Categoria: orientamento sessuale

Una discutibile opinione della Corte Suprema in materia di adozione omogenitoriale estera. Ritorno al passato e stigma su minore

di Roberto de Felice*

Con ordinanza 29071/2019 del dì 11 novembre la I Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di massima se l’adozione di un minore da parte di una coppia omosessuale residente negli Stati Uniti sia contraria o meno all’ordine pubblico internazionale. La Corte è stata investita del ricorso avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Milano, disponibile su Internet[1], ex art 67 L 218.95, che ordinava al Comune competente la trascrizione del provvedimento adozionale reso da una Corte dello Stato di New York. L’ordinanza, invero, pone all’interprete numerose perplessità di diritto sostanziale e processuale oltre che di redazione del provvedimento

  1. Un cittadino italiano, traferitosi negli Stati Uniti dal 2000[2], contraeva matrimonio[3] con un cittadino statunitense nel 2013. Naturalizzato statunitense, egli e il futuro marito accedevano, nel 2009, a una procedura adozionale ai sensi della legge dello Stato di New York[4], che prevede anche la possibilità che dei genitori acconsentano all’adozione del loro figlio, oltre alla adozione di minori in stato di abbandono, generalmente mediata da agenzie. Invero, nei due casi il Giudice deve svolgere approfondite indagini sulla coppia adottante e solo all’esito di esse e di un periodo di convivenza di almeno tre mesi, può e deve pronunziare l’adozione alla luce del benessere del minore.
  2. Il padre adottivo italiano aveva chiesto al competente Comune la trascrizione della sentenza, ma questo aveva rifiutato, ritenendo necessaria la delibazione del Tribunale dei Minori ex art. 36 L. Adoz. Di contro, l’istante aveva proposto ricorso alla Corte d’Appello di Milano, per eseguire la sentenza straniera. Intervenivano in lite sia l’altro padre, che il Comune, opponendosi. La Corte, ritenuto carente lo standing del Comune, accoglieva il ricorso, ritenendo che la identità di sesso degli adottanti non ostasse all’ordine pubblico internazionale. Seguiva il ricorso del Sindaco-Ufficiale di Governo, difeso ex art. 1 RD 1611/33, alla Suprema Corte, proposto contro un pericoloso ottenne, in cui il PG concludeva per il rigetto della questione sull’ordine pubblico, vastamente argomentando.
  3. La Corte, pur senza far figurare ciò nel dispositivo, ha deciso i primi tre motivi di ricorso. Trattasi di un errore redazionale molto grave, attesa la delicatezza del caso. Il dispositivo si limita a rimettere gli atti al Primo Presidente al fine di valutare se rimettere la decisione del quarto motivo alle Sezioni Unite. Nella specie, non vi è un contrasto logico tra motivazione e dispositivo, ma un’omissione nel contenuto del dispositivo, rimediabile con la procedura di correzione (cfr. Cass. 8060/07[5]).
  4. La Corte risolve condivisibilmente un dubbio spesso postosi ai pratici in consimili casi, visto che l’art. 41 della L. 218/95, ad onta del generale principio di immediata eseguibilità della sentenza straniera, resa in contraddittorio e non contraria all’ordine pubblico internazionale, per le sole sentenze di adozione rinvia alle disposizioni delle leggi speciali, che, in un caso come questo, di residenza dell’adottante italiano da oltre due anni nello Stato della pronunzia , esigono un tenue controllo di conformità di essa ai principi della Convenzione, ragionevolmente certo essendo che non si tratti di un caso di forum shopping. Ma l’art. 36 co 4 fa parte del Titolo III della Legge, che disciplina l’adozione internazionale, conforme alla Convenzione de L’Aja ratificata (more…)

Libertà religiosa e divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale: alcune riflessioni a partire dalle pronunce sull’obiezione del pasticciere

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS, Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

di  Angioletta Sperti*

Sul caso dell’obiezione di coscienza del pasticciere e, in particolare, sul bilanciamento tra libertà religiosa e di espressione e divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale, si sono recentemente pronunciate sia la Corte Suprema degli Stati Uniti (caso Masterpiece) che la Corte Suprema inglese (caso Lee). Lo scritto ripercorre le due pronunce dimostrando come, nonostante alcune differenze tra le vicende oggetto dei due giudizi, le istanze di obiezione di coscienza avanzate dai pasticcieri sollevino questioni di legittimità costituzionale sostanzialmente affini. Lo scritto esamina, dunque, le implicazioni delle conclusioni raggiunte delle due corti, anche al di là degli ordinamenti in cui esse sono state pronunciate, evidenziando le conseguenze che il riconoscimento di una religious exemption generalizzata e un uso strumentale della libertà di espressione potrebbero produrre sulla dignità delle persone e la garanzia del divieto di discriminazione.

Two recent rulings of the Supreme Court of the United States (Masterpiece) and Supreme Court of England and Wales (Lee) have addressed the conflict between freedoms of religion and expression and the principle of nondiscrimination on the ground of sexual orientation. The article examines the two cases in order to emphasize that, despite some differences between the facts, they rise the same basic constitutional questions. The article deeply analyses the conclusions the two Courts have reached, arguing that a general recognition of religious exemption and an instrumental use of freedom of expression can deeply affect the dignity of minorities and the guarantee of nondiscrimination.

*Professoressa Associata di Diritto Pubblico Comparato, Università degli Studi di Pisa
(contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco, pubblicato online first, destinato a GenIUS 2019-1)

 

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Sulla tutela penale della reputazione della collettività omosessuale

Pubblichiamo la anticipazione dal prossimo numero del semestrale GenIUS Rivista di studi giuridici sull’orientamento sessuale e l’identità di genere www.geniusreview.eu

 

di Antonella Madeo*

La sentenza del Gup di Torino appare degna di nota per il fatto di riconoscere, attraverso il delitto di diffamazione, tutela penale alla reputazione di un’ampia categoria di soggetti contro dichiarazioni denigratorie, tracciando una sottile linea di demarcazione tra un soggetto collettivo individuabile – il movimento LGBT – e una collettività indistinta – quella omosessuale –, fondata sulla presenza nel primo e sulla mancanza nella seconda di un’organizzazione. La distinzione, peraltro, appare labile nel caso in esame, in quanto il soggetto collettivo ha una dimensione molto estesa. La forzata applicazione del delitto di diffamazione mira a sopperire al vuoto di tutela, riscontrabile nel nostro ordinamento penale, nei confronti della comunità LGBT contro comportamenti discriminatori basati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

The GUP of Turin Judgement is remarkable because it gives criminal protection, through the crime of libel, to the honour of a large group of people against disparaging statements, drawing a thin line between an identifiable collective subject – LGBT movement – and an indistinct collectivity – homosexual one –, based on the presence in the first and the on the absence in the second of an organization. The distinction appears fleeting in the commented case, because the collective subject has a very large extension. The forced application of criminal libel aims to make up for the protection vacuum in Italian criminal law to LGBT community against discrimination based on sexual orientation or gender identity.

*Ricercatrice di Diritto penale, Università degli Studi di Genova
Contributo sottoposto a referaggio a doppio cieco

 

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Padri, comunque: da Milano ulteriori conferme in tema di omogenitorialità maschile

di Angelo Schillaci

Pubblichiamo, con alcune brevi osservazioni, tre recenti pronunce provenienti, rispettivamente, dal Tribunale per i Minorenni e dal Tribunale ordinario di Milano e relative – la prima – ad una adozione in casi particolari disposta per due minori a favore del secondo padre, compagno del padre biologico,  e – le seconde – all’ordine di rettificare l’atto di nascita di due minori nati negli Stati Uniti d’America a seguito di gestazione per altri, inserendo l’indicazione del secondo padre, conformemente alle risultanze dell’atto di nascita legittimamente formato nello Stato di nascita dei minori.

Da qualche mese, a Milano, il tema del riconoscimento della doppia genitorialità in coppie omosessuali maschili è al centro di un dibattito acceso ed articolato, seguito alla iniziale decisione del Comune – poi sospesa – di far luogo alla trascrizione integrale (originaria, o mediante rettifica) dell’atto di nascita straniero recante l’indicazione di entrambi i padri, in caso di nascita a seguito di gestazione per altri (d’ora in poi, GPA). A quanti sostengono la necessità di dare piena tutela ai minori garantendo loro la continuità dello status legittimamente acquisito nello stato estero di nascita, si contrappongono infatti coloro che ritengono – tutto al contrario – che le peculiarità legate al modo in cui detti minori sono venuti al mondo (e cioè il ricorso alla surrogazione di maternità, oggetto nel nostro ordinamento di divieto sanzionato penalmente, all’art. 12, comma 6 della legge n. 40/2004) sarebbero ostative a detto riconoscimento.

Le decisioni che pubblichiamo – attinenti a due diverse fattispecie, come si dirà – intervengono dunque, proprio a Milano, a chiarire taluni profili controversi, ed in particolare l’asserito rilievo giuridico del legame tra pratica procreativa e continuità dello status legittimamente acquisito all’estero. Peraltro, proprio in ragione della diversità di fattispecie, le decisioni coprono, per così dire, l’intero ventaglio delle possibilità di riconoscimento della doppia genitorialità maschile, mettendo in luce taluni aspetti costanti – su tutti, la centralità dell’interesse del minore e, come meglio si dirà, l’indifferenza del modo di nascita in relazione al riconoscimento del legame parentale – ma anche, e soprattutto, talune differenze, che non sono senza significato proprio con riguardo alla miglior tutela della posizione del minore.

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Joan ha due mamme/2: la conferma della Corte d’Appello di Perugia

di Angelo Schillaci

Pubblichiamo il decreto con il quale la Corte d’Appello di Perugia, confermando la decisione di primo grado, ha ordinato al Comune di trascrivere l’atto di nascita del piccolo Joan, indicando entrambe le sue mamme.

Una decisione importante, molto ricca nella motivazione, almeno sotto due profili, che sinteticamente possono essere richiamati, a prima lettura.

Anzitutto, la Corte perugina prende posizione in merito alla delimitazione del concetto di ordine pubblico internazionale, con particolare riguardo al contrasto tra le definizioni datene, rispettivamente, dalla prima sezione civile della Corte di cassazione (con le note decisioni 19599/16, 14878/17 e 14007/18) e dalle Sezioni Unite della stessa Corte, con l’altrettanto nota sentenza n. 16601/17 (relativa ai cd. danni punitivi): se infatti l’orientamento della prima sezione civile tendeva ad identificare il contenuto dell’ordine pubblico internazionale con il “complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento in un determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e collocati a un livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria” (così, in particolare, la sentenza n. 19599/16), la successiva pronuncia delle Sezioni Unite sembra includere – nella declinazione del concetto di ordine pubblico – anche principi e istituti di fonte legislativa. Sulla base di una assai approfondita ricostruzione della giurisprudenza di legittimità in materia di ordine pubblico internazionale, il decreto in esame riduce il divario tra le due impostazioni. In particolare – richiamando anche l’ordinanza n. 4382/18 (con la quale la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la controversia relativa alla trascrivibilità di un atto di nascita recante l’indicazione di due padri, anche sotto il profilo della corretta ricostruzione del concetto di ordine pubblico internazionale) – il giudice perugino ha ritenuto che l’integrazione (more…)

Due padri: da Venezia un’altra importante conferma

di Angelo Schillaci

Pubblichiamo l’ordinanza depositata il 16 luglio 2018 con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha riconosciuto gli effetti, in Italia, di una sentenza canadese che attribuiva la seconda paternità al coniuge del padre di un minore nato in Canada grazie ad una gestazione per altri.

Il ricorso traeva origine dal rifiuto – opposto dall’ufficiale di stato civile del Comune di residenza del minore – di rettificare l’atto di nascita già formato (e recante l’indicazione di un solo padre), a seguito di trascrizione dell’atto di nascita canadese, emendato in conseguenza della sentenza che riconosceva la seconda paternità. Di conseguenza, la coppia di padri adiva la Corte d’Appello di Venezia per veder riconoscere – ai sensi dell’art. 67 della legge n. 218/95 – gli effetti della sentenza canadese, onde ottenere un titolo per la rettificazione dell’atto di nascita italiano.

Il caso – seguito dall’Avv. Alexander Schuster (alla cui cortesia dobbiamo la pubblicazione) – è dunque del tutto analogo a quello deciso dall’ordinanza della Corte d’Appello di Trento, avverso la quale pende ad oggi impugnazione dinanzi alla Corte di cassazione che, come noto, ha deferito la questione alla cognizione delle Sezioni Unite. Si tratta, pertanto, di un caso assai rilevante, che si inserisce nel dibattito in corso sulla questione degli effetti da riconoscersi, in Italia, ai rapporti di filiazione costituiti all’estero a seguito di gestazione per altri, che ha visto l’intervento recente della Corte costituzionale e che sta caratterizzando  – anche sulla nostra pagina – l’attesa della decisione delle Sezioni Unite.

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Focus ARTICOLO29\Contributi per un dibattito attuale: 1. VINCENZO BARBA, Note minime sull’ordine pubblico internazionale

 

In attesa della decisione delle Sezioni unite, con camera di consiglio prevista per il 6 novembre 2018, in ordine alle questioni poste dalla prima sezione con ordinanza n. 4382/2018 (relative alla legittimazione passiva del Sindaco e del Ministro dell’Interno ad essere parte nella procedura; la legittimazione dello stesso Procuratore generale presso la Corte d’appello a ricorrere in cassazione; la nozione più o meno ampia di “ordine pubblico internazionale” e la eventuale contrarietà allo stesso dell’omogenitorialità e del riconoscimento dello status di genitori a chi abbia ricorso all’estero a maternità surrogata; la sussistenza o meno di giurisdizione in capo all’Autorità giudiziaria ordinaria), ARTICOLO29 ha proposto ad alcuni giuristi, fra i massimi esperti in queste materie, di provare a delineare qualche possibile risposta.

Iniziamo da oggi la pubblicazione dei pareri, che proseguirà per tutta l’estate, cominciando con

  1. Vincenzo Barba, Note minime sull’ordine pubblico internazionale

 

 

Il Tribunale di Pistoia ordina al Sindaco di formare un atto di nascita con due mamme: è la prima volta

Abbiamo appena pubblicato, ieri, la fondamentale decisione della Corte d’Appello di Napoli che apre al riconoscimento dei bambini arcobaleno sin dalla nascita, che già oggi tocca dare conto della prima, storica, decisione italiana, emessa dal Tribunale di Pistoia con decreto del 5 luglio 2018 (pres. Fabrizio Amato, est. Laura Maione)  che dichiara in effetti l’illegittimità del diniego opposto dal Sindaco alla dichiarazione di riconoscimento del figlio minore da parte della madre non biologica e, per l’effetto, ordina allo stesso, nella sua qualità di Ufficiale di Stato Civile, di formare un nuovo atto di nascita con l’indicazione delle due madri, attribuendo al bambino il cognome di entrambe.

Notevole che il Tribunale ordini al Sindaco di annullare l’atto di nascita esistente, indicante un solo genitore e dunque errato, disponendo la sua sostituzione col nuovo atto di nascita «con indicazione delle due ricorrenti come madri».

Difficile sostenere, da oggi, che il Sindaco in qualità di Ufficiale di Stato Civile possa, o addirittura debba, iscrivere un solo genitore, quando per la Legge, correttamente interpretata dalla Corte d’Appello di Napoli e dal Tribunale di Pistoia, i genitori sono, in effetti, due.

Con riguardo alla vicenda de qua, dal decreto si evince come dopo la nascita del bambino, avvenuta negli ultimi mesi del 2017 a seguito di ricorso in Spagna ad una procreazione medicalmente assistita (di seguito PMA) di tipo eterologo (in tutto analoga, dunque, ad una PMA eterologa realizzata da una coppia di sesso diverso, oggi ammessa in Italia in seguito alla dichiarazione di incostituzionalità di cui a sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2014), le due mamme avevano reso entrambe la dichiarazione di riconoscimento del figlio, ma il Sindaco del loro Comune aveva opposto un rifiuto, disponendo l’annotazione nell’atto di nascita di un solo genitore, identificato nella sola mamma “biologica”.

Con tale decisione, il Sindaco assumeva dunque che il nostro ordinamento dia prevalenza, anche in caso di ricorso a tecniche di procreazione “artificiale”, con concorso di un medico, al dato genetico o biologico, e non al dato obiettivo del consenso prestato alla tecnica di procreazione.

Avverso tale rifiuto i due genitori hanno proposto quindi ricorso ai sensi dell’art. 95, comma I, D.P.R. n. 396/2000, oggi accolto dal Tribunale, seguite dagli avvocati Federica Tempori e Vincenzo Miri nell’ambito di una iniziativa promossa dal Gruppo Legale dell’Associazione Famiglie Arcobaleno coordinata dal prof. Angelo Schillaci dell’Università La Sapienza di Roma.

La decisione del Tribunale toscano è fondata sul rilievo che la nostra legge non prevede affatto che in caso di PMA si debba dare rilevanza al dato genetico o biologico, prevedendo invece, a chiare lettere, che ai fini della determinazione dello status filiationis operi il diverso criterio della consapevole assunzione della responsabilità genitoriale sin dal concepimento del bambino (dunque persino prima della sua stessa nascita). Tale assunzione di responsabilità è irrevocabile, e dunque lo è anche il conseguente status.

Il Collegio della sezione famiglia del Tribunale di Pistoia sottolinea al riguardo come debba aversi riguardo all’art. 8 della legge n. 40 del 2004 per cui “I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6” (corsivo aggiunto), oltre che alle disposizioni di cui all’art. 9 della stessa legge (in particolare i commi 1 e 3), correttamente interpretati anche alla luce della L. 76/2016.

Al riguardo il Tribunale nota, innanzitutto, come qui si stia trattando non tanto il tema dei diritti dei genitori, ma dei diritti del bambino, posto che «il diritto alla genitorialità, e ancor più alla bigenitorialità, è un diritto prima di tutto del minore ad instaurare relazioni affettive stabili con entrambi i genitori, sia quando lo stesso sia stato concepito biologicamente che a mezzo delle tecniche mediche di cui alla PMA, posto che anche in tali ultimi casi il figlio è generato in forza di un progetto di vita comune della coppia, etero o omosessuale, volto alla creazione di un nucleo familiare secondo un progetto di genitorialità condiviso».

Il Tribunale richiama a tale proposito l’attenta dottrina (pubblicata su questo sito) per cui «la prospettiva determinante non è quella dei diritti della coppia, ma di quelli del nato nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo, diritti che non tollerano disparità di trattamento in ragione delle condizioni e convinzioni personali dei genitori, in quanto presidiati dall’art. 2 Cost.» (S. Stefanelli, Atto di nascita formato all’estero e bigenitorialità omosessuale: da Perugia un passo avanti verso il riconoscimento della filiazione intenzionale in ARTICOLO29, 2018).

Richiamata la già menzionata pronuncia della Corte Costituzionale n. 162/2014, (more…)

Figli alla nascita: dal tribunale di Torino una prima conferma per la “primavera dei comuni”

                                                                         di Marco Gattuso

1. Con due decreti depositati in data 21 maggio e 11 giugno 2018 il Tribunale di Torino ha disposto che due bambini, che il sindaco Chiara Appendino ha riconosciuto nelle scorse settimane come figli di due mamme (annotando entrambe le donne nel loro atto di nascita), prendano il doppio cognome.

Non si tratta, per esplicita segnalazione del tribunale, di decisioni che si occupano in via diretta della questione della bigenitorialità per i cd. bambini arcobaleno, e tuttavia le due decisioni gemelle presentano aspetti assai interessanti che vanno evidenziati e segnano, per quanto si dirà, il primo implicito avallo giudiziario della tesi sostenuta dagli ormai numerosissimi sindaci, di diverse coloriture politiche, che hanno contribuito in questi mesi al fenomeno della cd “primavera dei comuni” con l’iscrizione dei nominativi delle due mamme o due papà nel certificato di nascita di questi bambini (l’elenco é in continuo aggiornamento: Torino, Milano, Catania, Bologna, Firenze, Palermo, Napoli, Empoli, Gabicce, Grosseto, Serradifalco, Casalecchio di Reno…).

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Il punto di vista degli ufficiali di stato civile sulle iscrizioni e trascrizioni

di Luca Tavani*

Pubblichiamo la relazione tenuta da Luca Tavani, ufficiale di stato civile, al recentissimo convegno “Due genitori same sex dalla nascita. I sindaci in soccorso del diritto dei bambini alla bigenitorialità”, organizzato a Bologna il 18 giugno 2018 da Cassero Giuridico, Aiga, Gaylex, Famiglie Arcobaleno con il Patrocinio del Comune di Bologna

 

1. Introduzione

Pensiamo, con uno sforzo di immaginazione che vi richiedo, ad una delle figure più conosciute al mondo: Monna Lisa.

Malgrado non si sappia neppure per bene di chi si tratti – si dice una nobildonna fiorentina (tal Lisa Gherardini, la signora Lisa, moglie di Francesco Del Giocondo, da cui la Gioconda) o forse lo stesso Leonardo da Vinci addolcitosi sotto tratti femminili – non solo è una delle immagini più conosciute ma anche tra le più riconosciute, che da sempre ha stimolato la fantasia di altri artisti di ogni epoca che si sono divertiti ad intervenire modificando l’immagine originale.

Così fece Marcel Duchamp nel 1919, aggiungendo un paio di baffi e un pizzetto[1], altrettanto fece Luís Silva, un artista portoghese, che più recentemente nel 2011, volendosi occupare della violenza sulle donne l’ha raffigurata con un occhio nero e spegnendole il proverbiale sorriso[2].

Pensandoci bene, però, questi interventi cambiano poco del nostro sapere e del nostro relazionarci con quell’archetipo. Se dovessimo descrivere cosa vediamo parleremmo comunque sempre di una Monna Lisa, una volta con i baffi ed un’altra con un occhio nero: Monna Lisa resta Monna Lisa, nessun intervento e nessuno sviluppo, ci allontanano così tanto da non renderci più riconoscibile la radice.

La stessa cosa può accadere – abbandoniamo l’arte – quando parliamo di famiglia. Ciascuno di noi ha un proprio modello di riferimento (probabilmente quello in cui è cresciuto e che per questo motivo ritiene “normale” e lo assurge come paradigma per determinare relazioni e interazioni con le altre famiglie, che vediamo e valutiamo di conseguenza come uguali, simili o diverse) ma come per la Gioconda, tutte restano quella cosa lì, anche le più distanti, restano riconoscibili come famiglia: e ci sarà quella “capolavoro”, da museo e quella con un occhio nero ma sempre di famiglia si tratta.

Ben lo sa l’anagrafe che già quasi 30 anni fa, nel 1989, ha abbandonato ogni obbligatorio riferimento a vincoli di parentela o di dipendenza economica quale requisito per essere famiglia preferendo una formulazione ampiamente inclusiva, basata sulla autodeterminazione per cui è famiglia l’insieme delle persone conviventi e coabitanti[3].

Perché questa introduzione? Perché il tema richiesto con lo sviluppo di questo intervento è il punto di vista dell’ufficiale dello stato civile, che deriva necessariamente dall’assetto che egli assume, e dalla sua corretta collocazione nell’ambito ordinamentale discende l’angolatura del suo sguardo e il nostro ordinamento è questo: il terreno su cui innestiamo i diritti (e i doveri) di tutela costituzionale è oggi di questa natura. La formazione sociale familiare è quanto di più ampio e inclusivo si possa immaginare.

E così è (questa ricchezza non la perderemmo) anche se anziché ci riferissimo alla filiazione.

I glottologi più ricercati potrebbero considerare figlio una parola valigia, cioè un termine che contiene al proprio interno ulteriori sfumature. (more…)

Libertà religiosa e divieto di discriminazione: la Corte Suprema decide a favore del pasticciere “obiettore”

di Angioletta Sperti*

Chiunque abbia letto l’opinion of the Court del giudice Kennedy nella sentenza Obergefell v. Hogdes del 2015, sul riconoscimento del diritto al matrimonio per le coppie same-sex e ne abbia apprezzato la profonda ricostruzione dei principi costituzionali in gioco – la dignità, l’eguaglianza, la libertà individuale -, nonché la portata innovativa di molte delle sue affermazioni, non può che rimanere perplesso di fronte al judicial minimalism cui risulta, invece, ispirata la motivazione dello stesso Kennedy nella recentissima pronuncia sul cd. caso della torta nuziale. Il 4 giugno 2018, con un’ampia maggioranza di 7 – 2, la Corte Suprema degli Stati Uniti  si è, infatti, pronunciata sul caso Masterpiece Cakeshop Ltd. v. Colorado Civil Rights Commission e, ribaltando le conclusioni dei precedenti gradi di giudizio, ha concluso  a favore di un pasticciere che nel 2012 si era rifiutato di confezionare un dolce nuziale per una coppia same-sex.

Nel breve spazio di questo commento – pur rilevando come tale pronuncia diverga dal percorso che nel 2015 aveva condotto la Corte Suprema a “mettere la parola fine ad una delle vicende più combattute e sofferte nella storia dei diritti civili”[1] –  mi propongo di evidenziare per sommi capi le perplessità suscitate dal percorso logico-argomentativo attraverso cui la Corte ha riconosciuto le ragioni del pasticciere ed evidenziare i rischi che alcune delle sue affermazioni pongono per il superamento delle diseguaglianze fondate sull’orientamento sessuale.

La vicenda

Jack Phillips, proprietario di una pasticceria in una cittadina non distante da Denver, Colorado – la Masterpiece Cakeshop – si definisce un cake artist ed un fervente cristiano.

Nel 2012 – quando ancora il same-sex marriage non era  ammesso in Colorado, Phillips rifiuta ad una coppia dello stesso sesso – Charlie Craig e Dave Mullins –  l’ordinazione di un dolce nuziale, adducendo che (more…)

L’omogenitorialità a Palazzo della Consulta: osservazioni a prima lettura dell’ordinanza del Tribunale di Pisa del 15 marzo 2018

di Angelo Schillaci

 

  1. 1.

È stata pubblicata sulla G.U. n. 19 del 9 maggio 2018 l’ordinanza con la quale il Tribunale di Pisa ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma risultante dal combinato operare degli artt. 449 c.c., 29, comma 2, del D.P.R. n. 396/2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), dell’art. 250 c.c. e degli artt. 5 e 8 della legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consente all’ufficiale di stato civile di formare l’atto di nascita di un bambino, cittadino straniero, con l’indicazione di due genitori dello stesso sesso, qualora ciò sia corrispondente allo status a questo riconosciuto dalla sua legge nazionale, applicabile in base all’art. 33 della legge n. 218/1995.

In particolare, il Tribunale di Pisa era investito del ricorso avverso il diniego dell’ufficiale di stato civile del Comune di Pisa di ricevere la dichiarazione di riconoscimento congiunto del minore da parte di due donne – l’una madre gestazionale e cittadina statunitense, l’altra madre intenzionale e cittadina italiana – e conseguentemente formarne l’atto di nascita in conformità allo status filiationis sussistente nei confronti di entrambe ai sensi della legge nazionale del minore.

L’illegittimità costituzionale della norma è lamentata in relazione ad una serie di parametri, ed in particolare: agli artt. 2 e 3 Cost., sotto il profilo dell’illegittima restrizione del diritto a vedersi riconosciuto, in Italia, lo status di figlio acquisito sulla base della propria legge nazionale; all’art. 3, per l’irragionevole discriminazione rispetto alla analoga situazione del cittadino straniero, figlio però di genitori di sesso diverso, che tale status potrebbe vedersi invece riconosciuto; agli artt. 3 e 24, poiché la norma non consente al figlio di ottenere la prova precostituita della filiazione, che sussiste in base alla legge applicabile in assenza di motivi ostativi di ordine pubblico internazionale; agli artt. 3 e 30, sotto il profilo della illegittima restrizione del diritto del figlio di ricevere mantenimento e istruzione da entrambi i genitori, che siano tali secondo la sua legge nazionale; all’art. 117, comma 1, in relazione agli artt. 3 e 7 della Convenzione di New York del 1989, sotto il profilo del pregiudizio subito dall’interesse del fanciullo a veder riconosciuta anche in Italia la doppia genitorialità sussistente secondo la sua legge  nazionale; ancora all’art. 117, comma 1, in relazione all’art. 7 della medesima Convenzione di New York, sotto il profilo della lesione del diritto a vedere immediatamente riconosciuto in Italia lo status di figlio di entrambe le madri, legittimamente acquisito sulla base della legge nazionale.

Nel prospettare e motivare la questione di legittimità costituzionale, l’ordinanza muove dal presupposto – sul quale soltanto in questa sede si svolgeranno alcune (more…)

Atto di nascita formato all’estero e bigenitorialità omosessuale: da Perugia un passo avanti verso il riconoscimento della filiazione intenzionale

di Stefania Stefanelli*

 

La decisione del Tribunale di Perugia si inserisce nel considerevole novero di quelle, di legittimità e di merito, che hanno disposto la trascrizione degli atti di nascita formati all’estero per bambini nati dal progetto procreativo di coppie formate da persone dello stesso sesso, a norma degli artt. 18 d.p.r. n. 396/2000 e 65 l. n. 218/1995, ritenendo che i relativi effetti non siano contrari all’ordine pubblico internazionale.

Sono «provvedimenti», ai sensi del citato art. 65, le sentenze e gli atti amministrativi che autoritativamente incidono sulle situazioni giuridiche riconnesse a capacità, diritti della personalità e rapporti di famiglia, ed in particolare quelli costitutivi o dichiarativi di stati familiari, capacità e diritti della personalità: tra questi, l’atto di nascita ha efficacia preclusiva di grado intermedio per l’accertamento della filiazione, mentre efficacia preclusiva massima spetta ai titoli giudiziali che accolgono le azioni di cui agli artt. 234, 239, 240, 269 c.c. o pronunciano l’adozione nelle forme della l. n. 184/1983.

La decisione aderisce al consolidato orientamento secondo il quale la filiazione giuridica non coincide necessariamente con la discendenza genetica, posto che ai sensi dell’art. 30, comma 4 Cost., le norme di rango primario fissano i limiti alla ricerca della paternità (e della maternità, non più certa per natura, in dipendenza della medicina riproduttiva), con disposizioni tipiche e di stretta interpretazione, ispirate alla salvaguardia dei diritti fondamentali (cfr. C. cost. n. 70/1965), alla luce del principio fondamentale di garanzia del pieno sviluppo della personalità umana. Tali erano quelle che impedivano il riconoscimento e la dichiarazione della nascita adulterina e di quella incestuosa, a garanzia dell’unità della famiglia matrimoniale. Mutato l’assetto assiologico (come ricorda Cass. n. 14878/2017), il riferimento è oggi: a) all’art. 9 l. n. 40/2004, che impedisce la rimozione dello stato di figlio della coppia che ha espresso il consenso alla p.m.a. ed esclude qualsiasi rapporto giuridico tra donatore/donatrice e nato; b) l’art. 27, comma 3, l. n. 184/1983, per il quale «con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato con la famiglia di origine, salvi i divieti matrimoniali»; c) agli artt. 244 e 263 c.c. che, introducendo termini decadenziali alle azioni ablative, manifestano il favor opposto a quello veritatis, che sostiene la conservazione di uno status non veridico, ma corrispondente alla consolidata affettività, presumendo che questo sia l’interesse del figlio, a meno che non sia costui a decidere altrimenti, promuovendo l’azione in qualsiasi tempo.

Lo ha recentemente confermato la Consulta, interrogata sulla legittimità dell’art. 263 c.c., affermando il rilievo costituzionale – autonomo e potenzialmente confliggente (more…)

Comune di Torino sulla iscrizione di due mamme o papà negli atti di nascita: non è una forzatura giuridica

di Marco Gattuso

La sindaca di Torino ha annunciato ieri la volontà di iscrivere all’anagrafe i figli nati da coppie di due mamme o due papà.
La decisione è scaturita dal caso (riportato dalla stampa nei giorni scorsi ) di due mamme che avevano chiesto – non la trascrizione di un certificato estero ma – di iscrivere un certificato di nascita con due mamme per un bambino che è nato qui in Italia.
La questione delle trascrizioni di atti di nascita esteri é stata già affrontata e risolta positivamente da altri Comuni in casi ormai numerosi, in particolare grazie a due importanti pronunce della Corte di Cassazione (vedi qui e qui).
Il Comune di Torino si allinea a tale indirizzo e annuncia tuttavia oggi anche una scelta nuova, poiché qui non si tratta di ammettere un atto già formato all’estero (che come noto può essere trascritto sempre, anche se non conforme alle nostre leggi, purché non sia contrario all’ordine pubblico internazionale), ma di formare un atto di nascita con due mamme o due papà, in quanto lo si assume conforme alla nostra legge nazionale.
Si tratta di una scelta importante, perché segna il passaggio al riconoscimento che i bambini nati dalle “famiglie arcobaleno” possono godere di una tutela piena già secondo le leggi vigenti. Ben oltre la cd. stepchild adoption che lascia questi bambini privi di un genitore per anni, che dipende da una successiva scelta dei genitori, che deve essere sottoposta a un nuovo vaglio dei tribunali (spesso lungo, incerto e costoso) e che secondo alcuni non dà neppure effetti pieni.
Nel comunicato della sindaca di Torino si legge che vi è la sua “ferma volontà di dare pieno riconoscimento alle famiglie di mamme e di papà con le loro bambine e i loro bambini” per cui “da mesi stiamo cercando una soluzione compatibile con la normativa vigente” e che “la nostra volontà è chiara e procederemo anche forzando la mano, con l’auspicio di aprire un dibattito nel Paese in tema di diritti quanto mai urgente”.
Nel comunicato, la sindaca sottolinea dunque come questa svolta sia diretta, innanzitutto, a riaprire il dibattito politico sulla questione dell’omogenitorialità.
Non è questa evidentemente la sede per discutere le implicazioni e gli effetti politici di questa scelta, mentre può essere utile riflettere sulle sue implicazioni strettamente giuridiche e, soprattutto, sul fondamento giuridico di questa decisione.

La sindaca, dunque, afferma che procederà senz’altro alla formazione degli atti di nascita, che il suo ufficio sta “cercando una soluzione compatibile con la normativa vigente” e che comunque non è neppure esclusa la eventualità di “forzare la mano”.
È ovvio che il sindaco, quando agisce quale ufficiale di stato civile, debba tenere (more…)

Joan ha due mamme: il Tribunale di Perugia ordina la trascrizione integrale dell’atto di nascita

Pubblichiamo il decreto con il quale il Tribunale di Perugia ha ordinato la trascrizione integrale dell’atto di nascita, formato in Spagna, recante l’indicazione di due madri, genetica e di parto. La vicenda – seguita dagli Avv. Vincenzo Miri e Martina Colomasi di Avvocatura per i diritti LGBT-Rete Lenford – trae origine dal diniego di trascrizione opposto dal Comune di Perugia, e successivamente impugnato ex art. 95 del D.P.R. n. 396/2000; diniego  in conseguenza del quale, peraltro, il minore (residente in Spagna con le due mamme, entrambe cittadine italiane, ed ivi regolarmente coniugate)  si era visto precluso il riconoscimento della cittadinanza italiana jure sanguinis, con conseguenze assai significative sul piano della libertà di circolazione. A seguito dell’azione, il Comune aveva provveduto alla trascrizione parziale dell’atto di nascita – con riferimento, cioè, alla sola madre partoriente: detta trascrizione è peraltro ritenuta non satisfattiva dal Tribunale di Perugia che, ritenendo tuttora sussistente l’interesse a ricorrere, si è pronunciato nel merito.

La decisione si pone in linea con la giurisprudenza della prima sezione civile della Corte di cassazione che – con le decisioni n. 19599/16 e 14878/17 – già ha affermato la trascrivibilità di atti di nascita stranieri legittimamente formati all’estero e recanti l’indicazione di due genitori del medesimo sesso, ritenendo tali atti non contrari all’ordine pubblico cd. internazionale. Coerentemente con la giurisprudenza di legittimità, il Tribunale di Perugia conferma dunque la non contrarietà all’ordine pubblico internazionale tanto dell’indicazione di due genitori del medesimo sesso, quanto della circostanza che il minore sia venuto al mondo tramite ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita non consentite dal nostro ordinamento: in sede di giudizio di non contrarietà all’ordine pubblico internazionale, infatti, il giudice non è tenuto a verificare che l’atto straniero applichi una disciplina della materia conforme a quella prevista dall’ordinamento italiano, bensì unicamente che esso non contrasti con i principi fondamentali della Costituzione e, soprattutto, con l’interesse del minore.

Nelle pieghe della decisione, si scorgono peraltro alcuni riferimenti ulteriori, che paiono suscettibili di approfondire l’inquadramento giuridico dell’omogenitorialità – ma anche, più in generale, di tutte le forme di genitorialità non biologica – nel nostro ordinamento. In particolare, il Tribunale di Perugia chiarisce che – alla luce della Costituzione e della legislazione in materia – non è desumibile un legame biunivoco fra attribuzione dello status di figlio e sussistenza di un legame biologico o genetico con il genitore: come si legge nella decisione, infatti, nel nostro ordinamento la genitorialità può fondarsi tanto su tale legame quanto su criteri ulteriori quali “l’affettività, se e quando corrisponde all’interesse superiore del figlio […] il consenso, nei casi previsti dalla legge n. 40/2004 [e] il favor stabilitatis” che deriva, in particolare, dal regime decadenziale previsto per le azioni di accertamento e contestazione dello status. Con riferimento specifico all’elemento del consenso, è importante sottolineare l’accenno – contenuto nella decisione – all’art. 8 della legge n. 40/2004, che riconnette l’attribuzione dello status di figlio, nei casi di p.m.a. cd. eterologa, al consenso prestato alla tecnica di p.m.a., indicato quale segnale importante della possibile scissione – nella costituzione dello status – tra genetica e intenzione.

In tale prospettiva sembra delinearsi, infine, una declinazione ampia dei concetti di interesse del minore e, soprattutto, di identità personale, i percorsi di determinazione della quale prescindono da una rilevanza assoluta del tradizionale favor veritatis, ricomprendendo piuttosto la considerazione di fattori ulteriori, quali lo specifico progetto procreativo che ha determinato la nascita (“essere stato desiderato, e poi generato, da quel genitore e/o da quella coppia di genitori, è parte irriducibile dell’identità personale di ogni essere umano”, si legge in altro luogo della decisione) ma anche, e soprattutto, il concreto atteggiarsi delle relazioni affettive tra il minore e i genitori: un percorso già delineato dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 272/17 e che, a ben vedere, il Tribunale di Perugia non solo segue, ma arricchisce di sfumature ulteriori.

(A.S.)

La riserva indiana dell’Unione Civile e l’Austria: privilegia ne irroganto

di Roberto de Felice*[1]

“Preservare l’Istituto tradizionale del matrimonio è solo un modo gentile di descrivere la disapprovazione morale dello Stato verso le coppie del medesimo sesso”

Antonin Scalia, AJ

Dissenting Opinion in Lawrence v Texas, 539 U.S. 558 (601) (2003)

PER LA TRADUZIONE DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE AUSTRIACA DEL  4 DICEMBRE 2017 N.  258-259 A CURA DI ROBERTO DE FELICE VEDI QUI 

 

Come ampiamente prevedibile alla luce dell’ordinanza del 12 ottobre, la Corte costituzionale di Vienna ha dichiarato incostituzionale gli l’art. 44 del codice civile nella parte in cui definiva il matrimonio come un contratto tra due persone di sesso diverso e tre norme della legge sull’unione civile che riservavano l’accesso a questo istituto, in vigore dal 1 gennaio 2010, alle sole coppie omosessuali.

La prima osservazione a caldo riguarda la estrema celerità della Corte nel decidere la questione. Alla luce della circostanza che i giudici della Corte costituzionale sono nominati su indicazione del governo federale[2], e che il prossimo governo federale della Repubblica austriaca, come da noi segnalato nella precedente nota di commento della ordinanza del 12 ottobre, sarà un governo di estrema destra, costituito dal partito popolare e dal partito liberale, la scadenza del mandato di tre giudici costituzionali alla data del 31 dicembre 2017 (infatti i giudici costituzionali, come gli altri magistrati, sono collocati a riposo il 31 dicembre dell’anno in cui compiono settant’anni[3]) ha verosimilmente accelerato i tempi della decisione[4]. Essa ben poteva essere assunta senza discussione e in udienza non pubblica alla luce della circostanza che il processo è esclusivamente documentale, trattandosi di ricorso contro il rifiuto della licenza di matrimonio.

La seconda osservazione è che bene ha fatto la Corte con l’ordinanza del 12 ottobre a sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’intera legge sull’unione civile. Infatti la mera eliminazione della definizione eterosessuale del matrimonio contenuta nel codice civile, da sé sola considerata, non avrebbe consentito alle coppie omosessuali di accedere al matrimonio, in presenza di un Istituto, quello della partnership registrata o unione civile, solo a esse riservato, e la norma applicata nel giudizio a quo era solo l’art. 44 ABGB. Infatti è prevedibile che le autorità austriache avrebbero continuato ad applicare a queste coppie solo l’istituto dell’unione civile, pur dopo la caducazione della definizione eteronormativa del matrimonio nel menzionato art. 44, proprio per la ripetuta definizione di esso nella legge istitutiva come esclusivamente a loro riservato. Pertanto del tutto corretta si appalesa l’ordinanza del 12 ottobre scorso[5].

La sentenza poi, nella sua motivazione, recepisce, per oltre la metà del suo contenuto, l’ordinanza citata. Tuttavia si può osservare come alcune espressioni particolarmente caustiche contenute nell’ordinanza, in questa sentenza non siano state riprodotte, verosimilmente per ampliare la maggioranza dei giudici a sostegno della decisione[6]. L’esito del giudizio, poi, non era affatto scontato. Infatti, la Corte costituzionale ha annullato le norme che riservavano, da una parte, il matrimonio alle coppie eterosessuali e, dall’altra l’unione civile a quelle omosessuali, con la conseguenza che dal 1 gennaio 2019 i due assortimenti di coppie potranno accedere su un piano paritario ai due istituti[7]. Non solo: la Corte precisa che le unioni civili attualmente esistenti resteranno in vita e che tali rapporti non saranno automaticamente trasformati in un matrimonio né, si estingueranno, permanendo la EPG.

Nel suo argomentare la Corte, infatti, ha considerato che il suo mandato nei giudizi sulle questioni di legittimità costituzionale, è limitato alle norme oggetto del procedimento che ha dato origine al processo costituzionale (qui il solo art 44 ABGB, oltre quelle- l’intera EPG – oggetto del rinvio d’ufficio del 12.10.17), norme che possono essere annullate in caso di contrasto con la Costituzione federale, purché le altre norme esistenti non assumano un significato completamente diverso. Ebbene tale mandato, per il principio di interpretazione complessiva delle norme dell’ordinamento austriaco[8], non sempre può essere espletato pienamente, proprio perché il venir meno delle norme incostituzionali quasi sempre fa assumere alle altre norme dell’ordinamento un significato diverso. In questo caso, aggiunge la Corte, occorre porre in luce quale sia la finalità principale, tra la finalità di conservare inalterato l’ordinamento vigente dopo la decisione di annullamento per incostituzionalità e quella di eliminare le norme incostituzionali dal medesimo ordinamento.

Indubbiamente, l’eliminazione di una norma che contrasti in modo grave con il principio di uguaglianza (more…)

La Corte di Vienna boccia definitivamente le unioni civili: sì al diritto al matrimonio per tutte e tutti

Con sentenza emessa ieri, 4 dicembre 2017 e resa nota oggi, la Corte costituzionale austriaca ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della scelta del legislatore austriaco di prevedere l’istituto della Unione civile fra persone dello stesso sesso, in quanto prevedere un istituto distinto dal matrimonio viola il principio di uguaglianza (per il comunicato stampa della corte vedi qui).

Secondo la Corte di Vienna  la distinzione fra matrimonio (riservato a coppie di sesso diverso) e unione civile (riservato a coppie dello stesso sesso) è dunque discriminatoria e contraria al principio di uguaglianza.

La distinzione basata sull’orientamento sessuale assume peraltro rilievo anche in circostanze in cui l’orientamento sessuale non ha alcuna rilevanza e può esporre la coppia al pericolo, storicamente fondato, di subire discriminazioni.

Il trattamento delle relazioni fra persone di sesso diverso e delle relazioni fra persone dello stesso sesso con la previsione di due istituti distinti per condizioni sostanzialmente equivalenti, anche sotto il profilo della filiazione e dell’adozione, è in contrasto con il principio fondamentale di uguaglianza e con il divieto di discriminare la persona in ragione di condizioni personali quali l’orientamento sessuale.

Quando la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel 2015, dichiarò illegittimo il divieto di sposarsi, la definimmo in questo sito “la decisione più importante”. Anche la sentenza dei giudici viennesi rappresenta oggi un passaggio di grande rilevanza, perché per la prima volta l’illegittimità costituzionale del divieto di matrimonio viene sancito da una Corte costituzionale in un ordinamento di civil law, con la specifica indicazione di un diritto fondamentale al matrimonio per tutti e tutte.

Sinora tale tipo di decisioni era stata adottata soltanto da corti supreme in paesi di common law (Stati Uniti, Sud Africa ecc..), mentre le corti costituzionali continentali (Portogallo, Francia, Spagna..) avevano sempre rigettato le eccezioni  di incostituzionalità, limitandosi quindi ad affermare successivamente la legittimità della scelta del legislatore di aprire il matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso. Da qui la dottrina aveva tratto la conclusione che l’indirizzo delle pur autorevoli corti supreme di common law non fosse esportabile nel Continente.

Da Vienna giunge oggi la smentita, a conferma forse che non avevamo avuto torto a rilevare, lo scorso luglio 2017, che la svolta legislativa tedesca che ha aperto il matrimonio, grazie alla grande influenza della dottrina giuridica tedesca, avrebbe impresso un’ulteriore accelerazione nel percorso e nei tempi verso il matrimonio egualitario in tutti i paesi che condividono pari attenzione ai diritti fondamentali (https://www.articolo29.it/2017/la-svolta-tedesca-imprime-unaccelerazione-anche-in-italia-alcune-ipotesi-sul-percorso-e-i-tempi-verso-il-matrimonio-egualitario/).

È inoltre quanto mai significativo che la legge italiana, che seguiva il cd. “modello tedesco” della Unione Civile, seguito nel 2016, quando fu approvata la Legge Cirinnà,  dalla Germania, dall’Austria e dalla Svizzera, sia oggi, dopo la legge tedesca di luglio e la sentenza della Corte costituzionale austriaca di ieri, esempio del tutto isolato, condiviso soltanto con la Svizzera e pochi altri paesi (peraltro non tutti inquadrabili nella nozione di paesi a civiltà giuridica affine alla nostra).

D’altra parte, la decisione austriaca, come quella tedesca, dimostra ancora una volta che l’introduzione nell’ordinamento di un istituto quale l’Unione civile, per quanto obiettivamente discriminatorio, non chiude affatto il discorso dell’uguaglianza, ma accelera anzi il cammino verso il suo pieno riconoscimento. Dunque errava chi (da destra e da sinistra) sperava o temeva che con la legge Cirrinà il discorso sull’uguaglianza e la cessazione delle discriminazione matrimoniale fosse chiuso: non è stato mai così aperto.

Il Bundesverfassungsgerichthof, sollecitato dal ricorso dell’avv. Helmut Gaupner (già difensore nel caso Maruko avanti alla Corte di giustizia e che ringraziamo anche per le informazioni che ci ha voluto fornire nelle scorse settimane), ha quindi stabilito che la sentenza avrà piena efficacia il 31 dicembre 2018, data alla quale la legge sull’unione civile (approvata nel 2009 e entrata in vigore nel 2010) e il matrimonio dovranno essere aperti tanto alle coppie di diverso che dello stesso sesso. Dunque, tutte le coppie avranno il diritto di scegliere se sposarsi o unirsi civilmente.

Per la ricostruzione in fatto della vicenda austriaca e per una prima valutazione delle motivazioni (in attesa di ulteriori approfondimenti) si rimanda alla nota e alla traduzione dell’ordinanza a cura di Roberto de Felice già pubblicata in questo sito in data 21 novembre 2017 (-https://www.articolo29.it/2017/i-dubbi-della-corte-costituzionale-austriaca-sulla-legittimita-giuridico-diverso-dal-matrimonio-riservato-alle-coppie-dello-stesso-sesso/).

Corte d’appello di Genova: riconoscimento automatico di adozione omogenitoriale nazionale straniera

di Guido Noto La Diega* 

Con ordinanza n. 1319 del 1 Settembre 2017, la Corte d’Appello di Genova si è pronunciata in tema di trascrizione della sentenza straniera concedente l’adozione a una coppia di coniugi del medesimo sesso e trascrizione del certificato di nascita del minore adottato. Il collegio genovese dichiara l’efficacia della sentenza straniera e ordina la trascrizione della stessa e del certificato di nascita nei registri dell’Ufficio di Stato Civile sulla base di tre considerazioni. Innanzitutto la vicenda è regolata dalla legge n. 218/1995 (nel prosieguo anche ‘legge sul diritto internazionale privato’ o ‘legge d.i.p.’) e non dalla legge n. 184/1983 (nel prosieguo anche ‘legge sulle adozioni’). Ne segue che la regola è il riconoscimento automatico dell’adozione da parte dell’ufficiale dello stato civile, mentre il vaglio del Tribunale dei Minorenni previsto dalla legge sulle adozioni è eccezionale e limitato alla c.d. adozione internazionale. Quest’ultima si ha quando una coppia residente in Italia adotta un minore in stato di abbandono e residente all’estero. In secondo luogo, i provvedimenti de quibus vanno obbligatoriamente riconosciuti al ricorrere di quattro condizioni: competenza dell’autorità che li ha emessi, efficacia nell’ordinamento estero considerato, non contrarietà all’ordine pubblico e rispetto dei diritti di difesa. La detta non contrarietà è la condizione principale è sul punto la Corte d’Appello è cristallina nello statuire che la limitazione dell’adozione alle coppie unite in matrimonio non è una norma fondamentale, di talché la sua violazione non attiva il limite dell’ordine pubblico internazionale, il quale negli anni è andato significativamente erodendosi per via pretoria. Il nucleo di questo limite è nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, che, in subiecta materia, prendono il volto del prevalente interesse del minore. In quest’ultimo si sostanzia il terzo ordine di considerazioni del collegio. L’interesse del minore deve valutarsi in concreto, alla luce del diritto alla continuità delle relazioni affettive e al tranquillo godimento dello status filiationis. L’importanza dell’interesse del minore è tale che, un provvedimento che potrebbe prima facie sembrare in contrasto con l’ordine pubblico, non è da considerarsi tale perché riflette l’interesse del minore. In conclusione, l’ordinanza annotata consolida e chiarifica il diritto vivente sotto almeno tre profili. Anzitutto, le coppie omogenitoriali integrano a pieno titolo il concetto di famiglia, il che si riverbera sul fatto che è nell’interesse del minore crescere nel suddesto consesso familiare. Un secondo profilo attiene alla conferma dell’ordine pubblico internazionale come norma ad applicazione eccezionale e interpretata in modo tale da assicurare la massima apertura possibile agli ordinamenti stranieri. Terzo, con più diretto riguardo al caso di specie, si conferma quanto statuito dalla Corte d’Appello di Milano con ordinanza del 5 Ottobre 2016 in tema di riconoscimento e trascrizione di provvedimenti stranieri di adozione a favore di coppie omogenitoriali (v. M.M. Winkler, Riconoscimento e trascrizione di un’adozione straniera da parte di una coppia same-sex: la pronuncia della Corte d’Appello di Milano). In pari tempo, la sentenza può essere vista come un passo avanti rispetto al decreto del Tribunale per i Minorenni di Firenze che, il 7 Marzo 2017, pur riconoscendo l’efficacia di un’adozione omogenitoriale di due cittadini italiani residenti nel Regno Unito, non aveva riconosciuto la natura schiettamente internazionalprivatistica della vicenda, applicando invece il meno favorevole regime dell’art. 36, comma 4 legge sulle adozioni (v. il commento di A. Schillaci, “Una vera e propria famiglia”: da Firenze un nuovo passo avanti per il riconoscimento dell’omogenitoritalità).

Il fatto

Con sentenza del 10 Marzo 2016, il Tribunal de Justiça di uno stato nel Brasile concedeva la adopção di minore a un cittadino italo-brasiliano e uno franco-brasiliano uniti in matrimonio. Col provvedimento straniero (more…)

I dubbi della Corte costituzionale austriaca sulla legittimità di un istituto giuridico diverso dal matrimonio riservato alle coppie dello stesso sesso

La Corte costituzionale austriaca solleva il dubbio che sia illegittimo concedere alle coppie gay e lesbiche un istituto giuridico diverso dal matrimonio, seppure equivalente sotto il profilo degli effetti. La decisione definitiva, attesa verosimilmente all’inizio del 2018, potrebbe avere effetti dirompenti. Quando l’Italia approvò nel 2016 l’introduzione dell’unione civile, seguendo il cd. “modello tedesco”, solo Germania, Austria e Svizzera seguivano in occidente tale impostazione. Dopo la svolta legislativa tedesca, che ha aperto il matrimonio, una decisione favorevole in Austria della stessa Corte costituzionale renderebbe palese l’isolamento dell’Italia nella scelta di continuare la discriminazione matrimoniale delle persone omosessuali. Pubblichiamo un primo commento di Roberto De Felice con la traduzione della parte motiva dell’ordinanza.

di Roberto de Felice*

 

The dissimilitude between the terms “civil marriage” and “civil union” is not innocuous; it is a considered choice of language that reflects a demonstrable assigning of same-sex, largely homosexual, couples to second-class status.

Opinion of the Justices to the Senate 440 Mass.1201 (2004), Supreme Court of Massachusetts, CJ Margaret Marshall

 

1.

Con ordinanza 230[1] del 12 ottobre del 2017 la Corte costituzionale austriaca ha sollevato d’ufficio[2] la questione di costituzionalità dell’articolo 44 del codice civile e della stessa legge sulle unioni civili n. 135/2009, così come modificata nel 2015 (Eingetragene Partnerschaft-Gesetz, acronimo EPG)[3].

La vicenda processuale parte dalla richiesta di una coppia di donne, cittadine austriache, civilmente unite dall’8 ottobre 2012, genitrici di un minore, che nella sintetica espressione della corte costituzionale ‘’cresce in questo rapporto’’, che si erano rivolte il 9 maggio 2015 al segretario comunale di Vienna[4], chiedendo, vanamente,  l’avvio del procedimento- previsto per i coniugi dalla Ehegesetz– volto al riconoscimento della loro capacità matrimoniale, il rilascio del permesso di costituire un matrimonio, la costituzione e registrazione del medesimo e il rilascio di un certificato di matrimonio, con richieste respinte con decreto del 25 agosto del 2015. Le parti si erano rivolte quindi al Tribunale Amministrativo, competente a prescindere dalla situazione giuridica[5] per l’impugnazione di tutti gli atti provenienti da una pubblica amministrazione. Il Tribunale rigettava i loro ricorsi, nel corso dei quali il terzo ricorrente e loro figlio rinunciava agli atti del giudizio. Motivava che, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e del Consiglio di Stato austriaci e della Corte europea dei diritti dell’uomo apparteneva al margine di apprezzamento del legislatore austriaco la facoltà di provvedere al riconoscimento giuridico per le unioni di partner del medesimo sesso mediante il matrimonio o mediante un’unione civile. Lo Stato era sì costituzionalmente obbligato al riconoscimento giuridico e alla equiparazione nei tratti essenziali delle coppie omosessuali ed eterosessuali[6] ma poteva scegliere, senza che ciò nuocesse all’interesse superiore del minore, tra l’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali e l’istituzione di uno specifico istituto giuridico come quello delle unioni civili.

2.

Ai sensi dell’articolo 144 della Costituzione austriaca (BVfG) le parti, avendo esaurito il primo grado di giudizio, ritenendo che la giurisdizione adita avesse leso dei diritti fondamentali costituzionalmente protetti, come quelli sanciti dagli articoli 8, 12 e 14 della CEDU in merito (more…)

Il caso della “torta nuziale” arriva alla Corte Suprema. Il punto sul same-sex marriage negli Stati Uniti a due anni dalla sentenza Obergefell

di Angioletta Sperti*

 

Sono trascorsi esattamente due anni dalla storica sentenza Obergefell v Hodges[1] in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto alle coppie dello stesso sesso la possibilità di contrarre matrimonio in tutto il territorio nazionale. Come si ricorderà, muovendo dalla natura fondamentale del diritto al matrimonio, a prescindere da qualsiasi caratteristica personale degli sposi, la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale la disposizione del Defense of Marriage Act 1996 (DOMA) che ancora consentiva ad alcuni Stati di negare alle coppie dello stesso sesso l’accesso al matrimonio o il riconoscimento dei matrimoni celebrati in altri Stati dell’Unione.

Obergefell – pur rappresentando una storica vittoria dei movimenti LGBT di tutto il mondo – non rappresenta certamente la fine della lotta contro le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale negli Stati Uniti. Lo stesso James Obergefell, in un’audizione al Congresso[2] dopo la sentenza, ha sollecitato il legislatore americano a vigilare poiché – ha dichiarato – “è di importanza cruciale che il diritto costituzionale al matrimonio non venga oggi sminuito”. Il suo appello al Congresso riporta alla memoria la lunga vicenda della lotta contro la segregazione che la Corte Suprema dichiarò incostituzionale in un’altra, storica sentenza del 1954 Brown v Board of Education. A dieci anni dalla pronuncia la segregazione sopravvisse in molti Stati del “profondo Sud” (Arkansas, Alabama, Mississippi) grazie anche alla stessa Corte Suprema che rimise l’attuazione dei principi formulati nel caso Brown alla discrezionalità degli Stati, “with all delibate speed”. Solo l’intervento del Congresso – con il Civil Rights Act del 1964 – pose fine alle resistenze di alcuni Stati, fornendo al governo federale concreti strumenti giuridici (e leve finanziarie) per contrastare la segregazione razziale.

Questo breve commento intende fornire un quadro del seguito giurisprudenziale (e legislativo) della sentenza Obergefell con la sintetica premessa che negli Stati Uniti le resistenze al matrimonio egualitario operano oggi essenzialmente su tre fronti: quello del contrasto all’introduzione – a livello statale – di divieti di discriminazione verso le persone LGBTI; quello della tutela della libertà religiosa, ed infine, su quello dell’obiezione di coscienza.

a) Il contrasto all’introduzione di divieti di discriminazione sull’orientamento sessuale: Una prima forma di “resistenza” ad Obergefell è stata (more…)