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Corte di appello di Napoli: i bambini arcobaleno sono figli di entrambi i genitori sin dalla nascita

di Marco Gattuso

 1. La svolta di Napoli 

 

Se esiste in ogni cambiamento paradigmatico un punto di svolta, nella vicenda della tutela dei cd. bambini arcobaleno quel momento è forse giunto con la sentenza della Corte d’appello di Napoli (estensore Casaburi) depositata oggi, con cui la Corte ha ribaltato la decisione del Tribunale per i minorenni di Napoli di rigetto dell’adozione in casi particolari.

Appena quattro giorni fa avevamo commentato due decreti del tribunale di Torino che già avallavano, incidentalmente, la tesi interpretativa per cui deve applicarsi anche ai bambini nati da coppie dello stesso sesso la tutela giuridica assicurata dalla legge 40/2004 a tutti i bambini nati con PMA. Avevamo scritto di un primo avallo alla scelta compiuta dai sindaci di tutte le maggiori città italiane (Roma esclusa) di iscrivere i due genitori dello stesso sesso negli atti di nascita.

La Corte partenopea oggi non solo conferma quella linea, ma ne opera una compiuta ed assai dettagliata ricostruzione sistematica, ponendola al centro della propria decisione e traendone una conseguenza ineccepibile: se i bambini arcobaleno sono per la legge figli di entrambi i genitori fin dalla nascita, allora è evidente che deve accogliersi la richiesta della madre non biologica di adottare il figlio (con adozione in casi particolari, cd. stepchild adoption), poiché si tratta pur sempre di una tutela minimale che l’ordinamento non può negare ad una relazione che sarebbe comunque degna di più ampia tutela.

I giudici d’appello sembrano dirci: se avessimo avuto più spazio per la nostra decisione, se non fossimo limitati cioè dal principio della domanda e dai particolari limiti imposti dal gravame («nella specie, infatti, opera il principio della domanda, e d’altronde il presente giudizio è di appello»), avremmo potuto e dovuto riconoscere che l’istante non diventerà madre del bambino col provvedimento di adozione ex art. 44, ma che è già madre sin dalla sua nascita, avendo espresso, sia pure all’estero, il consenso di cui all’art. 6 della legge 40/2004, sicché in forza dell’art. 8 della stessa legge il bambino è già figlio di entrambi i membri della coppia.

La Corte precisa che non si tratta di un obiter dictum, ma propriamente del cuore della decisione («la Corte reputa che il gravame vada accolto – conformemente agli ulteriori motivi di appello – anche in una diversa e più ampia prospettiva, tanto non come obiter, ma al fine di assicurare una decisione, in diritto, più rigorosa e sistematica»).

Non sfuggirà che tale decisione segna quindi non soltanto un passaggio importante nel dibattito sull’ammissibilità della cd. stepchild adoption, ma sostanzia, appunto, una autorevole e assai approfondita rilettura di tutta la questione della cd. omoparentalità.

Come si è detto, la decisione si contraddistingue per la dettagliata ricostruzione sistematica (non va dimenticato che l’estensore materiale della motivazione, il consigliere Casaburi, non solo è giudice assai esperto, ma è uno dei massimi cultori della materia della famiglia e della filiazione, scrivendo da anni su questi temi nella più prestigiosa rivista giuridica italiana, Il Foro Italiano).

Dalla stessa si traggono numerose indicazioni su diversi punti di snodo, che cercheremo di indicare qui di seguito, osservando come su ognuno di essi la Corte assuma una precisa posizione esegetica che, verosimilmente, stimolerà il dibattito giuridico su questi temi.

  1. Sì alla adozione in casi particolari: dalla legge Cirinnà una conferma normativa dell’omoparentalità.

Con riguardo all’adozione in casi particolari, i giudici partenopei ripercorrono tutta la giurisprudenza pregressa e, dato atto di aderire all’indirizzo inaugurato dal Tribunale per i minorenni di Roma nel luglio del 2014[1] e confermato dalla Corte di cassazione nel giugno 2016[2], rammentano come l’art. 1 comma 20 della la legge n. 76 del 2016 si concluda con la indicazione che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti», sicché, per i giudici della Corte napoletana, «in forza di tale pur ambiguo inciso finale l’interpretazione “evolutiva” dell’art. 44 , 1° comma lett. d) cit. della l. cit., così come le altre aperture alla omogenitorialità, in forza del diritto internazionale privato, e cui si è già fatto cenno, hanno conservato valore (e infatti sono state ampiamente ribadite ed estese) anche sotto l’impero della nuova legge».

Appare pure notevole che la Corte abbia osservato quanto ci eravamo permessi di rilevare in un primo commento alla legge Cirinnà[3], che «d’altronde la stessa l. 76\2016, art. 1, comma 25, richiama, e rende applicabile alle unioni civili, disposizioni processuali (in tema di crisi della famiglia) presupponenti la possibile presenza di figli (cfr. anche la l. 4\18, cfr. infra)»[4].

Dunque, non è affatto vero che l’omoparentalità sia del tutto ignorata e misconosciuta dalla legge, posto che diverse norme attestano, invece, la presenza di «figli di entrambi» i membri della coppia unita civilmente (così, significativamente l’art. 4, comma 4 l. 898/1970 richiamato dall’art, 1, comma 25 della legge 76 del 2016).

Ancora con riguardo alla legge Cirinnà, i giudici napoletani prendono posizione pure su un altro punto controverso, quello dell’applicabilità in via analogica delle norme matrimoniali (del codice civile e della legge adozioni) non espressamente richiamate, affermando che «neppure va trascurato che l’art. 1, 20° comma cit. l. 76\16 esclude l’applicazione diretta alle parti dell’unione civile delle disposizioni del codice civile non richiamate e della l. adozioni 184\1983, ma non osta certo, in presenza di identità di ratio, all’applicazione analogica delle medesime disposizioni»[5].

  1. Smentito l’indirizzo “palermitano”.

Ancora con riguardo all’adozione in casi particolari, la Corte smonta quindi la peculiare interpretazione inaugurata nel luglio 2017 da un indirizzo del tutto minoritario (proposto dal tribunale per i minorenni di Palermo e seguito dal solo tribunale per i minorenni di Napoli, con la sentenza qui riformata), per cui sarebbe da condividere, in linea di principio, l’indirizzo della S.C. sull’applicabilità dell’art. 44 lettera d), legge adozioni anche alle coppie dello stesso sesso, salvo svuotarne ogni effetto con la peculiare indicazione che l’art. 48, legge adozioni imporrebbe la perdita della responsabilità genitoriale in capo al genitore biologico (in quanto non “coniuge”).

Si tratta di una interpretazione francamente non condivisibile, peraltro già compiutamente confutata dal tribunale per i minorenni di Bologna[6]. La corte partenopea osserva al riguardo di «condividere appieno (…) tale ultima pronuncia» bolognese, rammentando in dettaglio le ragioni per cui i giudici bolognesi avevano già “smontato” tutte le argomentazioni palermitane «in termini del tutto convincenti» (la Corte rileva peraltro come la decisione di primo grado appaia errata già in rito, in quanto ex art. 101 cpv c.p.c. il tribunale avrebbe dovuto suscitare il contraddittorio delle parti sulla pretesa concentrazione della responsabilità genitoriale in capo della sola adottante, trattandosi di questione rilevata d’ufficio in sentenza).

  1. «Una diversa e più ampia prospettiva»: dalla causalità naturale alla causalità umana.

Già le indicazioni rese sin qui avrebbero consentito alla Corte di decidere il caso, costituendo peraltro la decisione una novità assai interessante per i tanti argomenti sin qui sviluppati.

Ma i giudici napoletani hanno ritenuto doveroso andare oltre, affermando, come detto, che «la Corte reputa che il gravame vada accolto – conformemente agli ulteriori motivi di appello – anche in una diversa e più ampia prospettiva, tanto non come obiter, ma al fine di assicurare una decisione, in diritto, più rigorosa e sistematica».

L’appello, infatti, «è fondato sotto plurimi profili», fra cui assume rilievo centrale che nel caso di specie entrambe le donne «avevano maturato il progetto di allargare il proprio nucleo familiare con la procreazione di figli; avevano pertanto, congiuntamente, (deciso, ndr) di far sottoporre la più giovane A. alla procreazione medicalmente assistita (d’ora in avanti: p.m.a.) eterologa (avvalendosi dei gameti di un donatore anonimo). Da qui appunto la nascita di C.».

La situazione del bambino di cui al caso de quo, quindi, non è punto assimilabile a quella di un bambino con cui un adulto abbia costruito ex post una relazione genitoriale di fatto, meritevole di protezione giuridica. Qui l’assunzione consapevole della responsabilità genitoriale non è avvenuta nel corso della vita del minore, ma ha preceduto la nascita e, anzi, lo stesso concepimento. Tale assunzione consapevole della responsabilità genitoriale da parte di entrambe le genitrici è stata anzi il motore del concepimento e la causa della nascita del bambino: senza tale volontà, il bambino non sarebbe neppure venuto al mondo.

Muovendo da tale chiara constatazione di fatto, i giudici napoletani ricostruiscono quindi compiutamente il quadro definito dalla legge 40 del 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita, con particolare riguardo al regime di “tutela del nascituro” (capo III della legge), così come evidenziato da tempo dalla migliore dottrina[7].

La nascita da procreazione medicalmente assistita, infatti, rende impraticabile l’applicazione diretta delle norme del codice civile che regolano la filiazione naturale. Per i giudici napoletani, infatti, «deve riconoscersi che la rigida applicazione delle disposizioni codicistiche sulla procreazione naturale anche alle “nuove modalità” di procreazione è ormai, oltre che inadeguata, giuridicamente errata».

Si deve osservare, in effetti, che «la prima forma di procreazione, “tradizionale” e più diffusa, è tuttora determinata, essenzialmente, in base al criterio del dato biologico-genetico (con peculiare rilevanza, quindi, della gestazione e del parto), ciò sia con riferimento all’accertamento che alla rimozione; il dato volontaristico è, evidentemente, del tutto marginale».

«Accanto alla genitorialità naturale si pone però quella da p.m.a., che implica l’intervento di un terzo, il medico, e che può prescindere del tutto dal legame genetico del figlio con la coppia richiedente; la p.m.a. eterologa, infatti, può essere anche doppia, ovvero totale (in quanto sia il gamete maschile che quello femminile sono estranei alla coppia richiedente); vi è quindi un almeno tendenziale disallineamento (come del resto per l’adozione) tra dato genetico e stato di filiazione».

«Tale genitorialità è insofferente – lo si è detto- all’applicazione, tout court, delle disposizioni civilistiche dettate, essenzialmente, per quella naturale». Mentre la procreazione “naturale” trova la propria regolamentazione nel codice civile, «le fondamenta normative (principali pur se non esclusive) della genitorialità da p.m.a. si rinvengono nella l. 40/04, quale “riscritta” e “costituzionalizzata” dalla giurisprudenza, specie costituzionale, in particolare negli art. 6, 8 e 9, che esprimono ormai (dopo Corte cost. 162/14) regole di portata generale per tutte le forme di p.m.a.». Qui «l’elemento volontaristico/consensuale, quindi, è assolutamente prevalente, ai fini della determinazione della filiazione da p.m.a., omologa o eterologa che sia, rispetto al mero dato della derivazione genetico-biologica, al limite anche gestazionale, che può anche mancare; tanto, beninteso, anche con riferimento all’acquisizione degli status».

Come già osservato in dottrina, la Corte rileva dunque che «dalla causalità/derivazione biologica, alla base della procreazione naturale, si passa qui ad una causalità umana; se si preferisce, nella p.m.a. la genitorialità (di converso, la filiazione) si fonda sì sulla verità, ma non su quella biologica: la verità è qui data dal consapevole consenso della coppia richiedente, quanto all’assunzione del ruolo genitoriale».

Dunque, per i giudici napoletani le nozioni di “verità” e di “favor veritatis” assumono nel contesto della PMA una accezione nuova e diversa da quella tipica del codice civile: la verità di questi bambini non coincide difatti col dato biologico e genetico, ma con quello dell’assunzione consapevole della responsabilità genitoriale. Tale assunzione di responsabilità avviene già prima del concepimento, atteso che «non casualmente l’art. 6, ultimo comma, l. cit. precisa che ai richiedenti devono essere esplicitate con chiarezza le conseguenze giuridiche di cui agli art. 8 e 9» ed è dunque evidente che «alla base – ed è dato dirimente e qualificante –   vi è un progetto di genitorialità condivisa, richiamata, infatti, da non poche pronunce giurisprudenziali, a partire da Cass. 19599\16 cit.».

Significativa e illuminante la conclusione cui giunge infine la Corte, per cui «resta comunque che la genitorialità da p.m.a. eterologa (anche “doppia”, con gameti sia maschili che femminili) è vera genitorialità, sia pure su basi diverse da quella biologica».

  1. Le ricadute in materia di omogenitorialità.

Così ricostruito il quadro normativo in materia di PMA, la Corte d’appello osserva come non vi siano dubbi in ordine alle conseguenze per le coppie di genitori di sesso diverso, mentre «più complessa e problematica è la questione relativa alle coppie omosessuali» per cui i giudici napoletani nondimeno osservano che «queste però non possono essere discriminate, come reiteratamente affermato – lo si è detto – dalla Corte di Strasburgo, e come del resto imposto dall’esigenza di tutela del superiore interesse del minore».

Il richiamo all’interesse superiore del minore vale dunque a sottolineare come ad una differenziazione di trattamento si frapponga non solo e non tanto il principio di non discriminazione delle coppie omosessuali, ma il divieto di discriminazione indiretta dei bambini messi al mondo da queste coppie.

Non appare, infine, rilevante che i medesimi siano stati concepiti in costanza di un perdurante divieto in Italia, essendosi recati i loro genitori in altri paesi europei o d’oltreoceano in cui tali tecniche sono consentite da tempo anche alle coppie di uomini o di donne: al riguardo la Corte osserva difatti che «certo, la l. 40\2004 riserva le pratiche di p.m.a. alle coppie di sesso diverso, cfr. il vigente art. 5», «si tratta però di dato non dirimente, senza che occorra sollevare un incidente di illegittimità costituzionale di tale disposizione», atteso che «si è infatti detto che le disposizioni fondamentali e generali in tema di genitorialità da p.m.a. sono quelle contenute negli artt. 6, 8, 9 legge cit., che – per quanto qui interessa – disciplinavano la genitorialità da p.m.a. eterologa pur se vietata (con severe sanzioni) dalla medesima legge, cfr. art. 4, 3° comma (dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte Cost. 162\2014 cit.)». «Ne segue che le regole espresse da tali disposizioni ben possano operare anche con riferimento alle coppie omosessuali, che illegalmente, o all’estero, abbiano fatto ricorso a pratiche di p.m.a., come appunto nella specie: e certo le “colpe” dei genitori non possono ricadere sui figli».

Ne risulta così smentito pure quell’argomento proposto dal Tribunale di Pisa in una recente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale[8], in cui lo stesso aveva ritenuto che la speciale protezione di cui all’art. 8 della legge 40 del 2004 non potesse estendersi ai figli delle coppie dello stesso sull’assunto che sarebbe applicabile solo in caso di “consenso” regolarmente espresso secondo le disposizioni dell’ordinamento italiano.

Appare parimenti confutata l’argomentazione pisana per cui il riconoscimento di due genitori dello stesso sesso sarebbe precluso dal preteso «carattere non gender-neutral del diritto italiano» con l’affermazione che «dal punto di vista del diritto interno appare allo stato escluso che genitori di un figlio possano essere due persone dello stesso sesso». Si è già detto dei molteplici indici di diritto positivo richiamati dalla Corte d’appello[9]. La Corte partenopea osserva al riguardo anche che «d’altro canto – lo si rileva incidentalmente – la clausola di equivalenza di cui all’art. 1, comma 20 l. 76\2016 cit. opera sicuramente anche con riferimento alla l. 40\2004 (sicché ben potrebbe ritenersi che l’esclusione  dalla p.m.a. delle coppie dello stesso sesso, di cui all’art. 5 cit., sia stata parzialmente tacitamente abrogata); nella specie, comunque, l’unione civile tra le parti è successiva alla nascita del minore di cui si tratta».

I giudici partenopei rilevano quindi che «la partner della madre biologica (siano le due o meno civilmente unite), in altri termini, non è una sorta di terzo genitore, come può configurarsi con riferimento alle c.d. famiglie ricomposte (etero o omosessuali), in cui il minore è nato da una precedente relazione del genitore biologico (sicché il rapporto affettivo, per quanto significativo, si è creato ex post, appunto con un soggetto estraneo alla coppia che lo ha generato)». «Di contro, ella è il secondo genitore, l’unico che il minore possa avere, e svolge tale ruolo – evidentemente – addirittura da un momento precedente al concepimento, avendo contribuito alla sua generazione (non importa se solo con la prestazione del relativo consenso: ella – ed è dato dirimente – se ne è assunta la  responsabilità ab origine»).

Ne consegue che «vi è appunto una fortissima esigenza di tutela (anche quanto alla gestione della vita quotidiana) che concerne, essenzialmente, proprio il minore, sia allorché la coppia genitoriale sia unita e convivente, sia in caso di crisi e di separazione della coppia stessa, tutela che – in questo secondo caso – rischia di essere confinata nei limiti angusti segnati da Corte Cost. 20 ottobre 2016, n. 225, Foro it., 2016, I, 3329 (si consideri poi anche il caso della morte di una delle partner, specie la madre biologica)».

«Da qui allora, certo in una prospettiva di diritto internazionale privato, le pronunce, cui si è fatto cenno, che hanno riconosciuto l’efficacia nel nostro Paese di provvedimenti stranieri di adozione piena, ma anche di atti e di provvedimenti indicanti la doppia genitorialità omosessuale».

«A maggior ragione allora, in tale più ampia prospettiva, i giudici hanno il dovere (naturalmente una volta accertata la ricorrenza dei requisiti di legge) di disporre, quando richiesta, l’adozione ex art. 44, 1° comma, lett. d) l. 184\1983».

  1. L’obiter dictum sulla maternità surrogata (in attesa delle Sezioni Unite).

Così chiarito il cuore della decisione della Corte d’Appello, vale ancora segnalare l’affermazione, notevole e più volte ripetuta nella decisione, per cui tale protezione dei minori sia da estendere anche ai bambini nati in seguito a maternità surrogata.

Si tratta, in questo caso di un obiter dictum in senso stretto, come riconosciuto dalla stessa Corte d’Appello, posto che la fattispecie sottoposta al suo esame riguardava un bambino nato con fecondazione eterologa “tradizionale” e non con gestazione per altre o maternità surrogata, che resta dunque «profilo che qui non interessa».

In ogni caso, la Corte rileva che «la maternità surrogata» «presenta sì profili negoziali», ma «è comunque riconducibile» ad una forma di PMA[10] sicché «la configurazione di una genitorialità/filiazione fondata non tanto sulla derivazione biologica (che, come detto, può mancare), quanto sul consenso, può avere ricadute anche con riferimento alla maternità surrogata, compresa quella omogenitoriale».

L’affermazione che precede non potrà essere ignorata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella prossima decisione in materia di trascrizioni di atti di nascita per bambini nati da GPA[11]. Se, infatti, un’autorevole Corte nazionale ritiene che questi bambini siano protetti già in forza della nostra legge nazionale, come si potrà ritenere che atti di nascita stranieri che assicurano eguale protezione siano contrari al nostro ordine pubblico internazionale?

Le Sezioni Unite non potranno evitare, dunque, di esaminare l’approfondita proposta interpretativa che viene da Napoli. Soltanto esplicitando un suo rigetto, infatti, potrebbero affermare che l’atto straniero sia contrario ai nostri principi fondamentali. Salvo riconoscere, come sarebbe più semplice e lineare, senza entrare troppo nel merito delle diverse opzioni esegetiche oggi sul campo, che sono riconosciute da sempre nel nostro ordinamento forme differenziate di protezione dei bambini a prescindere dalle eventuali “colpe” dei loro genitori, sicché un atto di nascita straniero che riconosca al minore una qualche forma di tutela non potrà mai porsi in contrasto col nostro ordine pubblico internazionale.

I giudici napoletani rilevano difatti esattamente che «punto di partenza è la tutela del superiore interesse del minore, “stella polare” del sistema; i riferimenti normativi- a partire dall’art. 30 Cost.- sono innumerevoli, sia nel diritto interno (es. art. 337 ter ss c.c.) che in quello sovranazionale (cfr, ex plurimis, l’art. 24 della Carta di Nizza, ma anche l’art. 24 della convenzione de L’Aja del 1993)». Il principio della protezione del superiore interesse del minore, il quale non forma un controlimite dell’ordine pubblico internazionale, ma ne è uno dei principi fondamentali (la Corte d’Appello osserva al proposito che il canone del best interests of the child «conformando l’ordine pubblico, consente di derogare anche alle stesse norme penali», come rilevato da Cass. 19599\16), ci impone dunque di garantire che tutti i bambini abbiano eguale protezione, a prescindere dai comportamenti dei loro genitori ed a prescindere da come siano venuti al mondo.

Il riconoscimento degli atti stranieri consente inoltre di evitare che bambini che abbiano già due genitori all’estero (per essere figli di cittadini di altri paesi dell’Unione Europea che consentono la maternità surrogata, come il Regno Unito, il Portogallo, la Grecia, e in qualche misura il Belgio o l’Olanda, oppure di paesi che consentono comunque la trascrizione di atti di nascita per bambini nati con maternità surrogata, come la Germania) possano perderne uno varcando il confine italiano, con evidente compromissione del loro diritto a circolare liberamente in ambito Ue, al cui riguardo la Corte d’Appello nota che «in una prospettiva di diritto europeo, d’altronde, la conservazione degli status acquisiti corrisponde al principio fondamentale di libertà di circolazione nell’ambito dell’Unione».

  1. Conclusioni.

La decisione della Corte d’Appello di Napoli, come si è detto, presenta molti punti di interesse.

La domanda di adozione in casi particolari è accolta in quanto tale misura appresta una misura minima di tutela di un minore che verosimilmente potrebbe accedere alla protezione più piena, pure prevista dall’ordinamento.

La Corte d’Appello ammette l’adozione, ma appare evidente come la medesima non rappresenti per la stessa una soluzione appagante, non solo per i limiti dell’adozione non piena, ma soprattutto perché lo status viene riconosciuto con un provvedimento giurisdizionale e non ab initio già con la nascita, richiedendo l’accertamento di una consolidata relazione genitoriale di fatto che si produce solo dopo qualche mese di vita, cui si somma il tempo necessario per un iter spesso lungo e faticoso (le indagini dei servizi sociali e l’istruttoria durano in alcuni tribunali per i minorenni anche più di uno o due anni), lasciando quindi il minore privo di protezione nei primi anni di vita (con evidenti conseguenze in tema di mantenimento, effetti successori in caso di morte del genitore ecc..) e, ancora, perché la protezione del minore rimane comunque subordinata alla proposizione della relativa istanza da parte del genitore sociale, previo consenso del genitore biologico, sicché la responsabilità genitoriale di chi ha fatto nascere il bambino non viene imposta dall’ordinamento, nell’interesse di quest’ultimo, ma è lasciata alla discrezionalità degli adulti.

In ultima analisi, questa meditata decisione ci sollecita, ancora una volta, ad abbandonare una prospettiva adultocentrica, dominata da esigenze di prevenzione e, a volte, da pregiudizi ideologici, per porre finalmente al centro l’interesse concreto del soggetto più meritevole di tutela: il bambino.

Infine, con questa decisione della Corte d’Appello è definitivamente sbarrata la strada ad ogni avventurosa via penale contro i sindaci, salvo ritenere che siano adesso da indagare pure questi giudici, che al pari di altri (vedi i due recenti decreti torinesi[12]) stanno interpretando la legge vigente in modo attento e consapevole.

[1] Tribunale per i minorenni  di Roma, sentenza del 30 luglio 2014 (pres. est. Cavallo).

[2] Con la nota sentenza n. 12962 del 2016

[3] M. Gattuso, Il problema del riconoscimento ab origine della genitorialità omosessuale, in G. Buffone, M. Gattuso, M.M. Winkler, Unione civile e convivenza, Giuffrè, 2017, p. 266 e M. Gattuso, Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 40 in Questione Giustizia on line, 2018.

[4] Il riferimento è all’art. 1, comma 19 della legge 76/2016, il quale richiama l’art. 146 terzo comma, che (richiamando l’art. 147) consente al giudice di intervenire disponendo il sequestro dei beni della parte in caso di mancato adempimento dei «doveri verso i figli», evidentemente comuni; inoltre, il comma 25 rinvia espressamente all’obbligo per il ricorrente di indicare nella domanda per ottenere lo scioglimento dell’unione la presenza di eventuali «figli di entrambi» (art. 4, comma 4) e rinvia alla disposizione che prevede che il presidente adotti i provvedimenti temporanei ed urgenti «che reputa opportuni nell’interesse dei coniugi e della prole», espressamente disponendo all’uopo l’ascolto del figlio minore (art. 4, comma 8). Viene richiamata anche la norma che prevede che la domanda congiunta di scioglimento indichi anche «le condizioni inerenti alla prole» e che il Tribunale valuti «la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli», procedendo ai sensi del comma ottavo qualora «ravvisi che le condizioni relative ai figli sono in contrasto con gli interessi degli stessi» (art. 4, comma 16). Lo stesso comma 25 rinvia anche alla facoltà del P.M. di impugnare la sentenza di divorzio limitatamente all’interesse patrimoniale dei figli (art. 5, comma 5) ed è richiamata, inoltre, la disposizione che consente «la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli» (art. 9, primo comma). Ancora, la legge rinvia alle norme che in materia di pensione di reversibilità stabiliscono il diritto di ognuno dei genitori a una quota del 50% della pensione maturata dal figlio comune. Anche il rinvio alla l. n. 162/2014 sulla negoziazione assistita comprende la possibilità di determinazioni con riguardo ai figli comuni​. Infine, la Legge 11 gennaio 2018, n. 4 in materia di «crimini domestici» ha introdotto nella legge 27 luglio 2011, n. 125 gli artt. 1 bis e 1 ter per cui anche nell’unione civile i figli minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti sono destinatari della pensione di reversibilità «del genitore per il quale è stata formulata la richiesta di rinvio a giudizio per l’omicidio volontario dell’altro genitore».

[5] Anche su questo si consenta il rinvio a M. Gattuso, Clausola generale di equivalenza, in G. Buffone, M. Gattuso, M.M. Winkler, Unione civile e convivenza, Giuffrè, 2017, oltre a V. Barba, La tutela della famiglia formata da persone dello stesso sesso in GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere , 2018, I, pag. 68.

[6] Sul dibattito fra corti minorili, Tribunale per i minorenni di Palermo del 30 luglio 2017 e Tribunale per i minorenni di Bologna del 20 luglio 2017, depositata il 31 agosto, vedi M. Gattuso e A. Schillaci, Il dialogo fra le corti minorili in materia di stepchild adoption in Articolo29, 2017.

[7] P. Zatti, Tradizione e innovazione nel diritto di famiglia, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, vol. I, Milano, 2011, p. 3 ss.; M. Bianca, L’unicità dello stato di figlio, in C.M. Bianca (cur.), La riforma della filiazione, Padova, 2015, p. 20.M. D’amico, L’incostituzionalità del divieto assoluto della c.d. fecondazione eterologa, in BioLaw JournalRivista di BioDiritto, n. 2/2014, p. 34; V. Baldini La procreazione medicalmente assistita, in Riflessioni di biodiritto, Padova, 2012, p. 32; M. C. Venuti, Procreazione medicalmente assistita: il consenso alle tecniche di pma e la responsabilità genitoriale di single, conviventi e per le parti unite civilmente, in GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere, 2018, I, pag. 85. Sia consentito pure il rimando a M. Gattuso, Il problema del riconoscimento ab origine della genitorialità omosessuale, cit. e Un bambino e le sue mamme: dall’invisibilità al riconoscimento ex art. 8 legge 40 cit..

[8] Tribunale di Pisa, ordinanza del 15 marzo 2018 , in ARTICOLO29 con nota di Schillaci, L’omogenitorialità a Palazzo della Consulta: osservazioni a prima lettura dell’ordinanza del Tribunale di Pisa del 15 marzo 2018.

[9] Vedi anche, M. Gattuso, Figli alla nascita: dal tribunale di Torino una prima conferma per la “primavera dei comuni” in Articolo29, 2018.

[10] Sull’applicabilità della legge 40/2004 ai minori nati con maternità surrogata sia consentito rimandare a M. Gattuso, La surrogazione di maternità o gestazione per altri (GPA), in G. Buffone, M. Gattuso, M.M. Winkler, Unione civile e convivenza, Giuffrè, 2017, pp. 263 e ss. e M. Gattuso, Gestazione per altri: modelli teorici e protezione dei nati in forza dell’articolo 8, legge 40 in Giudicedonna, 2017.

[11] Corte di cassazione, prima sezione, ordinanza n. 4382/2018, depositata il 22 febbraio 2018.

[12] Tribunale di Torino, decreti depositati in data 21 maggio e 11 giugno 2018 .