Categoria: OPINIONI

Il Tribunale di Milano si allinea alle Sezioni unite

di Giulia Barbato

Pubblichiamo il decreto del Tribunale di Milano del 4 maggio 2023 (per cui si ringraziano gli avv. Ida Parisi e Michele Giarratano per la segnalazione e l’invio), che ha accolto il ricorso ex art. 95 d.p.r. n. 396 del 2000 promosso dalla relativa Procura, cui ha aderito il Ministero degli Interni, avente ad oggetto l’istanza di annullamento della trascrizione dell’atto di nascita di un minore, formato all’estero, nella parte indicante anche il genitore intenzionale quale genitore del bambino.

La vicenda riguarda un minore nato in Canada da maternità surrogata il cui atto di nascita riportante due genitori dello stesso sesso (entrambi cittadini italiani) veniva trascritto integralmente nel gennaio 2023 nei registri dello stato civile del Comune di Milano. Un mese dopo il Comune segnalava detta trascrizione alla Procura competente, la quale agiva in giudizio chiedendone l’annullamento, sostenendone la sua contrarietà al nostro ordinamento giuridico.

Il Tribunale milanese preliminarmente afferma la legittimità del procedimento ex art. 95 e ss. d.p.r. n. 396 del 2000, intrapreso dal PM, per ottenere la rettificazione della trascrizione dell’atto di nascita del minore con l’eliminazione dell’indicazione del genitore intenzionale, permanendo solamente l’indicazione del genitore biologico. Infatti, a parere del giudice di primo grado, tramite questo procedimento non viene modificato l’atto di nascita formato all’estero e, dunque, lo status del bambino, in forza del quale è figlio sia del genitore biologico che del genitore intenzionale, ma semplicemente non viene ammessa la sua piena trascrivibilità in Italia, dove “solo il genitore biologico potrà essere considerato tale e, di conseguenza, avere ed esercitare la responsabilità genitoriale sul minore medesimo” (così, p. 4).

Nel merito il giudice meneghino, dopo aver evidenziato come, nonostante i moniti rivolti al legislatore dalla Corte Costituzionale con le decisioni nn. 32 e 33 del 2021, tuttora nel nostro ordinamento non esista un istituto precipuamente volto al riconoscimento del rapporto di filiazione tra il nato tramite GPA e il genitore intenzionale, ritiene doveroso “alla luce delle intervenute pronunzie della Corte Costituzionale (79/2022) e della Suprema Corte a Sezioni Unite (Cassazione SSUU n. 38162 del 30 dicembre 2022)” (così, p. 7) per regolare siffatta fattispecie discostarsi dall’orientamento finora seguito in base al quale è stata considerata ammissibile, poiché reputata non contraria all’ordine pubblico internazionale, la trascrizione integrale (ovvero con l’indicazione di entrambi i genitori) nei registri dello stato civile degli atti di nascita, formati all’estero, dei minori nati da maternità surrogata.

Infatti con riguardo alla sentenza dell’Alta Corte viene sottolineato come per effetto della stessa “oggi (con le sole eccezioni del caso di decesso del genitore biologico ovvero mancanza di consenso – peraltro valutabile dal Tribunale – del genitore biologico) anche l’adottato ex art. 44 primo comma lettera d) legge 184/1983 godrà di una tutela relazionale e patrimoniale analoga a quella di ogni adottato” (così, p. 8).

Invece rispetto alla decisione n. 3816 del 2022 delle Sezioni Unite, il Tribunale meneghino aderisce espressamente e in toto alla posizione ivi assunta dal giudice di legittimità secondo cui l’ordinamento italiano per un verso vieta ogni forma di maternità surrogata, ritenendola lesiva della dignità della donna e, pertanto, non ammette la trascrizione o delibazione dell’atto straniero che riconosce il legame di filiazione tra il genitore d’affetto e il nato mediante GPA; per altro garantisce comunque il best interest del minore, riconoscendogli il suo rapporto con il genitore intenzionale attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari.

In particolare, ad avviso del giudice milanese, in primo luogo “i[I]l riconoscimento ab initio, mediante trascrizione o delibazione del provvedimento straniero di accertamento della genitorialità, dello status filiationis del nato da surrogazione di maternità anche nei confronti del committente privo di legame biologico con il bambino, finirebbe in realtà per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante”(così, p. 12); in secondo luogo, “va escluso che il desiderio di genitorialità, attraverso il ricorso alla procreazione medicalmente assistita lasciata alla autodeterminazione degli interessati, possa legittimare un presunto diritto alla genitorialità comprensivo non solo dell’an e del quando, ma anche del quomodo” (così, p. 12-13); in terzo luogo, “l’instaurazione della genitorialità e il giudizio sulla realizzazione del miglior interesse del minore non si coniugano con l’automatismo e con la presunzione, ma richiedono una valutazione di concretezza […] che postula il riscontro del preminente interesse del bambino a continuare, con la veste giuridica dello status, un rapporto di cura e di affettività che, già nei fatti, si atteggia a rapporto genitoriale”(così, p. 13).

Pertanto, senza soluzione di continuità con le Sezioni Unite, l’adozione particolare viene qualificata quale istituto in grado di tutelare l’interesse del bambino “nato a seguito di maternità surrogata nell’ambito di un progetto procreativo di una coppia omoaffettiva”  al riconoscimento giuridico del suo rapporto con il genitore intenzionale, in quanto assicura il riconoscimento giuridico della genitorialità di quest’ultimo, “ex post e in esito ad una verifica in concreto da parte del giudice”, ancorandolo “a una verifica in concreto dell’attualità del disegno genitoriale e della costante cura in fatto del bambino” (così, p. 14).

Sulla base di tali motivazioni, secondo il Tribunale meneghino, la trascrizione dell’atto di nascita del minore de quo indicante non solo il genitore biologico, ma anche il genitore intenzionale è “avvenuta in violazione della normativa vigente che vietando il ricorso alla maternità surrogata, vieta altresì la trascrizione dell’atto di nascita nella parte in cui riporta quale genitore anche quello d’intenzione”, dovendo, quindi, “essere rettificata annullando nella trascrizione dell’atto l’indicazione del genitore d’intenzione” (così, p. 15).

In definitiva, a parere del giudice di primo grado milanese, il diritto del bambino in questione “al pieno riconoscimento del ruolo svolto dal genitore d’intenzione non solo nel progetto procreativo ma altresì nel successivo progetto volto alla crescita, educazione e istruzione del minore potrà essere riconosciuto con il procedimento di cui all’art. 44 primo comma lettera d) della legge 184/1983 che, come oggi riformato, è in grado di garantire al minore pieno riconoscimento dello status di figlio e dei relativi diritti e al genitore d’intenzione pienezza della titolarità e dell’esercizio della responsabilità genitoriale” (così, p. 15).

“Tutt’altro che rettilinea”: dal Tribunale di Brescia una serrata critica degli indirizzi della prima sezione sui bambini nati da PMA

di Giulia Barbato

Con un interessante decreto del 17 marzo 2022 – 16 febbraio 2023 il Tribunale di Brescia ha dichiarato illegittimo il rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile bresciano di ricevere la dichiarazione di riconoscimento di due minori resa dalla madre intenzionale, dando atto conseguentemente di tale riconoscimento e ordinando la rettificazione dell’atto di nascita di entrambi i minori mediante l’aggiunta dell’indicazione della donna quale secondo genitore.

La vicenda riguarda due minori nati da un progetto di genitorialità condiviso da due donne unite civilmente, realizzato effettuando all’estero la fecondazione eterologa, nei cui atti di nascita veniva indicata la madre biologica come unico genitore, stante il rifiuto dell’ufficiale dello Stato civile di Brescia di iscrivere la madre intenzionale quale secondo genitore dei bambini.

Avverso tale diniego le due mamme agivano dinnanzi il Tribunale di Brescia, chiedendo il riconoscimento anche della genitrice sociale in virtù dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004, secondo cui “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6”. Invero, a detta delle ricorrenti, per tutelare il superiore interesse dei minori e il loro diritto alla bigenitorialità – garantiti anche a livello sovranazionale all’art. 24 CEDU – è doverosa l’applicazione di questa disposizione in una con tutte le altre presenti nella legge n. 40 del 2004 riguardanti lo status di figlio nato in seguito a PMA.

Si costituiva in giudizio il Ministero degli Interni, domandando il rigetto del ricorso sostenendo l’inapplicabilità dell’art. 8 ai figli di coppie omogenitoriali femminili in ragione del divieto di accesso alla PMA alle coppie dello stesso sesso fissato all’art. 5 della legge n. 40 del 2004; l’illegittimità – asserita dalla Corte Costituzionale – delle domande aventi ad oggetto la trascrivibilità del genitore d’intenzione; la tassatività degli atti dell’ufficiale di Stato Civile, i quali “non prevedono due madri, ma una madre e un padre”(così, p. 2); la doverosità di tale soluzione per evitare la conferma di situazioni di fatto non consentite e la neutralizzazione dei divieti imposti dalla legge n. 40 del 2004; l’assenza, infine, della violazione del best interest dei minori, avendo questi riconosciuto lo status di figli della madre biologica e non risultando leso alcun loro interesse mediante la mancata menzione della co-madre nei loro atti di nascita.

Il Tribunale, in primis, evidenzia che l’inadattabilità dei provvedimenti amministrativi esistenti alla fattispecie in esame non può giustificare la loro insindacabilità da parte del giudice ordinario, ove gli stessi pregiudichino diritti della persona, quali l’identità personale e il rapporto genitore/figlio. Viene sottolineato, infatti, come questi diritti fondamentali, altrimenti, “sarebbero condizionati ad attività amministrativa e alla modifica, molto formale, della indicazione o meno del genere del genitore nel modulo” (così. p. 3).

Il giudice di prime cure perimetra poi la questione oggetto della decisione, individuandola nella prevalenza o meno dell’interesse statale alla repressione in certe ipotesi della PMA “illecita” rispetto all’interesse alla bigenitorialità del minore, comunque nato.

Viene ricordato come riguardo a fattispecie analoghe attinenti all’iscrizione della madre intenzionale il medesimo Tribunale si sia già espresso per l’illegittimità del rifiuto di tale iscrizione da parte dell’Ufficiale dello stato civile, ritenendo tali fattispecie riconducibili all’art. 8 della legge n. 40 del 2004. Il giudice di primo grado giunge a tale approdo ermeneutico partendo dalla lettura di questa disposizione in una con gli artt. 9 e 12 della legge n. 40 del 2004 anche “(…) alla luce della esigenza, costituzionalmente garantita, di tutelare la condizione giuridica del nato, conferendogli, da principio, certezza e stabilità” (così, p. 3). Muovendo da ciò, ha asserito come rispetto ai nati a seguito di PMA il conseguimento dello status filitionis della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tale tecnica ex art. 8 sia slegato dalla sussistenza da parte della medesima coppia dei requisiti oggettivi e soggettivi di cui agli artt. 1, 4 e 5 della legge n. 40 del 2004, come attestato dall’art. 12 della stessa legge, il quale si limita a prevedere l’irrogazione di sanzioni amministrative nei confronti di chi ricorre alla PMA non rispettando tali requisiti, “senza mai menzionare, intaccandola, l’istaurazione del rapporto di filiazione con il genitore intenzionale”(così, p. 4). Dunque, secondo tale lettura, la legge n. 40/2004 costituisce un esempio di quella che il diritto romano definisce “lex minus quam perfecta”: “gli atti compiuti in difformità dalla fattispecie legale (i.e., i casi di PMA praticati al fuori delle condizioni di accesso) sono eventualmente passibili di sanzione amministrativa, ma producono comunque l’effetto della costituzione del rapporto giuridico di filiazione tra il nato ed entrambi i membri della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche di procreazione assistita”(così p.4).                                                                                                                                                                                  Del resto, a detta del Tribunale, il principio della tutela del concepito permea tutte le disposizioni della legge n. 40 e deve fungere da criterio chiave per la risoluzione dei dubbi ermeneutici riguardanti queste norme. Conseguentemente, in linea anche con la giurisprudenza sovranazionale e costituzionale, è necessario considerare prevalente il diritto del nato mediante PMA ad essere riconosciuto quale figlio dei due membri della coppia che ne hanno voluto la nascita, dovendosi applicare l’art. 8 “anche nel caso, come quello in esame, in cui due mamme abbiano avuto in Italia un figlio da procreazione assistita effettuata all’estero” (così, p. 5), risultando in quest’ipotesi il riconoscimento della madre intenzionale “un atto giuridico volto a completare la fattispecie di cui all’art. 8 e determinare la costituzione del rapporto di filiazione” (così, p. 5) con il nato.

Nella pronuncia viene poi ricordata la posizione contraria assunta dalla Corte d’Appello di Brescia secondo cui lo scopo perseguito dalla legge n. 40 del 2004 è esclusivamente rimediare a problemi di sterilità/infertilità, non anche permettere alla componente della coppia omosessuale di ricorrere alla PMA né, tantomeno, ammettere la formazione di un legame filiale tra il nascituro e l’altro componente della coppia stessa, costituendo questo un divieto “implicito ma inequivocabile” (così, p. 6).

Tale interpretazione viene criticata nella decisione in esame, in quanto si evidenzia come si nega la tutela dell’art. 8 legge n. 40 del 2004 al minore sulla base di un divieto implicito, fatto discendere dal diverso divieto di ricorrere alla PMA per le coppie dello stesso sesso, risultando in sostanza ricostruita l’esistenza di una norma da parte della Corte, una volta accertata la sua assenza.

Al contrario il Tribunale de quo asserisce come “la procreazione è un fatto talmente complesso […] che non appare giusto far prevalere in ogni caso le ragioni della biologia su quelle della biografia” (così, p. 6), risultando “necessario spostare il fuoco del diritto sul nuovo individuo, che non è mai illecito” (così, p 6), anche ove lo sia stato il suo concepimento in base alla legge n. 40 del 2004.

Per quanto concerne, invece, la giurisprudenza della Cassazione, viene messo in luce come essa “appare tutt’altro che rettilinea” sul punto (così, p. 7).

Invero nella pronuncia si sottolinea come la ricostruzione elaborata dalla Corte d’Appello bresciana sia messa in crisi dal giudice di legittimità nel caso di fecondazione omologa avvenuta con seme di genitore morto, avendo la Suprema Corte, in questa occasione, riconosciuto a favore del nato l’applicazione dell’art. 8 in una delle ipotesi vietate dalla legge n. 40 del 2004, non essendo più vivente uno dei due componenti della coppia al momento del concepimento. Tuttavia viene evidenziato come si registrano altre decisioni della stessa Corte di Cassazione in cui viene negata l’iscrizione della seconda madre intenzionale in base a tre ordini di motivi: la sussistenza di un principio nel nostro ordinamento per cui la posizione di madre ha un fondamento oggettivo-genetico, che non permette che possano esistere due madri, risultando fissato ex lege il limite invalicabile della diversità di sesso per l’accesso alla PMA; la necessità di bilanciare la libertà e la volontarietà di divenire genitori con altri valori protetti dalla Costituzione; l’impossibilità di realizzare forme di genitorialità svincolate da un rapporto biologico oltre i casi ammessi dalla legge.

All’opposto, a parere del giudice lombardo, la legge n. 40 del 2004 persegue il fine di “regolare una procreazione che prescinde dalla biologia, non solo dal naturale rapporto sessuale, se è vero, come è vero, che il genitore intenzionale non può disconoscere il figlio nato, quandanche per qualsiasi evenienza non si trattasse dei suoi gameti, restando così dimostrata la prevalenza dell’intenzione sulla biologia. Inoltre l’art. 9 della medesima legge 40 per il caso di fecondazione eterologa nega al donatore dei gameti qualsiasi relazione parentale e qualsiasi diritto od obbligo verso il nuovo nato, negando così le ragioni della biologia affermate in quella giurisprudenza” (così, p. 8).

Del resto nel decreto de qua viene rimarcato come sia la giurisprudenza costituzionale sia la Corte EDU hanno più volte ribadito che, nonostante spetti al legislatore regolare la materia in esame, il giudice ordinario, diversamente dal giudice delle leggi – che interviene in modo generale e astratto -, “è obbligato a pronunciarsi sul regolamento concreto, nel caso di specie se la madre intenzionale sia riconosciuta come genitore nella procreazione medicalmente assistita “illecita” (così, p. 8), dovendo a tal fine interpretare la normativa in senso minorecentrico, secondo quanto indicato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 32 del 2021, in cui tra l’altro viene stigmatizzata la creazione della categoria di figli non riconoscibili, l’insufficienza della soluzione dell’adozione in casi particolari e l’impossibilità di considerarla equipollente all’iscrizione della madre intenzionale.

Viene in aggiunta ricordato che l’insufficienza della adozione alla piena tutela dello status di figlio, oltre ad essere sostenuta dalla Corte EDU, è stata confermata dalla Cassazione nella sentenza n. 38162 del 2022, resa a Sezioni Unite, quando viene rilevato che “il minore non può rivendicare la costituzione del rapporto genitoriale per il tramite dell’adozione” (così, p. 10).

Quindi al fine di garantire il diritto alla bigenitorialità del minore, a parere del Tribunale bresciano, l’adozione in casi particolari non è in grado di sostituire in maniera soddisfacente l’instaurazione del rapporto di filiazione fin dal momento della nascita.

A questo punto il giudice di primo grado sottolinea come la tutela della bigenitorialità debba essere garantita anche quando i genitori sono dello stesso sesso, non potendo “esistere figli non riconoscibili per la omosessualità dei genitori” (così, p. 12), essendo ormai scientificamente provato che il benessere dei bambini cresciuti nelle famiglie omogenitoriali è uguale a quelli cresciuti nelle famiglie “tradizionali”.

“Per altro verso”, a parere dell’organo giudicante, “stride la differenza fra la situazione del bimbo concepito mediante PMA con madre intenzionale a seconda che sia nato in Italia, per la Cassazione da non iscriversi, o all’estero, per la Cassazione da trascriversi: situazioni analoghe, sotto il profilo della filiazione e soprattutto del minore, cui viene destinato un trattamento opposto” (così, p. 14).

Dunque, secondo il Tribunale lombardo, è necessaria “una lettura ampia dell’art. 8 l. 40/04, tale da ricomprendervi tutti i nati da PMA, anche nei casi “illeciti”, per bimbi nati in Italia o all’estero, perché non ricada sui figli la colpa dei padri, o delle madri nel caso, sempre ammesso che di colpa possa parlarsi” (così, p. 13), non potendosi tralasciare il dato essenziale che tra le intenzioni della legge rientra proprio la tutela del nato, cui è dedicato il capo terzo della stessa legge.

Nella pronuncia viene ricordato, altresì, che la legge n. 40 del 2004 è una legge di compromesso, che non scioglie i punti più delicati, per districare i quali è indispensabile fare ricorso ai principi generali.

In definitiva il Tribunale di Brescia ritiene di confermare l’orientamento espresso nelle precedenti pronunce: lex minus quam perfecta. Conseguentemente dichiara illegittimo il rifiuto dell’Ufficiale di Stato Civile bresciano di ricevere la dichiarazione di riconoscimento di due minori dalla madre intenzionale e per l’effetto dà atto di tale riconoscimento, ordinando la rettificazione dell’atto di nascita di entrambi i minori mediante l’aggiunta dell’indicazione della donna quale secondo genitore.

Pistoia e Milano: inammissibili i ricorsi delle Procure per i bambini con due mamme

di Giulia Barbato

Pubblichiamo i decreti del Tribunale di Pistoia del 7 ottobre 2022 e del Tribunale di Milano del 4 maggio 2023, accomunati dalla medesima dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi ex art. 95 d.p.r. n. 396 del 2000 proposti dalle relative Procure, aventi ad oggetto la richiesta di rettifica dell’atto di nascita indicante anche la madre intenzionale quale genitore dei bambini, in luogo della sola madre biologica.

Le vicende oggetto dei provvedimenti in esame sono speculari, afferendo a minori nati in Italia da un progetto di genitorialità condiviso da due donne, realizzato facendo ricorso alla PMA all’estero, i cui atti di nascita riportavano quali genitori dei nati la madre naturale e, in virtù di una successiva annotazione, la madre d’affetto.

Tali provvedimenti appaiono di particolare interesse perché sono connotati da un analogo iter argomentativo a sostegno dell’inidoneità del ricorso di cui all’ art. 95 DPR 396/2000 per ottenere l’annullamento della trascrizione nei registri dello Stato civile dell’atto di riconoscimento del minore da parte della madre sociale.

A tal fine, infatti, in ambedue i giudizi il Procuratore presso il Tribunale di riferimento aveva agito con questo tipo di ricorso – cui aveva aderito il Ministero dell’Interno -, sostenendo la contrarietà al nostro ordinamento della redazione di un atto di nascita in cui risultano genitori due madri.

 Tuttavia, in entrambe le decisioni, il giudice di prime cure asserisce la non accoglibilità della domanda di rettificazione poiché, in realtà, ha ad oggetto una questione di stato, essendo volta ad ottenere la rimozione dello status filiationis di un minore nei confronti della madre sociale.

Viene sottolineata dal giudice di merito l’inidoneità del procedimento di rettificazione – strutturalmente funzionale all’attività pubblicitaria dei registri dello stato civile – ad essere eletto per risolvere una questione di stato, la quale, al contrario, richiede – come affermato dalle Sezioni Unite nella decisione n. 12193/2019 – una procedura complessa, a cognizione piena, nel contraddittorio delle parti, in un giudizio contenzioso riguardante lo status filiationis, che si conclude con  una pronuncia costitutiva.

Al riguardo il Tribunale di Pistoia evidenzia che “l[L]e contestazioni dello status filiationis nel nostro ordinamento sono disciplinate da azioni tipizzate [….], che costituiscono un numero chiuso”, risultando l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità – come già chiarito dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 272/2017 – “l’unica azione disciplinata dall’ordinamento italiano concretamente applicabile per contestare la sussistenza del legame di filiazione tra i genitori d’intenzione che hanno riconosciuto il figlio nelle forme di cui all’art. 254 c.c. ed il figlio nato da procreazione medicalmente assistita”(così p. 3).

Infatti il Tribunale pistoiese sottolinea come per rimuovere la divergenza tra la realtà del fatto e la sua riproduzione nell’atto di nascita sia necessario, preliminarmente, elidere lo status filiationis già acquisito dal minore fin dal momento del riconoscimento da parte del genitore intenzionale, che si è rafforzato nel tempo contribuendo a costruire l’identità personale del bambino.

A parere del medesimo giudice, proprio in funzione della salvaguardia dell’identità personale devono considerarsi prevalenti la garanzia della certezza di detto status e la tutela dell’interesse del minore alla stabilità del rapporto di filiazione rispetto al favor veritatis, in linea con le disposizioni introdotte dalla riforma della filiazione del biennio 2012/2013, in forza delle quali le azioni di stato sono imprescrittibili solo per il figlio, sussistendo, al contrario, stringenti termini decadenziali per la loro esperibilità da parte dei genitori o degli altri soggetti legittimati.

Muovendo da siffatte osservazioni, il Collegio toscano ha dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 95 d.p.r. n. 396 del 2000 proposto dal PM, in quanto non riguardante la mera rettifica di atti di stato civile, ma lo stato di figlia della minore nei confronti della madre d’affetto, “con inevitabili ripercussioni sull’identità personale della bambina che da oltre quattro anni si riconosce ed è riconosciuta dalla società e dalle istituzioni statali” (così p. 5) come figlia oltre che della madre biologica anche della madre d’intenzione e che, in base a tale situazione, non solo di fatto ma anche di diritto, ha formato la sua identità come figlia di entrambe le donne.

Il Tribunale meneghino, ponendosi sul punto sulla stessa linea ermeneutica del Tribunale di Pistoia, afferma che la richiesta formulata dal PM “si sostanzia in una questione avente ad oggetto lo status filiationis che impone – quanto alla sua rimozione – il ricorso ai tipici procedimenti–azioni di stato – previste dal nostro ordinamento allorché si proponga una domanda diretta alla demolizione dello status di figlio” (così p. 5). In particolare, a parere di detto giudice, dato l’oggetto della contestazione mossa dalla Procura, il rimedio da utilizzare è quello previsto dall’art. 263 c.c., ossia l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità.

In aggiunta il giudice di Milano ricorda come da un lato la dichiarazione di nascita resa all’Ufficiale dello Stato Civile costituisca “un accertamento di grado intermedio”, superabile “soltanto da un titolo di grado maggiore, da una sentenza resa in un giudizio di stato”; dall’altro l’attività dell’Ufficiale dello stato civile si limita a recepire tale dichiarazione “e a formare l’atto o a trascriverlo o a effettuare l’annotazione” (così p. 9).  Conseguentemente quest’ultima attività non ha un’efficacia costitutiva, acquistando però ex lege l’atto formato “una forma di ‘pubblicità’ tale per cui lo status che da esso risulta può essere contestato solo esercitando in giudizio una delle azioni di stato tipiche” (così p. 9).

Dunque, a parere del Collegio milanese, relativamente alla fattispecie sottoposta al suo esame “il riconoscimento del minore, effettuato successivamente alla sua nascita, con la dichiarazione resa all’Ufficiale dello Stato Civile ai sensi dell’art. 254 c.c., ha determinato quell’accertamento di grado intermedio da cui è sorto il rapporto di filiazione del bambino” (così p. 9). A detta del medesimo giudice “l[L]o status di figlio è infatti provato dal suo atto di nascita ove il riconoscimento è trascritto e non potrà essere superato se non da un accertamento di grado superiore, ossia con una tipica azione di stato” (così p. 9).

Pertanto anche il Tribunale meneghino dichiara inammissibile il ricorso de quo.

Il diritto stia dalla parte dei bambini e delle bambine

PUBBLICHIAMO IL DOCUMENTO PROMOSSO IL 22 GIUGNO E GIA’ SOTTOSCRITTO DA 276 DOCENTI UNIVERSITARI, GIUDICI, AVVOCATI E AVVOCATE, PERSONE CHE CON VARIE COMPETENZE SI OCCUPANO DI PROTEZIONE DEI MINORI

Le persone lgbti+ e le loro famiglie sono oggetto di un duro attacco che non può che suscitare allarme e malessere in quanti hanno a cuore i valori dell’uguaglianza e della non discriminazione. È un attacco rivolto, in nome di una presunta volontà della maggioranza, contro persone inermi, discriminate per le loro qualità e identità personali. L’offensiva in questi mesi si rovescia con particolare violenza sui soggetti più deboli fra tutti: i bambini e le bambine con genitori dello stesso sesso.
Anche in ambito giuridico visioni affette da un malcelato pregiudizio nei confronti delle persone omosessuali e delle loro famiglie conducono a letture poco condivisibili dei dati tecnico-giuridici, entro cui sarebbe invece necessario confinare il dibattito.
Quali studiosi e operatori, studiose e operatrici del diritto siamo convinti che sia compito della cultura giuridica ricomporre al più presto il quadro delle tutele alla luce di una attenta e severa ricostruzione sistematica e tecnica. Mentre la questione della protezione di chi nasce da gestazione per altre e altri (da coppie eterosessuali e, in minor misura, omosessuali) ha avuto maggiore attenzione seppure con esiti ancora incerti e insoddisfacenti, siamo convinti che sia tuttora poco approfondito il dibattito sulla protezione dei bambini e delle bambine nate da due mamme, le quali intraprendono normalmente un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA) con donazione di seme maschile, in tutto identico a quello delle coppie eterosessuali.
A tale riguardo, dobbiamo evidenziare come la discussione sia minata da una lettura spesso imprecisa delle disposizioni della legge 40 che regolano la protezione alla nascita di tutti i nati e le nate con tecniche di PMA.
In particolare rileviamo che:
-Non è corretto assumere che la condizione di chi viene messo al mondo da due mamme sia regolata dalla norma della legge 40 che impedisce alle coppie di donne di accedere alla PMA, poiché la regola sullo status dei bambini e delle bambine è stabilita in una differente disposizione della medesima legge (Disposizioni concernenti la tutela del Nascituro) che prevede che i bambini nati da PMA sono figli “della coppia” che ha deciso di accedere a tale tecnica. Mentre il divieto concerne le condotte degli adulti, le norme sulla tutela del nascituro si pongono nella prospettiva della protezione del minore, non riguardando il divieto le vicende successive al compimento degli atti di PMA.
– I divieti contenuti nella legge 40, infatti, non si estendono – né potrebbero estendersi – alla fase che segue il compimento della condotta sanzionata, non potendo i figli subire conseguenze negative per gli atti posti in essere dai genitori, e ciò in base ad un principio divenuto cardine nel nostro ordinamento.
– Non è vero che la disposizione per cui i nati sono figli della “coppia” che ha voluto la loro nascita non possa applicarsi a chi ha due madri, posto che la legge parla di “coppia” senza ulteriori specificazioni e che la parola “coppia” denota comunemente, nel diritto italiano e in quello europeo, sia le coppie eterosessuali che quelle omosessuali.
– Non è vero che questa disposizione possa essere applicata solo a chi esegue la PMA secondo le regole di accesso vigenti in Italia, poiché il complesso delle norme “a tutela del nascituro” è stato previsto proprio per chi ricorreva all’estero a tecniche, come la PMA eterologa, che la stessa legge 40 vietava (e la Cassazione difatti l’ha ritenuta regola generale applicabile anche in caso di violazione dei presupposti per l’accesso alla PMA, ad es. in caso di PMA post mortem).
– Non è vero che nonostante l’univoco dato letterale della disposizione, i giudici dovrebbero darne una interpretazione restrittiva perché una interpretazione letterale sarebbe eccentrica rispetto al sistema e perché contrasterebbe con il “modello” di famiglia tradizionale, atteso che compito dei giudici non è la difesa ideologica dei “modelli”, ma l’applicazione delle disposizioni vigenti che prevedono la protezione in concreto dei bambini e delle bambine sin dalla loro nascita.
– Non è vero, in particolare, che la tutela dei bambini e delle bambine secondo le disposizioni previste dalla legge 40 introdurrebbe un diverso, incompatibile, “modello” di procreazione, atteso che la legge 40, seppure fondata in origine sul dogma del necessario rapporto genetico fra genitori e figli, sicché vietava la PMA eterologa, si preoccupava comunque di proteggere i nati anche in assenza di tale rapporto senza che ciò, nell’intenzione del legislatore, desse luogo ad un insanabile conflitto con il “modello” tradizionale.
– Non è vero che il compito di provvedere alla tutela dei nati spetta al legislatore, sicché interpretando la norma i giudici non ne rispetterebbero le prerogative, perché lo Stato di diritto impone che in ogni caso di inerzia del legislatore sia comunque affidata alla giurisdizione la salvaguardia dei diritti fondamentali dei minori, dei soggetti deboli, degli appartenenti a minoranze.
– Non è comunque vero che sia ragionevole considerare preferibile per i minori la famiglia tradizionale composta da uomo e donna, in quanto assicurerebbe al minore “migliori condizioni di partenza”, poiché tali affermazioni sono in aperto contrasto con quanto accertato da decenni dalla scienza ufficiale.
– Non è vero, in particolare, che i giudici debbano muoversi in questa materia sulla base di un principio di precauzione, posto che da diversi decenni gli statements ufficiali rilasciati dalle associazioni di psicologi, pediatri, psichiatri e psicanalisti del mondo occidentale continuano ad affermare che la crescita sana dei bambini e delle bambine non è legata all’orientamento sessuale dei genitori ma alle loro capacità di accudimento ed è provato che tali capacità si rinvengono in pari modo fra le coppie eterosessuali e omosessuali. Ne consegue che è precluso ai giudici di non dare conto nelle loro decisioni di tale quadro scientifico, poiché in caso contrario la decisione, come affermato dalla Cassazione sin dal 2013, finirebbe per essere fondata su un “pregiudizio”.
– È dunque da escludere che il benessere del minore possa essere valutato tenendo conto delle opinioni maggioritarie nel paese e non del contributo della scienza.
– Non è peraltro neppure vero, in ogni caso, che la decisione dipende da una diversa valutazione dell’interesse del minore, posto che comunque la si pensi il bambino e la bambina resteranno nella loro famiglia, sicché non è qui in gioco un giudizio sulle coppie omosessuali, ma il manifesto e indiscusso interesse del bambino ad essere pienamente protetto nell’ambito delle sue relazioni familiari, come già sottolineato dalla Corte costituzionale.
– È giuridicamente errato sostenere che la legge Cirinnà avrebbe escluso l’applicabilità della disposizione sulla protezione dei nati da PMA alle coppie dello stesso sesso, perché l’unica esclusione contenuta in tale legge riguarda le norme del codice civile e la legge sulle adozioni: fuori da tali eccezioni la legge Cirinnà, invece, impone senz’altro l’equiparazione.
– Non è giuridicamente corretto affermare che si possa negare ai bambini e alle bambine addirittura il riconoscimento alla nascita del rapporto con la loro mamma genetica, atteso che appare priva di fondamento e piuttosto sorprendente l’affermazione per cui il legame genetico non avrebbe alcuna rilevanza nel nostro ordinamento nel rapporto fra madre e figlio, sicché, in buona sostanza, il dna avrebbe rilevanza giuridica solo per gli uomini ma sarebbe del tutto irrilevante per le donne. A tale riguardo l’affermazione della totale irrilevanza del dato genetico per la genitorialità femminile (erroneamente desunta dalla rilevanza che certamente assume il legame gestazionale) è affermazione del tutto nuova e inusitata nel mondo del diritto (non si conoscono né precedenti giurisprudenziali né indirizzi dottrinari, in Italia e nel mondo in tal senso) che tradisce, ancora una volta, l’intento di rendere invisibile la specificità femminile in ambito procreativo ed insieme la volontà di continuare ad esercitare sul corpo delle donne un forte potere di “disciplinamento”.
– Non è vero che la lettura che nega l’efficacia dei certificati che riconoscono la responsabilità genitoriale alla nascita del genitore d’intenzione sia compatibile con il diritto europeo, perché i figli di due genitori dello stesso sesso una volta varcato il confine italiano rischiano d’essere privati di un genitore, in evidente violazione, tra gli altri, del loro diritto alla libertà di circolazione in ambito Ue.
– Non è vero che l’adozione in casi particolari è rimedio sufficiente, perché l’adozione è subordinata alla volontà dell’adulto, mentre la legge 40 impone la protezione dei nati anche quando non vi sia tale volontà. L’adozione, difatti, presuppone necessariamente una istanza dell’adottante, mentre il dispositivo di cui alla legge 40 è diretto a inchiodare il genitore intenzionale alla sua responsabilità genitoriale in ragione del consenso prestato alla PMA.
Siamo convinti che il continuo richiamo ai “modelli” di famiglia e al “diritto dell’adulto” di adottare (peraltro assicurato con i noti limiti rispetto ai tempi e agli effetti), tradisca una logica che permane schiettamente adultocentrica e che sostanzialmente ignora o comunque sottovaluta le esigenze e la stessa identità personale dei bambini e delle bambine.
Non assume al riguardo rilievo dirimente la recente decisione della prima sezione della Corte di Strasburgo che in composizione ristretta ha ritenuto che l’Italia non abbia superato l’ampia discrezionalità di cui disponeva rispetto all’attuazione dei mezzi per stabilire o riconoscere la filiazione. La Corte si è limitata a rilevare la mancata violazione della Convenzione in questi casi concreti (che non riguardavano ipotesi di rifiuto del genitore intenzionale di riconoscere o adottare il bambino), ma non ha affrontato la diversa questione della interpretazione del diritto interno, che non le compete. Un Paese che, come il nostro, gode di una forte e solida tradizione giuridica e costituzionale, non deve attestarsi al livello più basso di protezione dei diritti fondamentali consentito dall’ampio margine di apprezzamento riconosciuto in questa materia, dovendo l’Italia ambire ad una esegesi delle proprie norme interne che non l’allontani dal novero di quegli ordinamenti con cui condivide una affine civiltà giuridica.
Il nostro quadro legislativo consente ed anzi impone di porre il bambino al centro della decisione e di dargli piena tutela sin dalla nascita. In mancanza di una riforma, è dunque indispensabile che la giurisprudenza assicuri la corretta applicazione delle norme esistenti a tutti i bambini senza pregiudizi e condizionamenti dovuti ai modi in cui si può nascere e/o all’orientamento sessuale dei genitori.
Non è superfluo segnalare come anche nell’opinione pubblica si manifesti una sempre maggiore consapevolezza e solidarietà nei confronti delle coppie lgbti+ e dei loro bambini. In ogni caso, anche se così non fosse va sottolineato con forza che quando i dubbi espressi da una parte dell’opinione pubblica appaiono privi di razionale base giuridica e scientifica, e quando ci si inizia a mobilitare contro i diritti dei soggetti più deboli, in uno Stato di diritto è più che mai compito della giurisdizione assicurare che ogni persona, specie se è particolarmente vulnerabile e indifesa come un bambino o una bambina, non subisca alcuna discriminazione.

 

-Marco Gattuso, Giudice Tribunale Bologna

-Pina Palmeri, Ordinaria di diritto privato, Università Palermo

-Daniela Abram, Avvocato Bologna

-Silvia Albano, Giudice Tribunale Roma

-Giso Amendola, Ordinario Sociologia del diritto, Università Salerno

-Denise Amram, Ricercatrice diritto privato comparato, Università di Pisa

Maria Apuzzo, psicologo psicoterapeuta, Napoli

-Umberto Ausiello, Giudice Tribunale Modena

-Federico Azzarri, Professore associato di Diritto privato, Universtà Pisa

-Claudio Baggini, Psicologo Psicoterapeuta, Associazione BussoleLGBT

-Roberto Baiocco, Professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo, “Sapienza” Università di Roma

-Marco Balboni, Ordinario di diritto internazionale, Università di Bologna

-Gianni Baldini, Associato diritto privato, Università Firenze e Direttore Fondazione PMA Italia

-Tea Baraldi, già Giudice del Tribunale Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta

-Vincenzo Barba, Ordinario diritto privato, Università Sapienza Roma

-Gioacchino Barbera, Avvocato Palermo

-Marzia Barbera, Ordinaria di diritto del lavoro e diritto antidiscriminatorio, Università Brescia

-Matteo Bassoli, Associato di Scienza Politica, Università Padova

-Claudia Bellomo, Avvocata Messina

-Paola Bendoni, Avvocato, Genova,

-Matilde Betti, già Presidente sezione famiglia, Tribunale Bologna

-Marina Amelia Bologni, Avvocato Milano

-Elena Bonel (PhD, MSc, MA), Associato Economics & Business Management, Università Padova

-Maria Cristina Borgo, Giudice Tribunale Bologna

-Sara Bosatra, psicologa psicoterapeuta, Associazione BussoleLGBT

-Sabrina Bosi, Giudice tribunale Ravenna

-Maristella Bossa, Avvocata. VPO Tribunale Palermo

-Livia Botta, Psicoterapeuta, già Giudice onorario Tribunale Minorenni Genova

-Luciana Breggia, già presidente sezione immigrazione Tribunale Firenze

-Mariano Brianda, Magistrato in pensione

-Giuseppe Bronzini, già Presidente di sezione Corte di cassazione, Segretario generale movimento europeo

-Francesca Brunetta d’Usseaux, Associata diritto privato comparato, Università Genova

-Giuseppe Burgio, Associato Pedagogia, Università KORE di Enna

-Simona Cacace, Ricercatrice diritto privato, Università Brescia

-Cinzia Calabrese, Avvocata del Foro di Milano

-Carmelita Camardi, Ordinaria Diritto Privato, Università Ca’ Foscari Venezia

-Mauro Farnesi Camellone, Associato Filosofia politica, Università Padova

-Olindo Canali, Giudice Tribunale Milano

-Maria Cristina Canziani, già consigliera Corte d’Appello Milano

-Marina Capponi, Avvocata Firenze

-Antonella Capri, Tribunale Roma

-Francesca Carbone, esperta di Diritto di Famiglia e Curatore speciale per i minori

-Nicola Carone, ricercatore Psicologia dello sviluppo, Università Pavia

-Thomas Casadei, Ordinario di Filosofia del diritto, Università Modena e Reggio Emilia

-Chiara Casaburi, studentessa di Giurisprudenza alla Federico II di Napoli

-Geremia Casaburi, Presidente di sezione, Tribunale Nola

-Ariela Casartelli, già Consigliere Onorario in Corte d’appello sezione minori e famiglia Milano

-Maria Cristina Cavallaro, Ordinario Diritto amministrativo, Università Palermo

-Chiara Cavina, Psicologa psicoterapeuta Morbegno

-Serena Cavina Gambin, Psicologa, Psicoterapeuta, Lecco

-Stefano Celentano, Giudice famiglia, Tribunale Napoli

-Luca Cercola, Giudice Tribunale Spoleto

-David Cerri, avvocato e docente esterno Università di Pisa

-Grazia Ofelia Cesaro, Avvocato Milano

-Maria Giuseppina Chef, Avocato Napoli

–Silvia Chiarantini, Giudice Tribunale per i Minorenni Firenze

-Sebastiana Ciardo, Consigliere Corte di Appello Palermo

-Ivano Cimatti, Avvocato Roma

-Sofia Ciuffoletti, Componente privato Tribunale Minorenni Firenze, Ricercatrice Centro Interuniversitario L’Altro diritto

-Agostino Clemente, Avvocato Roma

-Cinzia Colaluca, Aggregato di Istituzioni di diritto pubblico Padova

-Micol Colangelo, Avvocato Potenza

-Chiara Colasurdo, Avvocata Giuslavorista Roma

-Cinzia Colombo, Avvocato Monza

-Giovanni Comandè, Ordinario diritto comparato, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

-Riccardo Conte, Avvocato Milano

-Chiara Coppetta Calzavara, Giudice del Lavoro Tribunale Venezia

-Andrea Corrado, Avvocato Genova

-Ines Corti, Associata diritto privato, Università Macerata

-Enzo Andrea Cosentino, Avvocato Varese

-Maria Paola Costantini, Avvocato Roma

-Roberto Crepaldi, Giudice Tribunale Milano

-Mariano Croce, Associate Professor of Political Philosophy, Università Sapienza Roma

-Laura Curcio, Consigliere di Cassazione sezione lavoro

-Francesca Cuzzocrea, Ordinario Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Università Catanzaro

-Liliana D’Acquisto, Psicologa-Psicoterapeuta Dirigente

-Anna Dal Ben, Ricercatrice Università di Padova e Assistente Sociale

-Carmelo Danisi, Ricercatore diritto internazionale, Università Bologna

-Fernanda D’Ambrogio, Avvocata Caserta

-Roberta Dameno, Ricercatore e docente sociologia del diritto, Università di Milano

-Francesco Deana, Ricercatore Diritto dell’Unione europea Università Udine

-Paola Degani, Docente di Women’s Human Rights, Università di Padova

-Ludovico Delle Vergini, Consigliere Corte di Appello Firenze

-Bianca Maria De Marco, Avvocato Napoli

-Alessia De Pasquale avvocato e giudice onorario Tribunale per i minorenni Reggio Calabria

-Camilla Dibari, Associato, Università Firenze

-Donata Di Sarno, Giudice per le indagini preliminari Tribunale Napoli Nord

-Michele Di Bari, Aggregato di Diritto Costituzionale, Università Padova

-Federica Di Benedetto, Avvocata Pescara

-Antonella Di Florio, già Consigliere della Corte di Cassazione

-Riccardo Di Girolamo, Avvocato Pescara

-Maurizio Di Masi, Ricercatore diritto privato, Università Perugia

-Emily Diquigiovanni, Giudice Onorario Tribunale Minorenni Venezia

-Emilio Dolcini, Emerito di Diritto penale, Università Milano

-Davide Dura, Avocato Napoli

-Vincenzo Durante, Ricercatore di diritto privato, Università di Padova

-Elena Falletti, ricercatrice diritto privato comparato, Università Carlo Cattaneo

-Gianluca Famiglietti, Associato di diritto costituzionale, Università Pisa

-Cristina Fanelli Associazione N.Bobbio Diffusione legalità Sassar

-Giulio Fedele, assegnista di ricerca diritto internazionale, Università Roma Sapienza

-Maria Flora Febbraro, Giudice Tribunale Roma

Angelo Federico, ordinario diritto civile, Università Messina

-Gilda Ferrando, ordinario f.r. Universita di Genova

-Francesca Ferranti, già giudice onorario Tribunale Minorenni Perugia

-Dario Ferrara, giornalista professionista, Cassazione.net

-Adriana Ferrigno, Psicologa Psicoterapeuta, Giudice Onorario Tribunale  Minorenni Napoli

-Alberto Figone, Avvocato Genova, Vice Presidente A.I.A.F.

-Fabrizio Filice, Giudice Tribunale Milano

-Filippo Focardi, Sostituto procuratore, Procura Repubblica Minorenni Firenze

-Luca Fontanella, Ufficiale dello stato civile  Comune San Colombano al Lambro

-Serafina Funaro, Avvocato Genova

-Giorgia Fracca, Psicoterapeuta, Milano

Micaela Frulli, Law Department, DSG, Università Firenze

-Giovanni Galasso,  Ricercato diritto privato, Università Palermo

-Daniela Galazzi, Presidente sezione civile, Tribunale Trapani

-Chiara Gallese, Assegnista di Ricerca, Università Trieste

-Maria Elena Gamberini, Consigliera Corte D’Appello Palermo

-Nicoletta Gandus già magistrata

-Laura Garofalo, Avvocato diritto delle persone, Osservatorio giustizia civile di Catania

-Francesco Garzillo, Psicologo, Psicoterapeuta, PhD in Gender Studies, Napoli

-Tarcisio Gazzini, professore diritto internazionale, Universita’ Padova

-Alessandro Geloso, Giudice onorario Tribunale per i minorenni Firenze

-Marco Geremia, Avvocato Perugia

-Sergio Gerotto, Ordinario Diritto Pubblico Comparato, Università Padova

-Giuseppe Giamo, Ordinario Diritto privato comparato,Università Palermo

-Alessandra Giglio, Docente universitaria Libera Università di Bolzano, Dalarna University, Università per Stranieri Siena

-Gianfranco Gilardi, già Presidente del Tribunale di Verona

-Giacomo Giorgini Pignatiello, Tutor didattico Istituzioni Diritto Pubblico e delle Pari Opportunità, Università Bologna

-Guido Gorgoni, Ricercatore Filosofia del diritt0, Università Padova

-Silvia Gorini, Avvocata

-Paolo Graziano, Professore di Scienza politica, Università Padova

-Cristian Grazioli, Avvocato Scandiano

-Ida Grimaldi, Avvocata Vicenza

-Roberta Elisa Guidorzi, Avvocato Genova

-Paolo Gumeroli, Assegnista di ricerca, Università di Padova

-Laura Hoesch, Avvocato Milano

-Maria Rita Ielasi, Avvocato Messina

-Daniele Imbruglia, Ricercatore diritto privato, Università Roma Sapienza

-Claudia Irti, Associata diritto privato, Università Ca’ Foscari Venezia

-Silvia Izzo, Associata diritto processuale civile, Università di Cagliari

-Bianca La Monica, Giudice in pensione

-Leonardo Lenti, già professore ordinario Università Torino

-Francesca Limena, Aggregata di diritto del lavoro, Università di Padova

-Valentine Lomellini,  Associata in Storia delle relazioni internazionali – Università di Padova

-Fabiano Lorandi, pedagogista, fondatore dell’Associazione Girella, Rovereto

-Rachele Lorandi, Psicologa e psicoterapeuta dell’infanzia, Trento

-Federico M. de Luca di Melpignano, Avvocato Roma

-Matteo Lupano, Associato diritto processuale civile, Università di Torino

-Alfredo Maffei, magistrato Tribunale di Napoli Nord

-Cristina Maggia, Giudice Tribunale minorenni Brescia

-Elena Malfatti, Ordinaria Diritto costituzionale, Università Pisa

-Gianclaudio Malgieri, Professore Associato di Diritto, Università Leiden

-Roberta Mallamaci, Giudice onorario presso il TM di Catanzaro

-Clelia Maltese, Giudice Tribunale Palermo

-Letizia Mancini, Associata Filosofia del Diritto, Università Milano

-Marco Manunta, magistrato in pensione

-Manuela Mantovani, Ordinario diritto privato, Università Padova

-Maria Rosaria Marella, Ordinaria diritto privato, Università di Roma Tre

-Costanza Margiotta, Associata Filosofia del diritto, Università Padova

-Paola Marino, Giudice del Lavoro, Tribunale Palermo

Giuseppe Martinico, Ordinario diritto pubblico comparato, Scuola Superiore Sant’Anna Pisa

-Paolo Martinelli, già Presidente sezione famiglia Tribunale Genova

Giusi Mascali, Avvocato, Catania

-Elena Masetti Zannini, giudice Tribunale Milano

-Fabrizio Mastromartino, Associato Filosofia del diritto, Università Roma Tre

-Francesco Mazza Galanti, già Presidente  Sezione Famiglia Tribunale Genova

-Mirko Mazzali, Avvocato Milano

-Francesca Mazzoleni, avvocata Bergamo

-Selenia Melechí, Assistente Sociale, Salice Salentino

-Patrizia Messina, professore Università di Padova

-Mari Miceli, Avvocato Trapani

-Ornella Minucci, Giudice sezione famiglia Tribunale  Napoli

-Mariagrazia Militello, Associata Università Catania

-Cinzia Miniotti già Giudice  Tribunale per i Minorenni Genova

-Antonio Minisola,  magistrato togato minorile in pensione

-Leeanne Minter, Psicologa, Verona

-Marina Miscioscia, Psicologa, Ricercatrice in Psicologia Dinamica, Università Padova

-Vincenzo Miri, Avvocato Roma e Presidente Rete Lenford

-Anna Mori, Consigliere Corte d’Appello di Bologna

Gaetano Morrone, già Giudice onorario, Tribunale per i Minorenni Napoli

-Aurelia Munno, Funzionario ufficio per il processo, Tribunale Napoli

-Maria Mura, Presidente Sezione Corte di Appello Cagliari

-Daniele Muritano, notaio Empoli

-Eda Musso psicologa, psicoterapeuta, già Giudice onorario presso il Tribunale Minorenni Genova

-Daniele Nigris, Epistemologo delle scienze sociali, Università Padova

-Roberta Nocella, Giudice Tribunale di Roma

-Paolo Oddi, Avvocato Milano

-Fabio Massimo Orlando, Avvocato Roma

-Marta Paccagnella, già Presidente aggiunto Sez. GIP Tribunale Venezia

-Claudia Padovani,  Associata SPGI, Università Padova

-Nausica Palazzo, Assistant Professor/Professora Auxiliar, NOVA School of Law, Lisbon

-Giuseppe Maria Palmieri, RtdB Diritto Penale, Università di Napoli Federico II

-Tiziana Paolillo Procuratrice per i Minorenni di Genova

-Paola Panini, Avvocato Modena

Francesca Paparoni, Avvocato. Collaboratore scuola superiore avvocatura CN

-Rosanna Pianini, Segretaria AIMMF Catanzaro

-Elena Pariotti, Ordinaria presso l’Università di Padova

-Ida Parisi, Professore a contratto Legislation and Bioethics in Medicine of Reproduction, Università Teramo

-Ignazio Patrone, magistrato in pensione

-Salvatore Patti, Professore Emerito Sapienza Università di Roma

-Marco Pelissero, Ordinario diritto penale, Università Torino

-Antonella Perini, Ricercatrice diritto amministrativo, Università Padova

-Rosaria Petrolà, avvocata, Palermo

-Mariassunta Piccinni, Associata di Diritto privato, Università di Padova

-Alessandra Pioggia, Diritto Amministrativo, Università Perugia

-Eleonora Pirillo, Consigliere Corte d’Appello Bologna

-Giuseppina Pisciotta, Ordinaria diritto agrario, Università Palermo

-Alessandra Pisu, Associata diritto privato e biodiritto, Università Cagliari

-Daniela Pittaluga, Psicoterapeuta, Genova

-Francesca Poggi, Ordinaria filosofia del diritto, Università Milano

-Ludovica Poli, Associata di diritto internazionale, Università Torino

-Stefano Ponti, Magistrato in tirocinio presso il Tribunale di Milano

-Ferdinando Poscio, Avvocato Milano

-Vincenzo Antonio Poso, Avvocato Pisa

-Simona Pragliola, Avvocato Firenze

-Chiara Ragni, Associato di Diritto internazionale, Università Milano

-Luciana Razete, già Presidente sezione civile Tribunale Palermo

-Giorgia Reiser, Psicologa, Associazione Retedonna

-Francesca Ricco, Avvocato e Giudice onorario Prima sezione Tribunale  Genova

-Paolo Ridola, Professore emerito, Università Roma La Sapienza

-Giorgia Righi, Sostituto Procuratore Procura della Repubblica Palermo

-Elena Riva Crugnola, già presidente sezione Tribunale Milano

-Roberto Riverso, Giudice Cassazione

-Francesco Rizzi, avvocato, Brescia

-Nicola Rizzo, Associato Diritto privato, Università Pavia

-Ilaria Riva, Associata di Diritto Privato nell’Università di Torino

-Massimo Rossi, Avvocato Siena

-Ugo Salanitro, Ordinario diritto privato, Università Catania

-Giovanna Savorani, Associato Diritto privato, Università Genova

-Livio Scaffidi Runchella, Assegnista di Ricerca in Diritto Internazionale, Università Messina

-Pasquale Scarnera, già Giudice Onorario Tribunale Minorenni Bari

-Francesco Schiaffo, Ordinario di diritto penale, Università Salerno

-Angelo Schillaci, Associato Diritto pubblico comparato, Università Roma La Sapienza

-Alessia Schisano, Avvocata, Napoli

Alexander Schuster, Avvocato Trento

Felicita Scolati, Neuropsichiatra infantile, già GO presso il Tribunale Minorenni Bolzano

Marina Scotti, Avvocato Milano

-Carmen Scuotto, G.O. Presso il Tribunale per i minorenni di Napoli

-Barbara Segatto, Associata Università Padova

-Valentina Serpilli, Avvocato Roma

-Silvia Siano, Psicoterapeuta, Monza

-Simone Silvestri, giudice Tribunale Lucca

-Alessandro Simeone, Avvocato del Foro di Milano

-Emilio Sirianni, Presidente sezione lavoro, Corte d’appello Catanzaro

-Camilla Sommariva, Giudice Tribunale di Reggio Emilia

-Angioletta Sperti, Associata Diritto Pubblico Comparato, Università Pisa

-Simone Spina, Giudice Tribunale Siena

-Barbara Spinelli, Avvocato Bologna

-Massimo Starita, Università di Palermo

-Stefania Stefanelli, Associata diritto privato, Università Perugia

-Caterina Suitner , Associata psicologia sociale, Università di Padova

-Elisabetta Tarquini, Consigliera Corte d’Appello Firenze

-Luca Tavani, ufficiale dello stato civile Somaglia

-Luigi Testa, Ricercatore Diritto pubblico comparato, Università dell’Insubria

-Claudia Tinti, psicologa psicoterapeuta e giudice onorario Tribunale Minorenni Firenze

-Anna Maria Tonioni, Avvocato Bologna

-Leonardo Torsani, Avvocato Rimini

-Maria Antonietta Tortora, avvocato Roma

-Luca Trappolin, Ricercatore in Sociologia, Università dPadova

-Giacomo Travaglino, Giudice della Corte di Cassazione

-Maria Carmela Venuti, Ordinario diritto civile, Università Palermo

-Antonio Vercellone, Ricercatore diritto privato, Università Torino

-Paolo Veronesi, Ordinario diritto costituzionale Università Ferrara

-Mirella Viale, Avvocato Genova

-Jenny Vigilia, Avvocato Bologna

-Filippo Viglione, Ordinario diritto comparato, Università Padova

-Elena Volpi, Funzionaria Commissione Europea, Bruxelles

-Alessandra de Vita Galeone, Avvocata Milano

-Giuseppe Vitarelli, Avvocato Messina

-Matteo Winkler, Associato di diritto internazionale, HEC Paris, Francia

-Camilla Zamparini, Avvocata Bologna

-Luna Zampieri, Avvocata e Mediatrice Familiare – Padov

Alessandro Zanotto, Avvocato Padova

-Vittorio Zanon, Assistente sociale, già presidente dell’Ordine Assistenti Sociali del Veneto

-Pina Zappetto, Avvocata Sassari

-Paolo Zatti, Emerito  diritto privato, Università di Padova

 

 

 

 

Sì all’integrale trascrizione dell’atto di nascita di un minore nato da GPA quando la strada dell’adozione in casi particolari non è in concreto percorribile

di Giulia Barbato

Con un interessante provvedimento del 2 marzo 2023 il Tribunale di Milano (ringraziamo l’avv. Michele Giarratano per la segnalazione) ha ordinato all’Ufficiale dello stato civile meneghino di trascrivere integralmente nei registri dello stato civile l’atto di nascita di un minore, formato negli USA, con l’indicazione di entrambi i padri quali genitori del nato.

La pronuncia interviene pochi mesi dopo la sentenza n. 3816 del 2022 delle Sezioni Unite, in cui queste ultime hanno affermato che  l’ordinamento italiano da un lato vieta qualsiasi forma di maternità surrogata, in quanto lesiva della dignità della donna, non ammettendo conseguentemente la trascrizione o delibazione dell’atto straniero che riconosce il rapporto di filiazione tra genitore d’intenzione e nato da maternità surrogata; dall’altro assicura il miglior interesse del minore, garantendogli il riconoscimento del suo legame con il genitore d’affetto mediante l’istituto dell’adozione in casi particolari.

Siffatti approdi ermeneutici raggiunti dal giudice di legittimità non vengono seguiti dal Tribunale di Milano per la risoluzione della fattispecie sottoposta al suo esame, giustificandosi tale cesura in ragione delle peculiarità connotanti il caso concreto.

Invero la vicenda riguarda un minore nato nel 2015 negli Stati Uniti da un progetto di genitorialità condiviso da due uomini uniti civilmente, realizzato facendo ricorso alla gestazione per altri, tecnica legalmente ivi consentita. Pur avendo contributo geneticamente soltanto uno dei due, entrambi venivano indicati nell’atto di nascita americano come padri del bambino.  Quest’ultimo, al contrario, in Italia veniva registrato all’anagrafe come figlio esclusivamente del padre biologico, il quale, quindi, risultava l’unico genitore legale del minore nel nostro Paese. Nel 2022 il padre naturale moriva improvvisamente e su ricorso dei suoi genitori con il consenso della di lui sorella il Giudice Tutelare di Milano nominava tutore legale del minore il padre intenzionale. Egli, in seguito, agiva dinnanzi al Tribunale ambrosiano chiedendo che fosse rettificata la trascrizione dell’atto di nascita del bambino riportando la doppia paternità come attestata nel certificato di nascita americano conforme alla legge loci, asserendo l’illegittimità e la contrarietà all’interesse del minore della trascrizione non indicante anche lo stesso ricorrente come genitore legalmente riconosciuto.

Ponendo l’accento su tali tratti caratterizzanti la controversia de qua, il giudice di primo grado – dopo avere puntualmente delineato la posizione assunta dalla Suprema Corte e preso atto dei principi affermati nelle sue sentenze – non ritiene in concreto attuabile il ricorso all’adozione in casi particolari tracciato dal Supremo Collegio come via principale da seguire per conferire rilievo giuridico alle relazioni intercorrenti tra minori e genitori d’affetto.

Al riguardo il Tribunale meneghino evidenzia come il consenso del genitore biologico costituisca presupposto imprescindibile ex lege per ricorrere allo strumento dell’adozione in casi particolari e afferma l’impossibilità definitiva che nella fattispecie in esame questo consenso possa essere espresso dal padre naturale, in quanto deceduto.

Nella pronuncia si sottolinea che il consenso, costituendo un diritto personalissimo “non può certo trovare equipollenti nel consenso degli eredi del genitore defunto e [..] non può, peraltro, neppure essere desunto dal solo ‘consenso’ originariamente prestato al percorso procreativo di maternità surrogata che potrebbe anche prescindere da un successivo progetto di condivisione di vita e di crescita di quel minore” (così, p. 7).

Dunque, a parere del Collegio milanese, “ad un possibile giudizio ex art. 44 lett. d) legge 184/1983 mancherebbe un tassello imprescindibile non diversamente acquisibile” (così, p. 7).

In aggiunta il giudice di merito mette in luce la non esperibilità da parte del minore dell’azione volta all’adozione aperta, neppure per il tramite di un curatore speciale a tal fine nominatogli, visto che l’adottando non è ammesso dal legislatore quale legittimato attivo. Conseguentemente, a detta del Tribunale de quo, eleggendo l’opzione esegetica prediletta dalla Cassazione nella sentenza n. 3816 del 2022, il bambino rimarrebbe senza genitori, ossia orfano.

In definitiva nel caso di specie, in ragione dell’inevitabile vuoto normativo venutosi a creare non essendo praticabile il ricorso al procedimento di cui all’art. 44 lett. d), il Tribunale ambrosiano accoglie la richiesta del ricorrente, ordinando all’Ufficiale dello Stato Civile di Milano la trascrizione integrale dell’atto di nascita del minore con l’indicazione della paternità anche del genitore intenzionale, reputandola allo stato dell’arte l’unica soluzione percorribile per salvaguardare il minore nato da gestazione per altri e per assicurargli una tutela dei propri diritti costituzionali di figlio non deficitaria rispetto ai diritti della gestante e dell’adottato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Populismi, identità personali, diritti fondamentali: il Convegno di GenIUS

 

Il 30 settembre 2022 presso la “Sapienza” Università di Roma – Facoltà di Giurisprudenza –Aula Calasso: Convegno annuale di GenIUS – Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere

 

Populismi, identità personali, diritti fondamentali

 

 

È on line il nuovo numero di GenIUS

È on line il nuovo, ricchissimo, numero di GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, recentemente riconosciuta come Rivista scientifica di fascia A.

Come sempre, la Rivista è scaricabile gratuitamente dal sito all’indirizzo: http://www.geniusreview.eu/wp-content/uploads/2022/06/genius-2021-02.pdf

Buona lettura!

qui il Sommario:


Focus: Il ddl Zan tra diritto penale, democrazia e pluralismo

Giuseppa Palmeri: Brevi considerazioni introduttive

Luciana Goisis: Un diritto penale antidiscriminatorio?

Mia Caielli: Il DDL Zan tra diritto penale, democrazia e pluralismo. Profili di diritto costituzionale: pari dignità, principio pluralista, libertà di manifestazione del pensiero

Alessio Lo Giudice: Dal soggetto al sé situato. Sulla possibile filosofia dell’identità di genere

Isabel Fanlo Cortés: Il DDL Zan e il nodo dell’identità di genere

Salvatore Curreri: Il travagliato iter parlamentare del c.d. disegno di legge Zan

Marco Pelissero: Relazione conclusiva

Interventi

Angelo Schillaci: Non imposta, né vietata: l’omogenitorialità a metà del guado, tra Corti e processo politico

Anna Maria Lecis Cocco Ortu: La “PMA pour toutes” in Francia: tante risposte e qualche interrogativo aperto

Commenti

Edoardo Formelli: Lo status giuridico delle minoranze LGBTQ+ nella Repubblica Popolare Cinese: uno studio comparato. Dalla Cina imperiale alle esperienze attuali

Dimitri Girotto: Il diritto all’interruzione di gravidanza nell’ordinamento statunitense, con innovativi e controversi profili processuali. Le leggi del Texas e del Mississippi al vaglio della Corte Suprema

Alessia Valongo: Riflessioni in tema di violenza sulle donne migranti: un caso emblematico

Juan Ocón García: La captación subrepticia de imágenes íntimas en la vía pública (con ocasión del asunto A Maruxaina)

Osservatorio documenti

INPS: Circolare del 7 marzo 2022 n. 36

UE: Colmare il divario digitale di genere: la partecipazione delle donne all’economia digitale

UE: Prospettiva di genere nella crisi COVID-19 e nel periodo successivo alla crisi

Osservatorio decisioni

Corte costituzionale: Sentenza 23 febbraio 2022, n. 79

Corte di cassazione, prima sezione civile: Ordinanza del 18 ottobre 2021, depositata il 21 gennaio 2022

Corte di cassazione prima sezione civile: Ordinanza del 16 febbraio 2022 n. 6383

Tribunale di Lucca: Ordinanza del 14 gennaio 2022

GenIUS è in fascia A!

GenIUS è in fascia A!


Quando nel 2013, insieme a pochi altri amici e amiche immaginammo il portale Articolo29 e, poi, la rivista “GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”, non ci saremmo aspettati di festeggiare così presto la promozione di GenIUS in “fascia A”, il massimo riconoscimento nella comunità scientifica di riferimento.

La notizia della Delibera Anvur n. 117/2022 arriva ad otto anni esatti dal primo numero, pubblicato proprio il primo giugno del 2014, in una primavera indimenticabile, fra mille difficoltà e un pizzico di follia: il giorno prima, il 30 maggio, in un’aula dei gruppi parlamentari della Camera come Articolo29 avevamo organizzato, insieme a Magistratura Democratica e a Rete Lenford, il primo convegno italiano sulla “discriminazione matrimoniale delle persone gay e lesbiche e delle loro famiglie”. Chi c’era, ricorda ancora la relazione, memorabile, di Stefano Rodotà, direttore scientifico di GenIUS, che volle restare al convegno mattina e pomeriggio, per ascoltare ogni relazione.

Molto è accaduto da allora, ma il nostro ordinamento conserva ancora nel fondo una impostazione discriminatoria che pone il nostro Paese in coda a tutti gli ordinamenti con civiltà giuridica a noi affine. L’esclusione dal matrimonio, le mille difficoltà e discriminazioni incontrate dalle persone transessuali o intersessuali, la vicenda del ddl Zan e del mancato riconoscimento dei bambini e delle bambine arcobaleno ne sono testimonianza.

GenIUS è giunta ormai al suo ottavo anno e al sedicesimo numero (di imminente pubblicazione), ed è dunque ora una Rivista scientifica “di fascia A”, il che le consentirà di evolvere ancora e divenire sempre più un punto di riferimento per il dibattito giuridico e culturale in materia di genere. La sua ambizione è d’essere sempre più promotrice e ospite di un dialogo che coinvolga anche soggetti internazionali, come testimoniato dai tanti contributi di autori e autrici esteri pubblicati nel corso degli anni e dai numerosi convegni promossi dalla Rivista, da ultimo il convegno internazionale su social network e hate crimes, quello del giugno 2021 sull’omo-transfobia e il prossimo convegno, il 30 settembre 2022, sulla diffusione dei populismi e le comunità lgbtiq+, di cui daremo prossimamente maggiori dettagli.

In ogni caso, GenIUS è stata e continuerà ad essere una impresa collettiva, sostenuta da chi crede che lo studio, la riflessione, il dialogo e lo scambio sono leve fondamentali del progresso umano.

La sua redazione è stata e continuerà ad essere, soprattutto, una piccola comunità contraddistinta da una inusuale prospettiva interdisciplinare, in cui si incontrano culture e competenze diverse, molta passione e dove sono nate e cresciute relazioni personali importanti.

Il sentito ringraziamento va ai tanti amici e alle tante amiche, colleghi e colleghe, a partire da Pina Palmeri, Paolo Veronesi e tutti e tutte i componenti della redazione, che hanno creduto in questo piccolo sogno e che hanno dedicato tanto del loro tempo e della loro passione per raggiungere questo risultato.

Grazie.

Marco Gattuso

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La “liberalizzazione” della disciplina italiana sull’attribuzione del cognome ai figli: una riforma in chiave europea

di Francesco Deana*

 

1.

Lo scorso 27 aprile, con sentenza non ancora depositata ma anticipata dal Comunicato di pari data, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali le norme che nel nostro ordinamento regolano l’attribuzione del cognome ai figli, siano essi nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio o adottivi, incaricando poi il Legislatore di regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione in questione.

L’oggetto della decisione è stato definito in virtù delle ordinanze di rimessione emesse dal Tribunale di Bolzano e dalla Corte di appello di Potenza, nonché dell’ordinanza di autorimessione con cui la stessa Consulta ha ampliato l’oggetto del suo giudizio ad una questione preliminare a quella sollevata dal Tribunale altoatesino. In particolare, la pronuncia riguarda due norme diverse, il cui contenuto non era dettato esplicitamente da alcuna specifica disposizione di legge, ma era desumibile dalla lettura sistematica delle norme sulla filiazione contenute in parte nel codice civile (artt. 237, 262 e 299) ed in parte nel d.P.R. n. 396 del 2000 in materia di ordinamento dello stato civile (artt. 33 e 34). La prima norma vieta, pur in presenza di accordo tra i genitori, l’attribuzione ai figli del solo cognome materno; la seconda impone automaticamente, in mancanza di accordo in senso diverso, l’attribuzione del solo cognome paterno.

La Corte è stata chiamata ad esaminare dette norme nella loro compatibilità a) con gli artt. 2 e 3 Cost., in quanto espressione del diritto all’identità personale e al riconoscimento dell’uguaglianza tra la donna e l’uomo; b) gli art. 11 e 117, comma 1, Cost., quali tramite tra l’ordinamento italiano e gli articoli 8 e 14 CEDU, rispettivamente espressione del diritto alla vita privata e familiare e del divieto di discriminazione); c) gli art. 11 e 117, comma 1, Cost., quali tramite tra l’ordinamento italiano e gli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), anch’essi intesi quali espressione, rispettivamente, del diritto alla vita privata e familiare e del divieto di discriminazione.

In esito alla pronuncia qui brevemente esaminata, i figli assumeranno di regola – e quindi automaticamente –  il cognome di entrambi i genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che questi ultimi non optino per l’attribuzione esclusiva del cognome materno o di quello paterno.

2.

L’ordinamento italiano si allinea, così, a quanto già previsto in molti Paesi membri dell’Unione europea e completa un percorso di progressiva “liberalizzazione” di una disciplina inizialmente fondata su un rigido criterio di attribuzione automatica del solo cognome paterno.

Dopo due vani tentativi esperiti nel 1988, quando, con le ordinanze n. 176 e 586, la Corte dichiarò inammissibili le questioni relative alle modalità di attribuzione del cognome ai figli nati nel matrimonio, la sentenza n. 61 del 2006 rappresentò la prima occasione in cui i giudici costituzionali riconobbero espressamente l’incompatibilità della prevalenza del patronimico con il fondamentale principio di uguaglianza, definendo tale regola un «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia […] e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento». Nonostante l’accertata illegittimità, tuttavia, i giudici si astennero dal pronunziare l’incostituzionalità della disciplina, rinviando la questione alla discrezionalità del Legislatore; decidendo diversamente, infatti, si riteneva di esporre l’ordinamento ad un vuoto normativo in cui una pluralità rilevante di sistemi alternativi di attribuzione del cognome avrebbe potuto reclamare applicazione.

Dieci anni più tardi, con sentenza n. 286 del 2016, la Corte ebbe invece modo di mutare radicalmente convincimento – pur senza evidenziarne le ragioni giustificatrici – e dichiarare per la prima volta l’illegittimità costituzionale delle norme in materia, sebbene con limitato riferimento alla parte in cui esse non consentivano «ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche (ma non solo, NdA) il cognome materno». La pronuncia si limitava, dunque, ad introdurre un’opzione alternativa, l’attribuzione volontaria e congiunta di patronimico e matronimico fin dalla nascita, estendendola (in virtù dell’intervenuta riforma dello status filiationis operata con la legge n. 219 del 2012) ai figli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti contemporaneamente da entrambi i genitori, nonché ai figli adottivi.

Con l’ultima e recentissima sentenza, invece, la Consulta si è spinta oltre e ha inteso tutelare i diritti costituzionali interessati non semplicemente affiancando alla regola del patronimico un ventaglio di opzioni alternative selezionabili su base volontaristica – cosa che sarebbe stata sufficiente ad ottener il risultato invocato dai ricorrenti nel procedimento a quo –, ma sancendo direttamente il definitivo superamento della regola vigente. La (nuova) regola diventa, quindi, l’attribuzione del doppio cognome, salvo diverso accordo tra i genitori.

3.

L’evoluzione giurisprudenziale culminata con la sentenza del 27 aprile abbraccia progressivamente i principi elaborati davanti alle giurisdizioni europee, in particolare la Corte EDU (già ampiamente citata nella sentenza del 2016 e solo in parte in quella del 2006), a dimostrazione di come il diritto europeo di famiglia si proponga sempre più quale catalizzatore di processi di riforma epocali nell’ambito dell’ordinamento italiano (si pensi al “peso” della sentenza Oliari e a. c. Italia rispetto all’approvazione della Legge n. 76/2016 sulle unioni civili).

La Corte di Strasburgo ha infatti da tempo pacificamente stabilito che, in quanto mezzo di identificazione personale e di collegamento con una famiglia, il cognome di una persona riguarda la sua vita privata e familiare protetta dall’articolo 8 della CEDU (casi Mentzen c. Lettonia (dec.); Henry Kismoun c. Francia). Sulla base di questa premessa e del principio di (more…)

Alla Corte Costituzionale l’impossibilità di convertire l’unione civile in matrimonio a seguito della sentenza di rettificazione di sesso di uno dei partner

 di Francesca Barbato*

 

Pubblichiamo l’ordinanza del Tribunale di Lucca del 14 gennaio 2022 con la quale sono state sollevate plurime questioni di legittimità costituzionale con riferimento a disposizioni centrali in ordine all’impossibilità di convertire l’unione civile in matrimonio in conseguenza della rettificazione di sesso di uno dei due componenti della coppia.

Il caso

Nella vicenda in esame XXX , presa piena coscienza della propria disforia di genere di tipo MtF (indicata erroneamente nell’ordinanza FtM) – così come risultante da una relazione psicologica eseguita dal consultorio transgenere di Torre del Lago -, identificandosi irrevocabilmente nel genere femminile, ha adito il Tribunale toscano chiedendo che venisse autorizzato l’intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile a femminile con conseguente rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso, ed ordinato all’ufficiale di stato civile di iscrivere il matrimonio con il compagno in luogo dell’unione civile nel registro degli atti di matrimonio. XXX aveva, infatti, contratto un’unione civile nel 2019 con il proprio compagno ed entrambi intendevano conservare il vincolo familiare attraverso l’automatica conversione dell’unione civile in matrimonio a seguito della rettificazione anagrafica.

Nell’esaminare la domanda il Tribunale ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale di cui al combinato disposto degli artt. 1, comma 26, L. 20 maggio 2016, n. 76; 31, commi 3 e 4 bis, D.Lgs. 1°settembre 2011, n. 150 e 70 octies, comma 5 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, in relazione agli artt. 2, 3, 117 Cost. e 8 e 14 CEDU quali ai parametri interposti ai sensi dell’art. 117 Cost.

Il giudice di Lucca è partito dalla disamina dell’art. 1, primo comma, del D.P.R.  3 novembre 2000, n. 396 secondo cui “La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali” e dell’art. 31 del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 in forza del quale “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il Tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”.

 Al riguardo il Tribunale ha richiamato gli approdi raggiunti dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale, in virtù dei quali la lettura sinottica delle norme de qua non deve portare a ritenere l’intervento chirurgico pre-condizione necessaria della pronuncia di mutamento di sesso, ma solamente un possibile mezzo strumentale a un pieno benessere psicofisico (Corte cost. n. 221/2015; Cass n. 15138/2015).

Di seguito il giudice ha chiarito come nella fattispecie in esame XXX non ha effettuato un intervento demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali, ma una terapia ormonale, chiedendo la rettifica dell’attribuzione di sesso nei registri di stato civile, dichiarando di aver acquisito l’identità di genere femminile attraverso un percorso psicologico comprovante la definitività e irreversibilità di tale orientamento, prescindendo dalle caratteristiche anatomiche degli organi sessuali.  Conseguentemente, in caso di riscontro positivo di quanto allegato nel corso del giudizio, XXX vanterebbe astrattamente l’aspettativa legittima di acquisire una nuova identità di genere anche in assenza di un intervento di adeguamento dei caratteri sessuali.

In siffatte circostanze XXX in una con la suddetta richiesta, deducendo di avere contratto con il proprio partner un’unione civile, ha domandato di ordinare all’ufficiale dello stato civile del Comune di Lucca di iscrivere nel registro degli atti di matrimonio l’unione matrimoniale in luogo di quella civile, in considerazione dell’assenza di un divieto in tal senso da parte dell’ordinamento a svantaggio della coppia in seguito all’acquisto di una nuova identità di genere di uno dei componenti.

Tuttavia il Tribunale ha osservato che “l’interdipendenza tra pronuncia di rettificazione e sorti dell’unione civile in precedenza contratta tra persone dello stesso sesso non forma oggetto di lacuna normativa” (così, p. 4).

Difatti viene ricordato come l’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016 preveda (more…)

Hate Crimes, Social Media and Criminal Law. Hints on the Recent Italian Legislative Proposal Against Incitement to Discrimination and Hate

di  Luciana Goisis*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il saggio tematizza la categoria dei crimini d’odio, alla quale vanno ascritti, oltre ai crimini d’odio razziale e religioso, anche i crimini d’odio omotransfobico, di genere e per disabilità, come dimostra la prospettiva comparata. Svolta una attenta analisi dei profili criminologici con particolare riferimento al rapporto fra crimini nonché discorsi d’odio e realtà dei social media, il saggio sviluppa alcune riflessioni sulla recente proposta di riforma legislativa italiana, attualmente approvata alla Camera, volta a modificare gli artt. 604-bis e ter c.p., in materia di violenza o discriminazione per motivi di sesso, di genere, di orientamento sessuale, di identità di genere o per disabilità. La novella introduce misure di prevenzione e di contrasto a tali forme di discriminazione, accanto alle misure già previste per le discriminazioni razziali, etniche e religiose, ed è finalizzata a combattere due fenomeni assimilabili quali l’omofobia e la misoginia (o meglio il sessismo), fenomeni non più accettabili per le società moderne, così come per il diritto penale contemporaneo, nonché a completare il quadro di tutela dei soggetti disabili. Il saggio si conclude interrogandosi sull’effettività della riforma rispetto ai crimini d’odio in rete.

The essay thematizes the category of hate crimes, to which, beyond racial and religious hate crimes, homotransphobic, gender-based and disability-based hate crimes are also ascribed, as shown by the comparative perspective. Dealing deeply with the criminological profiles with particular reference to the relationship between hate crimes and hate speeches and the reality of social media, the essay develops some reflections on the recent Italian legislative proposal, approved in the Chamber, aimed at amending Articles 604-bis and ter of the Criminal Code, on violence or discrimination on grounds of sex, gender, sexual orientation, gender identity or disability. The reform introduces measures to prevent and combat these forms of discrimination, alongside the measures already envisaged for racial, ethnic and religious discrimination, and is aimed at combating two similar phenomena such as homophobia and misogyny (or rather sexism), phenomena no longer acceptable for modern societies, nor for contemporary criminal law, as well as to complete the frame of protection of disabled persons. The essay concludes wondering about the effectiveness of the reform with regard to online hate crimes. 

* Professoressa Associata di Diritto Penale, Università di Sassari

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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Le persone omosessuali e transgender in carcere e il tempo immobile del Covid19


di  Fabio Gianfilippi*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il contributo analizza la condizione delle persone omosessuali e transgender nel sistema penitenziario italiano, anche alla luce delle tutele antidiscrimnatorie introdotte in questa materia in sede di riforma dell’ordinamento penitenziario nell’anno 2018 e già oggetto di alcune prime pronunce giurisdizionali, interrogandosi sulla difficile stagione del carcere chiuso durante l’ormai lungo tempo dell’emergenza sanitaria da COVID19 e sulle ricadute sulla quotidianità penitenziaria per le persone LGBT+ detenute nelle sezioni separate istituite per la loro protezione.

The paper illustrates the condition of homosexual and transgender inmates in the Italian penitentiary system, against the backdrop of the relevant anti-discrimination provisions introduced in 2018 – that have already been reviewed in some case law – and taking into account both the difficulties caused by the closed prison regime throughout the long-lasting COVID-19 related health emergency and its effects on the daily penitentiary life for LGBT+ persons that are detained in separate sections established for their protection.

* Magistrato, Ufficio di Sorveglianza di Spoleto

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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Freedom and responsibility of women, between patriarchy and neoliberalism


di  Orsetta Giolo*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il saggio propone un’analisi della relazione attualmente esistente tra le concezioni genderizzate della responsabilità e della libertà delle donne, l’iper-responsabilizzazione neoliberale e la retorica del care mainstreaming. Indagando nella prospettiva femminista le conseguenze della soggettività neoliberale, particolare attenzione è dedicate all’impatto che le trasformazioni in corso della responsabilità e della libertà producono sulla vita delle donne, nonché sulla loro condizione giuridica e politica.

The objective of this analysis is to try to understand what relationship presently exists between gendered conceptions of responsibility and women’s freedom, neoliberal hyper-responsibilisation and the rhetoric of care mainstreaming. In the following pages I shall try to reflect on the consequences of the neoliberal subjectivity in a feminist perspective, focusing above all on the impact that the transformations of responsibility and freedom produce on the life of women, as well as on their legal and political condition.

* Professoressa associata di Filosofia del diritto, Università di Ferrara

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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The more things change, the more they stay the same: On the epistemology of queer critique


di  Mariano Croce*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

This article takes issue with the criticism against those that I call “sinister accounts”, that is, analyses contesting pieces of legislation, policy measures and judicial decisions that are generally considered as steps towards a more equal and free society. According to some scholars, such a radical, hypercritical attitude, typical of many queer critiques, tends to produce pedantic and dismissive readings of political and legal advancements and thus fails to capitalize on the limited resources of Western liberal democracies. Even more importantly, from a social-theoretical perspective, sinister accounts are charged with draining social agents of any autonomy and self-awareness in that they are described as unconsciously complying with invisible hegemonic forces. With reference to accounts of the detrimental effects of non-conventional relationship recognition and in the light of a particular notion of the work of concepts in social life, I try to rebut this criticism by showing that sinister accounts contribute to opening fissures into the vision of social agents in order for the latter to (re)discover the silenced alternatives that various processes of normalization and naturalization inevitably conceal. 

* Professore associato di Filosofia del Diritto, Sapienza Università di Roma

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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La parità di genere nelle elezioni dei piccoli Comuni: quali garanzie per l’uguale accesso alle cariche elettive? Note a margine di Consiglio di Stato, Sez. III, ord. 4 giugno 2021, n. 4294

di  Paola Torretta*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il Consiglio di Stato, con ordinanza 4 giugno 2021, n. 4294, ha sollevato questione di legittimità costituzionale rispetto alla disciplina del procedimento elettorale per le elezioni dei Comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, nella parte in cui non assicura la necessaria rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali e perché non prevede il “regime sanzionatorio sub specie “esclusione della lista” per le liste elettorali presentate in violazione del principio di parità dei sessi. L’autore, pur condividendo le motivazioni che sostengono la non conformità a Costituzione della normativa impugnata, esprime perplessità rispetto alla richiesta di una pronuncia additiva di prestazione, in ragione della consolidata giurisprudenza costituzionale sulla discrezionalità del legislatore in materia elettorale.

The Council of State referral order of June 4, 2021, n. 4294 raised the question of unconstitutionality of the legislation concerning the electoral procedure for the elections of municipalities with a population of less than 5,000 inhabitants “in the part it does not provide for the necessary representation of both genders in the electoral lists” and because it does not provide for the “sanctioning regime sub specie “exclusion of the list”” for the electoral lists presented in violation of the principle of equality between men and women. The author, while sharing the reasons supporting the non-compliance of the contested rules with the Constitution, expresses perplexity with respect to the request for a ‘benefit additive’ judgement, due to the consolidated orientation of the Constitutional court about legislative discretion in the field of the electoral rules. 

* Professore Ordinario di Diritto costituzionale, Università di Parma

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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Terre di mezzo e mine vaganti: il riconoscimento giuridico del genere della persona trans

di  Nausica Palazzo*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il contributo tenta di ricostruire in chiave critica l’approccio dei sistemi giuridici contemporanei, in particolare europei, al riconoscimento dell’identità di genere (RGIG). La comunità trans gode di una insufficiente protezione giuridica. Ciò è conseguenza diretta dell’approccio dei sistemi giuridici occidentali all’elevazione delle identità al piano del giuridico, approccio che ad oggi utilizza identità singolari anziché plurali, statiche anziché fluide. Da ciò consegue l’esclusione dalla protezione e egida del diritto di soggetti esibenti identità non conformi. Dal punto di vista procedurale, un simile approccio si traduce nella creazione di tutta una serie di requisiti per ottenere il RGIG che, a più attenta analisi, difficilmente si giustificano dal punto di vista dell’interesse pubblico. Si pensi in particolare al requisito della sterilizzazione forzata o della riassegnazione chirurgica del sesso – insieme di requisiti che il contributo inquadra in termini di “sanzione” per aver attraversato i confini del genere dato nonché “misura preventiva” volta a impedire futuri attraversamenti. A partire da tali premesse, il saggio affronta in primis il tema della rilevanza giuridica delle identità attraverso il prisma delle teorie queer; di qui si prefigge analizzare il costo di categorie giuridiche “non inclusive” – per come sopra definite – nel contesto della Corte europea dei diritti dell’uomo; a seguire, il contributo offre una breve disamina del principio di autodeterminazione come principio cardine della disciplina giuridica il RGIG; segue una breve analisi della sua diffusione nel contesto europeo e della sua compatibilità con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il quinto paragrafo, infine, tenta di tirare le somme, procedendo alla riscrittura di un estratto del famoso caso Hämäläinen per dimostrare come il diritto possa efficacemente inglobare i postulati delle teorie queer, senza che il queer si traduca in mera decostruzione di processi iusgenerativi.

The present paper seeks to critically assess the contemporary approach to legal gender recognition. The trans community is insufficiently protected by the law: too often policymakers are unaware or willingly ignoring the cost that categorizations reflecting static – as opposed of fluid –, singular – as opposed of multiple – identities impose on group “outsiders”. A similar approach has resulted in the establishment of a plethora of conditions to obtain legal gender recognition. On careful examination, these conditions hardly withstand scrutiny. A major example concerns practices involving sterilization o sex reassignment procedures: such practices yield a profound impact on human bodies. Such an impact should more correctly be framed in terms of ‘punishment’ for having trespassed the boundaries between genders, as well as a wall to prevent that person from making her choice reversible. Based on this premise, the paper first explores the topic of legal categorizations through the lens of queer theory; it then moves to analyze the cost insufficiently inclusive categories impose on group outsiders unable to align with the dominant understanding of identity underlying a certain category; it then takes the European Convention of Human Rights as a case study to demonstrate how this approach is detrimental to the trans community, and particularly to individuals unwilling to undergo gender reassignment procedures; section 4 explicates the many advantages of an approach to legal gender recognition based on self-determination. Ultimately, section 5 takes stock of the discussion and moves to rewrite a passage in the Hämäläinen decision, to illustrate how queer tenets can be effectively embedded into the law, without ‘queer’ implying a mere deconstruction of jurisgenerative processes.  

* Postdoctoral Fellow, Hebrew Unversity of Jerusalem

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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Il difficile connubio tra tradizione ed innovazione nella tutela dei diritti delle persone LGBT in Asia. Le esperienze di Taiwan, Giappone ed Indonesia a confronto


di  Giacomo Giorgini Pignatiello*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Con l’erompere del XXI secolo la retorica degli asian values sembra scolorire a fronte delle molteplici vie con le quali i diversi sistemi giuridici orientali hanno inteso affrontare il tema della realizzazione dei diritti umani ed in particolare, nel caso che qui occupa, dei diritti delle persone LGBT. Il presente contributo tenta dunque di ricostruire, in prospettiva comparata, il quadro normativo, giurisprudenziale e dottrinale di diversi ordinamenti giuridici (Taiwan, Giappone e Indonesia), espressione delle differenti tendenze nello sviluppo del rapporto tra potere pubblico e diritti delle persone LGBT nel contesto del mondo asiatico.

At the beginning of the 21st century,the Asian values rhetoric is almost at a dead end. Several eastern legal systems experienced different ways and levels in the implementation of fundamental rights, and particularly LGBT rights. The present contribution aims at drawing the legal framework, case law, and doctrinal debate of several countries (namely Taiwan, Japan, and Indonesia), which reveal different ongoing tendencies in Asia as for the development of the relationship between public power and LGBT rights.”

* Dottorando di ricerca in diritto pubblico comparato, Università di Siena

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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“Quest’unione civile non s’ha da fare”: il processo a Forza Nuova e l’equiparazione dell’omofobia al razzismo


di  Alessandro Cirelli*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il presente elaborato vuole indagare il fenomeno dell’odio razziale in ambito giuridico e non solo, cercando di comprendere se sussistano o meno differenze concrete fra i fenomeni del razzismo e dell’omofobia, i quali traggono origine dal medesimo odio. Si trae spunto da un caso concreto avvenuto nella città di Cesena dove, a pochi mesi dall’approvazione della c.d. legge Cirinnà, mentre le prime due coppie gay si accingevano a celebrare la propria Unione Civile, nella piazza antistante il Municipio alcuni appartenenti a Forza Nuova organizzavano un finto funerale. I partecipanti al corteo funebre saranno tutti rinviati a giudizio per Istigazione all’odio Razziale, avanti al Tribunale di Forlì.>

This paper aims to investigate the phenomenon of racial hatred in the legal field and beyond, trying to understand whether or not there are concrete differences between the phenomena of racism and homophobia, which originate from the same hatred. It is inspired by a concrete case that took place in Cesena where, a few months after the approval of the Cirinnà law, while the first two gay couples were preparing to celebrate their Civil Union, in the square in front of the Town Hall some members of Forza Nuova organized a fake funeral. The participants in the funeral procession will all be sent to trial for Incitement to Racial Hate, before the Court of Forlì.

* Avvocato, Foro di Rimini

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS)

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«Note verbali» e discriminazioni di genere. Un esempio di ingerenza diplomatica

di  Pierluigi Consorti*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Questo contributo trae origine dalla «Nota verbale» invita dalla Santa Sede all’Italia per manifestare la sua contrarietà verso un disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati e ancora all’esame del Senato (DDL Zan contro l’omofobia). L’analisi si muove sul piano scientifico riassumendo in via preliminare i fatti, poi trattando i temi di carattere pattizio e infine toccando alcuni profili di merito. L’intento è quello di mettere in luce sia l’illegittimità giuridica dell’intervento diplomatico in considerazione del principio di non ingerenza negli affari interni di un altro Stato, sia la sua inappropriatezza sul piano della mancata protezione dei diritti delle persone LGBT+.

This essay originates from the «Verbal Note» that the Holy See sent to the Italian Government to express its opposition against a draft law approved by the Chamber of Deputies and still under examination by the Senate (DDL Zan against homophobia). The analysis moves on a scientific level by a preliminary brief history of events, it later deals with the issues of legal relations between State and Church, and finally examines some substantial profiles. The intent is to highlight both the legal illegitimacy of diplomatic intervention in the light of the principle of non-interference in the internal affairs of another State, and its inappropriateness in terms of the lack of protection of the rights of LGBT+ people. 

* Professore ordinario di diritto ecclesiastico e canonico, Università di Pisa

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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Donne e Migrazioni: il nodo del lavoro di cura

di  Maria Rosaria Marella, Sveva Stancati*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il lavoro domestico e di cura rappresenta un elemento fondamentale nella struttura e nel funzionamento delle società neoliberali. Il pieno riconoscimento del valore sociale ed economico del lavoro domestico è quindi cruciale per l’empowerment dei soggetti che lo svolgono, per lo più donne, ma dipende in gran parte da un regime legale che ancora sottovaluta il lavoro riproduttivo, sia nella famiglia che nel mercato. Partendo dall’analisi delle norme del diritto di famiglia che regolano il lavoro domestico, questo articolo mostra l’influenza dello statuto giuridico del lavoro di cura non retribuito su quello mercificato e razzializzato, nonché sulle condizioni sociali ed economiche delle lavoratrici domestiche salariate.

House- and carework are fundamental in the structure and functioning of neoliberal societies. The full recognition of the social and economic value of household work is crucial to the empowerment of careworkers, who are mostly women, but it largely depends on a legal regime that still underestimates reproductive work, both in the family and in the market. Starting from the analysis of the regulation of household work within family law, this article shows the influence of the legal treatment of unpaid carework on commodified and racialized house- and carework, and on the social and economic conditions of waged houseworkers.

* Ordinaria di Diritto Privato e Dottoranda di ricerca in Scienze giuridiche, Università di Perugia

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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