Tribunale di Milano, sentenza 13 giugno 2011

Con decreto del 9 gennaio 2009 il GIP presso il Tribunale di Milano rinviava al giudizio di questo Tribunale C.E. per aver cagionato la morte di T.V., conducente della vettura Skoda targata (…), che a causa della forte velocità aveva tamponato mentre si trovava a bordo della propria autovettura Volvo targata (…). Nel processo si costituivano parti civili E.L. e S.A., rispettivamente madre e convivente del deceduto, per ottenere il ristoro dei danni derivanti dal comportamento illecito dell’imputato. A seguito della richiesta delle parti civili, si costituiva quale responsabile civile la soc. Nuova Tirrenia Assicurazioni s.p.a. che chiedeva l’esclusione della parte civile S.A. per carenza di legittimazione attiva. Con ordinanza del 13 novembre 2009, di cui fu data lettura in udienza e che si richiama integralmente, il giudice rigettò l’istanza di esclusione ritenendo legittima la costituzione di S., in virtù dello stabile rapporto affettivo e di convivenza tra questi e la vittima.

Durante l’articolata istruttoria dibattimentale sono stati esaminati i testi S.A., A.A., Q.M., G.M., B.G., Z.R., A.M.P. D.B.A., M.M., A.V., il consulente della difesa ing. G.V., il perito ing. S.M., oltre all’imputato; sono stati altresì acquisiti al fascicolo del dibattimento il referto del PS relativo decesso, la relazione autoptica, l’album fotografico dei rilievi dell’incidente, il fascicolo dei rilievi tecnici della Polizia Stradale, nonché la relazione del consulente della difesa, dr. G., di quello della p.c. dr. Bardazza. All’esito dell’istruttoria dibattimentale è stata accertata oltre ogni ragionevole dubbio la responsabilità colposa dell’imputato per il decesso del T. poiché, a causa della alta velocità tenuta da C. sull’autostrada A8, la notte del 22 aprile 2008 tamponò il veicolo Skoda che lo precedeva in seconda (o terza) corsia di marcia.

(Omissis) portando dalla seconda alla terza corsia. In (omissis), queste ipotesi, comunque, si ravvisa un errore nella condotta di guida dell’imputato che, viaggiando a forte velocità, non riuscì a evitare il l contatto con la auto B che lo precedeva nella medesima corsia, avendo già terminato ogni eventuale spostamento precedente;

5) si deve escludere un movimento rapido nella corsia di marcia della auto A da parte della auto B per la traiettoria post urto e per le incisioni sul terreno.

Ne discende che il decesso di signor B causalmente riconducibile alla violazione del codice della strada per il mancato rispetto del limite di velocità e per la mancata percezione immediata della gravità del pericolo da parte di signor A, che, dunque, risponderne in sede penale. L’evento dannoso era anche prevedibile atteso che il veicolo condotto da signor B era perfettamente avvistabile ed era stato effettivamente avvistato da signor A che ha erroneamente confidato in una maggior velocità della auto B.

Nessun dubbio sull’evitabilità dell’urto che ha causato il decesso di signor B perché, se l’imputato avesse viaggiato a velocità adeguata, anche in presenza di spostamento di corsia da parte della auto B (comunque completata prima della collisione), l’incidente non sarebbe avvenuto, in quanto signor A stesso avrebbe avuto tempo e spazio per frenare ed accodarsi, oppure avrebbe concesso tempo e spazio al conducente della auto B per raggiungere una velocità tale da non essere raggiunto dalla auto A.

Non si può dunque imputare il sinistro, come ha proposto la difesa, all’esclusiva responsabilità colposa del conducente della auto B – che effettivamente avrebbe – dovuto viaggiare nella corsia libera più a destra specialmente a una velocità ridotta – in presenza di colpa o quantomeno di un rilevante di concorso di colpa di signor A che precorreva l’autostrada ad una altissima velocità e, non riuscendo ad avvedersi della modesta velocità dell’auto che lo precedeva, la colpì violentemente provocando gravi lesioni del conducente che lo portarono alla morte in poche ore.

Ne deriva la prova oltre ogni ragionevole dubbio della responsabilità dell’imputato per il reato a lui ascritto causato dal comportamento negligente ed inosservante delle norme sulla circolazione stradale, meglio specificato nella contestazione, che ha determinato l’evento dannoso, causando la morte di signor B.

Quanto al trattamento sanzionatorio, alla stregua dei criteri di cui all’art. 133 c.p. e, in particolare, in considerazione dell’alta velocità tenuta da signor A e le gravissime conseguenze del sinistro da lui causato, si ritiene equo infliggergli la pena di anni uno e mesi tre di reclusione. All’imputato possono riconoscersi le attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62 bis c.p. con riguardo al corretto comportamento processuale, ma si impone il giudizio di equivalenza con l’aggravante contestata attesa l’assenza di qualsivoglia risarcimento del danno e i precedenti penali pur lievi.

Deve invece essere escluso il riferimento alla recidiva, non più applicabile ai reati colposi.

Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

Ai sensi degli artt. 163 e 164 c.p., stante i precedenti non ostativi dell’imputato (uno remoto e l’altro a pena interamente sostituita con la pena pecuniaria per omesso versamento delle ritenute previdenziali), può concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, nella previsione che l’odierna condanna sia sufficiente a dissuaderlo da ulteriori condotte illecite e indurlo ad un comportamento maggiormente rispettoso del codice della strada.

L’imputato deve altresì essere condannato in solido con il responsabile civile al risarcimento dei danni ex artt. 2059 c.c. e 185 c.p. provocati dal suo comportamento illecito alle costituite parti civili.

Con riferimento ai danni subiti dall’anziana madre di T.V. in seguito al decesso del figlio, si osserva che la teste D.B.A. ha sottolineato la «grossa dipendenza della mamma nei confronti del figlio» che l’accudiva, la curava, le preparava da mangiare e la sosteneva in ogni modo e che ora, evidentemente dovrà essere assistita da una badante; il dr. G. ha poi diagnosticato uno stato depressivo prodotto dalla morte del figlio, che era assente in precedenza. Quanto alla posizione di A.S., i testi Z.R., A.M.P., D.B.A. e lo stesso S., hanno evidenziato la stabile relazione affettiva e di convivenza da quasi quindici anni tra quest’ultimo e T., con il quale vi erano anche intensi rapporti professionali (documentati dalle produzioni della stessa p.c.). Il dr. G. ha evidenziato un legame simbiotico  di S. con T., il cui decesso lo ha gettato in uno stato depressivo ancora attuale, che impedisce la rielaborazione del lutto (continua a prenotare il ristorante per due) e che ha prodotto un sensibile decremento dell’attività lavorativa e professionale. Sussistendo tale relazione, provata in dibattimento, è stata ammessa la costituzione di parte civile di A.S., dovendosi riconoscere la risarcibilità ex art. 2059 c.c., in relazione all’art. 185 c.p. dei danni derivanti da reato anche nei confronti del convivente di ugual sesso. Si richiama sul punto, oltre all’ordinanza 13 novembre 2009 dr.ssa Gatto (v. verbale di udienza in parti data), l’orientamento della Suprema Corte che ha stabilito la risarcibilità non solo della lesione dei diritti costituzionalmente inviolabili ma che, a seguito della commissione di un reato, della lesione dei diritti inerenti la persona non connotati da rilevanza economica (v. Sez. Un. civ. n. 26972/2008).

Ha stabilito altresì la Corte di cassazione (Sez. III pen., con sentenza n. 23725/2008, rv. 604690) che il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto — con riguardo sia al danno morale che al danno patrimoniale, che presuppone la prova di uno stabile contributo economico apportato in vita dal defunto al danneggiato—anche al convivente more uxorio del defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e mutua assistenza morale e materiale.

Dunque la Suprema Corte riconosce il danno conseguente non ad uno status o ad un particolare sesso,madalla sofferenza derivante dalla privazione della persona con cui si condivideva la vita e la comunanza di intenti e di progetti in una stabile relazione sentimentale e di coabitazione.

Senza dover equiparare in alcun modo la convivenza omosessuale alla famiglia, né legale né di fatto, né ad un rapporto di coniugio foriero di precisi diritti e doveri riconosciuti dall’ordinamento, e senza voler richiamare le interpretazioni della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, estranei alla nostra Carta costituzionale, in tema di equiparazione dei diritti di una coppia omosessuale con una coppia sposata si deve riconoscere al convivente superstite un danno risarcibile per la morte, derivante da fatto illecito, della persona (di diverso o di ugual sesso) che di fatto aveva una stabile ed effettiva relazione affettiva e di convivenza da lungo tempo.

Si ritiene dunque che ciascuna unione affettiva stabile e duratura crei una condizione di vita in cui l’individuo sceglie di crescere come persona e che la sua interruzione provocata da un fatto-reato provochi una sofferenza pari a quella che si verificherebbe in una coppia formata da persona di sesso diverso. Non si tratta dunque di riconoscere diritti simili o uguali a quelli derivanti da un matrimonio civile, ma di accordare tutela ad una situazione affettiva e di convivenza stabile, come affermato dalla Suprema Corte, analoga alla situazione del convivente della donna che perde un figlio con lui convivente da tempo.

Nel caso di specie dunque si ritiene risarcibile ex artt. 185 c.p. e 2059 c.c. il danno rappresentato dalla sofferenza e dal patema d’animo di S. per l’interruzione della vita personale e professionale che i due vivevano insieme, come concretamente provata dai testi, che ha inciso in modo determinante nella vita dell’individuo superstite alla morte del convivente.

Tali danni, provati nell’an, dovranno essere liquidati dal giudice civile con separato giudizio, non potendosi in questa sede effettuare una precisa quantificazione in ordine all’incidenza dell’eventuale concorso di colpa del deceduto nella circolazione stradale. L’imputato deve essere infine condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili per la loro costituzione e rappresentanza nel processo, che si liquidano in 3.600 euro per uno di essi aumentato del 20% per il secondo rappresentato come da tariffe professionali. liquidandosi così complessivamente la somma di 4500 euro, oltre Iva e C.P.A.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano in composizione monocratica,

Visti gli artt. 533, 535, 549 sgg. c.p.p.

DICHIARA

(…) colpevole del reato a lui ascritto e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata, lo condanna alla pena di un anno e tre mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 163 e 164 c.p., concede all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Visti gli art. 538, 539 comma 2 segg. c.p.p.

CONDANNA

Signor A e Beta Assicurazioni s.p.a., in persona del suo legale rappresentante quale responsabile civile, in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti dalle p. c. MADRE e SIGNOR C , da liquidarsi in separato giudizio; condanna altresì in solido tra SIGNOR A e BETA Assicurazioni s.p.a., in persona del suo legale rappresentante quale responsabile civile, alla rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza del grado di favore delle predette parti civili che si liquidano in omissis euro oltre Iva e Cpa.

Indica il termine di 90 giorni per il deposito della motivazione della sentenza

Milano 13-6-11.