Articoli taggati con Discriminazione

Il corpo è lo specchio dell’anima? La stigmatizzazione e la criminalizzazione delle persone “grasse” sulla base del loro aspetto fisico è anche una questione di genere?

 

di  Roberta Dameno*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il corpo umano assume un’importanza cruciale nella definizione delle identità personali. Deve sottostare agli ideali di decoro, di salute e di bellezza. Chi non si conforma rischia l’esclusione sociale, la medicalizzazione e la criminalizzazione. Le persone grasse sono un esempio di come la società stigmatizza i corpi che deviano da ciò che è considerata una condizione normale.

The human body takes on crucial importance in defining personal identities. It must submit to the ideals of decorum, health and beauty. Those who do not conform risk social exclusion, medicalization and criminalization. Fat people are an example of how society stigmatizes bodies that deviate from what is considered a normal condition.

* Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Milano – Bicocca

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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NH v Lenford: One Further Step in the Continuing Evolution of Sexual Orientation Non-Discrimination Rights Before the European Union

di Frances Hamilton*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Il caso NH c. Lenford riguarda le dichiarazioni rilasciate da un avvocato nel corso un’intervista radiofonica, dalle quali si evinceva che egli non avrebbe mai assunto nel suo studio legale una persona omosessuale. La Corte di giustizia dell’Unione europea (“CGUE”) ha stabilito che quella condotta è contraria alla pertinente normativa europea che vieta la discriminazione sul lavoro, sebbene le dichiarazioni incriminate non fossero inerenti ad una procedura di assunzione effettivamente in corso. Sia la Corte di giustizia, sia successivamente la Corte di cassazione italiana (nel dar attuazione alle indicazioni provenienti dai giudici dell’Unione) hanno ritenuto che fosse rilevante il fatto che la persona che aveva rilasciato tali dichiarazioni esercitasse un’influenza rilevante sulla politica di assunzione dello studio e che un risarcimento fosse dovuto ai ricorrenti nel procedimento a quo – l’Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford (l’”Associazione”), una no profit che rappresenta gli interessi generali degli avvocati LGBTI – anche in assenza, nel caso in questione, di una vittima specifica. Contrariamente a quanto suggerito da alcuni autori, secondo cui l’orientamento sessuale occuperebbe uno degli ultimi posti nella gerarchia delle caratteristiche protette dalla normativa e dalla giurisprudenza dell’UE in materia di divieto di discriminazione, questo articolo sostiene che NH c. Lenford rappresenta un passo in avanti nella continua evoluzione della tutela delle persone LGBT rispetto al principio di non discriminazione nel diritto dell’Unione Europea. Un aspetto che l’articolo in ultimo approfondisce riguarda la situazione post-Brexit nel Regno Unito. Se infatti la normativa dell’UE pre-esistente e già trasposta nel corpo legislativo del Regno Unito sarà mantenuta, la legislazione dell’UE e le sentenze della CGUE successive non troveranno applicazione. Tuttavia, l’accordo commerciale e di cooperazione (“TCA”) raggiunto tra il Regno Unito e l’UE include la protezione dei diritti umani, una clausola di “non regressione” ed una di riequilibrio per quanto riguarda il lavoro e la politica sociale, e quindi, consentirà all’UE e al Regno Unito di continuare, anche se in modo limitato, a influenzarsi a vicenda.

The facts of NH v Lenford concerned statements made by a senior lawyer in a radio interview, which suggested that he would never hire a gay person to work in his law firm, nor wish to use the services of such a person. The Court of Justice of the European Union (‘CJEU’) determined that this contravened relevant legislation prohibiting discrimination in employment, even though the statements were made without a recruitment procedure being underway. The CJEU and the Italian Court of Cassation when implementing the CJEU judgment both found that the person making such statements was influential on the firm’s recruitment policy and that compensation was payable to the applicants – the Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI (the ‘Associazione’), a non-profit organization representing the general interest of LGBT lawyers – even in the absence of an individual victim. Contrary to the suggestion of other authors, that sexual orientation discrimination is low down the hierarchy of protected characteristics before the EU legislation and CJEU, this article argues that NH v Lenford demonstrates a further step in the continuing evolution of LGBT non-discrimination rights before the European Union. Following Brexit whilst existing EU laws already translated into the UK legislative cannon will be retained, further EU legislation and rulings from the CJEU will not apply to the UK. The Trade and Cooperation Agreement (‘TCA’) reached between the UK and EU includes protection of human rights, a ‘non-regression’ and re-balancing clauses with regards to labour and social policy, and thus, enables the EU and UK continuing, albeit limited, influence on each other.

* Associate Professor in Law, University of Reading

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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Il letto di Procuste. Appunti per una grammatica della discriminazione

di Giacomo Viggiani*

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

A fronte di un numero sterminato di articoli e saggi che hanno dissezionato il principio di uguaglianza e le sue innumerevoli declinazioni, meno attenzione è stata dedicata all’idea di discriminazione. In questo contributo si intende indagare i significati e le funzioni che il concetto di discriminazione può assumere nel contesto filosofico-giuridico. Dopo aver sgombrato il campo dai fraintendimenti che generalmente ne accompagnano la formulazione e l’interpretazione, si proporranno alcune prime riflessioni in materia al fine di gettare le basi per una futura grammatica della discriminazione.

While an endless number of articles and essays analysed the principle of equality and its countless variations, less attention was paid to the idea of discrimination. In this contribution we intend to investigate the meanings and functions that the concept of discrimination can assume in the legal philosophy. After clearing the field of the misunderstandings that generally accompany its formulation and interpretation, some initial reflections on the subject will be proposed in order to lay the foundations for a future grammar of discrimination.

* Ricercatore di Filosofia del diritto, Università degli Studi di Brescia

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2020-2)

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Un’altra storica decisione della Corte Suprema: è illegittimo licenziare un lavoratore perché omosessuale o transgender

di Angioletta Sperti*

Dopo la nota pronuncia (Obergefell v. Hodges) con cui nel 2015 dichiarò incostituzionali i divieti statali ai same-sex marriages,  estendendo a tutti gli Stati Uniti il diritto al matrimonio per le coppie dello stesso sesso, con una nuova storica decisione la Corte Suprema ha riconosciuto che, in base al diritto federale, nessun lavoratore può essere licenziato perché omosessuale o transgender.

La sentenza, Bostock v. Clayton County, Georgia, riunisce tre ricorsi sollevati da alcuni lavoratori a tempo indeterminato licenziati per il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere: il caso di Gerald Bostock, licenziato dalla contea di Clayton in Georgia per condotta “inappropriata” dopo essere entrato a far parte di un gruppo sportivo gay;  il caso di Donald Zard licenziato dalla Altitude Express dopo aver dichiarato pubblicamente la propria omosessualità ed, infine, il caso di Aimee Stephens dipendente della Harris Funeral Homes, licenziato dopo aver comunicato al datore di lavoro la propria intenzione di “vivere a lavorare a tempo pieno come donna”.

Ciascuno dei ricorrenti aveva contestato la legittimità del licenziamento in base al Civil Rights Act del 1964 (Titolo VII dello U.S. Code) che vieta la discriminazione nei luoghi di lavoro in base alla razza, al colore della pelle, alla religione, al sesso ed alle origini nazionali. La difesa dei lavoratori adduceva, in particolare, che un datore di lavoro che licenzia una persona perché omosessuale o transgender adotta di fatto tale decisione per caratteristiche personali o per atti che non avrebbe considerato “problematici” in soggetti di sesso diverso. In Bostock la Corte Suprema accoglie, quindi, questa interpretazione chiarendo che “il sesso ha giocato un ruolo necessario ed indistinguibile nella decisione” dei datori di lavoro di licenziare, come vietato dal Titolo VII.

La decisione è stata assunta dalla Corte Suprema con una maggioranza di 6 giudici su 9. A favore hanno votato, infatti, anche alcuni dei suoi componenti di orientamento conservatore, come il Presidente della Corte, il giudice Roberts (che in Obergefell aveva criticato, in un’opinione dissenziente, il ruolo creativo della Corte nell’estensione del diritto al matrimonio) e il giudice Gorsuch, nominato da Trump, che è peraltro l’estensore della pronuncia.

Il profilo su cui si incentra la motivazione è quindi la corretta interpretazione della formula “a causa del sesso” (because of sex) che il Titolo VII individua come illegittima causa di discriminazione verso il lavoratore. Il giudice Gorsuch, seguendo una una tecnica di interpretazione rigidamente aderente al testo della legge (textualism) – da lui stesso giudicata in passato come la più corretta e brandita dal giudice Scalia come una bandiera contro l’attivismo giudiziario della Corte Suprema in tema di diritti civili – sostiene che la conclusione della Corte a favore del lavoratore discende come “diretta applicazione del Titolo VII, interpretato in base al significato ordinario delle parole al momento della loro adozione”.

La maggioranza della Corte, dunque, sostiene che (more…)

É definitiva la sentenza Oliari: si apre la via per nuovi ricorsi a valanga

FINALE’ appena divenuta definitiva (il 21 ottobre) la sentenza della Corte europea dei diritti umani che condanna l’Italia per violazione della vita familiare delle coppie gay e lesbiche.

Come si rammenterà, la Corte di Strasburgo con  decisione del 21 luglio 2015 sul caso Oliari e altri c. Italia, ha condannato l’Italia per la mancata previsione da parte del legislatore, nonostante i numerosi solleciti delle sue superiori Corti, di un istituto giuridico diverso dal matrimonio che riconosca una relazione tra persone dello stesso sesso, poiché la carenza di riconoscimento giuridico delle dette unioni determina una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare come enunciato dall’articolo 8 della Convenzione.

L’Italia aveva tre mesi per la presentazione di un eventuale ricorso alla Grande Camera, ma il Governo, molto opportunamente, ha ritenuto del tutto insensato appellare la sentenza nel momento in cui il Parlamento procedeva ad incardinare il disegno di legge sulle Unioni civili volto proprio a dare una risposta in relazione alla affermata violazione dei diritti umani delle persone lgbti.

Com’è pure noto, tuttavia, la legge già incardinata non è stata discussa e non sappiamo quando lo sarà  (si ipotizza l’inizio della discussione soltanto nel gennaio del 2016).

Come si ricorderà, la Corte europea ha affermato la violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, condannando il nostro Paese a risarcire simbolicamente il danno patito con l’importo di € 5.000,00, oltre imposte, per ognuno dei ricorrenti, cui vanno aggiunte (more…)

Libertà di coscienza, libertà di impresa e divieto di discriminazione nel recente “caso della torta nuziale”

47409158.cachedHa suscitato un certo dibattto, in America, la sentenza di condanna di un pasticciere che aveva rifiutato di cucinare la torta nuziale per una coppia lesbica. La Corte dell’Oregon esamina a fondo il confine tra la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di esprimere il proprio credo religioso ed il divieto di discriminazione, escludendo che il mancato confezionamento di un dolce nuziale concreti una libera espressione del proprio pensiero ed osservando che la questione «attiene, piuttosto, al rifiuto dei proprietari della pasticceria di servire un cliente per il suo orientamento sessuale», il che configura, oggettivamente, una discriminazione vietata dalla Legge. L’Autrice ne trae qualche indicazione anche per l’asfittico dibattito italiano: viene da chiedersi, difatti, se il giustificare singoli atti (o provvedimenti normativi) in nome dell’esercizio della libertà di opinione e di religione non rappresenti oggi piuttosto un escamotage per offrire loro copertura costituzionale senza entrare nel merito dei loro contenuti e delle loro implicazioni.

di Angioletta Sperti*

Una corte dell’Oregon (USA) ha recentemente condannato al pagamento di $ 135.000 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale i proprietari di una pasticceria che si erano rifiutati di confezionare una torta nuziale ad una coppia lesbica. La sentenza –Bureau of Labor and Industries of the State of Oregon, decisione del 2 luglio 2015 [1]- ha suscitato l’attenzione dell’opinione pubblica americana e merita alcune considerazioni poiché solleva interessanti questioni in merito al conflitto tra la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa e la libertà di iniziativa economica privata ed il principio di eguaglianza.

I fatti ed i motivi della decisione.

Nel gennaio del 2013 due donne, Laurel Bowman and Rachel Cryer, decidono di unirsi in matrimonio e quest’ultima si reca presso una pasticceria – la Sweet Cakes by Melissa – per richiedere il confezionamento di una torta nuziale. Il proprietario le chiede i nomi degli sposi da scrivere sulla torta e quando apprende che si tratta di due spose, afferma di non poter accettare la richiesta perché il matrimonio tra persone dello stesso sesso è contrario ai propri precetti religiosi.

Profondamente rammaricate per l’accaduto e preoccupate per il dispiacere che la vicenda ha suscitato anche ai propri bambini, le due donne (more…)

La Corte Suprema riconosce il diritto costituzionale al matrimonio delle persone gay e lesbiche

equalCon una sentenza storica, attesa da decenni da tutta la comunità gay e lesbica americana e non solo, la Corte Suprema degli Stati Uniti mette la parola fine ad una delle vicende più combattute e sofferte nella storia dei diritti civili, riconoscendo il diritto costituzionale delle persone gay e lesbiche di sposarsi. Tra i motivi più significativi per il riconoscimento del diritto al matrimonio, la Corte ricorda “che esso tutela i bambini e le famiglie e per questo trae significato dal diritto di procreare, di crescere ed educare i figli”. “In base alle leggi statali, alcune delle tutele per i bambini derivanti dal matrimonio sono di natura materiale. Ma dando riconoscimento e stabilità sul piano giuridico alle unioni tra i loro genitori, il matrimonio permette anche ai bambini di comprendere l’integrità e l’intimità della propria famiglia e la sua armonia con le altre famiglie della loro comunità e della loro vita quotidiana. Il matrimonio permette, inoltre, quella stabilità e permanenza che è importante per la tutela degli interessi del bambino”. Dopo aver, dunque, richiamato la realtà delle molte coppie omosessuali con figli, la maggioranza conclude che “escludere le coppie dello stesso sesso dal matrimonio contraddice una premessa centrale dello stesso diritto al matrimonio. Senza il riconoscimento, la stabilità, e la prevedibilità che il matrimonio offre, i loro bambini soffrono lo stigma derivante dal ritenere le loro famiglie come qualcosa di minore importanza. … Le leggi sul matrimonio che vengono in considerazione ai fini di questa pronuncia dunque danneggiano ed umiliano i bambini delle coppie dello stesso sesso”. Anche per questo i giudici americani ritengono indispensabile il loro intervento anche contro la volontà del Legislatore, perché “Gli individui non possono attendere l’azione del legislatore perché sia loro riconosciuto un diritto fondamentale”. “L’idea della Costituzione è quella di sottrarre certi temi alle vicissitudini della lotta politica e di porli oltre la portata delle maggioranze e dei funzionari pubblici”.

di Angioletta Sperti*

Con un’attesissima sentenza, Obergefell v. Hodges[1], la Corte Suprema degli Stati Uniti ha messo la parola fine a  più venti anni di lotta da parte delle coppie dello stesso sesso per il riconoscimento del proprio diritto al matrimonio in tutti gli Stati Uniti.

L’opinione della Corte, sostenuta da una maggioranza di 5 giudici su 4 e di cui è estensore il giudice Kennedy, conclude che gli Stati non hanno, in base al XIV Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti (in cui trovano espressione i principi dell’equal protection under the laws  e del due process of law),  né il diritto di negare licenze di matrimonio alle coppie dello stesso sesso, né quello di vietare, in base alla § 2  del Defense of Marriage Act[2](DOMA), il riconoscimento dei matrimoni “legalmente autorizzati e contratti” in altri stati dell’Unione.

La sentenza apre dunque al riconoscimento del diritto al matrimonio same-sex in tutti gli Stati dell’Unione. Prima della decisione, infatti, il diritto delle coppie omosessuali di unirsi in  matrimonio era riconosciuto in 36 dei 50 Stati.

L’antefatto giurisprudenziale.

Prima di ripercorrere le principali affermazioni della sentenza e tentarne un commento a caldo, occorre svolgere una breve premessa e ricordare che la sentenza rappresenta l’epilogo di una lunga e complessa vicenda giurisprudenziale iniziatasi nel 1993 quando, per la prima volta al mondo, la Corte Suprema dello stato delle Hawaii – in Baehr v. Lewin[3]riconobbe che la limitazione del matrimonio alle sole coppie eterosessuali rappresenta un’illegittima discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, in violazione della Costituzione statale.

La pronuncia – del tutto isolata nel panorama giurisprudenziale e ancora distante dalla sensibilità del paese – suscitò un’accesa reazione sia a livello federale che nei singoli Stati: si temeva, infatti, che una volta ammessi i matrimoni same-sex in uno degli Stati, potesse derivarne la necessità di un riconoscimento sia a livello federale che da parte delle amministrazioni di tutti gli altri Stati. Per questo motivo, nel 1996, l’amministrazione Clinton sostenne in Congresso una proposta di legge, con l’intento di “definire e difendere il tradizionale istituto del matrimonio eterosessuale”[4]. La legge, dal titolo Defence of Marriage Act,  si proponeva di “definire e difendere il tradizionale istituto del matrimonio eterosessuale”[5] attraverso due centrali disposizioni: la § 2 –ora dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema –  che consentiva, come già ricordato, agli Stati di non riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati in altri Stati e, la sect. 3, che disponeva che a livello federale la parola “matrimonio” dovesse essere riferita alla sola coppia di sesso diverso ed il termine “coniuge” al marito o alla moglie di sesso opposto[6].

Quest’ultima disposizione fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema nel 2013, nel ben noto caso United States v. Windsor[7], di cui fu peraltro estensore lo stesso giudice Kennedy.Tuttavia, la pronuncia ritenne estranea all’oggetto del giudizio la definizione del potere degli Stati di ammettere e riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso e lasciò dunque impregiudicata la questione di legittimità costituzionale della § 2 del DOMA e, conseguentemente, quella relativa ai numerosi emendamenti costituzionali ed alle leggi ordinarie che, sin dalla fine degli anni Novanta, molti Stati  si erano affrettati ad adottare per vietare i matrimoni same-sex ed impedire il riconoscimento di quelli celebrati in altri Stati dell’Unione. (more…)

La Cassazione sulla condotta omofoba della Pubblica Amministrazione

patenteLa Corte di cassazione, terza sezione civile, con sentenza del 22 gennaio 2015, n.1126 (Pres. Segreto , est. Travaglino) ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Catania che aveva ridotto da 100.000 a 20.000 euro il risarcimento del danno dovuto ad un giovane cui era stata sospesa la patente a causa del suo orientamento sessuale.
Nel maggio 2001 il ragazzo in sede di visita militare aveva detto in tutta tranquillità ai medici d’essere gay e si era ritrovato coinvolto in una kafkiana vicenda, davvero incredibile, che aveva condotto addirittura a visite mediche ed alla sospensione della sua patente di guida.
Nella motivazione la Suprema Corte osserva come risulti leso «il diritto costituzionalmente tutelato alla libera espressione della propria identità sessuale», protetto dall’art. 2 Cost., rammentando altresì che «il diritto al proprio orientamento sessuale, cristallizzato nelle sue tre componenti della condotta, dell’inclinazione e della comunicazione (cd. coming out) è oggetto di specifica e indiscussa tutela da parte della stessa Corte europea dei diritti dell’uomo fin dalla sentenza Dudgeon/Regno unito del 1981».
Molto netta la presa di posizione dei giudici di legittimità, per i quali nonostante «il malaccorto tentativo» della Corte d’appello di Catania «di edulcorare la gravità (more…)

Tre lezioni dal caso Taormina: il ruolo della società civile come strumento di empowerment dei soggetti discriminati

La recente decisione del Tribunale di Bergamo del 6 agosto, con la quale un notissimo avvocato è stato condannato per discriminazione sul lavoro delle persone omosessuali, rappresenta la prima applicazione in Italia della normativa europea in materia di discriminazione per orientamento sessuale. L’Autore illustra tre specifiche ragioni per cui il caso merita attenzione, da cui gli operatori del diritto possono trarre spunto per una implementazione della lotta alla discriminazione secondo i canoni evidenziati anche dalla Corte di Giustizia.

The recent decision of the Bergamo Tribunal (6/08/2014), in which a very well-known Italian lawyer has been condemned for discriminatory conduct towards homosexuals, represents the first application in Italy of the prohibition of discrimination on grounds of sexual orientation as provided under EU Law. The Author highlights three relevant reasons for which the case is worth attention. He argues that legal pratictioners in the field shall draw on such reasons to properly implement a strategy against discrimination designed according to the parameters established by the Court of Justice of the European Union.

di Francesco Rizzi*

La prima applicazione in Italia del divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nell’occupazione e nelle condizioni di lavoro come sancito dal D.lgs. 216/03 (che recepisce la Direttiva direttiva 2000/78) costituisce per i giuristi che, a diverso titolo, si occupano di diritto antidiscriminatorio, un caso paradigmatico e di grande rilevanza, almeno per tre ragioni. Con l’ordinanza del 6 agosto 2014 del Tribunale di Bergamo (di cui si può leggere qui la puntuale ed esaustiva sintesi di Marco Gattuso), il giudice del lavoro condanna per violazione del divieto di discriminazione diretta un noto avvocato che aveva dichiarato, lo scorso ottobre in una trasmissione radiofonica, che non avrebbe avviato collaborazioni nel suo studio (di natura autonoma o subordinata) con professionisti omosessuali, colorando le sue argomentazioni con espressioni omofobiche e volgari1. (more…)

La prima condanna in Italia per discriminazione fondata sull’orientamento sessuale: un caso esemplare

2012-10-09 00.28.11Il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Bergamo, con ordinanza del 6 agosto 2014 ha condannato un notissimo avvocato italiano per discriminazione diretta fondata sull’orientamento sessuale. Si tratta della prima decisione del genere nel nostro Paese.

(Marco Gattuso) Il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Bergamo, con ordinanza del 6 agosto 2014, ha accertato il carattere discriminatorio delle dichiarazioni rese da un noto avvocato italiano, consistenti nell’avere affermato, nel corso di un programma radiofonico, di non voler assumere nel proprio studio avvocati, altri collaboratori e/o lavoratori omosessuali, condannandolo a risarcire i danni non patrimoniali subiti dalla ricorrente Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford ed a pubblicare l’ordinanza a proprie spese su uno dei principali quotidiani del Paese (il Corriere della Sera). Per quanto la disciplina antidiscriminatoria a protezione delle persone omosessuali sul luogo di lavoro sia stata introdotta in Europa, e dunque anche in Italia, da ben quattordici anni, si tratta del primo caso in assoluto di sua applicazione.

Ospite nell’ottobre 2013 della trasmissione “La zanzara”, l’avvocato aveva fatto diverse affermazioni palesemente ostili nei confronti delle persone gay e lesbiche, affermando, in particolare, che gli omosessuali “mi danno fastidio” e che “intanto io ad esempio nel mio studio faccio una cernita adeguata”; all’ulteriore domanda del conduttore “cioè, non ho capito, lei, se uno è omosessuale, non lo assume nel suo studio?” l’avvocato ribatteva “ah sicuramente no, sicuramente no” e reiterava più volte il concetto (“beh, vabbè sarà discriminazione, a me non me ne frega niente”; sollecitato ancora sul punto dal conduttore della trasmissione, “ognuno stia a casa sua, d’accordo, ma uno che vuole lavorare da lei, lei non può mettere il paletto <<non deve essere frocio>>”; “no, no, io metto questo paletto sì”; “arriva nell’ufficio del prof. Xxxxxxx un signore, chi è ? sono Francesco, prego avanti, salve sono laureato a Yale, sono il miglior avvocato su piazza però sono omosessuale, che dice Xxxxxxxx, non lo prende, il miglior avvocato del mondo?” l’avvocato rispondeva: “perché lo devo prendere, faccia l’avvocato se è così bravo e così, diciamo, così capace di fare l’avvocato si apra un bello studio per conto suo e si fa la professione dove meglio crede. Da me non… mi dispiace turberebbe l’ambiente, sarebbe una situazione di grande difficoltà”).

La vicenda appare come un evidente caso di scuola di discriminazione, (more…)

Autorecensioni/Roberta Dameno: Percorsi dell’identità. I diritti fondamentali delle persone transgenere. Una riflessione socio-giuridica

copertina

La prima cosa che si osserva nelle persone che incontriamo è l’appartenenza ad un sesso o all’altro: le categorie del maschile e del femminile definiscono e danno significato alle nostre relazioni sociali, ma l’identità è un processo e non un elemento definito una volta per tutte. Prendendo le mosse da un’approfondita analisi sociologica e filosofica della nozione di genere e delle discriminazioni cui sono sottoposte ogni giorno le persone transgenere nel nostro paese, Roberta Dameno, ricercatrice di sociologia del diritto presso l’Università di Milano Bicocca, indaga l’evoluzione della nostra giurisprudenza anche alla luce dell’importante influenza esercitata dalla Corte europea dei diritti umani.

di Roberta Dameno*

Il tema dell’identità personale è senza dubbio un tema della modernità. Infatti è solo all’interno delle società contemporanee che le persone rivestono molti ruoli sociali anche molto differenti tra loro. Inoltre gli stessi ruoli sociali possono essere giocati in modo più libero, essi, infatti non sono più così strettamente codificati e rigidamente determinati in modo fisso e immutabile, ciò consente alle persone una continua autocostruzione e autodefinizione della propria personalità come un’identità unica e singolare.

È un dato incontestabile che un elemento importante e primario per la definizione della propria identità è la propria condizione sessuale, infatti la prima cosa che si osserva nelle persone che incontriamo per la prima volta è appunto la sua appartenenza a un sesso piuttosto che all’altro. Le categorie del maschile e del femminile definiscono e danno significato alle nostre relazioni sociali. Ma l’identità è un processo e non un elemento definito una volta per tutte. Il tempo e lo spazio sono variabili determinanti nel processo di costruzione dell’identità. Inoltre, anche gli individui si modificano: si cresce e si invecchia, il corpo muta e con il mutare del proprio corpo muta conseguentemente anche la consapevolezza che ciascuno di noi ha di se stesso. (more…)

“Camera matrimoniale solo per coppie etero sposate”: il caso Bull v. Hall deciso dalla U.K. Supreme Court.

images di Denise Amram*

L’Autrice commenta la decisione della Supreme Court of Justice, Bull and another v Hall and another, decisione del 27 novembre 2013 resa dalla Corte Suprema inglese, concernente la possibilità di qualificare come comportamento discriminatorio sulla base dell’orientamento sessuale il rifiuto da parte del proprietario di un Bed & Breakfast di far occupare una camera matrimoniale ad una coppia omosessuale unita in una civil partnership. Grazie anche ad alcune considerazioni di carattere comparatistico, l’A. coglie l’opportunità per illustrare alcuni dei nodi più controversi emergenti dal bilanciamento tra autonomia privata e diritto antidiscriminatorio.

The Author comments on the Supreme Court judgment Bull and another v Hall and another, november, 27 2013 . The case concerned whether or not the refusal to allow a homosexual couple in a civil partnership to occupy a double room constitutes discrimination on the ground of sexual orientation. Thanks to some comparative remarks the Author takes the opportunity to illustrate some controversial issues arising from the balance between the Freedom of Contract and the enforcement of the Anti-discrimination Law.

La vicenda.

Ai signori Hall e Preddy, coppia omosessuale inglese, veniva negata la possibilità di alloggiare in una camera matrimoniale del Bed & Breakfast di proprietà dei ricorrenti, in quanto secondo il regolamento della struttura “out of a deep regard for marriage we prefer to let double accommodation to heterosexual married couples only”.

La coppia, unita in una civil partnership, aveva, infatti, prenotato la camera telefonicamente, ignorando la sussistenza (more…)

Autorecensioni/ Omosessualità e diritti. I percorsi giurisprudenziali e il dialogo globale delle Corti costituzionali

ImmagineMentre nel dibattito pubblico si riaccende la disputa sulla via più sicura e veloce verso la rimozione della discriminazione matrimoniale, il 31 gennaio arriva in libreria un volume di grande interesse che ripercorre con intelligenza ed interessanti spunti critici la storia dell’evoluzione giurisprudenziale a livello globale in materia di riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali e delle coppie dello stesso sesso.

di Angioletta Sperti *

Negli ultimi quindici anni, il tema dei diritti degli omosessuali e delle coppie dello stesso sesso ha assunto una dimensione globale e si può ragionevolmente sostenere che quello per i diritti degli omosessuali costituisca il fronte più caldo nelle rivendicazioni dei diritti civili del nostro tempo. In questo confronto, le Corti costituzionali e supreme operano come gli attori principali, spesso a fronte dell’inerzia dei legislatori e della loro incapacità di operare una sintesi tra posizioni contrapposte. Non può non ravvisarsi nell’attuale “stagione dei diritti” degli omosessuali, un’ulteriore manifestazione del successo a livello globale dei giudici (la cd. judicialization), chiamati spesso a risolvere questioni che in passato (more…)

Un nuovo passo avanti della Corte di Giustizia dell’Unione europea in materia di discriminazioni delle coppe formate da persone dello stesso sesso

European Court of JusticeLa Corte di Giustizia dell’Unione europea afferma che ai sensi della direttiva 2000/78 è discriminatorio negare alla coppia omosessuale unita in un Pacs alcuni benefici legati all’attività lavorativa concessi alle coppie coniugate ed arriva a questa conclusione affermando che il diverso trattamento concreta una discriminazione diretta. Sinora la comparazione tra matrimonio ed unioni civili era stata prospettata dalla Corte solo nei confronti della Unione registrata tedesca, riservata alle coppie omosessuali, mentre oggi si afferma la discriminazione diretta, che non ammette giustificazioni, anche per i Pacs, aperti sia alle coppie gay che eterosessuali. Se il diritto al matrimonio non verrà uniformemente garantito negli Stati membri, ciò apre forse le porte anche a una successiva evoluzione che affermi la discriminazione diretta fra coppie coniugate e coppie di fatto formate fra persone dello stesso sesso.

di Carmelo Danisi*

 1. Il caso

Con la  decisione del 12 dicembre 2013 nella causa C 267/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de Cassation francese, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) torna a interpretare la direttiva 2000/78 rispetto a una presunta discriminazione fondata sull’orientamento sessuale. Come è noto, tale direttiva stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro rispetto a una serie di caratteristiche personali, o meglio fattori di rischio, quali disabilità, religione o convinzioni personali, età e orientamento sessuale. Essa si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, compresi tutti i benefici collegati all’attività lavorativa come, ad esempio, i giorni di congedo retribuiti. (more…)

La Corte europea di giustizia sul diritto alla protezione internazionale per le persone omosessuali

check pointLa Corte di giustizia dell’Unione europea interviene per la prima volta sul diritto delle persone omosessuali perseguitate nei loro Paesi di trovare rifugio in Europa. La Corte ha stabilito che basta provare che nel Paese d’origine vengano applicate sanzioni penali contro gli omosessuali, mentre non si può chiedere a questi di evitare persecuzioni nascondendo il proprio orientamento sessuale. Si tratta di principi che erano stati già affermati dai giudici italiani con ancora maggiore forza, ma i principi espressi dalla Corte sono importanti per quei Paesi europei che ancora non riconoscevano lo status di rifugiato (mentre i criticabili limiti ravvisati dalla Corte sono ininfluenti per noi, visto che l’Unione europea impone standards minimi ma lascia ad ogni Paese la possibilità di assicurare maggiore tutela). (MG)

di Simone Rossi

La Corte di Giustizia,con sentenza del 7 novembre 2013 (vedi anche la massima qui) pronunciandosi in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE su domande presentate dal Raad Van State (Paesi Bassi), interviene per la prima volta sull’interpretazione della Direttiva 2004/83 CE (c.d. Direttiva Qualifiche, trasposta nell’ordinamento italiano con il D.Lgs. 251/2007 e ora rifusa nella Direttiva 95/2011 UE) con riferimento a tre aspetti del riconoscimento dello status di rifugiato fondato sull’orientamento sessuale: l’appartenenza a un determinato gruppo sociale, l’esistenza di norme che sanzionano penalmente gli atti omosessuali e il c.d. ‘requisito della discrezione’. (more…)

Che cosa dice veramente la legge sull’omofobia: ovvero, il bambino e l’acqua sporca

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Mentre è iniziata l’8 ottobre la discussione nella Commissione giustizia del Senato, pubblichiamo la relazione tenuta al Convegno «Omofobia, cos’è, come si manifesta, come agisce e… cosa sta succedendo», Milano 7 ottobre 2013, rivista dall’Autore e corredata da note (la relazione è intenzionalmente assai semplificata non essendo rivolta ad un pubblico di tecnici, che potranno rinvenire ulteriori elementi nelle note).

di Marco Gattuso

1.PERCHÉ UNA LEGGE CONTRO L’OMOFOBIA?

Molti, anche alcuni giuristi, hanno detto in questi mesi che una legge contro l’omofobia e la transfobia sarebbe inutile e, anzi, incostituzionale. Si è detto che non vi sarebbe alcun motivo per punire più severamente un reato commesso nei confronti di un omosessuale rispetto ad un reato contro un eterosessuale; si è detto che il bene giuridico tutelato, in caso, ad esempio, di lesioni personali, sarebbe pur sempre l’integrità fisica della vittima, o al più la sua dignità personale, per cui non si giustificherebbe un trattamento diverso[1].

Queste argomentazioni – che possono essere mosse allo stesso modo nei confronti di tutti i cd. delitti d’odio, sia per razza, religione[2] o lingua[3] che per omofobia o transfobia – non mi persuadono. Chiunque capisce che dare un ceffone ad una persona nell’ambito di una lite non è la stessa cosa che picchiare una persona perché è ebrea. Chiunque comprende che in questi casi il delitto è molto più grave, sia perché i motivi sono più spregevoli, sia perché tali delitti incutono terrore in un’intera fascia della popolazione. Non sarebbe sufficiente l’applicazione dell’aggravante dei motivi abietti e futili, già prevista nel nostro codice penale, perché nel caso dei delitti d’odio non vi è solo una motivazione più riprovevole, ma vi è anche un diverso ed ulteriore bene giuridico tutelato. Picchiandone o violentandone od uccidendone uno, (more…)

Omofobia e transfobia: il trucco c’è….e si vede

imagedi Luca Morassutto

Se il sonno della ragione genera mostri c’è da pensare che il testo unificato delle proposte di legge Scalfarotto ed altri; Fiano ed altri; Brunetta ed altri recante “disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia” (C. 2452801071-A) sia il prodotto di molte ore tutt’altro che insonni.

Il testo, licenziato dalla Commissione giustizia della Camera, aveva sollevato non poche polemiche in relazione alla mancata previsione, in relazione ai reati a matrice omo-transfobica, dell’estensione dell’aggravante speciale di cui al d.l. Mancino, alla connessa procedibilità d’ufficio, nonché, fra le altre, alla previsione dell’obbligo di prestare un’attività non retribuita a favore della collettiva. Queste lacune appaiono ora colmate. Quello che oggi si può affermare è che l’Italia avrà finalmente, ma verrebbe da dire forse, una legge che colpisce i crimini commessi contro la sola delle minoranze presenti sul territorio sino ad oggi esclusa dalla peculiare tutela penale offerta dalla legge Reale-Mancino. E si badi, non è un raggiungimento da poco. Quel vergognoso dato statistico che vedeva l’Italia al 19% sulla scala del riconoscimento dei diritti civili in Europa, contro una media del 60% degli altri Paesi, può essere ora corretto al rialzo.

Lo strumento però alla nostra analisi, che, va ripetuto, riempie un vuoto, è comunque non scevro da critiche. Un primo passo è innegabilmente stato fatto ma (more…)

Sì alla protezione in Italia per i gay provenienti da Paesi dove l’omosessualità è reato

rifugiato gambiaLe persone omosessuali hanno «il diritto di manifestare e attuare senza timore» il proprio orientamento sessuale ed hanno diritto ad ottenere lo status di rifugiato in Italia se sono esposte nel loro Paese a rischi di gravi persecuzioni giudiziarie o fisiche a causa della previsione di sanzioni penali per «condotte contro natura».

Lo ha deciso la Corte d’appello di Bari con l’importante decisione del 5 marzo 2013, riformando la decisione del tribunale che aveva respinto la richiesta di un cittadino gambiano di riconoscimento della protezione internazionale in Italia in ragione del rischio di persecuzioni nel suo paese a causa del suo orientamento sessuale. (more…)

Lavoro, assunzioni e omofobia alla Corte di Giustizia

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 di Carmelo Danisi

Con la sentenza C- 81/82 del 25 aprile 2013 della Corte di Giustizia, la direttiva 2000/78 trova la sua prima applicazione alla discriminazione di una persona omosessuale in materia di assunzione.

Chiamata a pronunciarsi sul rinvio pregiudiziale proposto dalla Curtea de Apel di Bucarest, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è confrontata nuovamente con le discriminazioni fondate su un orientamento sessuale minoritario in materia di occupazione e condizioni di lavoro al cui contrasto, nell’ambito dell’Unione Europea, è dedicata la direttiva 2000/78 (GU L 303, p. 16). Finora la CGUE aveva avuto modo di applicare tale direttiva al diverso trattamento riservato al lavoratore unito in una partnership con una persona dello stesso sesso rispetto a quello garantito ai colleghi uniti in matrimonio (casi Maruko, C 267/06 – 1 aprile 2008, e Romer, C 147/08 – 10 maggio 2011). Con questa sentenza, invece, la Corte si è pronunciata sull’applicazione della direttiva in relazione al particolare aspetto delle discriminazioni che una persona ritenuta omosessuale può sperimentare nell’accesso al mondo del lavoro in seguito a dichiarazioni omofobe da parte di colui che viene percepito come tale dal datore di lavoro.

Il caso da cui ha origine il rinvio pregiudiziale riguarda la denuncia presentata nei confronti del sig. Becali, il “patron” della squadra, e della società calcistica SC Fotbal Club Steaua București SA dall’associazione per la difesa dei diritti delle persone LGBT Accept in seguito alla mancata assunzione di un calciatore professionista presumibilmente per il suo orientamento omosessuale. Il sig. Becali aveva infatti rilasciato affermazioni quali “Neppure se (more…)

Dichiarazioni omofobe e discriminazione nell’accesso al lavoro

imageCon sentenza del 25 aprile, la Corte europea di Giustizia ha dettato alcune importanti indicazioni in materia di discriminazione diretta nell’accesso al lavoro, stabilendo che dichiarazioni omofobiche a mezzo stampa dirette a discriminare i lavoratori in ragione del loro orientamento sessuale, espongono l’imprenditore a sanzioni che devono avere un “effetto realmente deterrente”.

Nella specie la Corte europea si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale di un giudice rumeno concernente l’ingaggio di un calciatore da parte di una squadra di calcio professionale. (more…)