Archivi mensili: giugno 2014

Quando la Corte costituzionale smarrisce la funzione di giudice dei diritti: la sentenza n. 170 del 2014 sul c.d. “divorzio imposto”

foto cdi Giuditta Brunelli *

1. Una pronuncia contraddittoria – 2. Come tutelare effettivamente i diritti costituzionali dei soggetti coinvolti – 3. Una motivazione deludente – 4. Contro la frammentazione delle tipologie familiari​

1.​ Ciò che colpisce nella sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2014, sul c.d. “divorzio imposto”, è il contrasto tra il dispositivo di accoglimento (sia pur additivo di principio) e una motivazione che nulla innova rispetto alle ambiguità della precedente pronuncia n. 138 del 2010, confermandone i principali passaggi argomentativi, peraltro riproposti con tono più sbrigativo, meno approfondito e decisamente conservatore. Su questi aspetti tornerò tra breve. Ma il primo punto su cui vorrei soffermarmi è proprio quello della necessità di risolvere questa contraddizione tra parte motiva e parte decisoria della sentenza, dalla quale potrebbe derivare una situazione di pericolosa indeterminatezza per la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti.

2.​ Siamo di fronte, come dicevo, ad un dispositivo di accoglimento, che non può non determinare una modificazione dell’ordinamento. Certo, si tratta di un’additiva di principio, che – in quanto tale – non formula una regola immediatamente applicabile (plurime essendo le soluzioni normative ipotizzabili, e dunque affidate alla discrezionalità del legislatore), ma, appunto, un principio, che vincola il legislatore nel compito di dettare la disciplina necessaria e affida «ai giudici comuni, caso per caso, (more…)

A prima lettura (la sent. 170/2014 sul divorzio imposto)

imageResistenza del paradigma eterosessuale del matrimonio e creatività della Corte, che inventa un istituto interamente nuovo (la “convivenza registrata”) perimetrando strettamente la discrezionalità del legislatore e applicando una condizione risolutiva al matrimonio del transessuale.

di Barbara Pezzini*

 

La sentenza 170 del 2014 ci offrirà ampia materia di riflessione e discussione: torneremo certamente a interrogarci approfonditamente sui rapporti con il precedente specifico della 138/2010 e su quelli, forse meno evidenti ma altrettanto significativi, con la quasi contemporanea sentenza 162/2014 sulla fecondazione eterologa; dovremo approfondire gli elementi di novità di una dichiarazione di incostituzionalità attraverso una sentenza additiva che comporta la creazione giurisprudenziale di un istituto completamente (la convivenza registrata), rimettendo al legislatore di individuare i confini ed i contenuti di tale istituto (che è più di un principio e di un indirizzo di legislazione futura, ma certo non è una regola auto-applicativa); valuteremo anche in che termini la pronuncia rappresenti un seguito specifico di quel “monito” apertamente rivolto al parlamento dalla Relazione del Presidente Franco Gallo nella riunione straordinaria della Corte costituzionale del 12 aprile 2013, appositamente convocata alla presenza del Presidente della repubblica, dei Presidenti delle camere e del Governo proprio per rappresentare “alcuni problemi istituzionali e ordinamentali” e per sottolineare che le esortazioni della Corte al legislatore “non equivalgono al mero auspicio ad un mutamento legislativo, ma costituiscono l’affermazione – resa nell’esercizio tipico delle funzioni della Corte – che, in base alla Costituzione, il legislatore è tenuto ad intervenire in materia” (richiamando espressamente la sentenza n. 138 del 2010, il presidente Gallo aveva ricordato come essa avesse “affidato al Parlamento la regolamentazione della materia nei modi e nei limiti più opportuni”, aggiungendo anche che, quando già era accaduto che il Parlamento non avesse dato séguito ad analoghi inviti, la Corte si era vista costretta a dichiarare, quando fosse stato possibile, l’illegittimità costituzionale delle norme non emendate).

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La Corte costituzionale si pronuncia sul caso del divorzio “imposto”: luci e ombre

imagesCon la sentenza dell’11 giugno 2014, n. 170, la Corte costituzionale ha stabilito che il divorzio “imposto” alla coppia di coniugi, di cui uno abbia ottenuto la rettificazione dell’attribuzione di sesso, è costituzionalmente illegittimo. Tuttavia, spetta al legislatore fornire all’unione una disciplina giuridica, che per ora ancora non esiste. La nota evidenzia aspetti positivi e critici della pronuncia, collocandola all’interno di un vivace dibattito accademico intrapreso in Italia negli ultimi anni.

With the judgment No. 170 of 11 June 2014, the Italian Constitutional Court stated that the divorce, “imposed” to a couple of spouses one of which has changed sex, is unconstitutional. However, it is upon the legislature to create an alternative legal regime for the couple, a regime that thus far does not exist. The following note examines the positive and critical aspects of this ruling, which is part of a productive debate held in Italy in the recent years.

di Matteo M. Winkler*

1. A leggere le motivazioni della sentenza della Corte costituzionale dell’11 giugno 2014, n. 170, si possono avere due reazioni opposte ma ugualmente legittime.
Da un lato, è difficile nascondere un sentimento di immensa gratitudine nei confronti dei colleghi di Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford per la magistrale difesa in giudizio nell’intero procedimento, a partire dall’impugnazione dell’atto di trascrizione del divorzio “imposto” effettuato dall’ufficio dello stato civile fino alla Consulta, passando per la Corte di Cassazione. Lo scopo sperato è stato evidentemente raggiunto: la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli art. 2 e 4 della Legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione dell’attribuzione di sesso), (more…)

Ancora sulla controversa rilevanza penale della surrogazione all’estero. Il codice penale tra tutela della stirpe e modernità

2012-10-24 08.19.56Nella controversa nozione di identità dell’individuo tra status e contratto, anche il diritto penale nazionale è legato a norme severe ed antiche; la sentenza del Gup del Tribunale di Milano dell’8 aprile 2014 si muove nel solco di quell’indirizzo giurisprudenziale che riconosce la liceità, secondo la lex loci extranazionale (nella specie indiana), della fecondazione assistita eterologa e della certificazione anagrafica che indica la discendenza del nuovo nato dalla madre surrogata, ai fini della insussistenza del delitto di alterazione di stato civile. Sebbene gli effetti costitutivi dello status del nuovo nato debbano essere riferiti all’atto anagrafico estero, tuttavia il fatto conserva crismi di illiceità di rilievo penale, e secondo la pronuncia va sussunto nel delitto di falsa attestazione a pubblico ufficiale, resa con la richiesta in Italia di trascrizione anagrafica, dagli effetti meramente dichiarativi. Il divieto di fecondazione eterologa, posto dalla L. 40 del 2004, ha accentuato l’inadeguatezza dei datati presidi penali, riferiti alle nozioni giuridiche di stirpe e di discendenza naturalistica, intese quali beni sovrindividuali, di fronte alla moderna esigenza di riconoscimento della genitorialità sociale, di tutela dei diritti personali e di disciplina dei “contratti sullo status”.

di Domenico Pasquariello*

In attesa di conoscere le motivazioni della pronuncia della Corte Costituzionale sul divieto di fecondazione eterologa posta dalla L. 40 del 2004, torniamo ancora sull’ultima delle sentenze penali che sono intervenute sulla surrogazione di maternità all’estero e delitto di alterazione di stato (567 cp).
Il caso
La vicenda è nota, e ricalca il copione di espatrio procreativo che numerose (sono stimate in oltre 1.500) coppie italiane, etero ed omogenitoriali, si sono determinate a seguire dopo il niet della legge 40 alla fecondazione assistita eterologa: due coniugi lombardi hanno contratto all’estero un accordo per la surrogazione di maternità, la nascita è stata registrata localmente, secondo la normativa straniera, con la sola indicazione dei genitori italiani, e la richiesta all’autorità consolare italiana, e per il tramite di questa all’ufficiale di stato civile del comune di residenza, di annotazione anagrafica è stata poi incriminata in Italia come delitto di alterazione di stato.
Si era trattato di una surrogazione cosiddetta totale; l’ovocita, fecondato in vitro con lo sperma del genitore italiano, era stato donato da una donna straniera, poi impiantato nell’utero di un’altra terza donna, che aveva condotto la gestazione e partorito. (more…)

Nasce GenIUS, la rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere

genius-logo


Nasce oggi la prima Rivista italiana di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.

Diretta da Marco Balboni, Marco Gattuso e Barbara Pezzini e con la direzione scientifica di Daniel Borillo, Gilda Ferrando, Stefano Rodotà e Robert Wintemute, la Rivista semestrale ambisce ad essere punto di riferimento nella ricerca giuridica sui temi dell’evoluzione del diritto di famiglia, delle questioni di diritto costituzionale, civile, penale, di diritto internazionale pubblico e privato, antidiscriminatorio, del lavoro e dell’Unione europea in materia di orientamento sessuale ed identità di genere, con occhio attento ai mutamenti in corso nel panorama nazionale ed internazionale.
Il suo primo numero é dedicato alla questione del cd. “divorzio imposto” attualmente pendente avanti alla Corte costituzionale.

GenIUS é integralmente scaricabile gratuitamente.

di Barbara Pezzini*

L’esperienza quotidiana, in Italia come nel panorama internazionale e sovranazionale, ci mostra il moltiplicarsi di casi che -sul piano degli istituti del diritto di famiglia, come su quello della tutela penale, del diritto del lavoro o ancora delle tutele sociali- sfidano il paradigma eterosessuale del diritto e la costruzione rigidamente dicotomica del dualismo sessuale, imponendo il ripensamento dei nessi che il diritto costruisce tra l’orientamento sessuale e l’identità di genere, da un lato, ed i propri istituti, dall’altro. La distanza e la radicalizzazione delle posizioni nel dibattito, e le connesse difficoltà del dialogo che emergono anche tra i giuristi, dipendono specificamente dal carattere paradigmatico dell’eterosessualità e del dualismo, che delimita un orizzonte di senso inamovibile.

Nel paradigma si è cristallizzata una visione globale (e globalmente condivisa) del mondo, e più specificatamente, del mondo in cui opera e su cui indaga la comunità di studiosi di una determinata disciplina; il paradigma costituisce il campo di indagine e delimita la logica e la prassi della ricerca (che si svolge entro i confini della logica paradigmatica stessa, cui àncora tanto il suo oggetto di studio, quanto la tecnica per affrontarlo); il paradigma è più forte di una presupposizione (che, dando un fondamento tradizionale, originalistico o naturale alla connessione tra gli istituti giuridici e l’eterosessualità e il dualismo, si limita ad eludere la necessità di fornirne una vera dimostrazione). Proprio per questa sua funzione, ogni messa in discussione del paradigma comporta la ridefinizione del campo di indagine, della metodologia e dei concetti fondamentali impiegati nella ricerca.

La rottura -o almeno l’incrinatura- del paradigma eterosessuale e del dualismo si riflettono oggi sulle categorie ed i concetti utilizzati dall’interpretazione giuridica, che subiscono la sfida di un indispensabile aggiornamento: diventa, infatti, necessario esplicitare le argomentazioni e le giustificazioni che sorreggono quelle “regole” (ad esempio, la configurazione giuridica dell’istituto matrimoniale riservata alle coppie di persone dello stesso sesso; ovvero la corrispondenza tra nome e sesso anagrafico) che si erano, sin qui, considerate un postulato. (more…)