In claris non fit interpretatio: unioni civili, pensione di reversibilità e comma 20 della legge n. 76/2016
22 dicembre, 2016 | Filled under italia, matrimonio, orientamento sessuale, Unioni civili |
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Pubblichiamo il messaggio diffuso dalla Direzione centrale Pensioni dell’INPS, che conferma la già pacifica estensione alle coppie unite civilmente di tutti i diritti legati alle prestazioni pensionistiche e previdenziali già previste per le coppie coniugate, ivi compresa la reversibilità della pensione.
Tale equiparazione è fatta discendere, opportunamente, dal chiaro disposto dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 che, come noto, reca una clausola generale di equiparazione tra unioni civili e matrimonio: tale clausola opera attraverso una regola di equivalenza terminologica, a mente della quale le disposizioni che si riferiscono al matrimonio o che contengono la parola “coniuge”, “coniugi” o espressioni equivalenti si applicano anche alle parti dell’unione civile, con l’unica eccezione delle disposizioni del codice civile non espressamente richiamate dalla legge n. 76/2016 e delle sole disposizioni riferite al matrimonio (o che presuppongano lo status di coniuge), contenute nella legge n. 184/1983 in materia di adozione. Lo stesso comma 20 precisa peraltro, a tale ultimo riguardo, che in materia di adozione resta fermo quanto previsto e consentito dalla legge: dunque, possono pacificamente applicarsi alle parti dell’unione civile tutte le disposizioni della legge n. 184/1983 che non si riferiscano al matrimonio o non presuppongano lo status di coniuge, come ad esempio l’art. 44, in tema di adozione in casi particolari (ciò che è stato confermato da Cass. civ., sez. I, 26 maggio 2016, n. 12962).
Si tratta di una norma con evidente funzione antidiscriminatoria che, seppur contenuta in una legge che fonda il riconoscimento della vita familiare omosessuale su premesse costituzionali diverse da quelle che presidiano il riconoscimento dell’istituto matrimoniale, rappresenta un vero e proprio “anticorpo” volto a garantire – nella massima estensione possibile – la piena effettività dell’art. 3 Cost. e dunque la parità di trattamento tra coppie coniugate e coppie unite civilmente.
La portata antidiscriminatoria del comma 20 della legge n. 76/2016, pur con i limiti indicati, è stata sottolineata dalla dottrina unanime, che ha ribadito, altresì, la portata autoapplicativa della disposizione in esame, ora riconducendola ad una vera e propria norma di produzione giuridica, ora ad una norma sull’interpretazione e sull’applicazione di altre norme.
Anche la giurisprudenza e la prassi intervenute nel vigore della legge n. 76/2016 confermano tale assunto, anche con riguardo all’ambito dei diritti previdenziali e assistenziali. Si pensi, anzitutto, all’importante affermazione contenuta nella sentenza n. 174/2016 della Corte costituzionale, proprio in tema di reversibilità della pensione: al momento di ribadire la funzione solidaristica della pensione per il superstite, la Corte sottolinea significativamente che “lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge” n. 76/2016 (Cons. dir., 3.2). O si pensi, in secondo luogo, alla prassi di numerosi Comuni che, pur in assenza di specifiche indicazioni in sede di normativa attuativa (stante il silenzio del cd. decreto “ponte” sul punto) hanno pacificamente ritenuto applicabili alla costituzione delle unioni civili tanto l’art. 1, comma 3, del D.P.R. n. 396/2000 (in tema di delegabilità dell’atto a cittadini in possesso dei requisiti per l’elezione a consigliere comunale) quanto l’art. 70 del medesimo decreto, che prevede che l’ufficiale di stato civile, all’atto di celebrazione del matrimonio, indossi la fascia tricolore. O ancora, si consideri la circolare del 5 agosto 2016 del Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, che ha chiarito la pacifica applicabilità del comma 20 al D. Lgs. n. 286/98 (cd. Testo unico immigrazione) ai fini del ricongiungimento familiare e del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. Analogamente, si pensi alla risposta, resa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ad un’interrogazione parlamentare presentata il 13 luglio 2016 alla Camera dei Deputati, in Commissione Finanze, e relativa all’estensione alle coppie unite civilmente delle agevolazioni fiscali previste per le giovani coppie in relazione all’acquisto dei mobili per arredare la casa familiare, dall’art. 1, comma 76, della legge n. 208/2015: la risposta positiva del Ministero, in quel caso, non venne basata peraltro solo sul chiaro disposto del comma 20 della legge n. 76/2016 ma sull’equiparazione – desumibile da tale disposizione – “del vincolo derivante dall’unione civile a quello derivante dal matrimonio”.
Ancor più significativo, in questo senso, l’orientamento mostrato dal Governo in sede di attuazione della delega legislativa di cui al comma 28 della medesima legge n. 76/2016, con particolare riguardo al criterio direttivo di cui alla lett. c) dello stesso comma. Tale disposizione, infatti, delega il Governo ad “apportare le modificazioni e integrazioni normative per il necessario coordinamento delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti con le disposizioni di cui alla legge 20 maggio 2016, n. 76″: l’interpretazione di detto criterio di delega rappresenta, come evidente, un indicatore assai utile per chiarire l’estensione dell’autonoma portata del comma 20, inteso come clausola generale di adeguamento dell’ordinamento giuridico al nuovo istituto dell’unione civile (per il tramite della richiamata clausola di equivalenza). Orbene, il Governo – anziché intervenire con integrazioni normative puntuali – ha circoscritto il proprio intervento in attuazione di tale criterio di delega alla sola materia penale, peraltro limitandosi ad introdurre nel codice penale una nuova disposizione – l’art. 574 ter – che non fa altro che “tradurre” il comma 20 in termini penalistici, al fine di assicurare il rispetto dei principi di tassatività e stretta legalità che governano la materia penale. Come correttamente osservato dalla Commissione Giustizia del Senato nel proprio parere sullo schema di decreto legislativo in commento, infatti, nella materia penale “i principi di tassatività e stretta legalità consigliano di apportare opportune modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento delle disposizioni incriminatrici col principio di equivalenza di cui all’articolo 1, comma 20 citato, senza che con ciò possa peraltro escludersi l’applicabilità diretta dell’articolo 1, comma 20 ad altri ambiti del sistema penale, come ad esempio nel caso delle disposizioni non incriminatrici e di quelle disposizioni incriminatrici, anche di futura emanazione, che, per la loro determinatezza e la loro evidente funzione di rafforzare la protezione di diritti o l’adempimento di obblighi, trovano sicura applicazione anche alle unioni civili fra persone dello stesso sesso, in forza del combinato disposto con il menzionato articolo 1, comma 20 della legge 20 maggio 2016, n. 76”.
Allo stesso modo, in sede di attuazione del criterio di delega di cui alla lettera a) del comma 28 (adeguamento dell’ordinamento dello stato civile), il Governo si è limitato agli interventi strettamente necessari ad assicurare la piena certezza del diritto e delle tutele, in ipotesi nelle quali il confine tra unione civile e matrimonio è apparso (più o meno fondatamente) di incerta individuazione (come ad esempio, in tema di estensione delle disposizioni relative alla celebrazione del matrimonio, in ragione della distinzione, peraltro assai discutibile, tra questa e la costituzione dell’unione civile): in altri termini, il Governo non ha fatto altro che esplicitare, in casi (ritenuti) dubbi, la portata del comma 20: sul piano formale, inserendo riferimenti espliciti alla costituzione dell’unione civile, all’interno di singole disposizioni dettate con riferimento al matrimonio; sul piano sostanziale, assicurando – con una disciplina ad hoc, la piena equiparazione dei due procedimenti di celebrazione del matrimonio e costituzione dell’unione civile. Pertanto, come significativamente affermato dalla Commissione Giustizia del Senato nel proprio parere sullo schema di decreto legislativo in esame, “tale disciplina deve ritenersi integrativa, e non sostitutiva, nella materia de qua, di quanto autonomamente disposto dall’articolo 1, comma 20 della legge 20 maggio 2016, n. 76, che pone una generale clausola di equivalenza tra matrimonio e unione civile tra persone dello stesso sesso, in funzione antidiscriminatoria ed in attuazione dell’articolo 3 della Costituzione” (per ulteriori indicazioni, si consenta il rinvio ad A. Schillaci, Le unioni civili tra persone dello stesso sesso: profili di diritto comparato e tenuta del principio di eguaglianza, in DPCE Online, fasc. 3/2016) .
Le indicazioni provenienti dalla prassi e dalla giurisprudenza, sin qui sinteticamente richiamate, confermano pertanto la portata generalissima, autonoma ed autoapplicativa, della clausola di equivalenza di cui al comma 20 della legge, che può essere integrata dall’intervento di altre disposizioni normative – come ben dimostrato dall’attuazione della delega di cui al comma 28 – solo al fine di garantire la piena effettività di principi costituzionali concorrenti con quello della parità di trattamento (come ad esempio i principi di tassatività e stretta legalità penale) o, soprattutto, al fine di garantire la parità di trattamento al di là di ogni ragionevole dubbio, e solo in quanto strettamente necessario.
Non stupisce, allora, che anche l’INPS, con il messaggio qui pubblicato, chiarisca la pacifica applicabilità del comma 20 alla disposizione di cui all’art. art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636: tale disposizione – norma generale tuttora vigente sulla pensione di reversibilità al coniuge superstite – prevede infatti che “nel caso di morte del pensionato o dell’assicurato […] spetta una pensione al coniuge […]”, e rientra pertanto a pieno, per il suo tenore testuale nell’ambito dispositivo del suddetto comma 20.
La legge n. 76/2016, con i suoi limiti e grazie ai significativi anticorpi in essa contenuti, continua così ad informare di sé l’ordinamento giuridico italiano, contribuendo ad irrobustire il percorso, ancora incompiuto, verso il riconoscimento della piena pari dignità sociale della vita familiare omosessuale.
*Ricercatore TDB – Università di Roma “Sapienza”