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Alla Corte Costituzionale l’impossibilità di convertire l’unione civile in matrimonio a seguito della sentenza di rettificazione di sesso di uno dei partner

 di Francesca Barbato*

 

Pubblichiamo l’ordinanza del Tribunale di Lucca del 14 gennaio 2022 con la quale sono state sollevate plurime questioni di legittimità costituzionale con riferimento a disposizioni centrali in ordine all’impossibilità di convertire l’unione civile in matrimonio in conseguenza della rettificazione di sesso di uno dei due componenti della coppia.

Il caso

Nella vicenda in esame XXX , presa piena coscienza della propria disforia di genere di tipo MtF (indicata erroneamente nell’ordinanza FtM) – così come risultante da una relazione psicologica eseguita dal consultorio transgenere di Torre del Lago -, identificandosi irrevocabilmente nel genere femminile, ha adito il Tribunale toscano chiedendo che venisse autorizzato l’intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile a femminile con conseguente rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso, ed ordinato all’ufficiale di stato civile di iscrivere il matrimonio con il compagno in luogo dell’unione civile nel registro degli atti di matrimonio. XXX aveva, infatti, contratto un’unione civile nel 2019 con il proprio compagno ed entrambi intendevano conservare il vincolo familiare attraverso l’automatica conversione dell’unione civile in matrimonio a seguito della rettificazione anagrafica.

Nell’esaminare la domanda il Tribunale ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale di cui al combinato disposto degli artt. 1, comma 26, L. 20 maggio 2016, n. 76; 31, commi 3 e 4 bis, D.Lgs. 1°settembre 2011, n. 150 e 70 octies, comma 5 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, in relazione agli artt. 2, 3, 117 Cost. e 8 e 14 CEDU quali ai parametri interposti ai sensi dell’art. 117 Cost.

Il giudice di Lucca è partito dalla disamina dell’art. 1, primo comma, del D.P.R.  3 novembre 2000, n. 396 secondo cui “La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali” e dell’art. 31 del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 in forza del quale “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il Tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”.

 Al riguardo il Tribunale ha richiamato gli approdi raggiunti dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale, in virtù dei quali la lettura sinottica delle norme de qua non deve portare a ritenere l’intervento chirurgico pre-condizione necessaria della pronuncia di mutamento di sesso, ma solamente un possibile mezzo strumentale a un pieno benessere psicofisico (Corte cost. n. 221/2015; Cass n. 15138/2015).

Di seguito il giudice ha chiarito come nella fattispecie in esame XXX non ha effettuato un intervento demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali, ma una terapia ormonale, chiedendo la rettifica dell’attribuzione di sesso nei registri di stato civile, dichiarando di aver acquisito l’identità di genere femminile attraverso un percorso psicologico comprovante la definitività e irreversibilità di tale orientamento, prescindendo dalle caratteristiche anatomiche degli organi sessuali.  Conseguentemente, in caso di riscontro positivo di quanto allegato nel corso del giudizio, XXX vanterebbe astrattamente l’aspettativa legittima di acquisire una nuova identità di genere anche in assenza di un intervento di adeguamento dei caratteri sessuali.

In siffatte circostanze XXX in una con la suddetta richiesta, deducendo di avere contratto con il proprio partner un’unione civile, ha domandato di ordinare all’ufficiale dello stato civile del Comune di Lucca di iscrivere nel registro degli atti di matrimonio l’unione matrimoniale in luogo di quella civile, in considerazione dell’assenza di un divieto in tal senso da parte dell’ordinamento a svantaggio della coppia in seguito all’acquisto di una nuova identità di genere di uno dei componenti.

Tuttavia il Tribunale ha osservato che “l’interdipendenza tra pronuncia di rettificazione e sorti dell’unione civile in precedenza contratta tra persone dello stesso sesso non forma oggetto di lacuna normativa” (così, p. 4).

Difatti viene ricordato come l’art. 1, comma 26, della L. n. 76 del 2016 preveda espressamente che “la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”. Differentemente il successivo comma 27, nell’ipotesi inversa di rettificazione di sesso che interessa uno dei due coniugi uniti in matrimonio, stabilisce l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone di pari sesso, ove queste abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili.

Anche la disciplina processuale si coordina con quella sostanziale per rendere effettiva la volontà delle parti di conservare il vincolo giuridico preesistente.

Invero l’art. 31, comma 4 bis, D.Lgs. n. 150 del 2011 statuisce che fino alla precisazione delle conclusioni colui che ha proposto domanda di rettificazione e il coniuge hanno facoltà di dichiarare congiuntamente in udienza la costituzione dell’unione civile in caso di accoglimento della domanda, con conseguente iscrizione dell’unione civile nell’apposito registro ad opera dell’ufficiale dello stato civile competente. Inoltre il coinvolgimento del coniuge è regolato anche dal comma 4 della disposizione de qua, in forza del quale a questi deve essere notificato l’atto di citazione introduttivo del giudizio di rettificazione proposto dall’altro coniuge, così da permettergli, eventualmente, di esprimere il proprio consenso alla conversione del matrimonio in unione civile.

Il Tribunale ha poi ricostruito il quadro ordinamentale in riferimento al matrimonio che non risulta riprodotto per le unioni civili.  In particolare ha richiamato l’art. 31, comma 6, del D.Lgs. n. 150 del 2011, il quale in tema di matrimonio dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo, provocando lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso; l’art. 3, comma 1, n.2), lett. g), L. n.898 del 1970, secondo cui a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di uno dei coniugi l’altro può chiedere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Il giudice ha messo in evidenza come la mancata riproduzione di tale normativa in materia di unioni civili fa sì che si assista all’automatica caducazione dell’unione con il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di uno dei partner.

Ricostruito il quadro normativo di riferimento il Tribunale ha esaminato le questioni di sospetta illegittimità costituzionale.

La prima concerne gli artt. 1, comma 26, L. n. 76 del 2016, 31, commi 3 e 4 bis, D.Lgs. n. 150 del 2011 e 70 octies, comma 5, D.P.R. n. 396 del 2000, dalla cui lettura sinottica, trovando applicazione congiunta nel caso de quo, deriverebbe una netta preclusione a XXX e all’altra parte dell’unione civile di esprimere un valido consenso alla conversione di questa in matrimonio, a seguito della pronuncia della rettificazione dell’attribuzione del sesso di uno dei membri dell’unione civile, “in tal guisa venendosi a configurare la mancanza del presupposto logico-giuridico affinché sia consentito impartire all’ufficiale dello stato civile” (così, p. 9), come richiesto da XXX, l’ordine di iscrivere negli appositi registri anagrafici il matrimonio  con il compagno. Conseguentemente il Tribunale ha ritenuto la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 2, 3, 117 Cost.

Difatti il giudice ha ricostruito gli approdi raggiunti dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, secondo i quali le unioni omosessuali sono qualificabili come formazioni sociali, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri (Corte. Cost. n. 138 del 2010) e a cui è riconosciuto un nucleo comune di diritti e doveri di assistenza e solidarietà, rendendole meritevoli di protezione e tutela equiparabile a quella matrimoniale in tutti i casi in cui la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali scaturenti dalla relazione (Cass. n. 2400 del 2015).

Viene inoltre ricordato nella pronuncia da un lato come anche il legislatore ordinario ha espressamente sancito l’equiparazione tra unioni civili omosessuali e le aggregazioni sociali costituzionalmente protette e riconosciute, in forza del richiamo agli artt. 2 e 3 della Costituzione operato dall’art. 1, comma 1 della L. 76 del 2016; dall’altro come pure il quadro convenzionale europeo ha corroborato l’intangibilità di tale nucleo essenziale di diritti e doveri, in particolare l’art. 8 della CEDU – che sancisce il diritto alla vita privata e familiare – e l’art. 14 CEDU – che fissa il principio di non discriminazione -.

Il Tribunale, alla luce di tale complesso di principi, ha ritenuto configurabile in capo allo Stato il compito di garantire alla coppia omossessuale legata dal vincolo dell’unione civile registrata la salvaguardia dei diritti acquisiti in costanza della stessa, anche in seguito alla rettificazione anagrafica del sesso di uno dei due contraenti. Diversamente, si legge nell’ordinanza, si arrecherebbe un vulnus di tutela a discapito della coppia, inaccettabile e irragionevole, che potrebbe minare alla sua stabilità nel periodo di transizione verso l’unione matrimoniale, “quale archetipo di vita di coppia tra persone eterosessuali giuridicamente elaborato dall’ordinamento” (così, p. 13).

Partendo da queste considerazioni, il giudice è passato ad analizzare i sospetti di incostituzionalità della normativa de qua in relazione all’art. 3 Cost. e dal confronto del tenore letterale dei commi 26 e 27 dell’art. 1 della L. n. 76 del 2016 ne ha ricavato una disparità di trattamento in ordine agli effetti della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso tra unione civile omosessuale e unione coniugale eterosessuale. Difatti con il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di uno dei membri della coppia mentre nella prima ipotesi è disposto lo scioglimento, nella seconda è riconosciuta ai coniugi la facoltà di convertire il vincolo matrimoniale in unione civile.

Orbene nella pronuncia la violazione dell’art. 3 Cost. in una con l’art. 2 Cost. viene rintracciata dall’intrinseca irragionevolezza della disciplina ex comma 26 dell’art. 1 della L. n. 76 del 2016 che non appresta “un congegno idoneo al superamento della soluzione di continuità che in tal guisa viene ad istituirsi tra unione civile destinata alla caducazione con il passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso e l’unione matrimoniale, l’accesso alla quale, al contraente dell’unione del medesimo sesso del transessuale antecedentemente alla rettifica e al transessuale stesso, dopo la sentenza di rettificazione, è innegabilmente consentito” ( così, p. 14).

Al riguardo il Tribunale ha osservato come con la costituzione dell’unione civile le parti divengono titolari di diritti e doveri che per lo più replicano lo schema dell’unione matrimoniale, i quali vengono travolti dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, senza che sia rinvenibile un bilanciamento volto alla tutela di interessi contrapposti di pari rango.

Ulteriore lesione individuata nell’ordinanza attiene all’irrecuperabilità anche in caso di eventuale successivo vincolo matrimoniale del cognome comune scelto tra i cognomi dei componenti all’atto di costituzione dell’unione civile, “atteso che la mancanza di una disciplina di transizione obbliga l’applicabilità tout court dell’art. 143 bis c.c., il che provocando l’aggiunta del cognome del marito al cognome della moglie, instaura per i coniugi uno status non sovrapponibile a quello goduto in precedenza” (così, p. 17).

Il giudice, a sostegno delle riflessioni svolte, ha rintracciato un parallelismo con l’approdo raggiunto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 170 del 2014 in tema della speculare vicenda del divorzio imposto dalla previgente disciplina in casi di rettificazione di sesso, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 della L. n. 164 del 1982 e dell’art. 31, comma 6, del D.Lgs. n. 150 del 2011 nella parte in cui non prevedevano, a seguito della sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei coniugi, la possibilità di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata in grado di tutelare adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia.

Nell’ordinanza viene così rimarcato come una soluzione di eguale portata teleologica si sarebbe dovuta adottare con riferimento alle unioni civili e come, al contrario, la L. n. 76 del 2016, pur consentendo il passaggio da un’unione civile al matrimonio, non appronta una tutela nell’arco temporale necessitato per il completamento dello stesso ed in cui il nucleo essenziale di diritti e doveri del rapporto di coppia subisce “un affievolimento integrale” (così, p. 18).

Conseguentemente il giudice ha dichiarato “la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della normativa censurata anche con riguardo al parametro di cui all’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto alla consentanea disciplina approntata, nella medesima evenienza della rettificazione di attribuzione di sesso di un coniuge, per l’unione matrimoniale” (così, p. 18).

Il Tribunale poi ha messo in luce l’impossibilità di formulare un’interpretazione conforme delle norme censurate. Difatti, a differenza di quanto affermato da una giurisprudenza di merito precedente (Trib. Brescia n. 11990 del 2019), nel caso de quo è stata ritenuta non percorribile la strada dell’analogia legis ivi tracciata, non essendo rinvenibile una lacuna nell’ordinamento. Invero secondo il giudice di Lucca l’art. 70 octies D.P.R n. 396/2000 è espressione di una chiara “voluntas legis di non dare continuità di riconoscimento giuridico all’unione omoaffettiva disciolta per la rettificazione di attribuzione del sesso di uno dei suoi componenti” (così, p. 19).

Ancora nell’ordinanza non viene accolta la soluzione dottrinale che, raccordando l’art. 1, comma 26 L. n. 26 del 2016 con altre disposizioni specifiche dettate in tema di rettificazione di sesso per il matrimonio, ha ritenuto  possibile, nell’ipotesi in cui nel giudizio di rettificazione riguardante una coppia unita civilmente il giudice abbia accertato la volontà comune di mantenere il legame, la dichiarazione di sospensione della rettificazione fino alla data di celebrazione del matrimonio tra le parti, purché quest’ultimo venga celebrato entro un congruo termine dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.

Questa lettura ermeneutica viene respinta dal giudice in quanto considerata non collimante con la voluntas legis strumentale a differenziare il regime riservato alle coppie unite civilmente da quello proprio delle coppie coniugate. Conseguentemente l’assenza di riferimenti in ordine al momento di efficacia della sentenza di rettificazione non permette all’interprete di differirlo ad un tempo successivo al passaggio in giudicato, dato che quest’ultimo è di natura costitutiva.

Infine il Tribunale ha evidenziato l’estraneità al processo di rettificazione di una forma di denuntiatio litis a favore dell’altra parte dell’unione civile, giustificata dalla scelta del legislatore di riconoscere alla coppia omosessuale “la facoltà di convertire l’unione in matrimonio senza soluzioni di continuità.”

Diversamente, ha concluso il giudice, si obbligherebbe l’ufficiale di stato civile alle pubblicazioni e alla celebrazione del matrimonio in un momento in cui ancora sono produttivi gli effetti della sentenza di rettificazione e non si è completata l’alterità di sesso tra i nubendi.

Alla luce di tutte queste osservazioni il Tribunale, non reputando “percorribile l’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme per l’insuperabile tenore del dato normativo e la riscontrata carenza di meccanismi di adeguamento agli imperativi valori costituzionali esaminati” (così p. 20), ha sollevato ben cinque questioni di legittimità costituzionale.

La prima attiene all’art. 1, comma 26, L. n. 76 del 2016 “nella parte in cui prevede che la sentenza di rettificazione di attribuzioni di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, senza alcuna possibilità di conversione in matrimonio, previa dichiarazione congiunta dell’attore e dell’altro contraente dell’unione, in caso di accoglimento della domanda di rettificazione, senza soluzione di continuità con il precedente vincolo, in relazione all’art. 2 Cost., e, in qualità di norme interposte, ai sensi dell’art. 117 Cost., degli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ( così, p. 20).

La seconda questione di legittimità costituzionale riguarda l’art. 1, comma 26, L. n. 76 del 2016 con riferimento all’art. 3 Cost. per l’ingiustificata disparità di trattamento tra lo scioglimento automatico dell’unione civile in caso di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei contraenti e il disposto del comma 27 dello stesso articolo diretto a disciplinare in maniera differente la stessa fattispecie in presenza di coppia unita in matrimonio.

La terza questione si riferisce all’art. 31, comma 3, D.Lgs. n. 150 del 2011 ove non preveda la notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di rettificazione anche all’altro unito civilmente, in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., e, in qualità di norme interposte, ai sensi dell’art. 117 Cost., degli artt. 8 e 14 della Cedu.

La quarta questione di legittimità costituzionale interessa l’art. 31, comma 4 bis, D.Lgs. n. 150 del 2011 nella parte in cui non prevede sia che, proposta la domanda di rettificazione di attribuzione di sessi da parte di un membro dell’unione,  questi congiuntamente all’altro membro, fino alla precisazione delle conclusioni, possano esprimere la volontà in udienza, in caso di accoglimento della domanda, di unirsi in matrimonio, effettuando le eventuali dichiarazioni sul regime patrimoniale e la conservazione del cognome comune; sia che “il tribunale con la sentenza di accoglimento della domanda, possa ordinare all’ufficiale di stato civile del comune di costituzione dell’unione civile o di registrazione se costituita all’estero, di iscrivere il matrimonio nel registro degli atti di matrimonio e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti relative alla scelta del cognome e al regime patrimoniale, in relazione agli artt. 2,3 cost., e, in qualità di norme interposte, ai sensi dell’art. 117 cost., degli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”( così, p. 21).

La quinta e ultima questione di legittimità costituzionale inerisce all’art. 70 octies, comma 5, del D.P.R n. 396 del 2000, nella parte in cui non prevede nell’ipotesi di cui all’art. 31, comma 4 bis, D.Lgs. n. 150 del 2011 che l’ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell’unione civile o di registrazione se costituita all’estero, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sessi, possa trascrivere il matrimonio nel registro degli atti di matrimonio, con le eventuali annotazioni relative al cognome e al regime patrimoniale, in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., e, come norme interposte, ex art. 117 cost., degli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

In attesa delle risposte che la Corte Costituzionale darà a queste complesse questioni sollevate dal Tribunale di Lucca, si può considerare meritoria la profonda analisi dello stato dell’arte in materia compiuta in tale ordinanza, la quale mette in luce la portata indefettibile di queste istanze di tutela. Non si può evitare di tracciare un trait d’union con la simmetrica questione del divorzio imposto che, come ricordato nella pronuncia, sotto la spinta del giudice costituzionale prima e di legittimità poi, ha portato il legislatore a riformare la disciplina. Così in egual modo si può auspicare un fruttuoso dialogo tra formante giurisprudenziale e legislativo, che novi il dettato normativo, assicurando anche alle coppie unite civilmente gli stessi strumenti offerti alle coppie unite in matrimonio in presenza di una scelta di rettificazione di attribuzione di sesso involgente il diritto fondamentale dell’identità sessuale.  Strumenti che dovrebbero mirare a preservare sostanzialmente e formalmente senza soluzione di continuità i vincoli già consolidatesi tra le parti di un’unione civile, permettendo loro di non subire la perdita del fascio di diritti e doveri acquisiti in costanza di quest’ultima, nemmeno temporaneamente.

*Dottoranda Università di Enna