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Joan ha due mamme/2: la conferma della Corte d’Appello di Perugia

di Angelo Schillaci

Pubblichiamo il decreto con il quale la Corte d’Appello di Perugia, confermando la decisione di primo grado, ha ordinato al Comune di trascrivere l’atto di nascita del piccolo Joan, indicando entrambe le sue mamme.

Una decisione importante, molto ricca nella motivazione, almeno sotto due profili, che sinteticamente possono essere richiamati, a prima lettura.

Anzitutto, la Corte perugina prende posizione in merito alla delimitazione del concetto di ordine pubblico internazionale, con particolare riguardo al contrasto tra le definizioni datene, rispettivamente, dalla prima sezione civile della Corte di cassazione (con le note decisioni 19599/16, 14878/17 e 14007/18) e dalle Sezioni Unite della stessa Corte, con l’altrettanto nota sentenza n. 16601/17 (relativa ai cd. danni punitivi): se infatti l’orientamento della prima sezione civile tendeva ad identificare il contenuto dell’ordine pubblico internazionale con il “complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento in un determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e collocati a un livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria” (così, in particolare, la sentenza n. 19599/16), la successiva pronuncia delle Sezioni Unite sembra includere – nella declinazione del concetto di ordine pubblico – anche principi e istituti di fonte legislativa. Sulla base di una assai approfondita ricostruzione della giurisprudenza di legittimità in materia di ordine pubblico internazionale, il decreto in esame riduce il divario tra le due impostazioni. In particolare – richiamando anche l’ordinanza n. 4382/18 (con la quale la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la controversia relativa alla trascrivibilità di un atto di nascita recante l’indicazione di due padri, anche sotto il profilo della corretta ricostruzione del concetto di ordine pubblico internazionale) – il giudice perugino ha ritenuto che l’integrazione del contenuto dell’ordine pubblico internazionale con riferimento a principi e istituti di fonte legislativa vada intesa in senso costituzionalmente orientato e con attenzione all’apertura della nostra Costituzione a dinamiche di cooperazione con l’ordinamento internazionale: ne consegue, nel dettaglio, che detta integrazione in tanto possa essere ammessa, in quanto quei principi e quegli istituti di fonte legislativa costituiscano diretta attuazione di principi costituzionali, in assenza di qualsivoglia opzione discrezionale del legislatore al riguardo (cd. attuazione a “rime obbligate”, secondo la nota espressione crisafulliana, richiamata peraltro dalla decisione in commento). In altri termini, in sede di controllo di compatibilità dell’atto straniero con l’ordine pubblico internazionale, il giudice è chiamato a “filtrare, tra le maglie della legislazione interna, i soli principi fondamentali che trovano ineludibile e imprescindibile fondamento nella Carta costituzionale” (così, par. 3, p. 11); pertanto, “anche la legislazione primaria costituirà oggetto di specifica analisi per la verifica di conformità dell’atto trascritto all’ordine pubblico internazionale”, evidenziandosi tuttavia “la necessità di avere riguardo non tanto al rango della fonte, quanto al valore della normazione in esso contenuta” (ivi). Con riguardo al caso di specie, la Corte d’Appello di Perugia conclude, allora, nel senso della necessità di operare un bilanciamento tra i diversi interessi coinvolti (sulla scia della stessa giurisprudenza costituzionale in tema di p.m.a.) riconoscendo la dovuta preminenza all’interesse del minore.

Poste queste premesse, nel merito la Corte d’Appello conferma la decisione di primo grado, escludendo la contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione dell’atto di nascita spagnolo recante l’indicazione di due madri, affermando non solo che la conservazione dello status acquisito in Spagna corrisponde all’interesse del minore, ma che l’omogenitorialità non può essere considerata contraria all’ordine pubblico.

Tali conclusioni sono sostenute – ai parr. 5 e 6 della decisione – da una ricostruzione ampia ed approfondita dell’evoluzione del diritto di famiglia italiano, con riferimento specifico alla determinazione dello status filiationis e, dunque, dei diversi modelli di genitorialità che ad esso possono dare luogo e rispettivamente, quella da procreazione naturale, quella adottiva, e quella da procreazione medicalmente assistita. Particolarmente rilevanti, in questo quadro, le considerazioni che il giudice perugino svolge in merito a tale ultimo modello di genitorialità, nell’ambito della quale assume importanza centrale la consapevole assunzione di responsabilità genitoriale all’atto di intraprendere un percorso di procreazione assistita: in tale tipo di procreazione, afferma il decreto, “l’elemento volontaristico/consensuale è assolutamente preminente rispetto al dato della derivazione genetica ai fini della determinazione della filiazione e dell’acquisizione dei relativi status” (così par. 5, p. 15) e, pertanto, accanto ad una genitorialità biologica esiste, nel nostro ordinamento, una “genitorialità affettiva e psicologica” (ivi) oggetto di specifica disciplina nella legge n. 40/2004, con riguardo agli effetti del consenso alla tecnica di p.m.a. sulla determinazione della filiazione, ivi puntualmente regolati (artt. 6, 8 e 9). Interessante notare come tale specifica modalità di determinazione della filiazione sia inserita, dalla Corte perugina, in un percorso evolutivo del nostro ordinamento che, anche in relazione alla genitorialità biologica, ha riconosciuto rilievo sempre maggiore non solo e non tanto alla salvaguardia di situazioni di fatto consolidate (seppur non corrispondenti alla verità biologica), ma anche alla loro conservazione sulla base del consenso dei soggetti interessati (il riferimento, nella decisione in esame, va alla riforma della disciplina delle azioni di stato). Allo stesso modo, merita di essere sottolineato che il giudice perugino ribadisce – anche sulla scorta di C. Cost., n. 272/17 – che l’eventuale illiceità della tecnica procreativa cui si sia fatto ricorso non cancella automaticamente l’interesse del minore alla conservazione dello status così acquisito, ma che è la stessa legge n. 40/2004 ad essersi fatta carico del bilanciamento, ancorando la determinazione della filiazione al consenso alla tecnica, indipendentemente dalla sua liceità (nel nostro ordinamento) e con soluzione conforme al principio dell’unicità dello status  di figlio, codificato dalla riforma della filiazione del 2012/2013.

Altrettanto rilevanti, infine, le considerazioni che il giudice perugino svolge – al par. 6 – in relazione alla non contrarietà all’ordine pubblico dell’omogenitorialità, mettendo a sistema, in particolare, l’evoluzione del diritto di famiglia (e la progressiva perdita di centralità del matrimonio come perno attorno al quale radicare la costituzione dello status filiationis) e la più ampia tutela riconosciuta – dalla giurisprudenza costituzionale prima e dal legislatore poi – alle unioni affettive diverse dal matrimonio, ivi comprese quelle tra persone dello stesso sesso. Con una efficace combinazione dei principi desumibili dalle sentenze n. 138/2010 e 162/2014, in altri termini, la decisione in commento inscrive l’omogenitorialità nel quadro delle forme di esercizio dell’autodeterminazione affettiva e familiare riconosciute dal nostro ordinamento: infatti, “se l’unione tra persone dello stesso sesso è una formazione sociale ove la persona ‘svolge la sua personalità’ [sent. n. 138/2010, NdA] e se la scelta di diventare genitori e di formare una famiglia costituisce ‘espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi delle persone’ [sent. n. 162/14 NdA]” deve escludersi che “la tutela offerta alle coppie dello stesso sesso sia solo di tipo orizzontale e che esista a livello di principi generali dell’ordinamento un divieto per le coppie dello stesso sesso di accogliere e generare figli” (par. 6, p. 21).

Significative conferme di tale affermazione di principio sono rinvenute, dalla Corte, nel diritto positivo ed in particolare:

a) dalla recente legge n. 4/2018 che – tutelando gli orfani di crimini domestici – “sostanzialmente ha posto sullo stesso piano la genitorialità da matrimonio e convivenza ovvero da unione civile” (par. 6, p. 22);

b) dall’applicabilità del comma 20 della legge n. 76/2016 all’art. 8 della legge n. 40/2004 che, come ricordato, riconosce al nato a seguito di p.m.a. lo status di figlio dei coniugi o della coppia che ha prestato il consenso alla tecnica: in conseguenza, il riferimento ai “coniugi” contenuto nella disposizione in esame deve intendersi esteso – per effetto della clausola di equivalenza di cui al richiamato comma 20 – anche alle parti dell’unione civile. Con ciò, la Corte perugina si pone – confermandole – nel solco delle recenti pronunce dei Tribunali di Pistoia e Bologna e della Corte d’Appello di Napoli che, come noto, hanno sostenuto la piena applicabilità dell’art. 8 della legge n. 40/2004 anche ai nati da p.m.a. in coppia omogenitoriale.

In conclusione, la decisione perugina – che segna un ulteriore passo in avanti nella tutela del piccolo “Joan”, da anni oggetto di una controversia giudiziaria originata dall’ostinato rifiuto del Comune di Perugia di riconoscerne lo status di figlio di entrambe le mamme, legittimamente acquisito in Spagna – prende atto, con una ricostruzione sistematica di ampio respiro, della crescente complessità delle realtà familiari e dei percorsi per il loro riconoscimento giuridico: come significativamente affermato nella decisione, infatti, “l’assetto giuridico è sempre più complesso e variegato ed in questo settore non si può più fare esclusivo riferimento ai concetti tradizionali di paternità, maternità, filiazione, derivanti dal dato procreativo naturale” (par. 6, p. 19).