Corte di cassazione, prima sezione penale, sentenza del 12 marzo 2009 n. 16968

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. GIORDANO Umberto – Presidente – del 12/03/2009
Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere – SENTENZA
Dott. BONITO Francesco M. S. – Consigliere – N. 00271
Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere – REGISTRO GENERALE
Dott. BRICCHETTI Renato – Consigliere – N. 042552/2008
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) BOTTARI DOMENICO, N. IL 14/03/1973;
avverso SENTENZA del 21/05/2008 CORTE ASSISE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO;
Udito il Procuratore Generale;
udito il difensore avv.ti Ryolo A. e avv. Aricò, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Bottari Domenico ricorre al giudice di legittimità per l’annui lamento della sentenza resa dalla Corte d’Assise di Appello di Bologna che, in data 21 maggio 2008, lo aveva condannato alla pena di anni trenta di reclusione, in tal modo riformando quella pronunciata in prime cure dal G.U.P. del Tribunale, il quale, unificati i reati di omicidio premeditato aggravato e porto illegittimo di pistola ascritti all’imputato, escluse le circostanze aggravanti dell’aver agito per futili motivi e con crudeltà, concessegli le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla premeditazione ed applicata la diminuente del rito, lo aveva condannato alla pena di anni sedici di reclusione.
Il fatto per cui è causa ebbe a consumarsi il 12.7.2005 nei locali dell’università di Bologna, ove il giovane Venier Riccardo, al termine di un esame presso la facoltà di matematica, veniva attinto da otto colpi di pistola cal. 9, l’ultimo dei quali esploso alla testa, rimanendo ucciso. L’omicida si costituiva alla polizia e rendeva ampia confessione al P.M. ed al G.I.P., raccontando di aver conosciuto la vittima due anni addietro innamorandosene, ma di essere stato respinto per ciò patendo lunghe sofferenze che lo avevano portato al proponimento omicida, per la pubblica accusa lucidamente perseguito e mantenuto nel tempo. Il Bottari raccontava infatti di aver per questo acquistato la pistola de delitto, di essersi allenato presso poligoni di tiro, di essere venuto in precedenza a Bologna da Messina, suo luogo di origine, con l’intento di portare a compimento il piano omicida, di poi realizzato il giorno e nel contesto anzidetti, dopo aver caricato l’arma nel bagno ed aver finto di svolgere il medesimo esame nell’aula universitaria. La Corte d’Assise di Appello motivava il rigetto del gravame avverso la sentenza di primo grado proposto dall’imputato e, per converso, l’accoglimento dei gravame proposto dal Procuratore Generale, inizialmente nelle forme del ricorso per Cassazione poi convertito in appello dal Presidente della Corte di legittimità, osservando:
che non risultavano avanzate censure sull’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, peraltro suffragata da ampia confessione di piena attendibilità;
che le perizie in atti avevano confermano l’imputabilità dell’imputato stesso;
che la premeditazione del delitto, posta in discussione dalla difesa appellante, appariva palese nel caso di specie, ricorrendo sia l’elemento cronologico che quello ideologico;
che il gravame di merito dei P.G. non poteva essere messo in discussione dappoiché l’originario ricorso per Cassazione della P.A. era stato qualificato come appello dalla Suprema Corte con ordinanza del 19.10.2007, il cui contenuto decisorio era insindacabile da parte della Corte distrettuale;
che in adesione alle richieste del P.G. nel caso di specie andava riconosciuta la ricorrenza dei motivi abbietti e futili, dappoiché il rifiuto della vittima ad una relazione amorosa punito con una azione omicida si appalesa per motivazione e sproporzione, per un verso, abbietto e, per altro verso, futile;
che nel giudizio di comparazione tra aggravanti della rilevanza giuridica della premeditazione e quella di cui all’art. 62 c.p., n. 1 e le riconosciute attenuanti generiche sì appalesa evidente il maggior peso giuridico e fattuale delle prime rispetto alle seconde;
che in conseguenza la pena contemplata dall’ordinamento è quella dell’ergastolo da ridurre alla reclusione ad anni trenta per la diminuente del rito;
che sulla pena in tal guisa determinata non produce effetto il reato contestalo in continuazione, dappoiché per esso non può indicarsi una pena diversa da quella di anni tre.
2. Ricorre per Cassazione avverso detta sentenza l’imputato, con l’assistenza del suo difensore di fiducia, illustrando dieci motivi di doglianza.
2.1 Col primo di essi denuncia l’istante, a mente dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), la inosservanza di norme processuali con riferimento all’art. 443 c.p.p., comma 3, artt. 569 e 580 c.p.p., nonché errore su un presupposto di fatto determinante erroneità della decisione con riferimento, ove ammissibile, all’art. 625 bis c.p.p., nonché alle medesime norme ora richiamate.
Ad illustrazione della censura la difesa ricorrente rileva che:
– il ricorso per Cassazione proposto l’8.8.2007 dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna risulta convertito in appello con provvedimento del 19-29 ottobre 2007 del Presidente della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 569 c.p.p. e contestuale ordine di trasmissione degli atti alla Corte di Assise di Appello bolognese per la celebrazione del giudizio di secondo grado;
– trattasi di conversione disposta non con atto giurisdizionale ma con atto presidenziale non suscettibile di acquisire il carattere della irrevocabilità, assunto sulla omessa considerazione (e quindi su un errore di fatto) della pronuncia impugnata quale sentenza di condanna resa a seguito di giudizio abbreviato, in quanto tale non impugnabile in appello ai sensi dell’art. 443 c.p.p., comma 3;
– in assenza pertanto di una sentenza di rinvio per questo vincolante, la Corte distrettuale avrebbe dovuto trasmettere gli atti al giudice di legittimità ai sensi dell’art. 25 c.p.p., se del caso analogicamente applicato, anche perché nel frattempo depositata l’impugnazione dell’imputato ed applicabile l’art. 580 c.p.p.;
– il ricorso di legittimità, là dove possibile e là dove considerato di natura giurisdizionale il provvedimento presidenziale di conversione del ricorso di legittimità in appello, deve intendersi come ricorso a mente dell’art. 625 bis c.p.p., ovvero come istanza diretta a questa Corte per rilevare ex officio l’errore presupposto del provvedimento di conversione;
– ad ogni buon conto il ricorso convertito del Procuratore Generale andava delibato nei limiti della censura di legittimità e non già in quelli della censura di merito, ancorché giudicato nelle forme della sentenza di 2^ grado, mentre illegittimamente, secondo prospettazione difensiva, la Corte di Assise di Appello bolognese, dopo aver ritenuto l’ammissibilità della doglianza della P.A. così come tramutata dal provvedimento presidenziale di superiore istanza, l’ha valutata come doglianza di merito.
2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente la inosservanza di norme procedurali previste a pena di inutilizzabilità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui in sentenza si ritiene ammissibile il ricorso del P.G., oltre i limiti riconosciuti dal Presidente della Corte di Cassazione (art. 606 c.p.p., lett. e);
2.3. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, ancora una volta sotto il profilo di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), l’adesione da parte della Corte di merito alle censure del P.G. operata attraverso la non consentita, eppertanto illegittima, ricostruzione dei fatti, operata dal giudice di secondo grado in alternativa alla altrettanto logica ricostruzione operata dal giudice di prime cure e non già nei limiti imposti dalla valutazione della doglianza in termini di controllo di legittimità e non già di doglianza di merito;
2.4 Col quarto motivo di ricorso solleva ed illustra il ricorrente questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.p. là dove applicato nelle ipotesi di cui all’art. 443 c.p.p., comma 3, con riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost., dappoiché irragionevole ed in contrasto con i principi costituzionali in tema di giurisdizione, in termini, comunque, di non manifesta infondatezza, la possibilità che questioni di legittimità funzionalmente rimesse alla superiore scienza di un giudice particolare quale la Corte di Cassazione, siano rimesse, per vicende processuali di indubbia incertezza, alla cognizione di un giudice non di legittimità, peraltro inserito in un collegio composto, altresì, da giudici non togati, ai quali mai viene sottoposta una questione esclusivamente di diritto.
2.5 Col quinto motivo di doglianza censura il ricorrente, sotto il profilo della inosservanza di norme processuali previste a pena di nullità, la ritenuta sussistenza dell’aggravante dei motivi futili di cui all’art. 61 c.p., n. 1, sul rilievo che tale punto della sentenza di prime cure non risulterebbe oggetto di impugnativa di merito e che detta aggravante non risulta contestata. 2.6 Col sesto motivo di ricorso lamenta il ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata afferma la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, sul rilievo che la individuazione da parte del giudicante degli elementi sintomatici della vendetta, per un verso, omette di considerare il biennio trascorso dai rifiuto della vittima all’offerta di un rapporto anche di amicizia con l’imputato e, per altro verso, contraddittoriamente, trascura la volontà di intrattenere con essa un rapporto anche solo amichevole, per indicare poi il motivo scatenante della condotta incriminata nel rifiuto di soddisfare impulsi sessuali. Osserva altresì sul punto il ricorrente che non appare desumibile dai fatti di causa una qualche caratterizzazione di perversità e depravazione, una sensazione di ripugnanza e disprezzo, comunemente richiesti per la ricorrenza dell’aggravante in esame sotto il profilo del motivo abbietto. 2.7 Col settimo motivo di impugnazione censura la difesa ricorrente la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione con riferimento all’affermata imputabilità dell’imputato ed alla esclusione della diminuente di cui all’art. 89 c.p., opponendo, in sintesi, i seguenti rilievi:
a) erroneamente la motivazione impugnata afferma che la Corte di legittimità avrebbe escluso che i disturbi della personalità non costituirebbero elementi inficianti l’imputabilità in quanto privi di substrato organico;
b) le sezioni unite di questa Corte hanno ormai delineato nuove e più ampie problematiche in materia, cercando di avvicinare il diritto alle nuove frontiere della scienza psicologica, valorizzando, in siffatta prospettiva, la valutazione individuale e le circostanze idonee nel caso specifico ad incidere sulla capacità di intendere e di volere;
c) seguendo sempre la lezione scientifica di maggiore modernità e le indicazioni delle sezioni unite di questa Corte, non può oggi negarsi che, mancando o la capacità di intendere ovvero quella di volere, difetti comunque l’imputabilità;
d) il giudice de merito avrebbe valutato un accertamento peritale eseguito in esecuzione di quesiti non correttamente posti ed in assenza di indicazioni metodologiche di indagini pur necessarie per la valutazione giurisdizionale finale, tant’è che le conclusioni del perito non riferiscono nulla del metodo utilizzato, dei parametri di vai citazione assunti per giudicare i disturbi riscontrati e la incidenza delle anomalie registrate;
e) è incompleta la motivazione peritale là dove fa riferimento alla “sindrome di prisonizzazione” quale causa dei disturbi riscontrati, perché in contrasto questa con altri atti di causa;
f) è contraddittoria e semplicistica la motivazione nella parte in cui rimette il movente a quello tipico dell’omicidio passionale;
2.8 Con successivo motivo di ricorso (il settimo bis) la difesa dell’imputato denuncia sia difetto di motivazione della sentenza impugnata, perché contraddittoria questa con specifici atti processuali, sia la mancata assunzione di una prova decisiva, entrambi riferiti alla negata diminuente della parziale capacità di intendere e di volere.
Al riguardo richiama il ricorrente quattro documenti sanitari e l’esame dibattimentale, eseguito nel corso del giudizio davanti al G.U.P. del perito dott. Monaco, per inferirne la contraddittorietà col giudizio sulla imputabilità del prevenuto espresso dai giudici di merito, il difetto di motivazione della sentenza impugnata che ha pretermesso gli argomenti difensivi sul punto, l’errore di diritto dato dalla considerazione che soltanto una specifica patologia può determinare l’incapacità di intendere e volere, la omessa considerazione del grave quadro emerso in atti in ordine ai disturbi della personalità incidenti sull’imputato ed alle conseguenze notevoli di siffatta incidenza.
2.9 Con l’ottavo motivo di ricorso denuncia il ricorrente l’omesso esame da parte della Corte di merito della sua istanza volta alla rinnovazione ed alla integrazione della perizia, e di specifiche questioni sollevate con l’atto di appello ed illustrate col quarto motivo.
2.10 Con il nono motivo di gravame censura il ricorrente la sentenza impugnata per difetto di motivazione ed errata applicazione della legge in ordine alla riconosciuta aggravante della premeditazione, osservando sul punto che altro è il perdurare della ossessione odio – amore verso la vittima, altro è la persistenza di una volontà omicida, peraltro negata nella sua nettezza dallo stesso imputato in più momenti del processo analiticamente riportati in ricorso. 2.11 Con il decimo ed ultimo motivo di doglianza, infine, censura la difesa ricorrente la sentenza impugnata perché viziata, secondo prospettazione difensiva, da motivazione incompleta e contraddittoria, e questo sul rilievo che il giudizio di comparazione con le concesse attenuanti generiche è stato espresso con riferimento alla sola aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, peraltro valutata non in concreto, per i fatti e le circostanze concretamente delibate, ma in astratto, con riferimento ai presupposti giuridici della stessa.
3. Date le sintetizzate premesse in fatto e processuali, osserva la Corte che sono fondati i primi tre motivi di doglianza, da trattare unitariamente attesa la evidente connessione per materia, nonché il quinto ed il sesto motivo di impugnazione, relativi al riconoscimento da parte del giudice di secondo grado dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1.
Appare utile,preliminarmente, scandire la vicenda processuale:
– sentenza del GUP dei Tribunale di Bologna di condanna dell’imputato ad anni 10 di reclusione con esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1, concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla premeditazione ed applicazione della diminuente del rito;
– ricorso per Cassazione del P.G. in data 8.8.2007 e provvedimento in data 19 – 29 ottobre 2007 dei Presidente della Corte di Cassazione di conversione di tale ricorso in atto di appello, ai sensi dell’art. 569 c.p.p., con trasmissione degli atti alla Corte di Assise di Appello per la celebrazione del giudizio di 2^ grado, perché contenente il gravame delibato censure sulla motivazione della sentenza impugnata (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e;
– deposito dell’appello da parte dell’imputato condannato e fissazione dell’udienza per il giorno 16.4.2008;
– celebrazione del processo di secondo grado ed accoglimento de gravame di merito proposto dalla pubblica accusa con condanna dell’imputato alla pena di anni trenta;
– Sa motivazione della Corte di merito chiarisce, in particolare, che meritevole di accoglimento sono state ritenute le doglianze relative al mancato riconoscimento da parte del giudice di prime cure dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1; di qui la riformai azione del giudizio relativo al bilanciamento delle circostanze, espresso nel senso della subvalenza delle attenuanti generiche rispetto alle aggravanti affermate (art. 61 c.p., n. 1 e premeditazione).
3.2 Così sintetizzata la vicenda sottoposta al vaglio di questa Curia, giova richiamare, per definire con precisione la regola di giudizio applicabile al caso di specie, la disciplina di cui all’art. 443 c.p.p., comma 3, secondo la quale., ne procedimento articolato nelle forme del giudizio abbreviato, il P.M non può proporre appello contro le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenza che abbia modificato il titolo di reato.
Nello specifico, peraltro, si è concretizzata la fattispecie descritta all’art. 580 c.p.p. e cioè l’ipotesi di gravami diversi proposti da parti distinte ma tra essi connessi a mente dell’art. 12 c.p.p., i quali, per tale ragione, vanno congiuntamente trattati in sede di merito. Per Cass., sez. 2, 23.4.2007 n. 18253 (Cerchi, rv. 236404) in detta ipotesi, nella ipotesi cioè in cui si registri il ricorso in appello dell’imputato ed il ricorso per Cassazione del P.M., si applica comunque la regola della conversione di cui all’art. 580 c.p.p., ancorché proposto il ricorso di legittimità da soggetto non titolare dei diritto a proporre appello e questo anche allorché il ricorso per Cassazione del P.M. intervenga avverso una sentenza di condanna pronunciata con il rito abbreviato (Cass., sez. 1, 26.9.2003 n. 39463, rv. 225785).
In tale ipotesi però, stante l’appello dell’imputato contro la sentenza di condanna, l’eventuale ricorso per Cassazione proposto dal pubblico ministero, come innanzi oggetto di conversione in appello, conserva comunque la propria natura di impugnazione di legittimità. Ne consegue che la Corte distrettuale deve sindacarne l’inammissibilità secondo i parametri dell’art. 606 c.p.p., ed i suoi poteri di cognizione sono limitati alle censure di legittimità. Tuttavia, una volta che ritenga fondata una di dette censure, la Corte riprende la propria funzione di giudice del merito e può adottare le statuizioni conseguenti, senza necessariamente procedere in via formale all’annullamento della pronuncia di primo grado (Cass., Sez. 6, 25/09/2002, n. 42810, rv. 223788; Cass., sez. 4, 11.7.2007, n. 39618, rv. 237986).
3.3. Nè caso di specie la Corte di merito ha valutato e giudicato il ricorso del P.M. alla stregua di un tipico gravame di merito. Tale ricorso, giova rammentarlo, censurava la sentenza di prime cure per la esclusione dell’aggravante dei motivi di cui all’art. 61 c.p., n. 1, per gli esiti del conseguente bilanciamento delle circostanze delibate e per la misura della pena irrogata ed il giudice di secondo grado, preso atto dell’ordinanza della Corte di Cassazione che lo qualificava come appello, ha ritenuto che la propria cognizione fosse vincolata “al mero esame di merito”, come esplicitamente riconosciuto dalla sentenza (si confronti in particolare la parte in cui la Corte di merito inizia l’esame del gravame del P.G.).
Tale riconoscimento di. piena potestà di giudizio oltre i limiti della cognizione di legittimità, in forza dei principi di diritto innanzi detti si appalesa errata, dappoiché evidente l’incongruenza di restituire al P.M., surrettiziamente, una potestà negatagli dalla legge (quella di poter ricorrere in appello avverso sentenza di condanna resa nel giudizio abbreviato) restituzione peraltro connessa alla circostanza variabile, caso per caso, della proposizione o meno dell’appello da parte dell’imputato.
3.4 Ne consegue che illegittima si appalesa la motivazione della sentenza impugnata in relazione al riconoscimento nel caso di specie dei motivi abbietti e futili e questo sotto plurimi profili. In primo luogo perché sul punto andava dichiarato inammissibile il ricorso del P.M., in quanto palesemente infarcito di giudizi etici, peraltro estremamente discutibili e comunque giuridicamente contrastanti con i principi costituzionali in tema di uguaglianza e libertà personali, ed in quanto integrante esso ricorso doglianza di merito volta a sostituire una motivazione propria a quella logica, coerente e corretta illustrata dal giudice di prime cure. In secondo luogo in quanto l’aggravante contestata in rubrica fa riferimento al motivo abbietto e non anche a quello futile, ritenuto sussistente, pertanto, nonostante non risulti promossa razione penale al riguardo. In terzo luogo giacché corretta e logica la motivazione illustrata con la sentenza di primo grado al fine di giustificare il giudizio di esclusione dell’aggravante così come contestata, esclusione fondata sul riferimento a sentimenti umani di affetto e di amore, propri di ogni essere umano sia esso omo – ovvero eterosessuale, sentimenti ai quali soltanto con contraddizione logica potrebbe riferirsi il concetto di “abbietto”.
Si impone, per queste ragioni, la Cassazione della sentenza impugnata quanto all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 e art. 577 c.p.p., comma 1, n. 4, che va senz’altro eliminata, e, conseguentemente, quanto al trattamento sanzionatorio, avendo il giudice di secondo grado effettuato il giudizio di bilanciamento a mente dell’art. 69 c.p., e determinatola pena, tenendo conto della suddetta circostanza.
In relazione al trattamento sanzionatorio, l’annullamento va pronunciato con rinvio per nuovo esame dei motivi di appello che erano stati proposti al riguardo. Ogni altra doglianza appare manifestamente infondata. Quanto all’invocata applicazione dell’art. 125 bis c.p.p. perché norma invocatile, questa, in costanza di sentenza ovvero di ordinanza e non già di provvedimento presidenziale ed inoltre perché la presentazione dell’appello proposto dall’imputato ha sanato l’improprietà del provvedimento presidenziale di conversione in appello di un gravame avverso sentenza inappellabile ex lege.
Quanto all’eccezione di costituzionalità la stessa rimane assorbita dall’accoglimento dell’impugnazione nei limiti appena precisati. Quanto alle doglianze relative alla riconosciuta premeditazione, alla imputabilità del ricorrente ed alla necessità di integrazioni peritali su di essa, vertesi in ipotesi di censure manifestamente infondate dappoiché adeguatamente motivate le pronunce di merito secondo le argomentazioni sintetizzate in precedenza sub paragrafo 1) ed in quanto richiamate dalle pronunce in esame le conclusioni peritali di ufficio.
Il decimo motivo di ricorso, infine, risulta assorbito dall’accoglimento dei motivi relativi alla contestata ricorrenza dell’aggravante ivi contemplata.
Alla stregua delle esposte considerazioni la sentenza impugnata va cassata come da dispositivo, con la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, spese che si stima equo compensare per un mezzo, atteso il parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

La Corte, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 1 e art. 577 c.p., comma 1, n. 4, che elimina, e al trattamento sanzionatorie e rinvia per nuovo giudizio su questo punto ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Bologna.
Rigetta nel resto il ricorso e condanna l’imputato alla rifusione delle spese sostenute in questo grado in favore delle parti civili, che liquida in Euro 2.000,00 onorari compresi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2009