Home » genitorialità, gravidanza per altri, internazionale, intersezioni, trascrizione » La Corte federale tedesca si esprime ancora in materia di GPA

La Corte federale tedesca si esprime ancora in materia di GPA

 di Alexander Schuster*

Con una decisione del 5 settembre 2018 nella causa XII ZB 224/17, per la seconda volta la Corte federale tedesca ha ribadito il diritto del minore, più che degli adulti, a ottenere il riconoscimento in Germania dello stato di figlio di entrambi i genitori, incluso quello meramente intenzionale, già acquisito nel sistema statunitense.

Omologa della nostra Corte di cassazione, questa alta giurisdizione conferma il proprio precedente del 10 dicembre 2014[1]e riforma le due decisioni di merito che in maniera del tutto inaspettata e inusuale, oltre che isolata nel contesto giurisprudenziale tedesco[2], si contrapponevano apertamente alla statuizione della Suprema Corte.

La Corte regionale superiore di Braunschweig nella sua decisione del 12 aprile 2017[3]affermava che in quel precedente non erano stati presi in considerazione alcuni aspetti giuridici. Concludeva, così, per il non riconoscimento della sentenza e dell’atto di nascita e, quindi, di alcuno dei due genitori tedeschi. Quanto al padre adduceva la Corte territoriale che la refertazione attestante il legame genetico con quest’ultimo non potesse essere utilizzata, in quanto l’accertamento era stato realizzato senza garanzia dei diritti processuali del minore. Il non riconoscimento discendeva poi dal contrasto con l’ordine pubblico, in quanto non poteva darsi spazio nel diritto tedesco ad una genitorialità di tipo negoziale, essendo ammessa solo quella biologica e quella adottiva. Infine, la Corte riteneva che tale esito non contraddicesse l’interesse del minore.

La Suprema Corte cassa la sentenza e conferma, così, la perdurante validità del proprio precedente. Significativo è il passaggio quanto alla non violazione della dignità della gestante:

17. aa) La disciplina di cui all’art. 1591 BGB, che è concepita come norma imperativa, non preclude di per sé alla decisione straniera la possibilità di essere riconosciuta. Piuttosto, oltre ai diritti della madre surrogata così come dei genitori intenzionali o committenti, devono essere considerati anche i diritti fondamentali e umani del bambino nato all’esito della gestazione per altri. Questi includono il diritto del bambino di stabilire una relazione giuridica genitore-figlio (decisione del Senato BGHZ 203, 350 = FamRZ 2015, 240 paragrafo 41 s.).

18. La dignità umana della madre surrogata può essere violata se la gestazione per altri viene realizzata in circostanze che mettano in discussione la libera partecipazione della madre surrogata, o se circostanze essenziali rimangono incerte, come indicazioni inerenti alla persona della surrogata, alle condizioni alle quali si è dichiarata disponibile a condurre la gravidanza dei bambini oppure se mancano informazioni sull’accordo raggiunto, oppure quando nel procedimento giudiziario straniero sono state ignorate fondamentali garanzie procedurali (decisione del Senato BGHZ 203, 350 = FamRZ 2015, 240 par. n. 51 con ulteriori riferimenti).

19. La natura volontaria della partecipazione non è messa in discussione dal fatto che la madre surrogata riceva denaro o, come ritiene la Corte Regionale Superiore, dal fatto che tra lei e i genitori intenzionali o committenti esista un divario sociale. Piuttosto, la natura volontaria presuppone che la partecipazione della madre surrogata e la consegna del bambino avvengano senza costrizione (vedi Neuner, Natürlicher und freier Wille, AcP 218 [2018], 1, 2 e segg.). Alla luce di questi parametri nella presente fattispecie non sussiste alcun dubbio quanto alla natura volontaria della collaborazione fornita dalla surrogata. Tale considerazione non è contraddetta dal fatto che la madre surrogata abbia ricevuto un compenso. A dispetto di quanto opina la Corte regionale superiore nemmeno il fatto che la madre surrogata non sia stata ascoltata personalmente dalla Corte distrettuale mette in discussione la natura volontaria della sua partecipazione, poiché la madre surrogata è stata informata della procedura. Quand’anche si ipotizzasse una violazione procedurale, alla luce delle circostanze concrete del presente caso, non si tratterebbe di una violazione delle garanzie procedurali fondamentali (vedi decisione del Senato BGHZ 203, 350 = FamRZ 2015, 240 par. 49, 51 con ulteriori riferimenti).

Dirimente per la Corte suprema è la libera autodeterminazione della donna, la quale non è messa in discussione né dalla corresponsione di denaro, né dall’eventuale divario socio-economico fra i genitori intenzionali e la gestante. La libera e volontaria compartecipazione della donna al progetto di genitorialità della coppia trova semmai conferma nelle sue condotte fino ai momenti successivi alla nascita. Inoltre, in controluce si può vedere come sia completamente estranea dal ragionamento della Corte tanto suprema quanto territoriale ogni confusione fra il piano della gestazione per altri, che presuppone necessariamente un accordo antecedente l’impianto in utero dell’embrione e, quindi, anteriore ad ogni inizio di gravidanza, e il piano di reati universali come la cessione o vendita di minore e il traffico di esseri umani. Questi, infatti, sono altro rispetto alla GPA, che è pratica ammessa in metà delle società occidentali e trasversalmente in tutti e cinque i continenti, mentre schiavitù, traffico e vendita di minori sono universalmente vietati.

Affrontata e scartata la tesi che la GPA sia una inammissibile lesione della dignità della donna in ragione del fatto che ciò che rileva è solo la incomprimibile libertà della donna di autodeterminarsi, il Bundesgerichtshof affronta le questioni di stato, ovvero se e quali debbano essere per l’ordinamento tedesco i genitori legali del minore.

L’ordinamento tedesco non conosce, a differenza di quello italiano, la scissione fra puerpera e madre (legale), poiché non ammette il parto anonimo. In tale contesto, forte è la pressione per identificare in colei che partorisce ipso jure la madre. Per tali ragioni la Corte intreccia sin da subito il riconoscimento della puerpera quale madre con l’opposto riconoscimento della genitorialità in capo alla coppia di genitori intenzionali. L’elemento di transnazionalità conduce a ritenere che non sia nell’interesse del minore la decisione di imporre la maternità ad una persona che non ha espresso alcuna volontà di accudire il minore. Inoltre, in quanto residente in uno Stato in cui non è possibile far valere nei suoi confronti doveri parentali, si determinerebbe una situazione claudicante a detrimento del minore. Non si vede, poi, quale ragione possa giustificare l’esclusione invece dello stato di genitori in capo a quelli intenzionali. Tale coppia, infatti, vuole e intende garantire le cure di cui necessita il minore. E tali considerazioni devono prevalere rispetto a (invero ancora incerti) legami psicosociali maturati nel corso della gravidanza fra nato e gestante.

21. cc) Ai fini del riconoscimento è dirimente tararsi sull’interesse del minore, e quindi sui diritti del minore di cui all’articolo 2 comma 1 congiuntamente all’art. 6, comma 3, della Legge fondamentale e di cui all’art. 8 CEDU, i quali garantiscono anche il diritto del bambino all’inquadramento legale quale figlio di entrambi i genitori. L’inquadramento quale figlio della madre surrogata non sarebbe rilevante nello Stato di origine della madre surrogata già di per sé in forza della decisione giudiziale contrastante ivi adottata, la quale stabilisce che i genitori intenzionali sono i genitori legali del bambino. Ciò corrisponde al fatto che la madre surrogata in realtà non vuole assumere un ruolo genitoriale rispetto al bambino e, a differenza dei genitori intenzionali, non vuole né prendersi cura del bambino né educarlo. In questo contesto, se si negasse al bambino l’inquadramento quale figlio dei genitori intenzionali, si compierebbe un’ingerenza nel suo diritto fondato sull’articolo 8, comma 1 della CEDU di poter stabilire una relazione legale genitore-figlio. A differenza di una surrogazione di maternità realizzata sul territorio nazionale in violazione della legge, per la quale il diritto assegnerebbe al figlio due genitori legali a pieno titolo, la relazione claudicante di parentela con la surrogata, che non produce effetti nel suo Stato di origine, non soddisferebbe i requisiti imposti dall’articolo 2, comma 1, lett. i, congiuntamente all’art. 6 comma 2 Legge fondamentale, e dall’art. 8, comma 1 CEDU. In ogni caso, per tali ragioni al legislatore nazionale non dovrebbe essere consentito rifiutare di riconoscere il rapporto genitore-figlio tra genitori intenzionali e figlio, obiettivo a cui mira l’accordo di surrogazione di maternità, unicamente sul presupposto di considerazioni di prevenzione generale, secondo le quali in tal modo si impedirebbero (ulteriori) ”elusioni” del divieto nazionale di surrogazione di maternità. Se il benessere del bambino è al centro dell’attenzione, si deve allora tenere presente che il bambino non ha alcuna influenza sulle circostanze della sua nascita e rispetto alle quali non può essergli attribuita alcuna responsabilità. Pertanto, la valutazione dell’interesse del bambino non può essere confinata al profilo della relazione psicosociale tra bambino e madre surrogata. Piuttosto, in vista di una considerazione complessiva non va dimenticato che i genitori intenzionali, a differenza della madre surrogata, assumono il ruolo genitoriale e vogliono offrire al bambino le cure necessarie per un suo felice sviluppo (Decisione del Senato BGHZ 203, 350 = FamRZ 2015, 240 par. 54 e segg. con ulteriori riferimenti).

I giudici supremi ribadiscono che al centro dell’analisi deve porsi l’interesse preminente del minore, il Kindeswohl, il quale non è certo meglio tutelato negando la genitorialità a chi se ne vuole prendere cura sin dall’inizio. La valutazione della Corte territoriale dell’interesse del bambino viene quindi rigettata.

La Corte rigetta anche la tesi di una dottrina minoritaria che ha adotto esigenze general-preventive quale giustificazione per il mancato riconoscimento. Il minore, in quanto nato e, quindi, persona fisica, è titolare di autonomi e propri diritti e deve poterne godere in maniera piena. Muovendo implicitamente da un approccio kantiano, può dirsi che il minore non può divenire il mezzo per realizzare obiettivi di prevenzione generale, subendo la decurtazione di proprie libertà fondamentali per incidere così su scelte e condotte, in particolare riproduttive, di terzi rispetto alle quali a lui non può essere attribuita alcuna responsabilità. Così la Corte:

24. bb) L’argomento secondo cui nel contesto della prevenzione generale voluta dal legislatore il benessere dei bambini dovrebbe essere garantito “ex ante” vietando l’inquadramento legale di figli dei genitori intenzionali (Thomale IPRax 2017, 583, 587; Thomale, Mietmutterschaft, p .31ss.) non convince. Una tale strategia di tutela potrebbe nel migliore dei casi riferirsi al bambino non ancora nato e non ancora divenuto soggetto giuridico. Ma lo scopo possibile di tale tutela potrebbe essere (solo) quello di proteggere il bambino dalla sua stessa creazione, il che sarebbe già in sé contraddittorio (vedi decisione del Senato BGHZ 203, 350 = FamRZ 2015, 240 par. 49, vedi anche BVerfGE 96, 375 = FamRZ 1998, 149 – danni in caso di fallimento della sterilizzazione, BVerfGE 88, 203 = NJW 1993, 1751, 1764 [BVerfG 12.11.1997 – 1 BvR 479/92] – punibilità dell’aborto).

25. (1) La protezione dell’interesse del minore, quale protezione individuale del bambino, deve essere a questi garantita in quanto titolare autonomo del diritto. Di conseguenza, la valutazione dei fatti deve essere compiuta nel momento in cui il bambino diviene portatore dei propri diritti quale soggetto giuridico (si veda anche la decisione del Senato del 19 luglio 2017 – XII ZB 72/16 – FamRZ 2017, 1687 par. 29). Poiché la protezione è posta a vantaggio del bambino quale soggetto giuridico autonomo, questa non può differenziarsi in ragione delle modalità procreative, sulle quali il bambino non esercita alcuna influenza.

La protezione del bambino non può, quindi, avere una portata minore per il fatto che una madre surrogata lo ha portato in grembo e fatto nascere (decisione del Senato BGHZ 203, 350 = FamRZ 2015, 240 par. 56). Se, quindi, il bambino è nato a seguito di una surrogazione di maternità, la questione del suo inquadramento legale non può essere elusa nemmeno in forza di considerazioni general-preventive, le quali, in ultima analisi, sono fallite.

Deve ribadirsi con forza che la tradizione giuridica occidentale non può tollerare che una persona diventi strumento e subisca la violazione dei propri diritti fondamentali per perseguire finalità che sono a lui, soggetto vulnerabile, estranee. Di fronte ad un minore in carne ed ossa non è consentito subordinare il suo interesse concreto ad un interesse astratto, qualunque esso sia, ad esempio quello di una politica repressiva e deterrente.

Del resto, i fallimenti in termini di deterrenza di queste sanzioni a detrimento dei minori per punire gli adulti emergono proprio in quegli Stati, come la Svizzera, la Spagna, la Francia, il Belgio, che consentono poi comunque l’adozione da parte del partner o coniuge del genitore genetico. La via adottiva rappresenta una soluzione giuridica che crea un vuoto di tutela del minore, benché limitato nel tempo. Essa, però, non si è certo rivelata un freno alla realizzazione di un desiderio forte e naturale di divenire genitori nonostante patologie riproduttive o altri ostacoli. Non è, allora, un caso che proprio in alcuni di questi Stati i giudici stiano mutando approccio e pervengano oramai al pieno riconoscimento dei provvedimenti stranieri (così, ex plurimis, Corte di appello di Gent, sentenza del 20 aprile 2017; Tribunale di prima istanza di Parigi, sentenza di exequatur del 21 dicembre 2017 di riconoscimento dei genitori intenzionali in forza di sentenza adottiva straniera; Tribunale amministrativo del Granducato del Lussemburgo, sentenza 19 dicembre 2018). La stessa Corte di Cassazione francese ha inaugurato l’operatività del 16° Protocollo chiedendo un parere pregiudiziale alla Corte EDU proprio quanto agli obblighi euroconvenzionali in punto di riconoscimento del genitore intenzionale (procedura P16-2018-001). Tale rinvio è senz’altro indice della volontà della Suprema Corte parigina di riconsiderare la propria posizione, pur maturata in tempi recenti (si vedano le sentenze del 5 luglio 2017).

Difficile appare l’equilibrio fra l’esigenza di disporre, da una parte, di strumenti per conseguire il rispetto da parte dei consociati di precetti che pongono loro divieti, e l’esigenza di evitare – dall’altra – che un minore incolpevole divenga il mezzo per realizzare tali finalità. Soluzioni intermedie, quali il connubio “non riconoscimento-adozione”, si sono rivelate incapaci di incidere sulle condotte extraterritoriali dei cittadini. Nel contempo è chiaro il pregiudizio, seppur limitato ad alcuni anni, che patisce il minore. La Corte suprema tedesca dà conto di alcuni diritti negati al paragrafo 26: diritti successori, di mantenimento, cittadinanza, al nome, per gli stranieri a soggiornare nel Paese. Soprattutto, aggiunge che: «Inoltre, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte regionale superiore, senza la sicurezza di un ruolo genitoriale non si garantisce una duratura vita familiare».

Si tratta di equilibri di ardua soluzione, come dimostra, nel Regno unito, il complesso iter  di riforma della disciplina locale al fine di meglio governare le gestazioni per altri dei propri cittadini, che in misura notevole avvengono all’estero. La Corte tedesca lascia, poi, in questa decisione come in quella precedente, espressamente aperta la soluzione giuridica nel caso nessuno dei due genitori intenzionali abbia anche un legame genetico.

Non ci si può che domandare se competa veramente al giudice supplire alle carenze di politiche rimesse alla discrezionalità del legislatore e volte a limitare condotte ritenute contrarie all’interesse pubblico. Per certo, spetta al giudice porre al centro della propria attività decisionale il benessere preminente del minore. In acque tumultuose questa è l’unica stella polare

 


*Assegnista di ricerca, Università di Verona

_____________________________________________________

[1]Per un commento del quale si rinvia a R. De Felice, Maternità surrogata e ordine pubblico internazionale: Germania e Italia a confronto, 3 febbraio 2015, in www.personaedanno.it. La traduzione a cura dello stesso De Felice è disponibile al medesimo indirizzo e in https://www.articolo29.it/diritto-comparatoorientamento-sessualedecisionifiliazione/

[2]Si veda il commento di Biermann e Apel, in NZFAM, 2017, p. 522.

[3]OLG Braunschweig, decisione del 12 aprile 2017 nella causa 1 UF 83/13.