale l’Amministrazione ha depositato “pare della Commissione speciale del Consiglio di Stato del 4 ottobre 2010″ – il ricorso è stato introitato per la decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è in parte fondato ed in parte improcedibile.

1.1. Come emerge dalla narrativa che precede, i provvedimenti in contestazione investono due distinti profili, ossia:

– la rinnovazione del procedimento disciplinare, con conseguente applicazione della sanzione della sospensione dal servizio per la durata di mesi sei, contemplata nel decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza 333D/0170366 del 27 aprile 2007, notificato il 4 giugno 2005, oggetto di impugnativa con il ricorso introduttivo;

– la cessazione dal servizio nell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza “a decorrere dal 22.6.2005 per accertata inidoneità attitudinale ai servizi di Polizia e, quindi, per carenza di uno dei requisiti di cui all’art. 25 comma 2° della legge 1° aprile 1981, nr. 121, a seguito degli accertamenti attitudinali effettuati nei giorni 20 e 21 giugno 2005″, oggetto di impugnativa con i motivi aggiunti, nonché il prodromico atto di avviso dell’obbligo per il ricorrente di essere sottoposto a visita, “al fine di accertare la permanenza dei requisiti attitudinali e psicofisici”, giustificativo della riammissione in servizio “con riserva”, riportato nell’epigrafe del ricorso introduttivo.

Ciò detto, il Collegio ritiene di dover procedere ad una disamina separata delle sopra indicate decisioni dell’Amministrazione, atteso che introducono problematiche differentemente caratterizzate dal punto di vista sia fattuale che giuridico.

2. Per quanto attiene alla sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi sei, il ricorso è fondato.

2.1. Ai fini dell’annullamento del provvedimento de quo, il ricorrente lamenta, tra l’altro, violazione dell’art. 6, n. 1, in relazione all’art. 4, nn. 3 e 18, del D.P.R. n. 737/81, nonché eccesso di potere sotto numerosi profili (in particolare, insussistenza dei presupposti, illogicità, irragionevolezza e sproporzionalità della sanzione).

Tali censure sono meritevoli di condivisione.

2.2. Ai fini del decidere, appare opportuno ricordare la condotta contestata al ricorrente, la quale – sulla base di quanto esposto anche nella deliberazione del Consiglio Provinciale di Disciplina del 3 marzo 2005, richiamata nell’ambito del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare impugnato – risulta consistere nei seguenti comportamenti: – in data 9 marzo 2003 (ma in seguito – con riferimento al verbale riportante le dichiarazioni di un altro transessuale – è indicato “9 febbraio” 2003) il ricorrente veniva trovato da agenti della Polizia “chino in terra che perdeva sangue dalla gamba destra”; – il medesimo riferiva di trovarsi sul luogo poiché aveva accompagnato un amico e di essersi procurato la lesione per una caduta; – in seguito ad una dichiarazione resa successivamente, la predetta versione veniva cambiata e così risultava che il ricorrente aveva incontrato un transessuale, lo aveva accompagnato a casa, accettando l’invito a salire “nella di lui abitazione”, e dopo circa un’ora, in condizioni alterate per l’assunzione di sostanze alcoliche, aveva aperto la finestra, cadendo nel cortile e procurandosi così la lesione alla gamba.

Premesso che, a causa di tale condotta, il ricorrente veniva destituito dal servizio con provvedimento in data 20 giugno 2003 e che tale provvedimento veniva poi annullato da questo Tribunale con sentenza n. 17294/2004, la successiva irrogazione da parte dell’Amministrazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio ai sensi “dell’art. 6, n. 1 in relazione all’art. 4, nn. 3 e 18, del già citato D.P.R. n. 737/1981“, introduce ora – alla luce delle censure formulate dal ricorrente – il problema della sussumibilità o meno della condotta di cui sopra nell’ambito di operatività del richiamato art. 6, n. 1.

Rilevato che – come espressamente riconosciuto anche dal Consiglio di Stato con la decisione n. 1424 del 2008, di conferma della sentenza del TAR n. 17294 del 2004 – un tale sindacato è ben possibile al giudice amministrativo, atteso che non investe la valutazione dei fatti effettuata dall’Amministrazione bensì riguarda la corretta applicazione da parte di quest’ultima delle prescrizioni di legge e, in particolare, l’aderenza dell’attività dell’Amministrazione alle “disposizioni dettate dal D.P.R. 25.10.1981, n. 737, che identificano puntuali ipotesi di illecito disciplinare”, il Collegio ritiene che la condotta in evidenza rappresenti un’ipotesi diversa e, precisamente, meno grave di quelle contemplate all’art. 6, comma 3, n. 1, in argomento e che, pertanto, sussista sproporzione tra il fatto contestato e la sanzione applicata.

Preso atto della condotta ascritta al ricorrente, nel caso in esame non è, infatti, configurabile – a differenza di quanto, invece, contestato dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato – una delle mancanze “previste dal precedente art. 4″, nn. 3 e 18 (ossia “il mantenimento…. di relazioni con persone che notoriamente non godono di pubblica estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato” e “qualsiasi altro comportamento “non conforme al decoro delle persone”), connotate da “particolare gravità” ovvero “reiterate o abituali”.

Come già osservato da questo Tribunale nella sentenza n. 17294 del 2004, non risultano incontri tra il ricorrente ed il transessuale in occasioni differenti da quella del 9 marzo 2003.

Da ciò consegue che non è riscontrabile un rapporto tra il ricorrente e transessuali qualificabile in termini di “mantenimento di relazioni” né sono individuabili ulteriori comportamenti non “conformi al decoro delle persone”, connotati da particolare gravità ovvero “reiterati o abituali”.

In ogni caso, l’applicazione della sanzione ai sensi dell’art. 6, comma 3, n. 1, del D.P.R. n. 737 del 1981 avrebbe certamente imposto all’Amministrazione la corretta rappresentazione dell’infrazione, nel senso di esaustiva configurazione delle ragioni per le quali condotte previste nel precedente art. 4, nn. 3 e 18, disciplinante la “pena pecuniaria, presentassero i connotati necessari per l’applicazione della più grave sanzione della sospensione dal servizio (determinando così una sostanziale equiparazione di ipotesi meno gravi ad altre indiscutibilmente più gravi, qual è – in linea con quanto osservato già nell’ambito della sentenza n. 17294 del 2004 – quella prevista dall’art. 6, comma 3, n. 7); ma nel provvedimento di irrogazione della sanzione in epigrafe o, anche, in atti pregressi tale esaustiva configurazione non è riscontrabile.

In verità, risulta che il ricorrente ha anche fornito “false e contraddittorie giustificazioni” ma tale comportamento non appare sufficiente a supportare l’applicazione della sanzione contestata, specie ove si considerino le peculiarità della vicenda ed il particolare disagio psicologico che la stessa può aver determinato – nell’immediato – a carico del ricorrente.

In definitiva, le mancanze attribuite al ricorrente, ossia il rapporto “isolato” con il transessuale e le false dichiarazioni inizialmente rese, per come rappresentate nel provvedimento impugnato e nella richiamata deliberazione del Consiglio Provinciale di Disciplina del 3 marzo 2005, sono da ritenere inidonee a supportare la decisione adottata dall’Amministrazione.

Tanto è sufficiente per rilevare l’illegittimità dell’irrogazione nei confronti del ricorrente della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio, disposta per la durata di mesi sei, con assorbimento delle ulteriori censure formulate.

3. Come già osservato, il ricorrente contesta anche la decisione dell’Amministrazione di sottoporlo a visita “al fine di accertare la permanenza dei requisiti attitudinali e psicofisici” – riportata nel decreto del 27 aprile 2007, oggetto di impugnativa con il ricorso introduttivo – ed il provvedimento in data 30.6.2005, adottato in esito a tale visita, di “cessazione dal servizio nell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza a decorrere dal 22.6.2002 per accertata inidoneità attitudinale ai servizi di Polizia”, impugnato con motivi aggiunti.

In ragione della circostanza che in data 27 febbraio 2007 il ricorrente è stato riconosciuto “Sì idoneo nella Polizia di Stato” dalla Settima Commissione Medica Ospedaliera del Ministero della Difesa, così come risulta dal verbale depositato in giudizio in data 29 ottobre 2010, il Collegio ritiene che le impugnative di cui sopra debbano essere dichiarate improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.

In ogni caso, nel merito tali impugnative sono fondate.

In linea con quanto rilevato – in particolare – dal Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 1934 del 2006 ma anche con il parere reso dalla Commissione Speciale del Consiglio di Stato in data 4 ottobre 2010, di cui copia risulta prodotta in giudizio, l’operato dell’Amministrazione in contestazione si configura elusivo della sentenza n. 17294 del 2004, posto che il periodo di allontanamento dal servizio – unica ragione sulla quale l’Amministrazione fonda la necessità di sottoporre nuovamente a visita il ricorrente – è relativamente esiguo e, dunque, inidoneo a dare conto della sussistenza di quelle “specifiche circostanze” ritenute necessarie per giustificare il riesame dell’attitudine al servizio del dipendente.

4. In conclusione, il ricorso è in parte fondato ed in parte improcedibile.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate a favore del ricorrente in Euro 1.500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) in parte accoglie il ricorso n. 8387/2005 ed in parte lo dichiara improcedibile e, per l’effetto, annulla il decreto del Capo della Polizia n. 333D/0170366 del 27 aprile 2005 nella parte in cui infligge al ricorrente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per la durata di mesi sei.

Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di giudizio, liquidate a favore del ricorrente in Euro 1.500,00, oltre IVA e CPA nei termini di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.