Archivi mensili: aprile 2020

«From status to contract»: la trascrizione dei provvedimenti stranieri dichiarativi dello status del figlio d’intenzione

di Silvia Izzo*

 

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

L’A. prende spunto dalla sentenza Cass. Sez. Un. 9 maggio 2019, n. 12193 in materia di riconoscimento dei provvedimenti stranieri dichiarativi dello status di figlio d’intenzione per analizzare, oltre ai profili processuali della decisione, la disciplina e l’evoluzione giurisprudenziale dei diversi strumenti previsti dall’ordinamento nazionale a fronte del rifiuto di trascrizione nei registri dello stato civile.

The A. takes the opportunity to comment on the decision of the High Court, plenary session, issued on May 9th 2019, n. 12193 on the transcription of birth certificates issued abroad for stepchildren in order to analyse the procedure issues, the legal framework, including the case-law evolution on the different legal tools applied by the Italian legal system in case of refusal of the named transcription.

 

* Professoressa Associata di Diritto processuale civile, Università di Cagliari

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-2)

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“Incontrare i congiunti” ai tempi del COVID-19

di Denise Amram*

“Se ami l’Italia mantieni la distanza” è la formula della c.d. Fase 2 utilizzata dal Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di confermare la necessità di mantenere la distanza sociale e fisica a fini di contenimento della emergenza COVID-19.

L’art. 1 del DPCM del 26 aprile 2020 alla lettera a) prevede che, a partire dal 4 maggio pv, siano “consentiti solo gli spostamenti  motivati  da  comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per  motivi  di salute e si considerano  necessari  gli  spostamenti  per  incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento  e  il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie” [1].

Le ragioni sottese alla disposizione rispondono alla necessità di diminuire la compressione sia della libertà personale (art. 13 Cost.) che del diritto fondamentale della persona alla realizzazione della propria personalità nell’ambito della prima formazione sociale del nostro ordinamento: la famiglia (art. 2, 29, 30 Cost.). Definire la “famiglia”, tuttavia, è compito tutt’altro che semplice e non spetta alla regolamentazione dell’emergenza occuparsene.

La circoscrizione della disposizione ai “congiunti” pare attribuire base di liceità ai contatti tra persone che siano formalmente riconosciute quali “familiari” in ragione di vincoli di sangue estendibile sulla base dei principi costituzionali affermati nel nostro ordinamento, come si anticipa nei comunicati stampa odierni, a vincoli di affettività considerati “stabili”. Il che parrebbe trovare conferma nell’uso del verbo “incontrare” che non richiama immediatamente la sfera familiare, quanto piuttosto quella delle relazioni in senso più ampio. Il primo significato sul dizionario è proprio quello di “trovare casualmente sulla propria strada o in un luogo, imbattersi”, ovvero come terzo significato “avere uno o due punti in comune”, infine in senso letterario “capitare, accadere” [2].

Il decreto di aggiornamento sulle misure di contenimento della pandemia, pertanto, mira a circoscrivere in termini di durata e di intensità la deroga al distanziamento sociale e tenta di individuare un criterio di selezione anche sul piano dei soggetti legittimati ad usufruire di tale delega: il congiunto. Eppure, il primo significato attribuito all’aggettivo rimanda al concetto di “più o meno stabilmente a contatto” e, solo nell’accezione giuridica, la definizione richiama la sfera familiare, come sinonimo di parente [3]. (more…)

I due padri tra ordinanza di rimessione e sezioni unite della Cassazione

di Massimo Dogliotti*

 

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

L’Autore commenta la sentenza in cui la Cassazione a sezioni unite (Cass. s.u. 8 maggio 2019, n. 12193) ha giudicato su una coppia maschile (i “due padri”) che avevano chiesto la trascrizione in Italia di un provvedimento del giudice canadese con cui si affermava la genitorialità di entrambi rispetto ad un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata. L’Autore si sofferma, in particolare, sull’impiego contraddittorio dell’istituto dell’ordine pubblico operato da parte delle sezioni unite per motivare il diniego della trascrizione.

The Author provides a comment on the decision issued by the Italian Court of Cassation on May 8th 2019, n. 12193. The case concerns a male couple who had requested the transcription in Italy of a Canadian judge’s order stating the parenting of both of them with respect to a child born abroad through surrogacy. The author dwells particularly on how contradictory was the reference to the public policy clause made by the Court to justify the refusal of the transcription.

 

*Magistrato della Corte di Cassazione e Professore di Diritto di Famiglia, Università degli Studi di Genova

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-2)

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Ordine pubblico e gestazione per sostituzione. Nota a Cass. Sez. Un. 12193/2019


di Vincenzo Barba*

 

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il saggio commenta la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione in materia di gestazione per sostituzione, cercando di individuare i punti di forza e di debolezza di questa decisione. Costituisce l’occasione per una riflessione sia sul concetto di ordine pubblico internazionale, sia sul tema della gestazione per sostituzione. Nel saggio si contesta la idea che il miglior interesse del minore possa essere -come dice la Cassazione- un contro-limite dell’ordine pubblico internazionale, dal momento che l’ultimo e il primo debbono compenetrarsi e non giustapporsi. Si contesta la idea della Cassazione secondo cui la gestazione per sostituzione è sempre contraria all’ordine pubblico internazionale e che non sia non è possibile un bilanciamento con il miglior interesse del minore, che sarebbe stato compiuto dal legislatore. Si contesta, anche, più in generale, la idea che la gestazione per sostituzione sia sempre e aprioristicamente contraria all’ordine pubblico internazionale, dal momento che si tratta di fenomeno molto complesso che richiede una valutazione molto attenta dei singoli interessi, specie quando si tratti di una gestazione per sostituzione ispirata alla solidarietà gratuita.

The essay comments on the decision of the United Sections of the Cassation on the matter of gestation by substitution, trying to identify the strengths and weaknesses of this decision, offering a more general interpretation of this phenomenon in the Italian legal system. It is the occasion for a reflection both on the concept of international public order and on the gestation by substitution. The essay contests the idea that the best interest of the minor can be – as the Cassation says – a counter-limit of the international public order, since the last and the first must interpenetrate and not juxtapose. The idea of the Supreme Court according to which the gestation by substitution is always contrary to the international public order is disputed and it is not possible a balance with the best interest of the minor, which would have been made by the legislator. The idea that gestation by substitution is always and a priori contrary to international public order is also disputed, more generally, since it is a very complex phenomenon that requires a very careful evaluation of individual interests, especially when it comes to of a gestation for replacement inspired by free solidarity.

*Professore Ordinario di Diritto Privato, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-2)

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A dieci anni dalla sentenza costituzionale n. 138/2010

di Alexander Schuster

 

Ero in studio in università il 15 aprile 2010 quando ricevetti la notizia che la Corte costituzionale aveva deciso la questione del matrimonio fra persone dello stesso genere. Nell’estate precedente la Corte di appello di Trento aveva espresso i propri dubbi quanto alla compatibilità con la Costituzione del divieto a contrarre matrimonio. A denunciare la violazione dei loro diritti erano due coppie trentine, l’una composta da due donne, l’altra da due uomini. Non era la prima causa di questo tipo: alcuni mesi prima il Tribunale di Venezia aveva espresso analoghi dubbi. Nemmeno era questione sconosciuta ai giudici italiani in assoluto: il Tribunale di Roma già nel 1980 decise un ricorso proprio contro il rifiuto alle pubblicazioni chieste da una coppia di uomini.

La strategia di affrontare di petto il divieto non scritto di contrarre matrimonio rivolgendo una richiesta all’ufficiale di stato civile e intentando quindi un’azione giudiziaria non era nuova nel panorama mondiale. Il modello fu la cosiddetta “Aktion Standesamt”, ovvero la “Azione stato civile” che nel 1992 in Germania coinvolse ben duecentocinquanta coppie omosessuali. Anche in quel caso si giunse fino alla Corte costituzionale tedesca. Lo stimolo per l’Aktion Standesamt fu l’adozione da parte della Danimarca nel 1989 della prima legge al mondo che consentiva alle coppie di accedere ad una forma di unione registrata.

In Italia dovettero trascorrere molti anni prima di avviare un’iniziativa simile. Elementi scatenanti furono da una parte l’inerzia italiana rispetto agli sviluppi importanti sul fronte del matrimonio di altri Stati occidentali: si pensi alla riforma del matrimonio dei Paesi bassi nel 2001. Dall’altra occorre dare conto delle tanto penose quanto infruttuose discussioni in Parlamento per cercare di abbozzare qualcosa che potesse almeno pavidamente riproporre in salsa italica il PACS francese.

In questo contesto nascono e si alleano sul modello tedesco due associazioni, quella radicale Certi diritti e quella denominata Avvocatura per i diritti LGBT (ora LGBTI). Da lì nacque l’iniziativa di “Affermazione civile”, denominazione coniata dal radicale Sergio Rovasio. Fresco di una tesi di dottorato proprio su questi temi, aderii subito alla proposta di difendere un’idea di giustizia che ancora oggi rimane immutata. Il 23 marzo 2010 si tenne la pubblica udienza in Corte costituzionale. Eravamo presenti anche Francesco Bilotta ed io, quali avvocati delle tre coppie del cui amore e dei cui diritti si dibatteva. A parlare furono opportunamente solo gli avvocati professori universitari che sin da subito sposarono questa battaglia di civiltà: Vittorio Angiolini, Vincenzo Zeno-Zencovich e Marilisa D’Amico. Si trattò di un importante lavoro di squadra, forse così unico che non ebbi più modo di riscontrarne di simili negli anni successivi.

Sappiamo che la sentenza n. 138/2010 non garantì il diritto al matrimonio così come chiedevamo. Era un esito atteso, sì che quando mi venne comunicata, l’attenzione si rivolse non all’esito, ma alle motivazioni. La pronuncia non riconosceva la coppia omosessuale come famiglia, ma nemmeno negava che lo fosse. L’impiego di questo termine sarà apparso troppo audace ai quindici giudici di allora. Tuttavia, era significativo che «in relazione ad ipotesi particolari», fosse riconosciuta «la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale». A quest’ultima era così concesso godere, ad esempio, della medesima tutela che era stata accordato alla – questa sì – «famiglia di fatto» eterosessuale. Ciò si evinceva dal richiamo ai precedenti della Corte pronunciati a tutela del convivente (more…)