Categoria: genitorialità

Atto di nascita formato all’estero e bigenitorialità omosessuale: da Perugia un passo avanti verso il riconoscimento della filiazione intenzionale

di Stefania Stefanelli*

 

La decisione del Tribunale di Perugia si inserisce nel considerevole novero di quelle, di legittimità e di merito, che hanno disposto la trascrizione degli atti di nascita formati all’estero per bambini nati dal progetto procreativo di coppie formate da persone dello stesso sesso, a norma degli artt. 18 d.p.r. n. 396/2000 e 65 l. n. 218/1995, ritenendo che i relativi effetti non siano contrari all’ordine pubblico internazionale.

Sono «provvedimenti», ai sensi del citato art. 65, le sentenze e gli atti amministrativi che autoritativamente incidono sulle situazioni giuridiche riconnesse a capacità, diritti della personalità e rapporti di famiglia, ed in particolare quelli costitutivi o dichiarativi di stati familiari, capacità e diritti della personalità: tra questi, l’atto di nascita ha efficacia preclusiva di grado intermedio per l’accertamento della filiazione, mentre efficacia preclusiva massima spetta ai titoli giudiziali che accolgono le azioni di cui agli artt. 234, 239, 240, 269 c.c. o pronunciano l’adozione nelle forme della l. n. 184/1983.

La decisione aderisce al consolidato orientamento secondo il quale la filiazione giuridica non coincide necessariamente con la discendenza genetica, posto che ai sensi dell’art. 30, comma 4 Cost., le norme di rango primario fissano i limiti alla ricerca della paternità (e della maternità, non più certa per natura, in dipendenza della medicina riproduttiva), con disposizioni tipiche e di stretta interpretazione, ispirate alla salvaguardia dei diritti fondamentali (cfr. C. cost. n. 70/1965), alla luce del principio fondamentale di garanzia del pieno sviluppo della personalità umana. Tali erano quelle che impedivano il riconoscimento e la dichiarazione della nascita adulterina e di quella incestuosa, a garanzia dell’unità della famiglia matrimoniale. Mutato l’assetto assiologico (come ricorda Cass. n. 14878/2017), il riferimento è oggi: a) all’art. 9 l. n. 40/2004, che impedisce la rimozione dello stato di figlio della coppia che ha espresso il consenso alla p.m.a. ed esclude qualsiasi rapporto giuridico tra donatore/donatrice e nato; b) l’art. 27, comma 3, l. n. 184/1983, per il quale «con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine, salvi i divieti matrimoniali»; c) agli artt. 244 e 263 c.c. che, introducendo termini decadenziali alle azioni ablative, manifestano il favor opposto a quello veritatis, che sostiene la conservazione di uno status non veridico, ma corrispondente alla consolidata affettività, presumendo che questo sia l’interesse del figlio, a meno che non sia costui a decidere altrimenti, promuovendo l’azione in qualsiasi tempo.

Lo ha recentemente confermato la Consulta, interrogata sulla legittimità dell’art. 263 c.c., affermando il rilievo costituzionale – autonomo e potenzialmente confliggente (more…)

Il Tribunale Costituzionale portoghese si pronuncia sulla gestazione per altri

Il 24 aprile 2018, il Tribunale costituzionale del Portogallo ha depositato l’attesa decisione sulla recente legge di riforma della disciplina della procreazione medicalmente assistita che ha introdotto, tra l’altro, la gestazione per altri nell’ordinamento portoghese. La decisione, peraltro, si occupa anche di altri aspetti importanti, su tutti l’anonimato dei donatori, nella loro relazione con il diritto del nato all’identità personale e alla conoscenza delle proprie origini.
Si tratta della prima decisione di una Corte costituzionale europea che affronta direttamente la legittimità costituzionale della gestazione per altri, che viene inquadrata – assai significativamente – nella cornice del principio del rispetto della dignità umana, declinata nella sua dimensione di libertà di autodeterminarsi.
Una vera e propria sentenza-trattato (corredata da numerose opinioni concorrenti e dissenzienti, che arricchiscono ulteriormente la decisione), che fa ampio ricorso all’argomento comparativo (confrontandosi con le esperienze di altri ordinamenti) e a contenuti normativi di fonte internazionale e sopranazionale, mantenendo tuttavia la Costituzione portoghese – e la centralità del principio dignità da essa riconosciuto in più luoghi (ed anche come limite interno della disciplina della p.m.a., all’art. 67, comma 2) – come centro pulsante di un parametro di giudizio pure assai aperto agli apporti “esterni”.
Proprio l’autodeterminazione della donna – nel suo legame irrinunciabile con la dignità – è il perno attorno a cui ruota tutta la decisione.
In particolare, è proprio grazie al nesso dignità-autodeterminazione che la GPA – in sé considerata – è ritenuta non contrastante con la Costituzione portoghese: la scelta di portare a termine una gravidanza per altri – segno di solidarietà attiva nell’altrui progetto procreativo, come sottolinea il Tribunale – rientra infatti nella capacità della donna di autodeterminarsi, dando libero svolgimento alla propria personalità. Affinché tale autodeterminazione sia effettiva è tuttavia necessario, ritiene il Tribunale, che il diritto intervenga a disciplinare con attenzione le relazioni implicate dal fenomeno.
Per questo, dalla concezione esigente dell’autodeterminazione della donna (e delle altre parti coinvolte) discendono alcune importanti dichiarazioni di incostituzionalità, relative in particolare:
a) all’assenza del diritto al ripensamento, nel suo intreccio anche con il diritto ad interrompere la gravidanza;
b) conseguentemente, all’automatica previsione dell’attribuzione al nato dello status di figlio dei genitori intenzionali (è censurato l’automatismo, proprio perché non contempla l’eventualità del ripensamento della donna);
c) sempre conseguentemente, di una serie di previsioni che – a detta della Corte – non disciplinano con sufficiente dettaglio (e soprattutto, rinviando alla fonte regolamentare e non a quella legislativa) i contenuti dell’accordo tra la gestante e i genitori intenzionali.
(Angelo Schillaci)

Comune di Torino sulla iscrizione di due mamme o papà negli atti di nascita: non è una forzatura giuridica

di Marco Gattuso

La sindaca di Torino ha annunciato ieri la volontà di iscrivere all’anagrafe i figli nati da coppie di due mamme o due papà.
La decisione è scaturita dal caso (riportato dalla stampa nei giorni scorsi ) di due mamme che avevano chiesto – non la trascrizione di un certificato estero ma – di iscrivere un certificato di nascita con due mamme per un bambino che è nato qui in Italia.
La questione delle trascrizioni di atti di nascita esteri é stata già affrontata e risolta positivamente da altri Comuni in casi ormai numerosi, in particolare grazie a due importanti pronunce della Corte di Cassazione (vedi qui e qui).
Il Comune di Torino si allinea a tale indirizzo e annuncia tuttavia oggi anche una scelta nuova, poiché qui non si tratta di ammettere un atto già formato all’estero (che come noto può essere trascritto sempre, anche se non conforme alle nostre leggi, purché non sia contrario all’ordine pubblico internazionale), ma di formare un atto di nascita con due mamme o due papà, in quanto lo si assume conforme alla nostra legge nazionale.
Si tratta di una scelta importante, perché segna il passaggio al riconoscimento che i bambini nati dalle “famiglie arcobaleno” possono godere di una tutela piena già secondo le leggi vigenti. Ben oltre la cd. stepchild adoption che lascia questi bambini privi di un genitore per anni, che dipende da una successiva scelta dei genitori, che deve essere sottoposta a un nuovo vaglio dei tribunali (spesso lungo, incerto e costoso) e che secondo alcuni non dà neppure effetti pieni.
Nel comunicato della sindaca di Torino si legge che vi è la sua “ferma volontà di dare pieno riconoscimento alle famiglie di mamme e di papà con le loro bambine e i loro bambini” per cui “da mesi stiamo cercando una soluzione compatibile con la normativa vigente” e che “la nostra volontà è chiara e procederemo anche forzando la mano, con l’auspicio di aprire un dibattito nel Paese in tema di diritti quanto mai urgente”.
Nel comunicato, la sindaca sottolinea dunque come questa svolta sia diretta, innanzitutto, a riaprire il dibattito politico sulla questione dell’omogenitorialità.
Non è questa evidentemente la sede per discutere le implicazioni e gli effetti politici di questa scelta, mentre può essere utile riflettere sulle sue implicazioni strettamente giuridiche e, soprattutto, sul fondamento giuridico di questa decisione.

La sindaca, dunque, afferma che procederà senz’altro alla formazione degli atti di nascita, che il suo ufficio sta “cercando una soluzione compatibile con la normativa vigente” e che comunque non è neppure esclusa la eventualità di “forzare la mano”.
È ovvio che il sindaco, quando agisce quale ufficiale di stato civile, debba tenere (more…)

Joan ha due mamme: il Tribunale di Perugia ordina la trascrizione integrale dell’atto di nascita

Pubblichiamo il decreto con il quale il Tribunale di Perugia ha ordinato la trascrizione integrale dell’atto di nascita, formato in Spagna, recante l’indicazione di due madri, genetica e di parto. La vicenda – seguita dagli Avv. Vincenzo Miri e Martina Colomasi di Avvocatura per i diritti LGBT-Rete Lenford – trae origine dal diniego di trascrizione opposto dal Comune di Perugia, e successivamente impugnato ex art. 95 del D.P.R. n. 396/2000; diniego  in conseguenza del quale, peraltro, il minore (residente in Spagna con le due mamme, entrambe cittadine italiane, ed ivi regolarmente coniugate)  si era visto precluso il riconoscimento della cittadinanza italiana jure sanguinis, con conseguenze assai significative sul piano della libertà di circolazione. A seguito dell’azione, il Comune aveva provveduto alla trascrizione parziale dell’atto di nascita – con riferimento, cioè, alla sola madre partoriente: detta trascrizione è peraltro ritenuta non satisfattiva dal Tribunale di Perugia che, ritenendo tuttora sussistente l’interesse a ricorrere, si è pronunciato nel merito.

La decisione si pone in linea con la giurisprudenza della prima sezione civile della Corte di cassazione che – con le decisioni n. 19599/16 e 14878/17 – già ha affermato la trascrivibilità di atti di nascita stranieri legittimamente formati all’estero e recanti l’indicazione di due genitori del medesimo sesso, ritenendo tali atti non contrari all’ordine pubblico cd. internazionale. Coerentemente con la giurisprudenza di legittimità, il Tribunale di Perugia conferma dunque la non contrarietà all’ordine pubblico internazionale tanto dell’indicazione di due genitori del medesimo sesso, quanto della circostanza che il minore sia venuto al mondo tramite ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita non consentite dal nostro ordinamento: in sede di giudizio di non contrarietà all’ordine pubblico internazionale, infatti, il giudice non è tenuto a verificare che l’atto straniero applichi una disciplina della materia conforme a quella prevista dall’ordinamento italiano, bensì unicamente che esso non contrasti con i principi fondamentali della Costituzione e, soprattutto, con l’interesse del minore.

Nelle pieghe della decisione, si scorgono peraltro alcuni riferimenti ulteriori, che paiono suscettibili di approfondire l’inquadramento giuridico dell’omogenitorialità – ma anche, più in generale, di tutte le forme di genitorialità non biologica – nel nostro ordinamento. In particolare, il Tribunale di Perugia chiarisce che – alla luce della Costituzione e della legislazione in materia – non è desumibile un legame biunivoco fra attribuzione dello status di figlio e sussistenza di un legame biologico o genetico con il genitore: come si legge nella decisione, infatti, nel nostro ordinamento la genitorialità può fondarsi tanto su tale legame quanto su criteri ulteriori quali “l’affettività, se e quando corrisponde all’interesse superiore del figlio […] il consenso, nei casi previsti dalla legge n. 40/2004 [e] il favor stabilitatis” che deriva, in particolare, dal regime decadenziale previsto per le azioni di accertamento e contestazione dello status. Con riferimento specifico all’elemento del consenso, è importante sottolineare l’accenno – contenuto nella decisione – all’art. 8 della legge n. 40/2004, che riconnette l’attribuzione dello status di figlio, nei casi di p.m.a. cd. eterologa, al consenso prestato alla tecnica di p.m.a., indicato quale segnale importante della possibile scissione – nella costituzione dello status – tra genetica e intenzione.

In tale prospettiva sembra delinearsi, infine, una declinazione ampia dei concetti di interesse del minore e, soprattutto, di identità personale, i percorsi di determinazione della quale prescindono da una rilevanza assoluta del tradizionale favor veritatis, ricomprendendo piuttosto la considerazione di fattori ulteriori, quali lo specifico progetto procreativo che ha determinato la nascita (“essere stato desiderato, e poi generato, da quel genitore e/o da quella coppia di genitori, è parte irriducibile dell’identità personale di ogni essere umano”, si legge in altro luogo della decisione) ma anche, e soprattutto, il concreto atteggiarsi delle relazioni affettive tra il minore e i genitori: un percorso già delineato dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 272/17 e che, a ben vedere, il Tribunale di Perugia non solo segue, ma arricchisce di sfumature ulteriori.

(A.S.)

Corte d’appello di Genova: riconoscimento automatico di adozione omogenitoriale nazionale straniera

di Guido Noto La Diega* 

Con ordinanza n. 1319 del 1 Settembre 2017, la Corte d’Appello di Genova si è pronunciata in tema di trascrizione della sentenza straniera concedente l’adozione a una coppia di coniugi del medesimo sesso e trascrizione del certificato di nascita del minore adottato. Il collegio genovese dichiara l’efficacia della sentenza straniera e ordina la trascrizione della stessa e del certificato di nascita nei registri dell’Ufficio di Stato Civile sulla base di tre considerazioni. Innanzitutto la vicenda è regolata dalla legge n. 218/1995 (nel prosieguo anche ‘legge sul diritto internazionale privato’ o ‘legge d.i.p.’) e non dalla legge n. 184/1983 (nel prosieguo anche ‘legge sulle adozioni’). Ne segue che la regola è il riconoscimento automatico dell’adozione da parte dell’ufficiale dello stato civile, mentre il vaglio del Tribunale dei Minorenni previsto dalla legge sulle adozioni è eccezionale e limitato alla c.d. adozione internazionale. Quest’ultima si ha quando una coppia residente in Italia adotta un minore in stato di abbandono e residente all’estero. In secondo luogo, i provvedimenti de quibus vanno obbligatoriamente riconosciuti al ricorrere di quattro condizioni: competenza dell’autorità che li ha emessi, efficacia nell’ordinamento estero considerato, non contrarietà all’ordine pubblico e rispetto dei diritti di difesa. La detta non contrarietà è la condizione principale è sul punto la Corte d’Appello è cristallina nello statuire che la limitazione dell’adozione alle coppie unite in matrimonio non è una norma fondamentale, di talché la sua violazione non attiva il limite dell’ordine pubblico internazionale, il quale negli anni è andato significativamente erodendosi per via pretoria. Il nucleo di questo limite è nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, che, in subiecta materia, prendono il volto del prevalente interesse del minore. In quest’ultimo si sostanzia il terzo ordine di considerazioni del collegio. L’interesse del minore deve valutarsi in concreto, alla luce del diritto alla continuità delle relazioni affettive e al tranquillo godimento dello status filiationis. L’importanza dell’interesse del minore è tale che, un provvedimento che potrebbe prima facie sembrare in contrasto con l’ordine pubblico, non è da considerarsi tale perché riflette l’interesse del minore. In conclusione, l’ordinanza annotata consolida e chiarifica il diritto vivente sotto almeno tre profili. Anzitutto, le coppie omogenitoriali integrano a pieno titolo il concetto di famiglia, il che si riverbera sul fatto che è nell’interesse del minore crescere nel suddesto consesso familiare. Un secondo profilo attiene alla conferma dell’ordine pubblico internazionale come norma ad applicazione eccezionale e interpretata in modo tale da assicurare la massima apertura possibile agli ordinamenti stranieri. Terzo, con più diretto riguardo al caso di specie, si conferma quanto statuito dalla Corte d’Appello di Milano con ordinanza del 5 Ottobre 2016 in tema di riconoscimento e trascrizione di provvedimenti stranieri di adozione a favore di coppie omogenitoriali (v. M.M. Winkler, Riconoscimento e trascrizione di un’adozione straniera da parte di una coppia same-sex: la pronuncia della Corte d’Appello di Milano). In pari tempo, la sentenza può essere vista come un passo avanti rispetto al decreto del Tribunale per i Minorenni di Firenze che, il 7 Marzo 2017, pur riconoscendo l’efficacia di un’adozione omogenitoriale di due cittadini italiani residenti nel Regno Unito, non aveva riconosciuto la natura schiettamente internazionalprivatistica della vicenda, applicando invece il meno favorevole regime dell’art. 36, comma 4 legge sulle adozioni (v. il commento di A. Schillaci, “Una vera e propria famiglia”: da Firenze un nuovo passo avanti per il riconoscimento dell’omogenitoritalità).

Il fatto

Con sentenza del 10 Marzo 2016, il Tribunal de Justiça di uno stato nel Brasile concedeva la adopção di minore a un cittadino italo-brasiliano e uno franco-brasiliano uniti in matrimonio. Col provvedimento straniero (more…)

Primo caso di GPA in Portogallo dopo l’approvazione della legge

di Giovanni Damele*

Dopo l’approvazione, il 31 luglio, del Decreto Regulamentar n.º 6/2017 che dà applicazione alla legge 25/2016 del 2016 sulla surrogazione di maternità, in Portogallo si registra il primo caso di autorizzazione, da parte del Consiglio per la Procreazione Medicalmente Assistita (CPMA) di una gestazione per altri. Si tratta di una donna che “sostituirà” la figlia alla quale era stato asportato l’utero a causa di un’endometriosi.

Il processo legislativo che, su iniziativa del Bloco de Esquerda (uno dei partiti della sinistra lusitana che appoggiano l’attuale monocolore socialista), aveva portato nell’agosto del 2016 alla promulgazione della legge sulla “gestazione per sostituzione” è così giunto, dopo l’approvazione del decreto attuativo, a definitivo compimento. Il dibattito parlamentare, già nel corso del 2016, si era concentrato su alcuni aspetti chiave del decreto: il carattere di eccezionalità del ricorso alla gestazione per altri, il titolo gratuito, la salvaguardia del legame “privilegiato” tra la madre genetica e il bambino. Queste preoccupazioni, in particolare, avevano spinto il Presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa a rinviare, in un primo tempo, la legge all’Assembleia da República per chiarire alcuni punti che, secondo il parere del Consiglio Nazionale portoghese di Bioetica (CNEV), avrebbero potuto incidere sulla protezione dei diritti della gestante e del bambino.

La redazione finale è stata approvata con voto definitivo grazie ai voti delle sinistre (escluso il Partito Comunista Portoghese) e di 24 deputati del principale partito di centro-destra, il PSD, tra cui l’ex primo ministro Pedro Passos Coelho. La nuova legge si è così inserita nella più ampia revisione della legislazione sulla procreazione medicalmente assistita (PMA), posta in atto dal parlamento lusitano nel corso degli ultimi due anni. Grazie a tale riforma, tra l’altro, la possibilità di accesso alla PMA è stata consentita a tutte le donne, eliminando ogni requisito legato allo stato civile o all’orientamento sessuale.

Il decreto attuativo apre quindi la possibilità di iniziare l’iter di autorizzazione che conduce alla richiesta di maternità surrogata. Sulla base della legge 25/2016, possono avere accesso alla “gravidanza di sostituzione” le donne che si trovino ad avere una situazione clinica – debitamente comprovata – che impedisca la gravidanza (la legge fa esplicito riferimento a situazioni assolutamente eccezionali e a rigidi requisiti di ammissibilità). Il decreto è giunto ora a definire l’iter di autorizzazione. Il ricorso alla maternità surrogata sarà possibile soltanto in situazioni eccezionali e a titolo gratuito, in casi quali l’avvenuta asportazione dell’utero o la presenza di lesioni o patologie dell’utero o di altre situazioni cliniche che impediscano “in maniera assoluta e definitiva” la gravidanza. A fronte di una comprovata situazione di questo genere, il ricorso alla maternità surrogata deve essere soggetto alla celebrazione di un apposito “contratto di maternità surrogata”, la quale a sua volta dipende da una preventiva autorizzazione da parte del Consiglio Nazionale per la Procreazione Medicalmente Assistita (CNPMA) e da un parere dell’Ordine dei Medici.

Quest’ultimo, non vincolante, dovrà essere sottoposto (more…)

Il dialogo fra le corti minorili in materia di stepchild adoption

di Marco Gattuso* e Angelo Schillaci**

 

1. Palermo, Bologna, Venezia: tre punti di vista sulla stepchild adoption

Nelle ultime settimane sono state depositate tre sentenze in materia di adozione coparentale (Tribunale per i minorenni di Venezia del 31 maggio 2017, depositata il 15 giugno; Tribunale per i minorenni di Palermo del 30 luglio 2017; Tribunale per i minorenni di Bologna del 20 luglio 2017, depositata il 31 agosto), le quali – ad un anno dalla decisione con cui la Cassazione (con la nota sentenza n. 12962 del 24 maggio 2016) l’ha ammessa in caso di conviventi anche dello stesso sesso – rappresentano tre diversi atteggiamenti dei tribunali italiani sulla questione che tanto ha agitato il dibattito pubblico durante l’iter della legge sull’unione civile: la c.d. stepchild adoption applicata alle coppie omosessuali.

Tutti e tre i tribunali aderiscono in linea di principio all’indirizzo della Cassazione, potendosi ritenere così verosimilmente accantonato quell’orientamento di netta contrapposizione seguito dai Tribunali per i minorenni di Torino e Milano (Torino 11 settembre 2015; Milano, 17 ottobre 2016 in Articolo29 con nota S. Stefanelli, che divergevano con varia motivazione dall’interpretazione evolutiva del tribunale per i minorenni di Roma avallato dalla Cassazione), le cui decisioni sono state poi riformate dalle rispettive Corti di appello (Torino 27 maggio 2016; Milano 9 febbraio 2017).

In nessun caso, inoltre, viene negato che una volta ammessa l’applicabilità dell’art. 44 lettera d) legge n. 184/83 (d’ora in poi, legge adoz.) al convivente del genitore legalmente riconosciuto, la stessa debba essere estesa anche nell’ambito delle coppie omosessuali. Sul punto valga il richiamo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani che vieta ogni distinzione fra coppie conviventi eterosessuali e omosessuali anche in materia di adozioni[1]. Sulla idoneità genitoriale delle coppie dello stesso sesso valga inoltre il rimando all’unanime presa di posizione delle organizzazioni degli psicologi, degli psicoanalisti e dei pediatri, quali si desumono dai loro statements ufficiali[2], e la costante giurisprudenza europea[3],  internazionale[4] e della nostra Corte di cassazione[5] e di merito[6].

Ciò nonostante, il Tribunale per i minorenni di Palermo giunge a conclusioni che annullano ogni pratico effetto giuridico all’indirizzo della Suprema Corte (tant’è che il ricorso viene rigettato), mentre la decisione veneziana, pur favorevole per la ricorrente, appare dissonante nella motivazione.

Di tutt’altro segno la decisione del Tribunale per i minorenni bolognese (la quale segue alcune sentenze analoghe depositate in luglio, contenenti interessanti e innovative affermazioni con riguardo alla natura familiare delle relazioni e agli effetti in materia della legge n. 76/2016 istitutiva  dell’unione civile fra persone dello stesso, per cui si rimanda ad altro commento in questo sito[7] ), a nostro avviso del tutto condivisibile ed assai accurata, la quale contiene una precisa e chiara risposta alla sollecitazione palermitana, in un interessante e singolare dialogo fra le nostre corti minorili.

Da un lato, pertanto, le decisioni in commento confermano che l’orientamento inaugurato dal Tribunale per i minorenni di Roma nel 2014 e confermato dalla Corte di cassazione (more…)

Riconoscimento e trascrizione di un’adozione straniera da parte di una coppia same-sex: la pronuncia della Corte d’Appello di Milano

di Matteo M. Winkler*

Con l’ordinanza del 5 ottobre 2016 (dep. nel giugno 2017), la Corte d’Appello di Milano si è pronunciata in tema di riconoscimento e trascrizione di provvedimenti stranieri di adozione a favore di coppie di genitori dello stesso sesso, facendo il punto su alcuni interessanti profili di ordine processuale e sostanziale. Si conferma così l’ormai consolidato orientamento delle corti di merito che, accogliendo positivamente realtà omogenitoriali straniere, finisce per prendere atto di esperienze familiari che esistono anche nel nostro Paese.

Il caso

Nel caso sottoposto alla Corte d’Appello di Milano un padre, cittadino italiano naturalizzato americano, domandava il riconoscimento e la trascrizione di un order of adoption con il quale la Surrogate’s Court di New York aveva pronunciato l’adozione di un bambino a favore suo e del marito, anch’egli cittadino americano. A New York, infatti, l’adozione congiunta da parte di coppie omosessuali è da tempo possibile, e il matrimonio tra persone dello stesso sesso è legale grazie al Marriage Equality Act del 2011.

Rivoltosi inizialmente all’ufficio di stato civile del comune di ultima residenza, il ricorrente si era visto rigettare l’istanza con la motivazione che sarebbe stato necessario un intervento del tribunale per i minorenni ai sensi dell’art. 36, co. 4, della Legge 4 maggio 1984, n. 183 (Diritto del minore ad una famiglia).

Diversamente, la Corte d’Appello di Milano ha ritenuto di dover accogliere il ricorso, e ciò sulla base di tre ragioni. Anzitutto, sotto il profilo processuale il ricorso deve inquadrarsi nelle norme della Legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) che consentono l’immediata efficacia dei provvedimenti stranieri di adozione. In secondo luogo, la Corte afferma che un provvedimento di adozione rilasciato a favore di una coppia dello stesso sesso non può essere contrario all’ordine pubblico internazionale, con ciò seguendo l’orientamento della Corte di Cassazione (sent. 30 settembre 2016, n. 19599). In terzo luogo, viene effettuata la classica valutazione della conformità della soluzione al preminente interesse del bambino, come prescrive l’art. 57 della Legge 184/1983. (more…)

Riconoscimento dell’atto di nascita da due madri, in difetto di legame genetico con colei che non ha partorito. Nota a Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878.

di Stefania Stefanelli*

 

La Cassazione torna a pronunciarsi sulla rettificazione o sostituzione dell’atto di nascita formato all’estero con indicazione di due madri, originariamente trascritto nei registri dello stato civile italiano come figlio della sola partoriente (Cass., sentenza n. 14878 del 26 ottobre 2016, depositata il 15 giugno 2017) . La fattispecie oggetto del giudizio si distingue da quella cui la stessa prima sezione dedicò la decisione n. 19599/2017 in quanto difetta qualsiasi legame biologico tra il bambino e la seconda madre, legata alla partoriente da matrimonio celebrato all’estero.

Al pari del richiamato precedente e di Cass. 12962/2017, in tema di adozione in casi particolari del figlio del/la partner, il Collegio ribadisce che non si tratta di questione da sottoporre alle sezioni unite per il solo fatto di riferirsi a diritti fondamentali o a questioni nuove, spettando la funzione nomofilattica anche alle sezioni semplici.

Ritenuto ammissibile il ricorso avverso l’ordinanza emessa in sede di reclamo, in materia di volontaria giurisdizione, in quanto provvedimento privo di specifico rimedio, avente carattere decisorio e definitivo, incidenza su diritti soggettivi attinenti allo status ed all’identità delle persone, la Corte principia l’esame del merito affrontando “seppur incidentalmente”, la questione della contrarietà o meno all’ordine pubblico del matrimonio o della convivenza tra persone dello stesso sesso, e la risolve ricordando il proprio orientamento che, superata la nozione di inesistenza, ha concluso per l’inefficacia del matrimonio same sex celebrato all’estero (Cass. 4184/2012).

Unione civile e adozione coparentale

Si apre di seguito il primo dei passaggi della motivazione degni di particolare rilievo, essendo questa la prima occasione in cui la Corte si pronuncia ex professo circa la compatibilità della l. 76/2016, istitutiva dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, con la disciplina della filiazione: i precedenti citati avevano, invece, evitato di statuire in merito al comma 20 della legge, perché non applicabile ratione temporis.

Ritiene il Collegio che, in ragione dell’esclusione della disciplina delle adozioni dalla clausola di equivalenza di cui al primo periodo del citato comma 20, “non si potranno (more…)

La vita non si ferma: l’unione civile, la famiglia, i diritti dei bambini

di Angelo Schillaci

Pubblichiamo, con un breve commento, le due sentenze con le quali il Tribunale per i minorenni di Bologna ha disposto l’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d) della legge n. 184/1983 a favore di due minori, nei confronti del partner omosessuale del genitore genetico. 

A poco più di un anno dall’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76 e dalla pronuncia con la quale la prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione ha confermato l’innovativo orientamento inaugurato dal Tribunale per i minorenni di Roma nel 2014, continua a farsi strada, nel nostro ordinamento, la tutela dei figli e delle figlie nati, accolti e cresciuti in famiglie omogenitoriali attraverso l’istituto dell’adozione in casi particolari, pure a seguito dello stralcio della disposizione che, nell’originario testo del disegno di legge sulle unioni civili, mirava a novellare l’art. 44, lett. b) della legge n. 184/1983, estendendo alle parti dell’unione civile l’istituto dell’adozione del figlio del coniuge, ivi disciplinato. Dopo le pronunce della Corte d’Appello di Torino e di Milano, e la recentissima decisione del Tribunale per i minorenni di Venezia, arriva anche da Bologna una ulteriore conferma della possibilità di applicare l’art. 44, lett. d) della legge n. 184/1983 nel caso di adozione del figlio del partner omosessuale. (more…)

Anche da Milano, dopo la Cassazione, Roma e Torino, semaforo verde per l’adozione coparentale

imagedi Marco Gattuso

Pubblichiamo la sentenza della Corte d’appello di Milano del 9 febbraio 2017 con la quale viene riformata la sentenza emessa dal tribunale di Milano il 13.9.2016 (e depositata il 17.10.2016) che rigettava come noto l’istanza di ammissione all’adozione in casi particolari ai sensi della lettera d) della legge adozioni da parte della madre sociale evidenziando la ritenuta impossibilità di utilizzare tale disposizione al fine di dare riconoscimento giuridico a tale relazione di fatto, come invece ritenuto dalla Corte di cassazione con la nota sentenza n. 12962 del 2016. In seguito a tale sentenza della Suprema Corte, il tribunale di primo grado aveva prospettato una diversa lettura del quadro normativo, peraltro revocando il proprio precedente indirizzo di cui a sentenza del 28 marzo 2007 con cui aveva già ammesso l’utilizzabilità dell’art. 44 lettera d) a tutela del figlio convivente con una coppia (eterosessuale) non coniugata. Secondo il tribunale per i minorenni ogni problema di discriminazione tra i minori che vivono con coppie di fatto eterosessuali ed omosessuali sarebbe così agevolmente superato, posto che l’adozione del figlio biologico del convivente dovrebbe ritenersi preclusa sia a coppie omosessuali che eterosessuali (i giudici d’appello ricordano al riguardo che il tribunale di primo grado così facendo “nega in radice la possibilità di adozione speciale del figlio del convivente, accedendo alla interpretazione restrittiva della norma in esame che peraltro lo stesso Tribunale per i Minorenni di Milano, già a partire dal 2007, aveva invece superato, pronunziandosi più volte favorevolmente, con diversi Collegi, in casi di adozione ex art. 44 lettera d) del figlio del convivente”).

I giudici di appello, su conforme parere favorevole della Procura generale, hanno respinto tale proposta interpretativa dei giudici di primo grado, osservando in particolare come non risulti condivisibile l’assunto del tribunale per cui le ipotesi di cui all’art. 44 lettere a), c) e d) si riferirebbero tutte a situazioni che hanno alla base “l’abbandono o gravi carenze delle figure genitoriali”, circostanza che non si riscontrerebbe nella specie in quanto il bambino era perfettamente accudito dalla mamma biologica. Come noto tale impostazione era stata severamente criticata in (more…)

Due padri, i loro figli: la Corte d’Appello di Trento riconosce, per la prima volta, il legame tra i figli e il padre non genetico

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di Angelo Schillaci*

Pubblichiamo l’ordinanza con la quale la Corte d’Appello di Trento, in data 23 febbraio 2017, ha disposto il riconoscimento di efficacia giuridica al provvedimento straniero che stabiliva la sussistenza di un legame genitoriale tra due minori nati grazie alla gestazione per altri – nel quadro di un progetto di genitorialità in coppia omosessuale – ed il loro padre non genetico.

Si tratta di una pronuncia di assoluta rilevanza, in quanto per la prima volta un giudice di merito applica, in una coppia di due padri, i principi enunciati dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 19599/2016, in tema di trascrizione dell’atto di nascita straniero recante l’indicazione di due genitori dello stesso sesso.

L’ordinanza richiama alcuni capisaldi della decisione della Corte di legittimità, ed in particolare: a) in merito al giudizio di compatibilità tra il provvedimento straniero e l’ordine pubblico, la necessità di far riferimento ad un concetto di ordine pubblico dai contorni larghi, al fine di valutare non già se il provvedimento straniero applichi una disciplina della materia corrispondente a quella italiana, bensì piuttosto se esso appaia conforme alle esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo (in questo caso, del minore) come garantiti dalla Costituzione italiana e dai principali documenti internazionali in materia; b) l’esigenza di salvaguardare il diritto del minore alla continuità dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori, il cui mancato riconoscimento non solo determinerebbe un grave pregiudizio per i minori, ma li priverebbe di un fondamentale elemento della loro identità familiare, così come acquisita e riconosciuta nello stato estero in cui l’atto di nascita è stato formato; c) l’assoluta indifferenza delle tecniche di procreazione cui si sia fatto ricorso all’estero, rispetto al diritto del minore al riconoscimento dello status filiationis nei confronti di entrambi i genitori che lo abbiano portato al mondo, nell’ambito di un progetto di genitorialità condivisa.

A tale ultimo riguardo, sempre limitandosi a sintetiche notazioni a prima lettura, merita di essere sottolineato un passaggio, nel quale la Corte d’Appello di Trento fa giustizia della pretesa esclusività del paradigma genetico/biologico nella costituzione dello stato giuridico di figlio (e correlativamente di genitore). Secondo la Corte, infatti, l’insussistenza di un legame genetico tra i minori e il padre non è di ostacolo al riconoscimento di efficacia giuridica al provvedimento straniero: si deve infatti escludere “che nel nostro ordinamento vi sia un modello di genitorialità esclusivamente fondato sul legame biologico fra il genitore e il nato; all’opposto deve essere considerata l’importanza assunta a livello normativo dal concetto di responsabilità genitoriale che si manifesta nella consapevole decisione di allevare ed accudire il nato; la favorevole considerazione da parte dell’ordinamento al progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli anche indipendentemente dal dato genetico, con la regolamentazione dell’istituto dell’adozione; la possibile assenza di relazione biologica con uno dei genitori (nella specie il padre) per i figli nati da tecniche di fecondazione eterologa consentite” (pp. 17-18).

In questo senso, molto interessante anche la lettura della recente sentenza Paradiso e Campanelli c. Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo, del 24.1.2017: in particolare, la Corte d’Appello mette in luce l’assoluta peculiarità del caso deciso dalla Corte di Strasburgo, specie sotto il profilo della pluralità di elementi che avevano condotto la Corte alla pronuncia negativa (e dunque, non solo l’assenza di legame biologico, ma anche e soprattutto la breve durata della relazione familiare di fatto in quel caso stabilitasi tra il bambino e i genitori intenzionali nonché la precarietà dei legami dal punto di vista giuridico), così escludendo che il decisum di Strasburgo possa rappresentare un ostacolo al riconoscimento del legame tra i minori ed il loro padre non genetico.

Dalla Corte d’Appello di Trento giunge così una significativa conferma – per la prima volta a proposito di una famiglia omogenitoriale con due padri, e sempre mettendo al centro la salvaguardia dell’interesse del minore – che madri e padri si diventa non soltanto grazie al corpo, o ai geni ma anche e soprattutto grazie all’intenzione, dunque al desiderio che sappia tradursi in consapevole assunzione di responsabilità.

* Ricercatore RTDB Università di Roma “Sapienza”

Furto di identità: che fine ha fatto il cognome dell’unione civile?

magritte  di Marco Gattuso*

 

1. Premessa: le mele avvelenate.

L’11 di febbraio è entrato in vigore il d.lgs. n. 5 del 19 gennaio 2017 con il quale il Governo dà attuazione alla delega contenuta nel comma 28 della Legge sull’unione civile in materia di stato civile.

Il decreto contiene due norme in materia di cognome che appaiono fortemente sospette di illegittimità costituzionale per eccesso di delega. Con la prima il legislatore delegato impone una sostanziale abrogazione del comma 10 della Legge. Con la seconda si prevede addirittura la cancellazione dei cognomi già scelti dalle parti in questi primi sette mesi di vigore della norma, con una procedura amministrativa de plano e senza contraddittorio.

A queste mele avvelenate del decreto governativo è dedicato questo breve studio.

2. Il cognome della famiglia: una vera novità per il diritto di famiglia italiano.

L’introduzione del cognome comune rappresenta il più innovativo effetto personale dell’unione civile. La dottrina ne ha segnalato l’evidente rilevanza simbolica, in quanto la previsione di un cognome comune dell’unione ne sottolinea la natura familiare e ne rimarca l’unità, conferendo rilevanza esterna e visibilità all’unione. La disciplina del cognome dell’unione civile appare inoltre assai più egualitaria di quella del matrimonio e rappresenta, pertanto, uno di quei passaggi del testo legislativo che sono stati indicati dalla migliore dottrina come più moderni rispetto alla stessa disciplina del matrimonio, suggerendo una sorta di competizione in positivo fra i due istituti.

Come noto, la legge rimette alle parti la scelta di un cognome comune mentre l’articolo 143 bis del codice civile prevede che la moglie aggiunga al proprio cognome quello del marito, con la conseguenza che il solo cognome del maschio vale a identificare la famiglia e con l’ulteriore effetto, stabilito non da una specifica disposizione ma da una norma desumibile da un insieme di disposizioni, che tale cognome del marito, assunto quale cognome della famiglia, viene trasmesso ai figli nati nel matrimonio. La disposizione matrimoniale dopo l’entrata in vigore della Legge sull’unione civile, è stata finalmente colpita, ma solo parzialmente, da pronuncia di illegittimità costituzionale[1]. La Corte costituzionale è intervenuta difatti su un particolare aspetto della disciplina del cognome, particolarmente odioso e discriminatorio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che impedivano ai genitori, anche in caso di accordo fra loro, di dare al figlio un doppio cognome (formato con i cognomi dei due genitori).

Nonostante l’intervento della Consulta, la norma matrimoniale sul cognome resta sostanzialmente discriminatoria (com’è attestato dal fatto che per dare al figlio anche il cognome della donna è comunque necessario l’assenso dell’uomo). Anche in caso di apertura del matrimonio, dunque, sarebbe stata necessaria una disposizione come quella del comma 10, poiché la regola patriarcale del cognome del marito non sarebbe stata applicabile alle coppie dello stesso sesso.

La disciplina del cognome nell’unione civile subisce, invece, l’evidente influenza del modello tedesco (more…)

Ancora in tema di interpretazione dell’art. 44 della legge sulle adozioni: nota a Trib. minorenni di Milano, 17 ottobre 2016, n. 261

43di Stefania Stefanelli*

Con sentenza del Tribunale per i minorenni di Milano del 17 ottobre 2016 n. 261, che si allontana non solo dall’orientamento della giurisprudenza di legittimità – segnatamente Cass. civ., sez. I, n. 12962/2016 – ma anche da quella dello stesso tribunale minorile[1], il collegio meneghino ha ritenuto che non sia «possibile accedere ad una interpretazione della lettera d) [dell’art. 44 l. adozione] estendendo la possibilità dell’adozione relativa ai casi di impossibilità di affidamento preadottivo ad ogni caso di impossibilità ‘anche giuridica’ di ricorrere alla adozione legittimante e quindi alla sola valutazione dell’interesse del minore». Da tale interpretazione deriva il rigetto delle domande di adozione “incrociata” avanzata da ciascuna donna nei confronti del figlio biologico dell’altra, nell’ambito di un’unione civile e di un progetto di genitorialità condivisa, realizzato all’estero con l’inseminazione artificiale delle madri col seme del medesimo donatore.

Sebbene la relazione del Servizio Adozioni attestasse «un positivo legame tra le due ricorrenti», e che le bambine apparissero «serene nella relazione con entrambe, curiose e riflessive sulla situazione famigliare, notando differenze rispetto ad altri nuclei, complessivamente serene, anche dalle informazioni assunte, nel contesto familiare e sociale», i giudici hanno ritenuto che l’adozione in questione «si può pronunciare anche in casi in cui non sussistano le condizioni di abbandono previste dall’art. 8 (come ad es. nella lett. b) ovvero in altri casi peculiari, in cui il legislatore ha ritenuto che, pur sussistendo la situazione di abbandono […] per la peculiarità della situazione non sia opportuno procedere all’adozione legittimante al fine di favorire il permanere del minore in un contesto famigliare che sia però sostitutivo della famiglia di origine proprio per garantirgli i due ‘genitori’ che altrimenti non avrebbe»[2].

Così argomentando, la decisione in commento finisce per allontanarsi – col discutere di una sostituzione del nucleo familiare adottivo a quello di origine – anche dall’orientamento giurisprudenziale più risalente e dall’opinione dottrinale che pur richiama, a sostegno dell’esclusione dall’ambito dell’impossibilità di affidamento preadottivo, di cui all’art. 44 lett. d) l. n. 184/1983, di quella che sia giuridica (integrata nella specie dall’essere il bambino idoneamente accudito da un genitore, e quindi non si possa far luogo alla dichiarazione di adottabilità per difetto di stato di abbandono), e non invece di fatto[3].

L’argomento incentrato sulla sostituzione del nucleo familiare adottivo a quello di origine non convince, perché contrario all’esplicito dettato dell’art. 300 c.c., espressamente richiamato dall’art. 55 l. adozione, a mente del quale l’adottato conserva lo status familiae originario, e non acquista legami di parentela né speranze successorie (art. 304 c.c.) nei confronti dei parenti dell’adottante. È anzi proprio la conservazione dei rapporti con la famiglia di origine, e con essi del relativo cognome, a connotare in termini di “specialità” la formula adottiva in questione,  e costituisce l’alternativa all’adozione che si diceva legittimante, prima dell’abrogazione della filiazione legittima, ed oggi si può definire parentale, perché consente il pieno inserimento dell’adottato nel gruppo parentale adottivo, mentre quella in oggetto è genitoriale, perché lo status si costituisce nei soli confronti dell’adottante[4]. In altri termini, l’ordinamento vigente distingue due forme di adozione, entrambe finalizzate alla garanzia del best interest del minore: quella disciplinata dal titolo I presuppone che il bambino versi in stato di abbandono morale e materiale da parte dei suoi genitori e dei parenti più prossimi, oppure che lo status filiationis non si sia costituito[5], di conseguenza sia stato dichiarato adottabile e abbia avuto esito positivo l’affidamento preadottivo a coppia avente i requisiti di idoneità prescritti dall’art. 22 ss., e costituisce al bambino lo status di figlio matrimoniale degli adottanti, cui conseguono ex art. 74 c.c. il rapporto di parentela con le loro famiglie ed i diritti alla loro successione intestata; quella disciplinata dal titolo IV, invece, consegue a presupposti meno rigorosi, perché può difettare la dichiarazione di adottabilità e sono ammesse ad adottare anche le persone singole e le coppie non coniugate, ma produce anche effetti più limitati, escludendo l’inserimento dell’adottato nel gruppo familiare esteso. Lo ha insegnato la Corte Costituzionale, statuendo che «è evidente allora che, nelle ipotesi considerate, il legislatore ha voluto favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore ed i parenti o le persone che già si prendono cura di lui, prevedendo la possibilità di un’adozione, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella “legittimante”, ma con presupposti necessariamente meno rigorosi di quest’ultima. Ciò è pienamente conforme al principio ispiratore di tutta la disciplina in esame: l’effettiva realizzazione degli interessi del minore»[6].

Che il rapporto tra i due paradigmi adottivi sia di alternatività – e non di residualità come argomenta il tribunale meneghino – è dimostrato dall’art. 11 comma 1 l. adozione, con riferimento all’orfano di entrambi i genitori che versi in stato di abbandono, in quanto gli difetta altresì la cura dei parenti entro il quarto grado che abbiano con lui rapporti significativi [7]. Di questo minore potrebbe dichiararsi l’adottabilità con procedura semplificata, poiché non è (more…)

Il Tribunale di Napoli ordina la trascrizione di un atto di nascita straniero con due madri

di Angelo Schillaci*image

Pubblichiamo, con alcune indicazioni di lettura, il decreto dell’11 novembre 2016 (depositato in data 6 dicembre 2016), con il quale il Tribunale di Napoli ha ordinato all’Ufficiale dello stato civile di Napoli di trascrivere l’atto di nascita di un minore, formato in Spagna, con l’indicazione di entrambe le madri, cittadine italiane coniugate tra loro e residenti in Spagna.

La decisione interviene a pochi mesi dalla fondamentale pronuncia della Suprema Corte di cassazione, sez. I, n. 19599/2016, che aveva provveduto in modo analogo, dettando una corposa serie di principi di diritto idonei – come dimostra proprio la decisione che oggi pubblichiamo – a guidare gli orientamenti della giurisprudenza in tema di trascrizione degli atti di nascita formati all’estero, recanti l’indicazione di due genitori dello stesso sesso.

La decisione napoletana si pone nel solco del recente arresto della Corte di legittimità, specie sul punto della declinazione del concetto di ordine pubblico non in termini di compatibilità con l’ordinamento italiano ma nei termini, più larghi, di compatibilità con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali desumibili dalla Costituzione, dal diritto primario e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cd. ordine pubblico internazionale). Come avvenuto nel caso deciso dalla Cassazione, peraltro, è proprio questa accezione del concetto di ordine pubblico a consentire di ritenere non ostativi alla trascrizione tanto il principio di cui all’art. 269, comma 3, c.c., secondo cui è madre colei che partorisce, quanto la circostanza che l’ordinamento italiano non contempli (per ora) che “persone dello stesso sesso possano essere entrambe genitori dello stesso figlio” (p. 6).

Rispetto alla decisione della Corte di cassazione, tuttavia, la pronuncia napoletana presenta taluni (more…)

L’interesse superiore del minore vieta la restrizione dell’adozione alle sole coppie eterosessuali

imagePubblichiamo l’impeccabile ed avvincente nota dell’avv. dello Stato R. De Felice alla sentenza della Corte costituzionale colombiana depositata nel febbraio u.s. che ha riconosciuto il diritto delle coppie omosessuali all’adozione congiunta. Un esempio di giurisprudenza costituzionale attenta ai valori ed ai diritti fondamentali.

CORTE COSTITUZIONALE DELLA REPUBBLICA DI COLOMBIASentenza 4 novembre 2015 (depositata il 15 febbraio 2016) n. C-683/15- Presidente CALLE CORREA- Estensore PALACIO PALACIO – Estrada Vélez et al.

(Costituzione della Colombia, art. 44; artt. 64, 66 e 68 L 1098/2006; art 1 L 54/1990)

 Le disposizioni degli articoli 64, 66 e 68 co 5 del Codice dell’Infanzia e dell’Adolescenza, approvate con Legge 1098/2006, e l’articolo 1 della Legge 54/1990 sulle unioni coniugali di fatto, laddove escludono dalla adozione congiunta le coppie omosessuali coniugate o permanenti, sono efficaci condizionatamente al presupposto che in virtù dell’interesse superiore del minore e nel suo ambito di applicazione siano comprese anche le coppie dello stesso sesso costituenti una famiglia

di Roberto De Felice *

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La Colombia ha – nonostante l’opposizione di un legislatore conservatore – lentamente adeguato il proprio ordinamento al fine di riconoscere alle coppie gay e lesbiche il diritto di ‘formalizzare il suo vincolo’ e quello di adottare congiuntamente, ovvero di adottare il figlio del partner.

Occorre prendere le mosse dalla Legge 54/1990 sulla disciplina delle convivenze, che, pur precisando al suo articolo 1 che la sua portata era limitata alle coppie eterosessuali, istituiva un regime giuridico di tutela per le coppie di fatto. Precisamente, le unioni familiari non coniugali, dopo due anni, assumono ex lege lo status di unioni di fatto e i relativi (limitati) diritti, generalmente di carattere patrimoniale. La legge, invero, si limita a stabilire che esista una comunione legale sui frutti del proprio lavoro, ma è stata richiamata da altri testi legislativi in altri settori dell’ordinamento. In particolare, e ai fini che qui interessano, il Codice dell’Infanzia e dell’Adolescenza prevede per i partner la possibilità di richiedere l’adozione congiunta di un figlio, ovvero per un partner di adottare i figli dell’altro (in questo caso, con esclusione di ogni effetto estintivo della parentela con l’altro genitore biologico ma con acquisizione della parentela di una terza famiglia, quella dell’adottante[1]). Anche nel caso della Stepchild Adoption l’adottante – esentato dai requisiti relativi all’età- dovrà dimostrare la sua idoneità genitoriale. E’ ammessa l’adozione di maggiorenni nel solo caso di convivenza biennale iniziata prima del compimento della maggiore età; è altresì ammessa l’adozione da parte di persona non coniugata né soggetta al regime della L 54/1990 grazie alla successiva L 1098/06.

Però, stante il richiamo fatto dalla L 1098/2006 alla coppia eterosessuale di cui alla L 54/90, l’adozione non poteva essere realizzata congiuntamente né da coppie omosessuali (non ammesse al matrimonio e non destinatarie della Legge 54) né – come Stepchild Adoption, all’interno di coppie stabili omosessuali, cui nemmeno era applicabile la Legge 54.

Il 18 febbraio 2007, tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza C-075/07, ritenendo lesivo della dignità umana garantita dalla Costituzione la assenza di qualunque tutela per le coppie omosessuali stabili dichiarava la incostituzionalità della legge nella parte in cui non si applicava a tali coppie; con la successiva sentenza C-811/07, per le stesse ragioni, estendeva loro i benefici della sicurezza sociale; con la sentenza C-336/08 estendeva la reversibilità della pensione al partner superstite, sempre in nome della dignità umana e in mancanza di alcuna giustificazione razionale per una discriminazione in tal senso. Con sentenza C-029/09 erano estese a tali coppie le disposizioni di ben 42 norme (tra le quali la inesistenza dell’obbligo di deporre contro il partner). Dunque la Corte Costituzionale di quella Nazione, a differenza dei vaghi intendimenti espressi nella nostra Corte Cost. 138/10 di verificare punto per punto se l’ordinamento vulnerasse il principio di eguaglianza nei confronti delle coppie omosessuali, ha proceduto speditamente a estendere a dette coppie e ai partner delle stesse i diritti non riconosciuti dalla legislazione in vigore. (more…)

La vittoria dei bambini arcobaleno

imagedi Marco Gattuso

1. La decisione della Cassazione

 Con la sentenza n. 12962 del 26 maggio 2016 depositata in data odierna la Corte di cassazione dice sì all’adozione per i bambini arcobaleno, colmando il “buco nel cuore” lasciato dal legislatore.

La Suprema Corte avalla l’interpretazione dell’art. 44 lettera d) della Legge sulle adozioni già adottato dal Tribunale per i minorenni  di Roma, sentenza del 30 luglio 2014 e successivamente confermata dalla Corte d’appello di Roma e dalla Corte d’Appello di Torino (e richiamato adesivamente anche dalla Corte d’appello di Milano), che consente l’adozione coparentale (cd. stepchild adoption) da parte del genitore sociale all’interno delle famiglie omoparentali (per tutta la giurisprudenza v. QUI).

Dopo tante polemiche, oggi la Corte di cassazione ci dice dunque che sussiste un diritto fondamentale dei bambini arcobaleno a mantenere una relazione familiare legalmente riconosciuta con entrambe le loro mamme ed entrambi i loro papà. Un esito che non sorprende chi ha seguito negli anni le fondate argomentazioni dei tribunali che hanno applicato una norma diretta ad assicurare riconoscimento ai legami genitoriali di fatto, nell’esclusivo interesse del minore.

2. La richiesta della Procura di interessare le Sezioni unite

 Si deve osservare, innanzitutto, come sia stata disattesa dal primo Presidente della Suprema Corte la richiesta della Procura Generale di portare la questione direttamente avanti alle Sezioni unite.

Come noto l’art. 374 c.p.c. consente al primo Presidente di disporre che la Corte pronunci a sezioni unite soltanto se la questione di diritto sia stata decisa in senso difforme dalle sezioni semplici e se si tratti di «questione di massima di particolare importanza». Nella specie sul punto non si sono ancora mai pronunziate le sezioni semplici e sarebbe stato del tutto irrituale, creando peraltro un precedente pericoloso, assumere che un’ordinaria questione di interpretazione di una norma in materia di adozione in casi particolari, che rientra nell’usuale attività esegetica della Corte, assumesse tale rilievo soltanto perché venivano coinvolte persone appartenenti ad una minoranza, nella specie per orientamento sessuale, invisa ad una parte dell’opinione pubblica e della politica. (more…)

Dalla Corte d’appello di Torino nuova conferma alla stepchild adoption per le famiglie arcobaleno

imagePubblichiamo la sentenza, depositata il 27 maggio 2016, con la quale la Corte di Appello di Torino ha disposto l’adozione ai sensi dell’art. 44, lett. d) della legge n. 184/1983, a favore della compagna convivente della madre biologica. La decisione, resa peraltro su parere favorevole del pubblico ministero, riforma la decisione con la quale il Tribunale di Torino aveva invece respinto la domanda della madre sociale, sostenendo la natura “eversiva” dell’interpretazione oggi accolta dell’art. 44, lett. d).
Si tratta di una pronuncia importante, perché recepisce l’orientamento aperto, a partire dal luglio del 2014, dal Tribunale per i minorenni e dalla Corte d’Appello di Roma, secondo cui l’impossibilità di affidamento preadottivo – ritenuto dall’art. 44, lett. d) presupposto per l’adozione speciale – va intesa non soltanto in senso materiale, o comunque connessa allo stato di abbandono, ma anche come impossibilità giuridica data, nel caso di specie, dalla presenza di un genitore biologico esercente la responsabilità genitoriale. La lettura evolutiva della disposizione in esame – prefigurata secondo la Corte d’Appello di Torino dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 383/99 – è ritenuta conforme, inoltre, al quadro sovranazionale, e alla particolare considerazione da esso accordata alle relazioni familiari di fatto, al momento di statuire sull’interesse del minore all’adozione. Il concetto di vita familiare, come enunciato in numerose decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, è insomma “ancorato ai fatti”, perché sono “i rapporti, i legami, la convivenza a meritare tutela”, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica. (more…)

Il primo intervento della Consulta sul riconoscimento di provvedimenti stranieri in tema di adozione coparentale per coppie dello stesso sesso

imagedi Livio Scaffidi Runchella*

Con decisione assunta in Camera di Consiglio il 24 febbraio 2016 e depositata il 7 aprile 2016 (sent. n. 76/2016), la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale promossa dal Tribunale per i minorenni di Bologna in tema di riconoscimento delle stepchild adoptions, ovvero dell’istituto che consente al genitore non biologico di adottare il figlio, naturale o adottivo, del partner.
In Italia l’adozione è prevista per le sole coppie eterosessuali sposate da almeno tre anni o che abbiano vissuto more uxorio per uno stesso periodo, ma risultino sposate al momento della richiesta.
L’istituto in questione ha rappresentato il punto più controverso della discussione al Senato sul d.d.l. sulle unioni civili, tanto che la disposizione in materia (art. 5 del c.d. d.d.l. Cirinnà, S.14) è stata stralciata dal testo approvato (S. 2081). La stepchild adoption, inoltre, solleva incertezze con riguardo alla possibilità di riconoscere in Italia i provvedimenti stranieri che istituiscono tali relazioni giuridiche, nell’ambito di un progetto di genitorialità che coinvolge coppie omosessuali. Tali problemi si manifestano sempre più frequentemente, considerato che nel mondo sono già 28 i Paesi che prevedono l’ adozione coparentale per le coppie omosessuali e che tale numero è destinato ad aumentare.
La questione all’esame del Tribunale per i minorenni di Bologna aveva origine dalla richiesta di riconoscimento di un’adozione, riguardante una minore statunitense (nata a seguito di inseminazione artificiale da donatore anonimo), che era stata disposta nel 2004, con sentenza da un tribunale dello Stato dell’Oregon negli Stati Uniti d’America, a favore di una donna anch’essa cittadina statunitense che nel 2013 aveva acquisito anche la cittadinanza italiana. Per lungo tempo l’adottante e la madre biologica della bambina avevano convissuto, dapprima come coppia di fatto, successivamente, dal 2008, nel quadro di un rapporto di domestic partnership e infine, a seguito del matrimonio contratto dalle due donne nel 2013, come coppia coniugata.
Nell’ordinanza di rimessione del 10 novembre del 2014, il Tribunale per i minorenni di Bologna avanzava sospetti di incostituzionalità degli artt. 35 e 36 della legge 4 maggio del 1983 n. 184 recante disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori – come interpretati secondo il diritto vivente – per violazione degli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 8 (diritto alla vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione EDU. Tali disposizioni, secondo l’autorità remittente impediscono al giudice di valutare se, nel caso concreto, risponda all’interesse del minore adottato il riconoscimento del provvedimento straniero, a prescindere dal fatto che il matrimonio sia inidoneo a produrre effetti in Italia, come nel caso di matrimoni fra persone dello stesso sesso. (more…)

Eppur si muove! La Camera dei Deputati avvia una (faticosa) riflessione sulla gestazione per altri

pregnancy klimtdi Angelo Schillaci*

1. Premessa

Nella seduta pomeridiana del 4 maggio 2016, si è svolta in Aula, alla Camera dei Deputati, la discussione su numerose mozioni relative al trattamento giuridico della gestazione per altri.

Si è trattato di una occasione importante – lasciando da parte le motivazioni politiche contingenti (specie con riguardo all’imminente passaggio in Aula del disegno di legge sulle unioni civili) – per avviare una riflessione sul punto, a margine del dibattito degli ultimi mesi, caratterizzato da contrapposizioni frontali ed eccessive semplificazioni, condizionate da ragioni ideologiche, ma anche da una conoscenza ancora scarsa del tema (per approfondimenti, e per la ricostruzione della pluralità di modelli disciplinari della gestazione per altri, basti qui rinviare a Beaumont – Trimmings, International Surrogacy Arrangements, Oxford, Hart, 2013; cfr. anche i lavori del Convegno organizzato sul tema, il 15 aprile 2016 da Avvocatura per i diritti LGBT – Rete Lenford).

In questo quadro, alcune delle mozioni approvate – e soprattutto l’insieme dei loro dispositivi – restituiscono un quadro articolato che, se mostra in più punti le tracce della ricerca di un compromesso tra le diverse posizioni in campo, si caratterizza per un primo tentativo di comprendere la complessità del fenomeno, le ragioni della sua distorsione, ma anche il valore che possono assumere le dinamiche di esperienza che ad esso danno vita e che lo caratterizzano. Soprattutto, si assiste ad una chiara presa di posizione – da parte delle forze politiche – a favore di una scissione tra i diversi approcci alla gestazione per altri e l’esigenza di tutelare il diritto del bambino, venuto al mondo grazie al ricorso a tale pratica, all’identità personale ed alla stabilità e alla certezza degli affetti, specie in relazione al rapporto con i genitori “intenzionali”.

Proprio tale ultimo profilo, peraltro, si è intrecciato – in modo assai scomposto e strumentale – con il dibattito sull’approvazione del ddl in materia di unioni civili, specie con riguardo al tentativo, poi naufragato, di estendere alle coppie omosessuali unite civilmente l’art. 44, lett. b) della legge n. 184/83 (adozione in casi particolari del figlio del coniuge). Soprattutto, esso è presente nella più recente giurisprudenza relativa all’applicazione in coppia omosessuale dell’istituto dell’adozione speciale ex art. 44, lett. d (da disporsi in caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo), di recente ammessa, con sentenza passata in giudicato, anche in relazione ad una coppia di padri; o ancora, nella recente pronuncia con la quale la Corte di cassazione ha escluso la perseguibilità del ricorso alla gestazione per altri all’estero e ha affermato che la trascrizione dell’atto di nascita a favore della madre intenzionale non integra la fattispecie di alterazione di stato ex art. 567 c.p. (sent. 16 marzo 2016 n. 13525).

2. Le posizioni in campo: a) le mozioni contrarie

Le mozioni in discussione erano dieci, provenienti dalla quasi totalità dei gruppi politici rappresentati alla Camera. Se si eccettuano, oltre alla mozione Rosato (PD), la mozione a firma Nicchi ed altri (SEL) e, in parte, la mozione a firma Spadoni (M5S), il ventaglio di posizioni espresse dalle rimanenti mozioni appariva orientato verso una radicale censura della gestazione per altri, pervicacemente definita in più mozioni, con espressione giuridicamente del tutto scorretta, “utero in affitto”, variamente apostrofata come pratica “aberrante” o “disumana” (si vedano la mozione Rondini, Lega Nord, e la mozione firmata dall’on. Dellai, Democrazia solidale – Centro democratico), e di volta in volta ricondotta a fattispecie di sfruttamento, ove non di riduzione in schiavitù (così, in particolare, la mozione a firma dell’On. Carfagna, FI), (more…)