Categoria: italia

Qualche riflessione sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 12193 del 2019 in materia di maternità surrogata

 

di Gabriella Luccioli *

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

L’autrice commenta la sentenza Cass., Sez. Un., 8 maggio 2019, n. 12193.

The Author analyses the judgment issued by the Italian Supreme Court, Plenary Session, on May 8th 2019, n. 12193.

* Già Presidente della Prima Sezione della Corte di Cassazione

 

(contributo destinato a GenIUS 2020-1)

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Transessualità e prenome d’elezione: Cass. Sez. I civ., ord. 3877/2020

di Giacomo Viggiani*

Lo scorso febbraio i supremi giudici hanno stabilito che chi avanza richiesta per la rettificazione anagrafica di sesso ex l. 164/1982 può scegliere liberamente il nuovo prenome, fatti salvi i limiti espressamente previsti dalla legge o i diritti di terzi.

La controversia trova la sua scaturigine dal ricorso presentato da O.A., la quale aveva ottenuto dalla Corte d’Appello di Torino la rettificazione anagrafica di sesso da maschio a femmina ex art. 164/1982, ma non aveva ottenuto soddisfazione in punto di onomastica. A fronte di un prenome eletto dalla richiedente la rettificazione, i giudici distrettuale avevano infatti ritenuto che la tutela dell’«interesse pubblico alla stabilità e ricostruibilità delle registrazioni anagrafiche» imponesse che il mutamento non potesse essere che la femminilizzazione del prenome attribuito alla nascita. Di conseguenza, accoglieva la richiesta di rettificazione, ma altresì rigettando qualsiasi prenome che non fosse quello derivante dalla mera femminilizzazione di quello precedente.

L’interessata presentava allora gravame avanti la Corte di Cassazione, argomentando come un prenome radicalmente diverso da quello fino a ora portava non fosse – come lo aveva qualificato la Corte distrettuale – un «voluttuario desiderio», ma anzi il punto estremo di gittata dell’atto autodeterminativo iniziato con la procedura di rettificazione. Si obiettava inoltre che l’automatismo di conversione non era sempre praticabile e che doveva essere assicurato anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta cesura con la precedente identità consolidatasi. (more…)

Lo status filiationis da maternità surrogata tra ordine pubblico e adattamento delle norme in tema di adozione

 

di Sara Tonolo *

 

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

Le difficoltà concernenti il riconoscimento degli atti di filiazione esteri, per effetto della natura di ordine pubblico del divieto di surroga di maternità, previsto dall’art. 12 l. 40/2010, determinano la necessità di esplorare possibili alternative quali ad esempio il proposto adattamento delle norme nazionali in tema di adozione. L’articolo esamina tali soluzioni e le criticità ad esse connesse alla luce del principio di continuità degli status e dei diritti fondamentali di figli e genitori.

The difficulties concerning the recognition of foreign parentage acts, due to the public policy nature of the prohibition of surrogacy, provided for by Article 12 Law 40/2010, determine the need to explore possible alternatives such as the proposed adaptation of national rules on adoption. The article examines these solutions and the related critical issues in the light of the principle of cross-border continuity of status and of the fundamental rights of children and parents.

* Professoressa Ordinaria di Diritto internazionale, Università degli Studi di Trieste

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-2)

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Il pettine sdentato. Il favoreggiamento della prostituzione all’esame di costituzionalità

 

di Tullio Padovani *

 

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

L’Autore commenta la sentenza della Corte Costituzionale del 7 giugno 2019 (ud. 6 marzo 2019), n. 141 in materia di favoreggiamento della prostituzione.

The Author provides a comment on the Constitutional Court decision issued on June 7th 2019 (hearing on March 6th 2019), n. 141 on abetting prostitution offence.

* Professore Ordinario a r., Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-2)

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«From status to contract»: la trascrizione dei provvedimenti stranieri dichiarativi dello status del figlio d’intenzione

di Silvia Izzo*

 

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

L’A. prende spunto dalla sentenza Cass. Sez. Un. 9 maggio 2019, n. 12193 in materia di riconoscimento dei provvedimenti stranieri dichiarativi dello status di figlio d’intenzione per analizzare, oltre ai profili processuali della decisione, la disciplina e l’evoluzione giurisprudenziale dei diversi strumenti previsti dall’ordinamento nazionale a fronte del rifiuto di trascrizione nei registri dello stato civile.

The A. takes the opportunity to comment on the decision of the High Court, plenary session, issued on May 9th 2019, n. 12193 on the transcription of birth certificates issued abroad for stepchildren in order to analyse the procedure issues, the legal framework, including the case-law evolution on the different legal tools applied by the Italian legal system in case of refusal of the named transcription.

 

* Professoressa Associata di Diritto processuale civile, Università di Cagliari

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-2)

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“Incontrare i congiunti” ai tempi del COVID-19

di Denise Amram*

“Se ami l’Italia mantieni la distanza” è la formula della c.d. Fase 2 utilizzata dal Presidente del Consiglio dei Ministri al fine di confermare la necessità di mantenere la distanza sociale e fisica a fini di contenimento della emergenza COVID-19.

L’art. 1 del DPCM del 26 aprile 2020 alla lettera a) prevede che, a partire dal 4 maggio pv, siano “consentiti solo gli spostamenti  motivati  da  comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per  motivi  di salute e si considerano  necessari  gli  spostamenti  per  incontrare congiunti purché venga rispettato il divieto di assembramento  e  il distanziamento interpersonale di almeno un metro e vengano utilizzate protezioni delle vie respiratorie” [1].

Le ragioni sottese alla disposizione rispondono alla necessità di diminuire la compressione sia della libertà personale (art. 13 Cost.) che del diritto fondamentale della persona alla realizzazione della propria personalità nell’ambito della prima formazione sociale del nostro ordinamento: la famiglia (art. 2, 29, 30 Cost.). Definire la “famiglia”, tuttavia, è compito tutt’altro che semplice e non spetta alla regolamentazione dell’emergenza occuparsene.

La circoscrizione della disposizione ai “congiunti” pare attribuire base di liceità ai contatti tra persone che siano formalmente riconosciute quali “familiari” in ragione di vincoli di sangue estendibile sulla base dei principi costituzionali affermati nel nostro ordinamento, come si anticipa nei comunicati stampa odierni, a vincoli di affettività considerati “stabili”. Il che parrebbe trovare conferma nell’uso del verbo “incontrare” che non richiama immediatamente la sfera familiare, quanto piuttosto quella delle relazioni in senso più ampio. Il primo significato sul dizionario è proprio quello di “trovare casualmente sulla propria strada o in un luogo, imbattersi”, ovvero come terzo significato “avere uno o due punti in comune”, infine in senso letterario “capitare, accadere” [2].

Il decreto di aggiornamento sulle misure di contenimento della pandemia, pertanto, mira a circoscrivere in termini di durata e di intensità la deroga al distanziamento sociale e tenta di individuare un criterio di selezione anche sul piano dei soggetti legittimati ad usufruire di tale delega: il congiunto. Eppure, il primo significato attribuito all’aggettivo rimanda al concetto di “più o meno stabilmente a contatto” e, solo nell’accezione giuridica, la definizione richiama la sfera familiare, come sinonimo di parente [3]. (more…)

A dieci anni dalla sentenza costituzionale n. 138/2010

di Alexander Schuster

 

Ero in studio in università il 15 aprile 2010 quando ricevetti la notizia che la Corte costituzionale aveva deciso la questione del matrimonio fra persone dello stesso genere. Nell’estate precedente la Corte di appello di Trento aveva espresso i propri dubbi quanto alla compatibilità con la Costituzione del divieto a contrarre matrimonio. A denunciare la violazione dei loro diritti erano due coppie trentine, l’una composta da due donne, l’altra da due uomini. Non era la prima causa di questo tipo: alcuni mesi prima il Tribunale di Venezia aveva espresso analoghi dubbi. Nemmeno era questione sconosciuta ai giudici italiani in assoluto: il Tribunale di Roma già nel 1980 decise un ricorso proprio contro il rifiuto alle pubblicazioni chieste da una coppia di uomini.

La strategia di affrontare di petto il divieto non scritto di contrarre matrimonio rivolgendo una richiesta all’ufficiale di stato civile e intentando quindi un’azione giudiziaria non era nuova nel panorama mondiale. Il modello fu la cosiddetta “Aktion Standesamt”, ovvero la “Azione stato civile” che nel 1992 in Germania coinvolse ben duecentocinquanta coppie omosessuali. Anche in quel caso si giunse fino alla Corte costituzionale tedesca. Lo stimolo per l’Aktion Standesamt fu l’adozione da parte della Danimarca nel 1989 della prima legge al mondo che consentiva alle coppie di accedere ad una forma di unione registrata.

In Italia dovettero trascorrere molti anni prima di avviare un’iniziativa simile. Elementi scatenanti furono da una parte l’inerzia italiana rispetto agli sviluppi importanti sul fronte del matrimonio di altri Stati occidentali: si pensi alla riforma del matrimonio dei Paesi bassi nel 2001. Dall’altra occorre dare conto delle tanto penose quanto infruttuose discussioni in Parlamento per cercare di abbozzare qualcosa che potesse almeno pavidamente riproporre in salsa italica il PACS francese.

In questo contesto nascono e si alleano sul modello tedesco due associazioni, quella radicale Certi diritti e quella denominata Avvocatura per i diritti LGBT (ora LGBTI). Da lì nacque l’iniziativa di “Affermazione civile”, denominazione coniata dal radicale Sergio Rovasio. Fresco di una tesi di dottorato proprio su questi temi, aderii subito alla proposta di difendere un’idea di giustizia che ancora oggi rimane immutata. Il 23 marzo 2010 si tenne la pubblica udienza in Corte costituzionale. Eravamo presenti anche Francesco Bilotta ed io, quali avvocati delle tre coppie del cui amore e dei cui diritti si dibatteva. A parlare furono opportunamente solo gli avvocati professori universitari che sin da subito sposarono questa battaglia di civiltà: Vittorio Angiolini, Vincenzo Zeno-Zencovich e Marilisa D’Amico. Si trattò di un importante lavoro di squadra, forse così unico che non ebbi più modo di riscontrarne di simili negli anni successivi.

Sappiamo che la sentenza n. 138/2010 non garantì il diritto al matrimonio così come chiedevamo. Era un esito atteso, sì che quando mi venne comunicata, l’attenzione si rivolse non all’esito, ma alle motivazioni. La pronuncia non riconosceva la coppia omosessuale come famiglia, ma nemmeno negava che lo fosse. L’impiego di questo termine sarà apparso troppo audace ai quindici giudici di allora. Tuttavia, era significativo che «in relazione ad ipotesi particolari», fosse riconosciuta «la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale». A quest’ultima era così concesso godere, ad esempio, della medesima tutela che era stata accordato alla – questa sì – «famiglia di fatto» eterosessuale. Ciò si evinceva dal richiamo ai precedenti della Corte pronunciati a tutela del convivente (more…)

In dubio, pro matrimonio. A proposito di due decisioni fra matrimonio, unione civile e rettificazione di sesso.

di Denise Amram*

A quasi cinque anni dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che prevedeva l’obbligo di sciogliere il vincolo coniugale in caso di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei due coniugi (Corte Cost. n. 170/2014, da cui artt. 2 e 4 l. 164/1982)[1], due decisioni di merito, pubblicate a distanza di pochi giorni l’una dall’altra, sollecitano una rinnovata riflessione circa i rapporti intercorrenti tra identità di genere, matrimonio e unione civile.

I casi e le questioni.

Il caso deciso da Tribunale di Brescia, terza sezione civile, decreto del 17 ottobre 2019 n. 11990 concerne un matrimonio tra due persone dello stesso sesso contratto all’estero e trascritto quale unione civile in Italia, cui segue dichiarazione di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei due partner e il contestuale sopravvenire del motivo di scioglimento dell’unione ai sensi dell’art. 1, comma 26, l.n. 76/2016[2].

L’ufficiale di stato civile rifiuta la richiesta della coppia che, costretta allo scioglimento del vincolo, chiede la conversione dell’unione civile in matrimonio sulla base del dato letterale dell’art. 70 octies del d.lgs. n. 396/2000 che dispone l’iscrizione nel registro delle unioni civili del vincolo tra persone unite in matrimonio in caso di passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione anagrafica del sesso di uno dei due coniugi, ma non il viceversa. Il Tribunale di Brescia ordina l’iscrizione del vincolo nel registro del matrimonio sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma alla luce del principio di uguaglianza.

Sulla stessa scia, si inserisce la sentenza  del Tribunale di Grosseto del 3 ottobre 2019, n. 740 che, nell’ambito di un giudizio volto ad autorizzare con sentenza non definitiva uno dei coniugi a sottoporsi a trattamento medico-chirurgico per l’adeguamento dei caratteri sessuali da maschili a femminili, affronta la questione relativa al mantenimento del vincolo matrimoniale laddove entrambi i coniugi, con tempi diversificati, stiano procedendo alla rettificazione anagrafica del sesso. Il Tribunale di Grosseto dispone che, nell’attesa di (more…)

Due importanti decisioni in materia di status dei figli nati con gpa

Pubblichiamo due rilevanti decisioni del Tribunale di Roma, in composizione collegiale (entrambe pubblicate l’11.2.2020, una n. 2991/2020 e l’altra n. 3017/2020) in materia di status del minore nato in seguito a gestazione per altre o altri (maternità surrogata, da ora, per brevità, gpa) legittimamente effettuata all’estero, in conformità alle leggi ivi vigenti (le due decisioni si distinguono per il diverso parere espresso dal curatore, in un caso contrario costringendo il tribunale a una motivazione particolarmente articolata, n. 3017, e in uno favorevole, n. 2991).
Come noto, sulla questione debbono segnalarsi, fra le molte decisioni, i due recenti arresti della Corte costituzionale e delle Sezioni unite della Corte di cassazione, le quali in estrema sintesi hanno stabilito, per un verso, la legittimità costituzionale dell’art. 263 c.c. sulla impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio, assumendo che la norma consente comunque al giudice di valutare nel caso concreto se la rimozione dello status già acquisito sia conforme o meno all’interesse superiore del minore, bilanciato con gli altri interessi e diritti fondamentali protetti dall’ordinamento (Corte costituzionale, sentenza n. 272/2017) e, per altro verso, che la trascrizione di un atto di nascita redatto all’estero in seguito a gpa è da ritenersi contrario all’ordine pubblico internazionale, in quanto l’interesse superiore del minore è da assumersi sempre affievolito in ragione degli altri interessi e diritti fondamentali in gioco (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza n. 12193/19).
In tale quadro, dovendo decidere in una ipotesi di azione promossa dal curatore nominato dal tribunale, di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità effettuato da entrambi i genitori (padre e madre, nel frattempo assolti nel procedimento penale, che tuttavia ha dato luogo alla nomina del curatore per la promozione del giudizio civile ex art. 263 c.c.) nei confronti di minori nati in seguito a gpa, il tribunale di Roma (accertato che il padre è genitore biologico, sicché nulla quaestio in suo riguardo) ha ritenuto prevalente l’interesse degli stessi al mantenimento della relazione genitoriale con la madre intenzionale, posto che le rassicuranti relazioni dei servizi sociali riferiscono le ottime condizioni dei minori, l’assenza di criticità e il “pieno e positivo inserimento dei minori nella famiglia dei convenuti,  dai quali sono accuditi con cura ed attenzione”.
A tale riguardo il Collegio opera un importante distinguo fra la situazione vagliata dalla Corte costituzionale e quella sottoposta all’attenzione della Corte di cassazione, sicché a fronte della «assoluta affermazione” delle sezioni unite, “dalla quale il Collegio non intende discostarsi, applicabile nel caso in cui oggetto del giudizio sia il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento straniero, che sottrae al giudice del merito ogni margine di valutazione, nella diversa ipotesi in cui oggetto del giudizio sia la domanda di rimozione di  uno status già acquisito dal minore attraverso la formazione di atto di nascita nello stato di nascita e la trascrizione in Italia dell’atto di nascita estero, la Consulta chiamata a vagliare la legittimità costituzionale,  proprio dell’art.  263  c.c., non ha fornito conclusioni ugualmente assolute, ma ha al contrario rilevato la  necessità che venga compiuto un bilanciamento di interessi. Partendo dal rilievo che pur prevedendo l’ordinamento “un accentuato favore …per la conformità dello status alla realtà della procreazione, va  escluso che quello dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di  rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento”.  E ciò in quanto il favor veritatis deve essere bilanciato con il diritto del figlio alla stabilità della relazione, pur se costituita in mancanza di legame genetico con i genitori, con valutazione da operare caso per caso».
Si tratta di una importante sottolineatura, che, pur nel formale ossequio alla decisione delle sezioni unite, rivela la sofferenza dei giudici di merito, oltre che l’aperto dissenso di buona parte della dottrina, innanzi alla decisione della nostra Cassazione che – con indirizzo opposto a quello seguito dalle corti supreme tedesca e francese e con assai dubbia consonanza con la Corte di Strasburgo- pur richiamando il precedente della Consulta, se ne discosta in modo netto e sorprendente, imponendo sempre e comunque l’affievolimento dello status e degli interessi dei bambini in ragione di un giudizio astratto, per nulla imposto dal legislatore (che degli status in seguito a gpa non si occupa affatto), di contrarietà all’ordine pubblico per pretese esigenze di prevenzione generale. [M.G.]

Carcere e Antidiscriminazione. Prime prove di tutela dei diritti a fronte della (dimidiata) riforma dell’ordinamento penitenziario

di Sofia Ciuffoletti*

 

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

L’autrice commenta l’Ordinanza Magistrato di Sorveglianza di Spoleto n. 2018/2407 del 18 dicembre 2018.

The author illustrates and comments on the judgement issued by the Magistrato di sorveglianza di Spoleto on Dec. 18th 2018, n. 2018/2407.

Sommario

1. Introduzione. – 2. Tutela antidiscriminatoria e imparzialità dell’amministrazione. – 3. Protezione e separazione: l’art. 14 Ord. penit. e le strategie amministrative di riduzione del rischio. – 4. Dall’isolamento protettivo individuale alle sezioni protette promiscue. – 5. Vulnerabilità in contesto. – 6. Sul concetto di promiscuità: dal problema alla soluzione e di nuovo al problema. – 7. Separazione, protezione e trattamento, una triade di difficile composizione. – 8. La discriminazione secondaria. – 9. Antidiscriminazione e dignità. – 10. Conclusione

*Borsista di ricerca in Filosofia del Diritto, Università di Firenze e ricercatrice Centro di Ricerca Interuniversitario ADIR

 

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-2)

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Le sezioni unite e l’omopaternità: lo strabico bilanciamento tra il best interest of the child e gli interessi sottesi al divieto di gestazione per altri

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

di Maria Carmela Venuti*

L’Autrice commenta la sentenza resa a sezioni unite dalla Corte cassazione, sentenza del giorno 8 maggio 2019, n. 12193.

The Author analyses the High Court decision, Plenary Session, issued on May 8th 2019, n. 12193.

Sommario

1. Sintesi dei punti 12-13 della parte motiva. – 2. Rilievi critici: il rivisitato concetto di ordine pubblico (internazionale) e l’allargamento dello spettro delle previsioni che valgono a comporne il contenuto. – 3. Segue: lo sconfinamento nell’inversione metodologica nel definire il contenuto della clausola generale dell’ordine pubblico internazionale tramite le norme ordinarie. – 4. Segue: l’individuazione del diritto vivente e l’impatto sulla questione da decidere. – 5. La rilevanza dell’assenza di legame genetico con il co-padre d’intenzione ai fini della (non) formalizzazione del vincolo di genitorialità. –6. L’escamotage a mo’ di foglia di fico dell’adozione in casi particolari.

*Professoressa Ordinaria di Diritto Privato, Università degli Studi di Palermo

(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-2)

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Una discutibile opinione della Corte Suprema in materia di adozione omogenitoriale estera. Ritorno al passato e stigma su minore

di Roberto de Felice*

Con ordinanza 29071/2019 del dì 11 novembre la I Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di massima se l’adozione di un minore da parte di una coppia omosessuale residente negli Stati Uniti sia contraria o meno all’ordine pubblico internazionale. La Corte è stata investita del ricorso avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Milano, disponibile su Internet[1], ex art 67 L 218.95, che ordinava al Comune competente la trascrizione del provvedimento adozionale reso da una Corte dello Stato di New York. L’ordinanza, invero, pone all’interprete numerose perplessità di diritto sostanziale e processuale oltre che di redazione del provvedimento

  1. Un cittadino italiano, traferitosi negli Stati Uniti dal 2000[2], contraeva matrimonio[3] con un cittadino statunitense nel 2013. Naturalizzato statunitense, egli e il futuro marito accedevano, nel 2009, a una procedura adozionale ai sensi della legge dello Stato di New York[4], che prevede anche la possibilità che dei genitori acconsentano all’adozione del loro figlio, oltre alla adozione di minori in stato di abbandono, generalmente mediata da agenzie. Invero, nei due casi il Giudice deve svolgere approfondite indagini sulla coppia adottante e solo all’esito di esse e di un periodo di convivenza di almeno tre mesi, può e deve pronunziare l’adozione alla luce del benessere del minore.
  2. Il padre adottivo italiano aveva chiesto al competente Comune la trascrizione della sentenza, ma questo aveva rifiutato, ritenendo necessaria la delibazione del Tribunale dei Minori ex art. 36 L. Adoz. Di contro, l’istante aveva proposto ricorso alla Corte d’Appello di Milano, per eseguire la sentenza straniera. Intervenivano in lite sia l’altro padre, che il Comune, opponendosi. La Corte, ritenuto carente lo standing del Comune, accoglieva il ricorso, ritenendo che la identità di sesso degli adottanti non ostasse all’ordine pubblico internazionale. Seguiva il ricorso del Sindaco-Ufficiale di Governo, difeso ex art. 1 RD 1611/33, alla Suprema Corte, proposto contro un pericoloso ottenne, in cui il PG concludeva per il rigetto della questione sull’ordine pubblico, vastamente argomentando.
  3. La Corte, pur senza far figurare ciò nel dispositivo, ha deciso i primi tre motivi di ricorso. Trattasi di un errore redazionale molto grave, attesa la delicatezza del caso. Il dispositivo si limita a rimettere gli atti al Primo Presidente al fine di valutare se rimettere la decisione del quarto motivo alle Sezioni Unite. Nella specie, non vi è un contrasto logico tra motivazione e dispositivo, ma un’omissione nel contenuto del dispositivo, rimediabile con la procedura di correzione (cfr. Cass. 8060/07[5]).
  4. La Corte risolve condivisibilmente un dubbio spesso postosi ai pratici in consimili casi, visto che l’art. 41 della L. 218/95, ad onta del generale principio di immediata eseguibilità della sentenza straniera, resa in contraddittorio e non contraria all’ordine pubblico internazionale, per le sole sentenze di adozione rinvia alle disposizioni delle leggi speciali, che, in un caso come questo, di residenza dell’adottante italiano da oltre due anni nello Stato della pronunzia , esigono un tenue controllo di conformità di essa ai principi della Convenzione, ragionevolmente certo essendo che non si tratti di un caso di forum shopping. Ma l’art. 36 co 4 fa parte del Titolo III della Legge, che disciplina l’adozione internazionale, conforme alla Convenzione de L’Aja ratificata (more…)

Tribunale di Roma: è legittimo il boicottaggio commerciale di radio che ospita interventi omofobi

Con ordinanza del 30 aprile 2019 il Tribunale di Roma ha ritenuto che sia legittimo, in quanto esercizio della libertà di manifestare il proprio pensiero, il reiterato invito da parte di una associazione lgbti al boicottaggio commerciale di una emittente radiofonica che aveva mancato di dissociarsi da frasi omofobe espresse da un conduttore.
Durante una trasmissione, il conduttore dell’emittente romana Radio Globo aveva affermato di provare “ribrezzo” di fronte a due uomini che si baciano. L’associazione capitolina Gay Center aveva invitato per conseguenza l’emittente radiofonica a dissociarsi e tuttavia quest’ultima in un comunicato stampa aveva affermato che l’espressione del conduttore rientrerebbe nella libera manifestazione del pensiero, suscitando com’era prevedibile la reazione dell’associazione e di vari esponenti del movimento lgbti, con l’invito agli ascoltatori e agli sponsor commerciali di boicottare l’emittente.
In carenza di una disciplina interna in materia di omofobia, che consenta di verificare se sia legittimo utilizzare mezzi di comunicazione di massa per propagandare “disgusto” nei confronti di una intera categoria di cittadini, il tribunale romano, preso comunque atto che erano terminate nel contempo le reciproche condotte, dichiarava cessata la materia del contendere, affermando, ai fini della decisione sulle spese in base al principio di soccombenza virtuale, la piena legittimità dell’invito a boicottare commercialmente l’emittente.
Il boicottaggio commerciale di aziende coinvolte in atteggiamenti omofobi, transofobi, antisemiti, razzisti o sessisti, è dunque pienamente legittimo. Si tratta d’altra parte di pratica sempre più diffusa in tutto il mondo occidentale, al fine di prevenire condotte discriminatorie o istigazione all’odio antisemita, razziale o omofobo, ed in alcuni noti casi ha avuto un impatto notevole sulle scelte comunicative di grandi aziende. Così come è legittimo da parte dei cittadini, anche riuniti in associazioni, orientare le proprie scelte quali consumatori sulla base anche di scelte etiche, è legittimo che associazioni esponenziali reagiscano a pratiche dirette a diffondere l’odio, punendo commercialmente che le diffonde. Una questione non irrilevante in una fase storica in cui l’istigazione all’odio e al “disgusto” si pone prepotentemente al centro del dibattito pubblico. [M.G.]

(ringraziamo Fabrizio Marrazzo per l’invio del provvedimento)

Sulla tutela penale della reputazione della collettività omosessuale

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

 

di Antonella Madeo*

La sentenza del Gup di Torino appare degna di nota per il fatto di riconoscere, attraverso il delitto di diffamazione, tutela penale alla reputazione di un’ampia categoria di soggetti contro dichiarazioni denigratorie, tracciando una sottile linea di demarcazione tra un soggetto collettivo individuabile – il movimento LGBT – e una collettività indistinta – quella omosessuale –, fondata sulla presenza nel primo e sulla mancanza nella seconda di un’organizzazione. La distinzione, peraltro, appare labile nel caso in esame, in quanto il soggetto collettivo ha una dimensione molto estesa. La forzata applicazione del delitto di diffamazione mira a sopperire al vuoto di tutela, riscontrabile nel nostro ordinamento penale, nei confronti della comunità LGBT contro comportamenti discriminatori basati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

The GUP of Turin Judgement is remarkable because it gives criminal protection, through the crime of libel, to the honour of a large group of people against disparaging statements, drawing a thin line between an identifiable collective subject – LGBT movement – and an indistinct collectivity – homosexual one –, based on the presence in the first and the on the absence in the second of an organization. The distinction appears fleeting in the commented case, because the collective subject has a very large extension. The forced application of criminal libel aims to make up for the protection vacuum in Italian criminal law to LGBT community against discrimination based on sexual orientation or gender identity.

*Ricercatrice di Diritto penale, Università degli Studi di Genova
Contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco

 

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Cognome comune e furto di identità: il fatto non sussiste. Commento a Corte Costituzionale, sentenza del 9 ottobre 2018, n. 212

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

di Giacomo Viggiani*

Il contributo si propone di ricostruire la travagliata vicenda del cognome comune dell’unione civile dall’entrata in vigore della L. 20 maggio 2016, n. 76 fino alla recente sentenza della Corte Costituzionale. In particolare, si offrirà una riflessione sull’ordinanza di rimessione del Tribunale di Ravenna, l’atto di intervento dell’Avvocatura di Stato e, infine, sulla decisione stessa della Corte Costituzionale.

The paper aims at retracing the trouble sequence of events of the common surname of the civil union from the enactment of the law of the 20th May 2016, n. 76 to the recent ruling of the Constitutional Court. In particular, the reflection will focus on the Court of Ravenna’s referral, the act of intervention by the State Attorney and, finally, on the decision itself of the Constitutional Court.

*Ricercatore di Filosofia del Diritto, Università degli Studi di Brescia
Contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco


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Due padri: da Venezia un’altra importante conferma

di Angelo Schillaci

Pubblichiamo l’ordinanza depositata il 16 luglio 2018 con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha riconosciuto gli effetti, in Italia, di una sentenza canadese che attribuiva la seconda paternità al coniuge del padre di un minore nato in Canada grazie ad una gestazione per altri.

Il ricorso traeva origine dal rifiuto – opposto dall’ufficiale di stato civile del Comune di residenza del minore – di rettificare l’atto di nascita già formato (e recante l’indicazione di un solo padre), a seguito di trascrizione dell’atto di nascita canadese, emendato in conseguenza della sentenza che riconosceva la seconda paternità. Di conseguenza, la coppia di padri adiva la Corte d’Appello di Venezia per veder riconoscere – ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218/95 – gli effetti della sentenza canadese, onde ottenere un titolo per la rettificazione dell’atto di nascita italiano.

Il caso – seguito dall’Avv. Alexander Schuster (alla cui cortesia dobbiamo la pubblicazione) – è dunque del tutto analogo a quello deciso dall’ordinanza della Corte d’Appello di Trento, avverso la quale pende ad oggi impugnazione dinanzi alla Corte di cassazione che, come noto, ha deferito la questione alla cognizione delle Sezioni Unite. Si tratta, pertanto, di un caso assai rilevante, che si inserisce nel dibattito in corso sulla questione degli effetti da riconoscersi, in Italia, ai rapporti di filiazione costituiti all’estero a seguito di gestazione per altri, che ha visto l’intervento recente della Corte costituzionale e che sta caratterizzando  – anche sulla nostra pagina – l’attesa della decisione delle Sezioni Unite.

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Focus ARTICOLO29\Contributi per un dibattito attuale: 1. VINCENZO BARBA, Note minime sull’ordine pubblico internazionale

 

In attesa della decisione delle Sezioni unite, con camera di consiglio prevista per il 6 novembre 2018, in ordine alle questioni poste dalla prima sezione con ordinanza n. 4382/2018 (relative alla legittimazione passiva del Sindaco e del Ministro dell’Interno ad essere parte nella procedura; la legittimazione dello stesso Procuratore generale presso la Corte d’appello a ricorrere in cassazione; la nozione più o meno ampia di “ordine pubblico internazionale” e la eventuale contrarietà allo stesso dell’omogenitorialità e del riconoscimento dello status di genitori a chi abbia ricorso all’estero a maternità surrogata; la sussistenza o meno di giurisdizione in capo all’Autorità giudiziaria ordinaria), ARTICOLO29 ha proposto ad alcuni giuristi, fra i massimi esperti in queste materie, di provare a delineare qualche possibile risposta.

Iniziamo da oggi la pubblicazione dei pareri, che proseguirà per tutta l’estate, cominciando con

  1. Vincenzo Barba, Note minime sull’ordine pubblico internazionale

 

 

Il Tribunale di Pistoia ordina al Sindaco di formare un atto di nascita con due mamme: è la prima volta

Abbiamo appena pubblicato, ieri, la fondamentale decisione della Corte d’Appello di Napoli che apre al riconoscimento dei bambini arcobaleno sin dalla nascita, che già oggi tocca dare conto della prima, storica, decisione italiana, emessa dal Tribunale di Pistoia con decreto del 5 luglio 2018 (pres. Fabrizio Amato, est. Laura Maione)  che dichiara in effetti l’illegittimità del diniego opposto dal Sindaco alla dichiarazione di riconoscimento del figlio minore da parte della madre non biologica e, per l’effetto, ordina allo stesso, nella sua qualità di Ufficiale di Stato Civile, di formare un nuovo atto di nascita con l’indicazione delle due madri, attribuendo al bambino il cognome di entrambe.

Notevole che il Tribunale ordini al Sindaco di annullare l’atto di nascita esistente, indicante un solo genitore e dunque errato, disponendo la sua sostituzione col nuovo atto di nascita «con indicazione delle due ricorrenti come madri».

Difficile sostenere, da oggi, che il Sindaco in qualità di Ufficiale di Stato Civile possa, o addirittura debba, iscrivere un solo genitore, quando per la Legge, correttamente interpretata dalla Corte d’Appello di Napoli e dal Tribunale di Pistoia, i genitori sono, in effetti, due.

Con riguardo alla vicenda de qua, dal decreto si evince come dopo la nascita del bambino, avvenuta negli ultimi mesi del 2017 a seguito di ricorso in Spagna ad una procreazione medicalmente assistita (di seguito PMA) di tipo eterologo (in tutto analoga, dunque, ad una PMA eterologa realizzata da una coppia di sesso diverso, oggi ammessa in Italia in seguito alla dichiarazione di incostituzionalità di cui a sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014), le due mamme avevano reso entrambe la dichiarazione di riconoscimento del figlio, ma il Sindaco del loro Comune aveva opposto un rifiuto, disponendo l’annotazione nell’atto di nascita di un solo genitore, identificato nella sola mamma “biologica”.

Con tale decisione, il Sindaco assumeva dunque che il nostro ordinamento dia prevalenza, anche in caso di ricorso a tecniche di procreazione “artificiale”, con concorso di un medico, al dato genetico o biologico, e non al dato obiettivo del consenso prestato alla tecnica di procreazione.

Avverso tale rifiuto i due genitori hanno proposto quindi ricorso ai sensi dell’art. 95, comma I, D.P.R. n. 396/2000, oggi accolto dal Tribunale, seguite dagli avvocati Federica Tempori e Vincenzo Miri nell’ambito di una iniziativa promossa dal Gruppo Legale dell’Associazione Famiglie Arcobaleno coordinata dal prof. Angelo Schillaci dell’Università La Sapienza di Roma.

La decisione del Tribunale toscano è fondata sul rilievo che la nostra legge non prevede affatto che in caso di PMA si debba dare rilevanza al dato genetico o biologico, prevedendo invece, a chiare lettere, che ai fini della determinazione dello status filiationis operi il diverso criterio della consapevole assunzione della responsabilità genitoriale sin dal concepimento del bambino (dunque persino prima della sua stessa nascita). Tale assunzione di responsabilità è irrevocabile, e dunque lo è anche il conseguente status.

Il Collegio della sezione famiglia del Tribunale di Pistoia sottolinea al riguardo come debba aversi riguardo all’art. 8 della legge n. 40 del 2004 per cui “I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6” (corsivo aggiunto), oltre che alle disposizioni di cui all’art. 9 della stessa legge (in particolare i commi 1 e 3), correttamente interpretati anche alla luce della L. 76/2016.

Al riguardo il Tribunale nota, innanzitutto, come qui si stia trattando non tanto il tema dei diritti dei genitori, ma dei diritti del bambino, posto che «il diritto alla genitorialità, e ancor più alla bigenitorialità, è un diritto prima di tutto del minore ad instaurare relazioni affettive stabili con entrambi i genitori, sia quando lo stesso sia stato concepito biologicamente che a mezzo delle tecniche mediche di cui alla PMA, posto che anche in tali ultimi casi il figlio è generato in forza di un progetto di vita comune della coppia, etero o omosessuale, volto alla creazione di un nucleo familiare secondo un progetto di genitorialità condiviso».

Il Tribunale richiama a tale proposito l’attenta dottrina (pubblicata su questo sito) per cui «la prospettiva determinante non è quella dei diritti della coppia, ma di quelli del nato nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo, diritti che non tollerano disparità di trattamento in ragione delle condizioni e convinzioni personali dei genitori, in quanto presidiati dall’art. 2 Cost.» (S. Stefanelli, Atto di nascita formato all’estero e bigenitorialità omosessuale: da Perugia un passo avanti verso il riconoscimento della filiazione intenzionale in ARTICOLO29, 2018).

Richiamata la già menzionata pronuncia della Corte Costituzionale n. 162/2014, (more…)

Corte di appello di Napoli: i bambini arcobaleno sono figli di entrambi i genitori sin dalla nascita

di Marco Gattuso

 1. La svolta di Napoli 

 

Se esiste in ogni cambiamento paradigmatico un punto di svolta, nella vicenda della tutela dei cd. bambini arcobaleno quel momento è forse giunto con la sentenza della Corte d’appello di Napoli (estensore Casaburi) depositata oggi, con cui la Corte ha ribaltato la decisione del Tribunale per i minorenni di Napoli di rigetto dell’adozione in casi particolari.

Appena quattro giorni fa avevamo commentato due decreti del tribunale di Torino che già avallavano, incidentalmente, la tesi interpretativa per cui deve applicarsi anche ai bambini nati da coppie dello stesso sesso la tutela giuridica assicurata dalla legge 40/2004 a tutti i bambini nati con PMA. Avevamo scritto di un primo avallo alla scelta compiuta dai sindaci di tutte le maggiori città italiane (Roma esclusa) di iscrivere i due genitori dello stesso sesso negli atti di nascita.

La Corte partenopea oggi non solo conferma quella linea, ma ne opera una compiuta ed assai dettagliata ricostruzione sistematica, ponendola al centro della propria decisione e traendone una conseguenza ineccepibile: se i bambini arcobaleno sono per la legge figli di entrambi i genitori fin dalla nascita, allora è evidente che deve accogliersi la richiesta della madre non biologica di adottare il figlio (con adozione in casi particolari, cd. stepchild adoption), poiché si tratta pur sempre di una tutela minimale che l’ordinamento non può negare ad una relazione che sarebbe comunque degna di più ampia tutela.

I giudici d’appello sembrano dirci: se avessimo avuto più spazio per la nostra decisione, se non fossimo limitati cioè dal principio della domanda e dai particolari limiti imposti dal gravame («nella specie, infatti, opera il principio della domanda, e d’altronde il presente giudizio è di appello»), avremmo potuto e dovuto riconoscere che l’istante non diventerà madre del bambino col provvedimento di adozione ex art. 44, ma che è già madre sin dalla sua nascita, avendo espresso, sia pure all’estero, il consenso di cui all’art. 6 della legge 40/2004, sicché in forza dell’art. 8 della stessa legge il bambino è già figlio di entrambi i membri della coppia.

La Corte precisa che non si tratta di un obiter dictum, ma propriamente del cuore della decisione («la Corte reputa che il gravame vada accolto – conformemente agli ulteriori motivi di appello – anche in una diversa e più ampia prospettiva, tanto non come obiter, ma al fine di assicurare una decisione, in diritto, più rigorosa e sistematica»).

Non sfuggirà che tale decisione segna quindi non soltanto un passaggio importante nel dibattito sull’ammissibilità della cd. stepchild adoption, ma sostanzia, appunto, una autorevole e assai approfondita rilettura di tutta la questione della cd. omoparentalità.

Come si è detto, la decisione si contraddistingue per la dettagliata ricostruzione sistematica (non va dimenticato che l’estensore materiale della motivazione, il consigliere Casaburi, non solo è giudice assai esperto, ma è uno dei massimi cultori della materia della famiglia e della filiazione, scrivendo da anni su questi temi nella più prestigiosa rivista giuridica italiana, Il Foro Italiano).

Dalla stessa si traggono numerose indicazioni su diversi punti (more…)

Figli alla nascita: dal tribunale di Torino una prima conferma per la “primavera dei comuni”

                                                                         di Marco Gattuso

1. Con due decreti depositati in data 21 maggio e 11 giugno 2018 il Tribunale di Torino ha disposto che due bambini, che il sindaco Chiara Appendino ha riconosciuto nelle scorse settimane come figli di due mamme (annotando entrambe le donne nel loro atto di nascita), prendano il doppio cognome.

Non si tratta, per esplicita segnalazione del tribunale, di decisioni che si occupano in via diretta della questione della bigenitorialità per i cd. bambini arcobaleno, e tuttavia le due decisioni gemelle presentano aspetti assai interessanti che vanno evidenziati e segnano, per quanto si dirà, il primo implicito avallo giudiziario della tesi sostenuta dagli ormai numerosissimi sindaci, di diverse coloriture politiche, che hanno contribuito in questi mesi al fenomeno della cd “primavera dei comuni” con l’iscrizione dei nominativi delle due mamme o due papà nel certificato di nascita di questi bambini (l’elenco é in continuo aggiornamento: Torino, Milano, Catania, Bologna, Firenze, Palermo, Napoli, Empoli, Gabicce, Grosseto, Serradifalco, Casalecchio di Reno…).

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