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Partecipazione al Gay Pride, diritto di cronaca e diritto all’identità personale

prideNon sempre le informazioni che la stampa diffonde sulle sentenze emanate dalla Corte di cassazione rendono fino in fondo l’idea dell’impatto di una certa decisione sul nostro sistema giuridico. Come dimostra l’Autore, una sentenza che la stampa italiana aveva menzionato esclusivamente per un obiter in cui la Corte definisce il Gay Pride come un evento “del tutto lecito e privo di qualsivoglia profilo di intrinseca negatività”, cela in sé due importanti spunti ermeneutici concernenti l’art. 97, 1° co., l. dir. aut. in materia di limiti alla circolazione dell’immagine. Da un lato, la Cassazione chiarisce l’espressione legislativa di “fatto o avvenimento di interesse pubblico”, affermando come un «avvenimento o cerimonia di interesse pubblico non possa essere inteso in senso così restrittivo da escludere tutto ciò che non attiene in via immediata e diretta con l’evento stesso». Dall’altro lato, la Corte apre implicitamente alla possibilità di considerare l’identità personale e la dignità della persona come limiti insuperabili alla circolazione dell’immagine altrui anche nei casi in cui a tal fine non è necessario il consenso della persona ritratta.

di Francesco Bilotta*

La sentenza della Corte di cassazione n. 24110/2013 ha meritato gli onori della cronaca – come spesso accade in Italia – per un obiter contenuto nella motivazione[1]. In un passaggio della decisione, la Suprema Corte qualifica il Gay Pride come un evento che “unitamente al costume sessuale che esso rappresenta, è in sé del tutto lecito e privo di qualsivoglia profilo di intrinseca negatività”. Si potrebbe discutere a lungo su questa affermazione, considerandola da diverse angolazioni: cosa vuol dire l’espressione “costume sessuale”? Oppure, è proprio vero che al centro del Gay Pride vi sia un costume sessuale? O ancora – in termini più strettamente giuridici – perché c’è bisogno di ribadire che è del tutto lecita una manifestazione pubblica che è espressione del diritto di riunione, tutelato dall’art. 17 Cost.?[2] E se i soli limiti costituzionali a tale diritto sono la sicurezza e l’incolumità pubblica, che senso ha affermare che non vi è alcuna intrinseca negatività? Nonostante l’interesse per ciascuna di queste domande, finiremmo per concentrarci solo su un aspetto marginale della decisione. Piuttosto, vale la pena sottolineare altri due profili della sentenza: 1) quello che la Cassazione dice, circa l’interpretazione dell’espressione “fatto o avvenimento di interesse pubblico” di cui all’art. 97, 1° co., l. dir. aut.; 2) quello che la Cassazione non dice, a proposito della lesione del diritto all’identità personale.

Prima di entrare nel merito della motivazione della sentenza, ecco in sintesi la vicenda giudiziaria. Un signore si trova per puro caso alla Stazione di Milano mentre una troupe della RAI sta girando un servizio sulla partenza per Roma di un gruppo di persone, intenzionate a partecipare al Gay Pride. Senza che se ne accorga, viene ripreso sullo sfondo, in mezzo ad altre persone che come lui stavano semplicemente prendendo un treno senza alcuna intenzione di partecipare al Gay Pride.
Qualche tempo dopo, il servizio viene trasmesso in televisione e l’ignaro frequentatore della Stazione di Milano si riconosce sullo schermo, confuso tra i partecipanti al Gay Pride. Dalle risultanze processuali apprendiamo che la ragione per cui in seguito farà causa alla RAI è il fatto di aver visto la sua immagine collocata «abusivamente (…) in un contesto che esprime un costume ed un’identità che a lui non appartengono».

In primo grado, il Tribunale di Roma, il 28 gennaio 2004, condanna la RAI a risarcire all’attore 20.658,28 euro. La Corte d’appello di Roma, invece, riformerà tale sentenza, sostenendo che: a) non era stato dimostrato in giudizio che la persona ripresa fosse effettivamente l’attore e che comunque la sua immagine era sullo sfondo, anonimamente confusa tra la folla; b) l’uso dell’immagine è giustificato nel caso di specie dal fatto che i giornalisti della RAI hanno esercitato il diritto di cronaca, in quanto il Gay Pride è un evento di risonanza mediatica; c) l’attore non aveva espresso alcun dissenso alla divulgazione. Resta oscuro, però, come avrebbe potuto l’attore dissentire dalla divulgazione di immagini, della cui esistenza era ignaro.

Tra i motivi di ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, vi è la seguente questione: si può definire evento pubblico il semplice radunarsi di una folla a Milano, quando l’evento vero e proprio – quello che dovrebbe essere di pubblico interesse – si svolgerà in un momento successivo e soprattutto in una città diversa? Laddove si riconosca che i fatti ripresi dalla troupe della RAI sono «fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico», l’uso dell’immagine è assolutamente legittimo anche in assenza del consenso della persona ritratta[3].

Sebbene non vi sia dubbio che il Gay Pride è un evento di interesse pubblico, si tratta di capire se «la medesima natura possa essere riconosciuta anche al momento precedente costituito dal radunarsi dei partecipanti alla stazione di Milano allo scopo di prendere il treno per Roma, per prendere parte alla manifestazione stessa». La Corte di cassazione chiarisce quindi l’espressione legislativa di “fatto o avvenimento di interesse pubblico”, affermando come un «avvenimento o cerimonia di interesse pubblico non possa essere inteso in senso così restrittivo da escludere tutto ciò che non attiene in via immediata e diretta con l’evento stesso; in altre parole, la cerimonia o l’avvenimento non sono soltanto l’evento assunto nella sua limitata dimensione spazio-temporale, dovendosi ritenere ricompresi nella previsione legislativa anche quegli episodi che, pur non integrando in sé l’evento, al medesimo si ricolleghino in modo inequivocabile». Dal che discende che l’uso dell’immagine è legittimo nel caso di specie, anche in assenza di un consenso espresso del soggetto ripreso dalle telecamere.

Fin qui quello che la Corte di cassazione dice. Veniamo ora a quello che la Suprema Corte non dice altrettanto chiaramente.

Nel quarto motivo di ricorso si sottolinea come la Corte d’appello abbia omesso di motivare su un punto decisivo della controversia, in quanto fin dal primo grado l’attore aveva sollecitato i giudici a esprimersi sull’illiceità dell’uso di un’immagine che – usando le parole dell’evocato art. 97, 2° co., l. dir. aut. – reca “pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro nella persona ritrattata”. Le argomentazioni della difesa del ricorrente riflettono ciò che, a dispetto della realtà, è la percezione diffusa nel nostro Paese del Gay Pride. «È noto – sostiene la difesa del ricorrente – che in manifestazioni del genere i partecipanti sono soliti esibire i loro costumi sessuali in modo plateale e volutamente esagerato». E fin qui viene da sorridere, giacché si tratta di una ricostruzione esagerata – ma retoricamente giustificata – della realtà. La notazione che segue però offre uno spunto da non sottovalutare sul piano giuridico. «La ripresa televisiva oggetto di causa – continua la difesa – [ha] collocato abusivamente l’immagine del ricorrente in un contesto che esprime un costume ed un’identità che a lui non appartengono». Dunque, la situazione giuridica di cui si chiede la tutela non è né la riservatezza, né l’onore né la reputazione, nonostante il richiamo all’art. 97, 2° co., l. dir. aut. Qui in gioco, c’è l’identità personale, ossia «il complesso delle attività, posizioni professionali, culturali, ideologiche, religiose e sociali» di una persona[4].

Ma ammesso che nel caso di specie si possa configurare una lesione del diritto all’identità personale, sarebbe stato possibile un risarcimento del danno in base alla prospettazione attorea e alle risultanze dei giudizi di merito? La risposta è negativa per vari motivi. Innanzi tutto, durante l’intero giudizio è rimasto incerto se la persona ripresa dalle telecamere fosse proprio il ricorrente[5]. Inoltre, l’esercizio del diritto di cronaca è in grado di scriminare la condotta dei giornalisti della RAI. Infine, pur volendo concludere per l’illiceità della condotta dei giornalisti RAI, una volta che fosse stata provata la lesione del diritto, sarebbe stato necessario provare il danno risentito dalla vittima. Sarebbe interessante sotto questo profilo leggere integralmente la sentenza di primo grado.

La Corte di cassazione ci suggerisce – pur non esplicitandone completamente le ragioni – un’interpretazione estensiva dell’art. 97, 2° co., l. dir. aut. in modo da potervi ricondurre la tutela di situazioni giuridico-soggettive afferenti alla persona, ulteriori rispetto a quelle citate nel testo legislativo, ossia l’onore, la reputazione e il decoro. Nonostante il tenore letterale della norma, non è possibile considerare questa elencazione esaustiva e ancor meno tassativa, alla luce del principio personalistico che informa il nostro sistema costituzionale.

A tale approdo ermeneutico, che allarga l’area di tutela dell’art. 97, 2° co., l. dir. aut. all’identità personale e alla dignità della persona, si giunge ricordando non solo che la tutela della persona in ogni sua espressione è principio cardine dell’intero ordinamento, ma altresì che in un contesto affine a quello che andiamo considerando, nel Codice per la protezione dei dati personali, è chiaramente espressa la volontà del legislatore di tutelare la dignità e l’identità personale in occasione del trattamento di quel dato personale che è l’immagine.

Solo qualora – come nel caso di specie – ci trovassimo di fronte a un diritto di rilevanza costituzionale quale è il diritto di cronaca, si potrebbe immaginare, in un bilanciamento degli interessi in gioco, una prevalenza di quest’ultimo rispetto al diritto all’identità personale, sempre che non si possano adottare accorgimenti tecnici per ridurre l’impatto della diffusione dell’immagine sulla sfera giuridica della persona la cui identità personale o la cui dignità sia minacciata.

Pur essendo di buon senso la regola contenuta nell’art. 97, 1° co., l. dir. aut., che in circostanze come quelle considerate non richiede il consenso dell’avente diritto come presupposto di una lecita diffusione dell’immagine, l’esigenza di tutela dei “diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale”[6] genera il dovere, in capo a chi intende diffondere l’immagine altrui, di usare ogni accortezza al fine di attenuare o evitare la lesione della sfera giuridica della persona ritratta.

Concludendo, quindi, se un “ritratto”, per usare il termine un po’ antiquato dell’art. 97, 2° co., l. dir. aut., è di per sé idoneo a ledere la dignità o l’identità personale di una persona, non può essere né esposto né posto in commercio. Se però l’esposizione dell’immagine è funzionale all’esercizio del diritto di cronaca, la diffusione dell’immagine dovrebbe essere possibile solo se accompagnata da accorgimenti tecnici idonei a salvaguardare la sfera giuridica del soggetto ritratto.

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*Ricercatore confermato di diritto privato presso il Dipartimento di scienze giuridiche dell’Università di Udine.

[1] Cassazione: ripreso dalla Rai in un servizio sul Gaypride, chiede danni, Libero, 29 ottobre 2013; C. Vitale, La Cassazione “esalta” il Pride e dà torto a un “gay per caso” finito in tv, Il Secolo d’Italia, 29 ottobre 2013.

[2] Sul tema si è espressa anche la Corte EDU, 21 ottobre 2010, Alekseyev v. Russia, ricorso nn. 4916/07, 25924/08 e 14599/09) e Corte EDU, 12 giugno 2012, Genderdoc-M c. République de Moldova, ricorso n. 9106/06.

[3] E ciò in base a quanto prescritto dall’art. 97, 1° co., L. n. 633/ 1941. La Corte di cassazione richiama, tra l’altro, un suo precedente Cass., 29 settembre 2006, n. 21172, in Resp. civ. prev., 2007, 4, 807 e in Giust. civ., 2007, 12, I, 2785.

[4] È la definizione che ne dà V. Zeno-Zencovich, Identità personale, in Digesto, IV ed., vol. IX Civile, Utet, Torino, 1993, 3 e ss. Subito dopo la citazione che abbiamo riportato nel testo, l’Autore aggiunge: «In questo senso l’identità personale costituisce una sintesi della “storia” di ciascun soggetto che consente ai consociati di identificarlo con una persona ben precisa la cui vita passata e presente è caratterizzata da talune vicende».

[5] Il primo motivo del ricorso in Cassazione, che la Corte non prende in considerazione perché assorbito dal rigetto degli altri motivi analizzati, verteva proprio sul valore probatorio dell’immagine in assenza di una contestazione della controparte. In verità, quello della completa identificabilità della persona è un profilo essenziale, perché intanto potrà avere rilevanza la lesione dell’identità personale del soggetto ritratto, in quanto vi sia una discrasia tra le idee che l’immagine veicola e la persone a cui quelle idee vengono riferite.

[6] È come noto quanto prevede l’art. 2, 1° co. Cod. privacy, che costituisce una norma dettata in una materia analoga a cui l’interprete potrebbe volgere l’attenzione per superare ogni dubbio circa l’odierna portata dell’art. 97, 2° co., l. dir. aut.

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