Articoli taggati con Corte europea dei diritti umani

Omofobia e discriminazione: la continua evoluzione nell’interpretazione della Cedu

2015-02-10 00.04.57

di Carmelo Danisi*

In due recenti occasioni, la Corte europea dei diritti umani (di seguito, Corte Edu) ha dato prova del continuo lavoro di interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) quando i ricorrenti lamentano una violazione riconducibile al loro orientamento sessuale. Per quanto siano relativi a situazioni molto diverse tra loro, che rientrano nell’ambito di diritti altrettanto differenti, i recenti casi sembrano essere esaminati dalla Corte seguendo la medesima ratio: la necessità che lo Stato parte si attivi per tutelare il gruppo LGB attraverso una varietà di misure dal forte impatto sociale. Tra queste, si inseriscono gli interventi di natura procedurale, molto rilevanti quando una persona subisce violenze in ragione del suo orientamento omosessuale, e quelle a carattere più squisitamente positivo, come l’obbligo di facilitare lo sviluppo della vita familiare nel più ampio contesto migratorio attraverso il ricongiungimento familiare o quantomeno, in un’ottica procedurale, la garanzia di un esame equo della richiesta volta a ottenere un siffatto beneficio. Se poste nel più ampio e complesso quadro della giurisprudenza della Corte Edu, le conclusioni raggiunte in tali occasioni non rappresentano risultati “scontati” ma un’ulteriore elaborazione in materia di non discriminazione, dimostrata dalla volontà dei giudici europei di esaminare entrambi i casi attraverso la lente dell’articolo 14 anziché sotto il profilo sostanziale. Nella parte che segue si esaminerà, seppur brevemente, l’interpretazione degli articoli 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti) e 8 (diritto al rispetto per la vita familiare) Cedu avanzata dalla Corte con i casi M.C. e A.C. c. Romania e Pajic c. Croazia, relativi a ricorrenti caratterizzati da un orientamento sessuale “minoritario”. In entrambe le occasioni, alla luce del ruolo svolto da tale caratteristica personale, i giudici hanno deciso di valutare le presunte violazioni sotto il profilo discriminatorio (art. 14 Cedu), anziché quello sostanziale.

Le violenze motivate dall’odio contro il gruppo LGB: gli obblighi procedurali

Il ricorso M.C. e A.C. c. Romania (12 aprile 2016, n. 12060/12) ha dato alla Corte Edu la possibilità di consolidare una posizione già espressa in relazione alle violenze motivate dall’odio razziale e ad ampliarla fino a comprendere i trattamenti che rientrano nell’ambito dell’articolo 3 Cedu e che sono, o potrebbero essere stati, perpetrati in ragione dell’orientamento sessuale delle vittime. Senza sminuire l’evoluzione già avviata in Identoba e altri c. Georgia (12 maggio 2015, n. 73235/12), le particolari circostanze del caso rumeno hanno consentito ai giudici di precisare la portata degli obblighi procedurali (more…)

É definitiva la sentenza Oliari: si apre la via per nuovi ricorsi a valanga

FINALE’ appena divenuta definitiva (il 21 ottobre) la sentenza della Corte europea dei diritti umani che condanna l’Italia per violazione della vita familiare delle coppie gay e lesbiche.

Come si rammenterà, la Corte di Strasburgo con  decisione del 21 luglio 2015 sul caso Oliari e altri c. Italia, ha condannato l’Italia per la mancata previsione da parte del legislatore, nonostante i numerosi solleciti delle sue superiori Corti, di un istituto giuridico diverso dal matrimonio che riconosca una relazione tra persone dello stesso sesso, poiché la carenza di riconoscimento giuridico delle dette unioni determina una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare come enunciato dall’articolo 8 della Convenzione.

L’Italia aveva tre mesi per la presentazione di un eventuale ricorso alla Grande Camera, ma il Governo, molto opportunamente, ha ritenuto del tutto insensato appellare la sentenza nel momento in cui il Parlamento procedeva ad incardinare il disegno di legge sulle Unioni civili volto proprio a dare una risposta in relazione alla affermata violazione dei diritti umani delle persone lgbti.

Com’è pure noto, tuttavia, la legge già incardinata non è stata discussa e non sappiamo quando lo sarà  (si ipotizza l’inizio della discussione soltanto nel gennaio del 2016).

Come si ricorderà, la Corte europea ha affermato la violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, condannando il nostro Paese a risarcire simbolicamente il danno patito con l’importo di € 5.000,00, oltre imposte, per ognuno dei ricorrenti, cui vanno aggiunte (more…)

A victory for Italian same-sex couples, a victory for European homosexuals? A commentary on Oliari v Italy

imageCon la sentenza Oliari e altri c. Italia per la prima volta la Corte EDU sancisce che la mancata previsione, da parte del legislatore italiano, di un istituto giuridico diverso dal matrimonio che riconosca una relazione tra persone dello stesso sesso, determina una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare come enunciato dall’articolo 8 della Convenzione. L’articolo si propone di sottolineare luci ed ombre del ragionamento seguito dal giudice sovranazionale. Da un lato, si sottolineerà l’importanza della decisione come analisi critica delle contraddizioni che caratterizzano il dibattito italiano in merito al riconoscimento giuridico delle relazioni omosessuali e, al contempo, il suo inserirsi nel percorso di progressiva estensione della protezione garantita dall’articolo 8 della Convenzione alle persone dello stesso sesso coinvolte in una relazione intima e affettiva. Tale risultato viene peraltro conseguito richiamando la recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti Obergefell v. Hodges, una mossa inusuale per i giudici di Strasburgo e da non trascurare per le controversie future. Dall’altro lato, si osserverà la sorprendente mancanza dell’accertamento di una possibile violazione del diritto alla vita privata e familiare congiuntamente al principio di non-discriminazione, che rischia di limitare la portata del giudicato alla sola situazione italiana. Ancora, delude il fatto che la Corte non abbia neppure esaminato la possibile violazione da parte dell’Italia del diritto a contrarre matrimonio in base all’art. 12 della Convenzione, confermando invece il riconoscimento di un ampio margine statale di apprezzamento. Il matrimonio omosessuale, pertanto, rimane per la Corte EDU ancora un “tabù”.

In Oliari and others v. Italy the European Court of Human rights established for the first time that the legislator’s failure to guarantee a legal framework recognizing non-marital same-sex relationships constitutes a violation of the right to respect for private and family life under article 8 of the European Convention of Human Rights. This article aims to underline positives and negatives in judges’ reasoning. Particularly, it will be underlined the relevance of the judgment both as a critique on major contradictions characterizing Italian institutional debate around the issue of same-sex partnerships, and as a further step in the progressive application of article 8 ECHR to protect same-sex individuals committed in an intimate relationship. Such result is indeed achieved by referring expressly to the US Supreme Court judgment in Obergefell v. Hodges, which is uncommon for the Strasbourg Court and should not be overlooked for future cases. However, the article observes how the Chamber surprisingly failed ascertaining a possible violation of the right of private and family life in conjunction with the non-discrimination principle. This risks limiting the effects of its reasoning to the Italian situation only. Moreover, it is disappointing to notice that the European Court did not even examine Italy’s violation of the right to marry under art.12 of the Convention, and contrarily granted a wide margin of appreciation to the States. At present, same-sex marriage still remains “taboo” for the ECtHR.

di Giuseppe Zago *

 

Last 21 July, the European Court of Human Rights (ECtHR) in Oliari and others v. Italy had once again the opportunity to analyze the status of same-sex couples wishing to marry or enter into a legally recognized partnership. This resulted in a groundbreaking judgment, with which the Court stated that the absence of a legal framework recognizing homosexual relationships violates the right to respect for private and family life as provided by article 8 of the European Convention of Human Rights (ECHR).[1]

The decision plunges into the current legal situation of Italy, but also contributes to the progressive interpretation of the Convention principles in relation to the right of same-sex individuals to enter stable intimate relationships, especially building up on the outcomes of the previous cases Shalk and Kopf v. Austria and Vallianatos and others v. Greece. (more…)

La traduzione della parte centrale della sentenza che condanna l’Italia

Wojciech+Weiss+++weiss-zaczytanaPubblichiamo la traduzione in italiano – opera mirabile, ancora una volta, dell’avv. Roberto De Felice, avvocato dello Stato – del passaggio più importante della decisione di ieri, 21 luglio 2015, con cui la Corte europea dei diritti umani ha riconosciuto la violazione da parte dello Stato italiano del diritto alla vita privata e familiare (articolo 8 della Convenzione) delle persone gay, lesbiche e bisessuali, condannandolo a risarcire ai ricorrenti un danno pari ad € 5.000,00.

Dopo avere affermato che “La Corte ribadisce che ha già ritenuto che le coppie omosessuali sono capaci come le coppie eterosessuali di costituire relazioni stabili e impegnative, e che sono in una situazione notevolmente simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda il loro bisogno di riconoscimento legale e di protezione della loro relazione” ed avere riconosciuto che le coppie dello stesso sesso sono protette dalla norma che assicura tutela alla “vita familiare”, la Corte rileva che “a dispetto di alcuni tentativi lungo tre decenni (v. paragrafi 126 e 46-47 supra), il legislatore italiano è stato incapace di approvare la relativa normativa” e ciò nonostante la Corte costituzionale italiana e la Corte di cassazione avessero già rilevato più volte una lesione della Costituzione italiana (articolo 2) e sollecitato un intervento del Parlamento.
A questo riguardo la Corte ricorda che “un tentativo premeditato di impedire l’esecuzione di una sentenza definitiva ed esecutiva, che sia inoltre tollerato se non tacitamente approvato dai poteri esecutivo e legislativo dello Stato, non può essere spiegato in termini di un qualsiasi legittimo pubblico interesse o degli interessi della comunità nel suo complesso. Al contrario è suscettibile di minare la credibilità e l’autorità dell’autorità giudiziaria e di mettere a rischio la sua efficacia, fattori che sono della massima importanza dal punto di vista dei principi fondamentali sottostanti alla Convenzione”

 

Corte europea dei diritti umani – sezione quarta, Oliari e altri. c Italia, decisione del 21 luglio 2015  -Pres Hirvela – Giudici Raimondi, Bianku, Tsotsoria (conc.), Mahoney (conc.), Vehabovic (conc.), Grozev- TRADUZIONE ITALIANA DEI PARAGRAFI DA 159 A 188 concernenti le motivazioni della Corte in ordine all’accertamento della violazione dell’Articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani

RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE- COPPIE OMOSESSUALI- OMESSA PREVISIONE DI RICONOSCIMENTO E TUTELA – VIOLAZIONE DELL’ART. 8 CEDU- SUSSISTE

La Repubblica Italiana, non avendo riconosciuto né tutelato, almeno mediante l’istituto delle unioni civili o partnership registrate, le coppie omosessuali, ha violato il diritto al rispetto della loro vita privata e familiare.

(CEDU, art 8 )

Strasburgo: è illegittimo negare il mutamento di sesso senza previa sterilizzazione

2015-02-12 23.02.27La Corte di Strasburgo ravvisa la violazione dell’art.8 della Convenzione europea dei diritti umani nella mancata autorizzazione al mutamento di sesso senza previa sterilizzazione.

Con decisione emessa in data 10 marzo 2015, Affaire Y.Y. C. Turquie, la Corte europea dei diritti umani ha stabilito che è illegittimo negare l’autorizzazione alle modifiche di sesso in ragione della circostanza che il richiedente non fosse incapace di procreare. La Corte di Strasburgo ha ritenuto difatti l’illegittimità della condotta dello Stato turco, per violazione della vita privata protetta dall’art. 8 della Convenzione, condannandolo a risarcire i danni patiti dal transessuale per aver dovuto attendere per anni l’autorizzazione all’esecuzione dell’intervento chirurgico, comunque rilasciata da una Corte turca già prima dell’intervento della Corte europea.
Nella specie si trattava di un transessuale, nato donna, il quale sentiva fortemente di appartenere al genere maschile e che aveva richiesto sin dal settembre del 2005 l’autorizzazione ad effettuare i necessari trattamenti chirurgici, autorizzazione che, come detto, era stata rilasciata soltanto nel maggio 2013 da parte della Mersin District Court, dopo diversi anni di reiterati dinieghi. Era stata infatti ritenuta ostativa la disposizione di cui all’art. 40 del codice civile turco che prevede la incapacità di procreare fra i requisiti per ottenere l’autorizzazione al cambiamento di sesso.
La decisione, assunta all’unanimità, si basa sulla (more…)

Hämäläinen c. Finland: un approccio sostanzialistico unidirezionale?

images3In questa seconda riflessione pubblicata da Articolo29 sulla recente decisione della Grande Camera della Corte di Strasburgo, Hämäläinen c. Finlandia, sul caso del divorzio imposto dalla legge finlandese in caso di mutamento di sesso, l’Autrice centra in particolare la propria critica sulla sottovalutazione dell’impatto della cessazione del matrimonio e della sua conversione in unione civile sulle credenze religiose e personali delle ricorrenti e sul godimento della propria vita personale e familiare alla luce dell’innegabile valore simbolico dell’istituzione giuridica e sociale del matrimonio.

di Silvia Falcetta*

Nella sentenza Hämäläinen c. Finlandia, del 16 luglio scorso la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha negato che la conversione forzata del matrimonio in una partnership civile, a seguito del mutamento di identità di genere di uno dei due coniugi e a fronte di un regime di diritti sostanzialmente comparabile, possa determinare una violazione della Convenzione.
Ms. Hämäläinen alla nascita era stata classificata di sesso maschile e, pur sentendosi donna, aveva deciso di sopportare lo status quo (§10). Nel 1996 ha contratto regolarmente matrimonio e nel 2002 la coppia ha avuto una figlia.
A causa dell’acuirsi del proprio malessere e a seguito di consulti con medici e specialisti (§11) la ricorrente ha, infine, deciso di intraprendere le operazioni necessarie per una riassegnazione di genere.
La legge finlandese non prevede la possibilità di matrimonio tra persone dello stesso sesso; in base al Finnish Act on Confirmation of the Gender of a Transsexual Act, laddove la persona transgenere sia coniugata, ai fini del pieno riconoscimento giuridico della nuova identità di genere (§14), vi sono due opzioni: in caso di consenso del coniuge al mantenimento della relazione, il matrimonio è automaticamente convertito in un’unione civile e la parte transgenere è pienamente confermata nella sua nuova identità; in caso di diniego del coniuge, il soggetto transgenere può comunque ottenere il pieno riconoscimento giuridico della mutata identità di genere avviando una procedura di divorzio.
Nel caso di specie, la moglie ha più volte ribadito la volontà di stare vicino al coniuge ed entrambi hanno manifestato chiaramente di non voler assolutamente interrompere il vincolo matrimoniale, né commutandolo in partnership né intraprendendo la soluzione del di divorzio (§15).
Avendo esaurito le vie di ricorso interne, senza successo, Ms Hämäläinen ha presentato ricorso presso la Corte Europea dei dirtti dell’Uomo, lamentando una violazione degli artt.8, 12 e 14 della Convenzione. Il 13 novembre 2012 la Quarta sezione della Corte ha respinto, all’unanimità, il ricorso. Di conseguenza Ms Hämäläinen ha chiesto che il caso venisse riferito alla Grande Camera, sperando in un rovesciamento del giudizio. (more…)

Superiore interesse del fanciullo, vita familiare o diritto all’identità personale per il figlio nato da una gestazione per altri all’estero? L’arte del compromesso a Strasburgo

imageCon le sentenze gemelle del 26 giugno 2014, Affaire Labasse c. Francia e Mennesson c. Francia, la Corte di Strasburgo affronta il tema della gestazione per altri (o surrogazione di maternità). Nell’esporre le ragioni addotte dalla Corte europea dei diritti umani nel condannare la Francia, l’Autore sottolinea come nella pronuncia si evidenzi l’arte dei giudici nel bilanciamento di interessi ritenuti, a priori, contrapposti. Nel caso Labasse, in particolare, i coniugi Labasse lamentavano, insieme alla piccola Juliette, cittadina degli USA e figlia della coppia (almeno per il diritto statunitense) nata tramite surrogazione, la violazione del loro diritto alla vita familiare, protetto dall’articolo 8 Cedu, essendo stata negata dalla Francia la trascrizione del certificato americano con cui i coniugi erano stati riconosciuti genitori della piccola Juliette. La loro figlia si ritrovava difatti in Francia in una situazione di evidente incertezza giuridica, che la privava della stessa cittadinanza francese e costringeva i genitori ad esibire l’atto di stato civile estero ogni volta che ciò si rendeva necessario, con il rischio di vedere negato l’effettivo godimento del diritto alla loro vita familiare.

Thanks to the judgments, delivered on 26 June 2014, Labasse v. France and Mennesson v. France, the European Court of Human Rights (ECtHR) had to deal with the issue of surrogacy and its consequences. In the following comment, the Author analyses the ECtHR’s reasoning and underlines the ability of the Judges to balance all the interests at stake, that too often are considered a priori in opposition. In particular, in the Labasse case Mr and Mrs Labasse, together with their surrogate-born daughter (at least for the US law), alleged the violation of their right to respect for family life, granted by article 8 of the Convention, because of the refusal of the French authorities to register in France the US act through which they were legally recognised as parents of Juliette. Since the arrival in France, Juliette had been living in a uncertain legal situation. Indeed, she was not granted French nationality and Mr and Mrs Labasse were obliged to show the US act whenever needed with the consequence that the enjoyment of their right to family life could be seriously hampered.

di Carmelo Danisi *

1. La maternità surrogata e le vicende interne

A causa di problemi di infertilità della signora Labasse e dell’impossibilità di ricorrere alla surrogazione in Francia, i coniugi Labasse decidevano di tentare la “gestazione per altri”1 negli Stati Uniti dove, sulla base della normativa in vigore, siglavano un contratto con l’International Fertility Center for Surrogacy e con la madre surrogata2. Conclusa la gestazione con successo nel 2001, nasceva Juliette nello Stato del Minnesota. Si avviava così quel procedimento che ha portato alla rinuncia da parte della madre surrogata di tutti i suoi diritti a favore del padre biologico, il signor Labasse. Contemporaneamente, il primo novembre 2001, le autorità del Minnesota rilasciavano un certificato di nascita che indentificava nei coniugi Labasse il padre e la madre di Juliette. (more…)

Nota a Corte EDU, Vallianatos e altri c. Grecia

Zeus of Artemision, copper (ca. 460 B.C.)Con la decisione del 7 novembre, la Grande Chambre della Corte europea dei diritti umani ha giudicato illegittima la normativa greca che prevedeva unioni civili riservate soltanto a coppie formate da persone di sesso diverso, escludedo le coppie omosessuali, in quanto in contrasto con gli articoli 14 (divieto di discriminazione) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti umani .

 di Lucilla Conte*

1. Il tema della decisione

Con la pronuncia in commento, Vallianatos e altri c. Grecia (Grande Chambre, ric. n. 29381/09 e n. 32684/09), 7 novembre 2013, la Grande Chambre della Corte EDU  ha giudicato in contrasto con gli articoli 14 e 8 della Convenzione EDU la normativa, introdotta in Grecia con legge n.3719/2008 denominata  “Riforme concernenti la famiglia, i figli e la società”.

Tale legge istituisce per la prima volta in Grecia la possibilità di contrarre unioni civili, riservandola tuttavia esclusivamente a persone di sesso diverso (il dettato della Sezione I è chiaro: «A contract between two different-sex adults governing their life as a couple (“civil union”) shall be entered into by means of a notarized instrument in the presence of the parties. The contract shall be valid from the date of which a copy of the notarized instrument is lodged with the civil registrar for the couple’s place of residence. It shall be recorded in a special civil register»).

La ratio della legge n.3719, come emerge anche dalla relazione di accompagnamento, è quella di conferire un riconoscimento giuridico alle  unioni non matrimoniali – le quali rappresentano un modello relazionale affermatosi con un certa frequenza all’interno della società, e in rapporto al quale possono svilupparsi esigenze di tutela ulteriore (come quella del/dei figlio/i nati all’interno di tali unioni) cui il legislatore non intende restare indifferente. (more…)